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L’attacco dei neuroscienziati alla libera volontà e le tesi contrapposte

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 37-42)

3. La volontà: Riflessione sulla volontà e sulla sua tutela penale.

3.2. L’attacco dei neuroscienziati alla libera volontà e le tesi contrapposte

La domanda che, dopo questo excursus, arriviamo a porci è la seguente: la libertà, variamente accompagnata da attributi quali “di volere”, “di pensare”, “della sfera affettiva” (etc.), possono arricchirsi di un contenuto giuridicamente significativo e spendibile nella definizione di un oggetto di tutela penalistica? Per rispondere dobbiamo innanzitutto partire da delle considerazioni.

Se ci basiamo, infatti, unicamente sulla concezione giuridica della libertà, secondo cui quest’ultima è da intendere come “libertà da costrizioni” 66, si otterrà il risultato di aggirare solamente il problema dell’attribuzione di un contenuto empirico alla libertà. Il punto di partenza può essere, allora, quello di rifarci ad una considerazione “basica” e su cui tutti sono d’accordo, ossia il far

64 Sulla questione del contenuto dell’art. 13 Cost, D’ALESSIO R., artt. 13 – 17,

in V, CRISAFULLI – L. PALADIN, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990.

65 Cfr. Corte costituzionale, sent, n. 438/2008 sul consenso informato. La

pronuncia individua il fondamento del consenso informato negli artt. 2, 13 e 32 Cost., evidenziando la “funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute” di questo istituto.

66 Cfr. DE MONTICELLI R., La novità di ognuno. Persona e libertà, Milano,

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leva sull’elementare atteggiamento psichico, che caratterizza la libertà: la consapevolezza di essere padroni di se stessi 67. Il problema subentra quando tale convinzione si scontra con il c.d. “determinismo incompatibilista”, secondo il quale tutto ciò che accade è fisicamente predeterminato, sì che la libertà di volere non trova alcuno spazio nell’universo.

Si tratta della teoria sostenuta dai neuroscienziati, in particolare dal fisiologo americano Benjamin Libet, il quale dimostrò che il cervello si prepara all’azione molto prima che il soggetto diventi consapevole di aver deciso di compiere il movimento 68.

Merita, a questo punto, aprire una piccola parentesi sul contributo e il ruolo delle neuroscienze.

Esse, dapprima, si sono concentrate sul tentativo di chiarire i meccanismi attraverso i quali i soggetti colgono e quindi si relazionano con la realtà circostante.

E fin qui non hanno riscontrato resistenze particolari, fornendo anzi la base scientifica di supporto a molte impostazioni psicologiche.

I problemi sono sorti quando, con il loro progredire, hanno esteso il proprio ambito di indagine altresì alle esperienze soggettive del

67 BURKHARDT B. in M. SENN-D PUSKÁS, 2006, p. 88, riassume così

questo punto di partenza: “gli esseri umani non si sentono liberi, perché sono

liberi; essi sono liberi, perché si sentono liberi”.

68 Cfr. LIBET B., Mind time. Il fattore temporale nella coscienza, Milano, 2007,

dove si può trovare la spiegazione dell’esperimento da lui condotto nel 1977. In quell’anno, infatti, nel tentativo di elaborare un metodo sperimentale per misurare il rapporto tra processi cerebrali e volontà, studiò il particolare momento in cui l’azione diventa consapevole: il soggetto, guardando un orologio, deve riferire il tempo cronometrico della sua intenzione cosciente di agire. Gli viene chiesto di compiere un’azione semplice (ad esempio, flettere un dito), senza decidere preventivamente quando agire, in modo da poter separare il processo di separazione dell’azione da quello dello svolgimento della stessa. Durante l’esecuzione del compito, la sua attività elettrica cerebrale viene registrata tramite elettrodi posti sullo scalpo. Dai risultati del test risulta che il processo di volizione (quello che Libet chiama il potenziale di

prontezza motoria) comincia 550 ms prima dell’azione; mentre la

consapevolezza inizia in media solo 200 ms prima dell’azione. Da ciò egli deduce che noi cominciamo a volere prima di rendercene conto.

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mondo interno, cercando di darne una spiegazione ed invadendo, di conseguenza, il campo di altre discipline.

Il contributo essenziale delle neuroscienze è stato, infatti, quello di partire dallo studio scientifico delle malattie per giungere a scoprire importanti connessioni e modi di funzionamento del cervello, inaugurando così un approccio biologico al problema della coscienza o “senso del sé” 69.

Ciò ha suscitato, come prevedibile, una prima reazione negativa da parte degli psicologi, che ritengono che la spiegazione biologica sia ancora in gran parte troppo semplicistica e dunque inadeguata rispetto alla complessità dei meccanismi della mente. Gli stessi neuroscienziati ammettono di non essere ancora riusciti a chiarire come una particolare combinazione di eventi psicologici ci renda coscienti 70.

Quel che sembra plausibile, o, meglio ancora, auspicabile, è l’unione dei due sforzi, vale a dire la collaborazione tra neuroscienza e psicologia, in quanto esse possono essere utili l’una all’altra nell’integrazione dei tasselli mancanti rispettivamente a ciascun ragionamento.

In tutto ciò, rimane saldo un elemento, che rimette sempre in gioco ogni tipo di argomentazione sul punto dell’introspezione: le esperienze sono necessariamente filtrate attraverso la soggettività dell’individuo.

Se questa, costituisce, da una parte, un’incognita, è pur vero, dall’altra, che questa continua variabile è la dimostrazione di

69 La bibliografia su questo interessante tema si sta progressivamente

ampliando. Cfr. DAMASIO A.R., Emozione e coscienza, cit.; DONALD M.,

L’evoluzione della mente, Garzanti, 2004; KOCH C., La ricerca della coscienza, Utet, 2007; GOLDBERG E., L’anima del cervello. Questa, che

potremmo definire l’idea – base dell’approccio neuroscientifico, ha poi ricevuto sviluppi interessanti: ad esempio, è ormai riconosciuto il ruolo dell’ipotalamo nel sistema funzionale per le emozioni o l’ippocampo nella rimozione di eventi traumatici

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quanto sia evidente l’importanza di una alleanza collaborativa tra le varie discipline, in particolare – come già spiegato – tra psicoanalisi (psicologia) e neuroscienza.

Un obiettivo, questo, peraltro già in via di realizzazione71.

Proseguendo con la nostra analisi sulla volontà, va detto che i neuroscienziati, pur totalmente contrari – come abbiamo appena visto – al libero arbitrio soggettivo, convergono, invece, sull’idea che la libertà sia, in ogni caso, un’istituzione sociale, costruita per mantenere la coesione di un gruppo organizzato.

Se, però, seguissimo in tutto e per tutto la teoria dei neuroscienziati, si avrebbero delle conseguenze pericolose per il mondo del diritto: le fattispecie incentrate su un effetto coercitivo perderebbero, infatti, il loro bene giuridico, così come le forme di condizionamento psichico e di concorso morale.

La prima risposta alle neuroscienze viene dai moderni “compatibilisti” 72.

Essi, al contrario dei neuroscienziati, credono che il mondo non sia retto dal caso, ma che ci siano dei “condizionamenti”, sui quali l’uomo può influire grazie alle sue capacità di agire e reagire secondo le proprie convinzioni.

La libertà è, quindi – secondo tale prospettiva – l’agire in conformità a ragioni proprie. In questo modo, essa equivale a quella “autodeterminazione”, alla quale si era già fatto cenno, e si

71 La realizzazione di cui si parla è ampiamente argomentata grazie a M.

SOLMS – O. TORNBULL, Il cervello e il mondo interno. Introduzione alle

neuroscienze dell’esperienza soggettiva, Cortina, 2004.

72 Il compatibilismo è un tentativo di riconciliare il libero arbitrio dell’uomo con

la teoria, secondo la quale ogni evento è determinato da un ordine causale. Il concetto compatibilista del libero arbitrio ha una lunga tradizione, che annovera, tra i vari autori, Hobbes, Locke, Hume e Mill. Esso afferma, essenzialmente, che, nonostante il libero arbitrio dell’uomo sembri incompatibile con la proposta del determinismo, entrambi esistono e sono “compatibili” l’uno con l’altro. In altre parole, ciò che i compatibilisti sostengono è che l’uomo sia libero di fare quello che la sua natura o le leggi della natura gli permettono di fare.

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supera anche il limite, insito nel pensiero dei neuroscienziati: se anche le nostre azioni fossero determinate da processi cerebrali pregressi, saremmo comunque autodeterminati nel nostro agire. L’altra teoria, che vale la pena esaminare, è invece quella che proviene dalla neurofenomenologia 73.

Il filosofo Jurgen Habermas – uno degli esponenti maggiori – si sofferma, in particolare, sul soggetto, cercando una conciliazione tra la libertà e l’essere umano 74.

Si richiama qui il “mito” dell’ “homo faber fortunae suae”: ognuno è artefice del proprio destino, seppur sottoposto ai condizionamenti del mondo in cui vive.

Il “tallone di Achille” del metodo neuro fenomenologico è quello della necessità di addestrare i soggetti sperimentali alla pratica della c.d. epoche fenomenologica. L’ epoche consiste nella messa tra parentesi dei pregiudizi e delle opinioni personali sulla coscienza, sulla memoria, sull’attenzione etc., per concentrarsi invece sul modo in cui mondo viene esperito; in altre parole, si tratta di “allenare soggetti a usare l’epoché ed a fornire resoconti della loro esperienza che siano chiari e non contraddittori” 75. L’epoché può essere autoindotta nei soggetti addestrati, ma anche guidata dallo sperimentatore attraverso l’uso d domande aperte, che devono avere ad oggetto l’esperienza diretta e non opinioni teoriche.

73 Con le stesse parole del suo fondatore Francisco Varela, la

neurofenomenologia è “una maniera per sposare la moderna scienza cognitiva

con un approccio rigoroso all’esperienza umana” (V. VARELA F- J., SHEAR

J. (a cura di), 1999, The view from within: first-person methodologies in the

study of conciousness, in Special issues journal of conciousness studies, vol.

6, n. 2-86). Sostanzialmente, si tratta di una scienza, che incorpora le investigazioni fenomenologiche sull’esperienza nella ricerca neuro scientifica sulla coscienza.

74 Cfr. HABERMAS J., Freiheit und Determinismus, in Deutsche Zeitschrift für

Philosophie, 2004, p. 871 ss.

75 GALLAGHER S., ZAHAVI D. (2008), The phenomenogical mind, cit., trad. it

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Per riassumere, la neurofenomenologia consiste nel fare ricerca sulla coscienza, attribuendo la stessa importanza all’esperienza vissuta ed ai dati dell’attività cerebrale.

Da quanto abbiamo visto a noi serve dedurre ciò che segue: per quanto possano dirne i neuroscienziati, la libertà di volere possiede una dignità ontologica, in grado di contribuire alla connotazione di un bene giuridico in sede penale.

I compatibilisti, dal canto loro, svelano la visione sociale della libertà con la nozione di “autodeterminazione”, per cui ci aiutano a comprendere il fenomeno normativo della costrizione.

Le riflessioni neurofenomenologiche, infine, ampliano l’idea di libertà, ponendo l’accento sull’individuo, nel senso delle sue capacità.

In verità, quest’ultima prospettiva è molto interessante, perché ci fa notare l’esistenza della “personalità” di un soggetto ed è spunto anche per una riflessione penalistica, e non solo psicologico – filosofica.

Ne parleremo, infatti, in seguito, trattando della c.d. “manipolazione” 76 .

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