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Breve riflessione sul tema della tutela dell’integrità psichica nella vicenda del plagio

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 107-113)

LA MANIPOLAZIONE MENTALE

3. La manipolazione mentale come reato

3.1.1. Breve riflessione sul tema della tutela dell’integrità psichica nella vicenda del plagio

Nel nostro ordinamento il prototipo della fattispecie della manipolazione mentale era raffigurato nel reato di plagio, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 96 del 1981 da parte della Corte Costituzionale 224.

Per comprendere al meglio le ragioni, per le quali è difficile dare una definizione degli elementi normativi del plagio, quale specifica forma di reato, ne vanno osservate, per forza di cose, le origini storiche e gli sviluppi 225.

Sin dal III secolo a.C., il termine “plagio” – dal latino plagium – servì ad indicare, nella società greca e romana, un reato strettamente collegato alla schiavitù.

224 Corte Cost., 8 giugno 1981, n. 96, in Giur. Cost., 1981, I, 806.

225 La ricostruzione storica del plagio è ben scolpita da PESSINA, Elementi di

diritto penale, Napoli, 1871, II, 153, dove, trattando del reato di cattura privata

e rifacendosi al diritto romano, scrive: “L’impossessarsi della persona di un uomo, impedendogli la libera disposizione di se stesso con la possibilità di invocare il soccorso degli altri uomini per ricuperare la propria autonomia, è l’essenza di questo reato e costituisce la più grande delle aggressioni alla libertà dell’uomo individuo. Esso ebbe anticamente due nomi, che rispondevano a due figure distinte l’una dall’altra, secondo che lo scopo immediato dell’impossessamento era il ridurre in schiavitù l’individuo rapito, o il togliergli per maggior o minor tempo la libera disposizione delle sue forze, cioè il plagio ed il carcere privato […]. Col dileguarsi della schiavitù il reato della vendita dell’uomo libero divenne meno frequente, e fu costruita la figura di un plagio improprio, cioè dell’impossessamento dell’uomo non già allo scopo di ridurlo in schiavitù, ma in quello di forzarlo al servigio militare straniero (plagio militare) o in quello di educare i fanciulli ad una data religione o ad un qualche mestiere, sia legittimo, sia turpe. E in generale il plagio non indicò più esclusivamente l’assoggettamento dell’uomo libero allo stato di servitù, ma ogni impossessamento della persona altrui anche con parziale privazione di libertà purché tendesse ad una usufruttuazione dell’uomo per un tempo indefinito.”

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Costituiva plagio, infatti, il comportamento di “colui che si impossessava, tratteneva o faceva oggetto di commercio un uomo libero o uno schiavo altrui” 226, volendosi con ciò fare riferimento alla vendita dell’uomo libero e a quella del servo altrui. Successivamente – a partire dalla fine del secolo XVIII – con la progressiva affermazione del principio di uguaglianza giuridica delle persone e con l’abolizione della schiavitù 227, si trasformò anche la nozione di “plagio”, andando a configurare, non più un reato riguardante la “proprietà” degli esseri umani, ma un delitto contro la libertà individuale.

Inizia, dunque, a delinearsi un concetto di plagio più “largo”, comprensivo di ogni “impossessamento dell’altrui persona”. Tuttavia, il codice Zanardelli – primo codice penale italiano – nell’art. 145, non disciplinava il reato di plagio, prevedendolo invece, ancora, come una fattispecie criminosa legata alla schiavitù 228.

È solo con il codice penale italiano del 1930 229, che il termine “plagio” assume un significato tutto nuovo.

L’abrogato art. 603 c.p. 230 sanciva: “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Collocato nella sezione dei Delitti contro la libertà individuale,

226 Lett. : “qui civem romanum ingenum, libertinum servumve alienum celaverit

vendiderit vinxerit comparaverit”; cfr. PAOLO, Collatio legum mosaicarum et

romanarum, 14, 2, I.

227 L’abolizione della schiavitù venne sancita nel 1791.

228 Il codice Zanardelli nell’art. 145, disponeva: “chiunque riduce una persona

in schiavitù od in altra condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”.

229 Il legislatore del 1930, infatti, si muoveva all’interno di un contesto storico

– culturale del tutto mutato, in cui avevano avuto inizio le prime pratiche di psicoanalisi. Introdusse, quindi, l’art. 603 c.p., anche a tutela delle vittime delle tecniche di suggestione.

230 L’art. 603 c.p. era inserito nel Capo III, del Libro II, c.p., dedicato ai Delitti

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esso era posto a tutela dell’integrità psichica contro i condizionamenti illeciti.

Incriminazione, autonoma, rispetto a quella concernente la riduzione in schiavitù, prevista all’art. 600 c.p. 231

Le motivazioni, che condussero a realizzare una netta distinzione tra reato di plagio e quello di riduzione in schiavitù si rinvengono nella relazione al testo del progetto del codice, ad opera del guardasigilli.

In essa si affermava che il plagio “quale figura criminosa parallela, ma distinta dalla riduzione in schiavitù”, consiste nel “sottoporre taluno al proprio potere in modo da ridurlo in tale stato di soggezione da sopprimerne totalmente la libertà individuale” 232. Il passaggio ad una concezione “psicologica” del plagio – quella che a noi maggiormente interessa – si può collocare, essenzialmente, nell’interpretazione del termine “soggezione”: un evento psichico che, come abbiamo appena visto, l’art. 603 c.p. connotava dell’attributo della “totalità”.

In altri termini: si conferì alla “soggezione” il significato di una coazione psicologica alla quale la vittima non può sottrarsi. Nell’ipotesi di plagio, lo stato di soggezione, poi, non poteva che essere uno “stato di fatto”, rimanendo inalterato lo status libertatis

231 Recita l’art. 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù):

“Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni”. Per ovviare alle incertezze interpretative che si venivano a determinare, il codice Rocco delineò l’incriminazione per plagio in termini di autonomia rispetto a quella concernente la riduzione in schiavitù, con l’intento di superare l’equivocità dell’espressione contenuta nell’art. 145 del c.p. del 1889 - comprensiva della schiavitù od altra condizione analoga - della quale era incerta la riferibilità a condizioni di diritto, ovvero pure di fatto. Da ciò dunque la volontà del legislatore di sdoppiare anche formalmente le due ipotesi, riconducendo il plagio ad una figura distinta ma parallela alla riduzione in schiavitù (Vedi cosa si dice subito di seguito a questa nota).

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di diritto della vittima, che è, per definizione, inalterabile; mentre, per contro, la condizione analoga alla schiavitù, a cui allude l’art. 600 c.p., si reputa integrata esclusivamente da ipotesi di diritto 233.

Peraltro, il consenso della vittima non può escludere il delitto, non essendo la libertà individuale, nel suo complesso riferibile alla persona umana, un diritto disponibile.

Nel corso degli anni, poi, la dottrina, che si era occupata dell’interpretazione dell’art. 603, aveva cercato di definire la totale soggezione di fatto del soggetto passivo e la conseguente soppressione della sua capacità di autodeterminazione, nel tentativo di distinguere tale figura delittuosa dagli altri delitti contro la libertà individuale.

Una parte della dottrina, conforme alla tradizione romanistica, ritenne il plagio l’equivalente della schiavitù come stato di fatto, ossia la riduzione di una persona a res (“cosa, merce”) per poterla sfruttare economicamente 234.

Tale interpretazione, tuttavia, veniva superata, poi, dalla concezione, elaborata dalla giurisprudenza, in base alla quale il

233 Come ad esempio la servitù per debiti, con durata e carattere

indeterminato. La Convenzione supplementare per l’abolizione della schiavitù,

della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù

(Ginevra, 7 novembre 1956) prevede quattro tipi di condizione analoga alla schiavitù: la servitù per debiti con durata e caratteri indeterminati; la servitù della gleba; le ipotesi di promessa o dazione in matrimonio di una donna senza diritto di rifiuto da parte di essa e con una contropartita, ovvero quelle di cessione di una donna a titolo oneroso, ovvero ancora quelle di trasmissione della vedova per successione; le ipotesi di cessione di un minore a terzi, da parte dei parenti, per lo sfruttamento del suo lavoro o della sua persona.

234 Era una concezione, definita economica, che faceva coincidere l’evento

del plagio con l’«assoggettamento di una persona all’altrui dominio, attraverso la privazione della propria autonomia di vita, sottoponendola coattivamente, ad un lavoro produttivo, e quindi, allo sfruttamento economico». Cfr. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, I, Delitti contro la persona, Padova, 2005, p. 271; MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, vol. VIII, 4ª ed., p. 652; GRECO, Riduzione in schiavitù, plagio e sequestro di persona, in G.P., 1950, II, p. 214 ss.

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plagio venne considerato un delitto a contenuto psicologico 235; si ravvisava, infatti, lo stato di soggezione “nell’assoggettamento psichico di una persona all’altrui volontà, privandone l’autonomia volitiva sia nell’estrinsecazione, sia nella formazione della propria volontà” 236.

Per comprendere adeguatamente questa concezione di plagio, bisogna fare riferimento al fenomeno suggestivo.

Si sostiene, infatti, che il delitto consiste nell’instaurazione di un rapporto psichico di assoluta soggezione del soggetto passivo nei confronti del soggetto attivo, in modo che il primo venga sottoposto al potere del secondo, con completa o quasi integrale cancellazione della capacità di autodeterminarsi.

La vittima, quindi, non subisce una soggezione limitata alla estrinsecazione della sua volontà, ma una soggezione in senso psicologico, in quanto privata anche della facoltà di formare liberamente il suo volere.

La soggezione psichica, come conseguenza del potere suggestivo, sta ad indicare lo stato di dipendenza psicologica del plagiato verso il reo: la vittima si trova vincolata a credere ai suggerimenti impartiti dal plagiante e, conseguentemente, ad attualizzarli senza deliberazione, senza volontà libera.

235 La Corte di Cassazione, sez. III penale, 3 novembre 1949, in Giur. completa

Corte Cass. Sez. pen., 1949, II, 1315, aveva sentenziato che l’elemento materiale del delitto di plagio consiste “nella costituzione, tra il soggetto attivo e quello passivo, di un rapporto di fatto per il quale quest’ultimo venga sottoposto al potere dell’altro, con conseguente privazione della facoltà di liberamente volere ed annientamento della volontà nel suo integrale contenuto”. Con un’altra sentenza la Cassazione penale, sez. I, 26 maggio 1961, in Cass. Pen., 1961, 917, aveva statuito che il delitto di plagio consiste nell’instaurazione di un rapporto psichico di assoluta soggezione del soggetto passivo al soggetto attivo, in modo che il primo venga sottoposto al potere del secondo, con completa e quasi integrale soppressione della libertà del proprio determinismo”; e che in tale delitto “ le condizioni materiali di vita del soggetto non hanno altro valore che quello di un mero riscontro indiziario, e ciò che più conta, invece, sono le condizioni psichiche”.

236 NUVOLONE P., Considerazioni sul delitto di plagio, in Studi in onore di B.

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Tuttavia, si introduceva, in questo modo, anche un dubbio, inerente all’individuazione, sul piano giuridico, di una differenza tra “suggestione” (condotta di plagio) e “persuasione” (lecita), rispettivamente rivolte, l’una ai meccanismi razionali, e l’altra a quelli irrazionali ed istintivo – emotivi della vittima.

Non vi sono criteri sicuri per separare le due attività e per accertare l’esatto confine fra esse.

L’affermare che nella persuasione il soggetto passivo conserva la facoltà di scegliere ed è in grado di rifiutare e criticare, mentre nella suggestione la convinzione avviene in maniera irresistibile, implica una valutazione non solo dell’attività psichica del soggetto attivo, ma anche della sua qualità e dei suoi risultati. Quanto all’intensità, ogni individuo è più o meno suggestionabile, ma non è possibile graduare ed accertare sino a che punto l’attività psichica di un soggetto possa essere impedita o manipolata da altri, coartando il libero esercizio della propria volontà.

Pertanto, l’accertamento sul “tipo” di attività - di persuasione o di suggestione - nel caso del plagio non poteva che essere del tutto affidata all’arbitrio del giudice, risultando così caratterizzata da un’indeterminatezza non solo dell’evento, ma anche della condotta.

Inoltre, una ricostruzione in chiave psicologica del plagio, appare sicuramente interessante, alla luce dell’attualità dei fenomeni di manipolazione mentale, quali quelli precedentemente analizzati nel paragrafo precedente, come, ad esempio, il “Brainwashing”. Ancora una volta, però, non si è in grado di dare una risposta certa all’utilizzo o meno di un articolo, quale poteva essere, prima della sua abrogazione, il 603 del codice penale: occorrerebbe, infatti, stabilire, in primis, il limite, oltre il quale un rapporto di influenza psicologica e di condizionamento reciproco tra soggetti superi il livello di “normalità” per collocarsi in uno stato di

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automatismo o di condizionamento totale, così da acquisire la rilevanza di illecito penale 237.

Vi è, infine, una terza concezione – che potremmo definire “odierna” – del delitto di plagio, detta anche “psicosociale”. Tale concezione è orientata a ricostruire la fattispecie al di là del rapporto tra plagiante e plagiato, ponendo piuttosto l’attenzione sugli effetti prodotti dal plagio sul plagiato, i.e., il sentimento di solitudine e le sue conseguente lesive di ordine psichico 238. Anticipiamo qui, però, che l’ “isolamento sociale”, nel quale si identifica l’evento tipico, sembra richiamare una forma di sofferenza psichica più consona alla fenomenologia del maltrattamento che a quella del dominio.

Rimandiamo la trattazione di tale tematica alla parte terza, riguardante le precisazioni sulla tutela dalla “sofferenza psichica”.

3.1.2. Motivi dell’abrogazione del plagio e sua problematica

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 107-113)

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