• Non ci sono risultati.

La distinzione tra “integrità psichica” e altre forme di tutela della persona

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 61-66)

Giunti a questo punto della trattazione, non possiamo tralasciare una considerazione dal punto di vista del “contenuto” 126 dell’integrità psichica.

Alcuni autori 127, infatti, dibattono su talune forme di tutela della persona, in particolare l’onore e la riservatezza, chiedendosi se esse appartengano o meno alla sfera di tutela dell’integrità psichica.

Il collegamento con la sfera emotiva e sentimentale è evidente: sia l’onore che la riservatezza affondano le proprie radici in una chiara esigenza sociale alla protezione dei beni psichici.

Ciononostante, la domanda è: essi vanno considerati o non considerati, alludono o non alludono alla protezione di un bene, quale l’integrità psichica?

125 È quanto sostiene anche DONINI M., “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela

penale dei sentimenti (note su morale e sicurezza come beni giuridici a margine della categoria dell’ “offense” di Joel Feinberg), in Riv. it. proc. pen.,

2008, cit. p. 1562.

126 Con “contenuto” si vuole alludere a tutto ciò che, nel modo più materiale

possibile, possiamo far rientrare all’interno della tutela penale dell’’integrità psichica. Infatti, dopo esserci concentrati sulle teorie e le varie concezioni filosofiche e psichiche, possiamo ora andare a “riempire” proprio il concetto di integrità psichica di cui ci siamo fatti carico, individuando, a poco a poco, tutte le figure criminose che ne fanno parte (questo avverrà, con precisione, nel capitolo III).

127 Ci si riferisce, in particolare, a MUSCO E., Bene giuridico e tutela dell’onore,

60

L’onore è l’insieme delle qualità essenziali al valore di ogni persona umana in quanto tale.

Per quanto riguarda la tutela penale dell’onore, ne vanno esaminate, prima di tutto, le due concezioni principali:

a) la concezione dell’onore – sentimento del proprio o altrui valore, è detto anche fattuale, poiché fa riferimento alla percezione effettiva che il soggetto ha del proprio valore (si parla, a tal proposito, di onore in senso soggettivo o interno) o che gli altri hanno del valore del soggetto stesso (si parla, in questo caso di onore in senso oggettivo o esterno; detto anche, in termini gergali, reputazione) 128;

b) la concezione dell’onore – valore, che è detta anche normativa, in quanto intende l’onore, non come un dato fattuale, ma come valore della persona umana, che prescinde dall’opinione favorevole del soggetto o dei terzi rispetto ad esso 129.

Anche per la riservatezza 130, il ragionamento è similare: si tratta, come per l’onore, di un concetto di relazione, non essendo né un fatto, né una cosa, né una notizia, ma la relazione conoscitiva tra un soggetto o un fatto, una cosa o una notizia 131.

Il diritto alla riservatezza è infatti il diritto alla esclusività di conoscenza di ciò che attiene alla vita privata di un individuo. Nella logica personalistica – più volte evidenziata – che contraddistingue il nostro ordinamento, il bene della riservatezza va inteso, non nel senso psicologico – soggettivo di riservatezza

128 Così FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale, parte speciale, tomo

secondo, I delitti contro la persona, cit., p. 258.

129 Così FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale, parte speciale, tomo

secondo, I delitti contro la persona, cit., p. 259.

130 Per una visione più ampia, interessante confrontare MORSILLO G., La

tutela penale del diritto alla riservatezza, Milano, 1966.

131 Così FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale, parte speciale, tomo

secondo, I delitti contro la persona, cit., p. 469.

61

– sentimento alla propria vita privata, ma nel senso personalistico di riservatezza – esclusività di conoscenza delle proprie cose private, quale aspetto inviolabile della persona umana, essendo quest’ultima caratterizzata sia dalla sua dimensione sociale che dalla sua dimensione individuale.

Che la riservatezza sia un bene da tutelare – come visto – più nella sua dimensione relazionale, è dimostrato anche da fatto che il reato si può configurare anche quando la vittima non abbia una percezione psichica dell’offesa subìta.

Ad esempio, quando il titolare del domicilio non sa che un estraneo si trova in casa sua, l’articolo che in ogni caso va applicato è il 614 c.p. 132.

In questo caso, infatti, l’offesa è data dalla violazione di determinati “spazi”, nei quali si estrinseca la personalità di ognuno, ma non ha nulla a che vedere con una pressione psichica o con stati emotivi interiori.

Dunque, la conclusione a cui facilmente si giunge è quella per cui sia l’onore che la riservatezza, pur essendo entità tutelabili aventi una stretta correlazione con l’integrità psichica, sono assurte quali libertà autonome da questa, in quanto connotate, nell’ambito della dimensione sociale dell’individuo – e a differenza della sua libertà psichica – da un diverso tasso di visibilità e specificità.

Un ultimo campo di affinità con l’ambito di tutela dell’integrità psichica, al quale credo sia opportuno fare almeno un cenno, è quello del divieto di tortura.

132 L’articolo 614 c.p. (Violazione di domicilio), recita, al 1°co.: “Chiunque

s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Al 2° co. si aggiunge: “Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con l’inganno”.

62

Mentre per l’onore e la riservatezza si faceva riferimento alla tutela di interessi a sfondo psicologico nelle relazioni private, il termine tortura 133 ci rimanda a relazioni con entità sopraordinate. Il richiamo all’elemento psicologico, in questo ambito, si ricava in primis dalle definizioni di “tortura” insite nelle fonti di diritto internazionale 134, che ci indicano, tra le varie forme di tortura, quelle non caratterizzate da aggressioni puramente fisiche, ma da mezzi di oppressione psichica.

Non a caso, la forma di tortura oggi maggiormente pratica è detta tortura “no touch” 135.

La giurisprudenza definisce il livello di afflizione psichica raggiunta tramite tali condotte con le emozioni “paura”, “angoscia” ed “afflizione” 136.

Ancora una volta, però, va rimarcata la differenza tra i concetti di “tortura”, così come derivante dal diritto internazionale, e quello di “integrità psichica”, sul quale noi ci basiamo.

Il divieto di tortura, che ci espone il diritto internazionale, si inserisce nel rapporto tra Stato e cittadino, nel quale lo Stato si erige ad autorità, abusando dei propri poteri.

133 Per un’analisi recente sulla tortura, LAUSO ZAGATO – SIMONA PINTON

(a cura di), La tortura nel nuovo millennio – la reazione del diritto, Padova, 2010.

134 Il nostro ordinamento attualmente punisce la tortura con l’art. 185 – bis c.p.

militare di guerra. Cfr. lo stesso art. 185 – bis. Altre offese contro persone

protette dalle convenzioni internazionali: “Salvo che il fatto costituisca più

grave reato, il militare che, per cause non estranee alla guerra, compie atti di tortura o altri trattamenti inumani, trasferimenti illegali, ovvero altre condotte vietategli dalle convenzioni internazionali, inclusi gli esperimenti biologici o i trattamenti medici non giustificati dallo stato di salute, in danno di prigionieri di guerra o di civili o di altre persone protette dalle convenzioni internazionali medesime, è punito con la reclusione militare da uno a cinque anni”.

135 La tortura no touch consiste in una serie di tecniche finalizzate ad un

“dolore auto – indotto”, molto più redditizie dal punto di vista della collaborazione della vittima. Quest’ultima, infatti, oppone maggiore resistenza, quando prova dolore fisico.

136 Cfr. TRIONE F., Divieto e crimine di tortura nella giurisprudenza

63

In tale abuso è insito un risultato offensivo che prescinde dall’ “integrità psichica” o anche fisica in quanto tale; quella che viene lesa è infatti la “dignità” dell’essere umano da parte di un potere pubblico, onde per cui attiene ad un principio di “ordine pubblico processuale”, che è molto diverso da quella capacità di “autodeterminazione”, che, come abbiamo già visto, è partecipe dell’integrità psichica.

La materia dovrebbe essere, pertanto, separata dalla tutela dell’integrità psichica tout court come aspetto della personalità individuale.

Anche quando ci riferiamo alla dignità umana, pur ammettendo una connessione tra quest’ultima e l’integrità psichica, la genericità di tale concetto ed i rischi di strumentalizzazione ai quali si espone, inducono l’interprete a non farvi ricorso per giustificare l’esistenza di alcune incriminazioni eticamente sensibili.

A tal proposito, vedremo in seguito che, anche quando un reato sembra compromettere un valore trascendente la personalità del singolo ed attingere ad un interesse più profondo – ad esempio i maltrattamenti ex art. 572 c.p. – il risultato tipico sarà apprezzabile esaminando la singola personalità, della quale viene leso un modello socialmente riconosciuto di benessere psichico, e non mediante un raffronto con la dignità dell’essere umano

64

CAPITOLO II

IL VOLTO DELL’INTEGRITÁ PSICHICA NELLA VOLONTÁ E

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 61-66)

Documenti correlati