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L'abuso di dipendenza economica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA

Candidato: Relatore:

Ginevra Pizzi Prof.ssa Ilaria Kutufà

(2)

Indice

Premessa………..6

I

-

DIVIETO DI ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA……….7

SEZIONE I. GENESI LEGISLATIVA………7

1.1 La redazione della norma….………..7

1.2 La modifica del 2001………15

SEZIONE II. L’ESPERIENZA TEDESCA…..…….………19

2.1 Il § 20 GWB……….19

2.2 Le situazioni tipiche di dipendenza economica e il relative marktmacht oggettivo e soggettivo………21

2.3 L’alternativa ausreichend e zumutbar………24

2.4 Il sistema rimediale………..26

SEZIONE III. L’ESPERIENZA FRANCESE………27

3.1 L’exploitation abusive de l’état de dépendance économique………27

3.2 L’art. 8 ord. n. 86-1243………29

3.3 L’art. 36 e la riforma del 1996………..32

3.4 Il sistema rimediale………..35

3.5 La Loi n. 2001-420……… ………..…37

3.5 (Segue) L’introduzione giurisprudenziale della locuzione «qui ne dispose pas de solution équivalente»……….38

SEZIONE IV. LA NATURA DEL DIVIETO……….44

4.1 Il dibattito dottrinario… ………..44

(3)

4.3 La giurisdizionalizzazione del diritto antitrust……….52

4.4 Il divieto di abuso di dipendenza economica e il divieto di abuso di posizione dominante: due fattispecie autonome……….54

4.5 Conclusioni……….. ………57

II- ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA: PRESUPPOSTO E FATTISPECIE………59

SEZIONE I. IL CAMPO DI APPLICAZIONE……… ……..60

1.1 Ambito oggettivo: tesi espansiva contro tesi restrittiva……….60

1.1 (segue) Gli orientamenti giurisprudenziali………66

1.2 Ambito soggettivo: il concetto economico di “impresa” …………..69

1.2 (segue) Le relazioni commerciali tra professionisti e imprese……..70

1.3 La dipendenza collettiva e il coordinamento con la disciplina dei gruppi di società……… ………..73

SEZIONE II. IL PRESUPPOSTO DELL’ILLECITO: LA DIPENDENZA ECONOMICA……… ………76

2.1 Il potere dell’impresa relativamente dominante di determinare un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi……….76

2.2 L’origine del concetto di dipendenza economica nell’ambito del diritto europeo della concorrenza……….78

2.3 La dipendenza economica come situazione di dominanza relativa nei rapporti verticali tra imprese………82

2.4 Gli indici della dipendenza: esempi di comportamenti opportunistici……… ……..85

2.4 (segue) I costi della dipendenza: investimenti specifici e durata della relazione……… ……….87

2.5 Ripercussioni dei comportamenti opportunistici nel mercato e nel contratto……… ………..………89

(4)

2.6 La tutela riconosciuta al new comer in assenza di precedenti rapporti commerciali………..91

2.6 (segue) Il legittimo affidamento del new comer……….93 2.7 L’ampliamento del concetto di relazione commerciale………..94

2.8 La fonte della dipendenza: la necessità di rapporti commerciali attuali o potenziali……… ………..96

2.9 L’accertamento della dipendenza: la mancanza di reale possibilità di alternative soddisfacenti……… ………..98

SEZIONE III. LA FATTISPECIE DI ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA……… ………..104

3.1 Il divieto di abuso quale disposizione generale a fattispecie aperta e la necessità di individuare un criterio di valutazione unitario dell’abuso……… ………..104 3.2 Il principio di buona fede oggettiva quale criterio valutativo unitario dell’abuso e la sua necessaria concretizzazione……….107 3.3 Gross disparity ed Excessive Benefit of Unfair Advantage…………110

3.4 Differenze tra abuso di dipendenza economica e disciplina in materia di clausole abusive, e tra abuso di dipendenza economica e disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali……… ……..113 3.5 Il principio di buona fede oggettiva e la valutazione economico-giuridica del comportamento delle parti………118 3.6 L’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie……….………..123 3.6 (segue) Esempi di clausole abusive in relazione al prezzo………..125

3.6 (segue) Condizioni ingiustificatamente discriminatorie…..………128 3.7 Il rifiuto di vendere o comprare………129

3.8 L’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto e recovery-period rule………135

(5)

III- IL SISTEMA RIMEDIALE………… ………..141

SEZIONE I. LA COMPETENZA - LE AZIONI INIBITORIE………141

1.1 Abuso di dipendenza economica e competenza dell’Antitrust……141

1.2 Le azioni inibitorie: tutela preventiva e tutela definitiva………….146

1.3 Tutela inibitoria ed obblighi di facere infungibili: l’obbligo a contrarre……….150

SEZIONE II. LA SANZIONE……… ……..155

2.1 La nullità di cui all’art. 9 quale nullità di protezione………… …..155

2.2 La necessaria parziarietà della nullità di cui all’art. 9………..163

2.3 La legittimazione attiva………168

SEZIONE III. IL RISARCIMENTO DEL DANNO………172

3.1 La natura del risarcimento del danno da abuso di dipendenza economica. Responsabilità da contatto economico………172

3.2 Gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria. La quantificazione del danno………… ………..179

Considerazioni conclusive……….. ………187

BIBLIOGRAFIA……… ……….…190

(6)

Premessa

La presente tesi, composta di tre capitoli, ha come oggetto il divieto di abuso di dipendenza economica previsto nell’art. 9 della l. n. 192/1998 (disciplina della subfornitura nelle attività produttive), istituto non di origine italiana ma che trova la propria culla nel diritto tedesco e francese.

Il primo capitolo è finalizzato all’analisi della natura dell’istituto, argomento che vede contrapporsi i fautori della tesi civilistica verso quelli della tesi concorrenziale. In questa direzione viene richiamato il travagliato iter di approvazione della norma, che da un’originaria collocazione del divieto nella legge antitrust viene definitivamente trasposto in una legge autonoma, e la disciplina fornita dagli ordinamenti tedesco e francese. In particolare, il diritto tedesco assume rilevanza in quanto è proprio nel corpo della legge anticoncorrenziale tedesca (GWB) che viene delineato per la prima volta il divieto di abuso di dipendenza economica. Il diritto francese, ispiratosi al diritto tedesco è, a sua volta, modello per il legislatore italiano, fornendo ulteriori elementi utili per una corretta definizione della natura dell’istituto.

Il secondo capitolo, dopo aver delineato l’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo della norma, presenta una analisi approfondita dei due elementi costituenti la fattispecie: la dipendenza economica (il presupposto) e l’abuso.

Il terzo capitolo mostra i rimedi previsti dal legislatore italiano una volta che, accertata la situazione di dipendenza economica, viene a concretizzarsi l’abuso.

(7)

CAPITOLO 1

DIVIETO DI ABUSO DI DIPENDENZA

ECONOMICA

SOMMARIO: SEZIONE I. GENESI LEGISLATIVA. 1.1 La redazione della norma. 1.2 La modifica del 2001. SEZIONE II. L’ESPERIENZA TEDESCA. 2.1 Il § 20 GWB. 2.2 Le situazioni tipiche di dipendenza economica e il relative marktmacht oggettivo e soggettivo. 2.3 L’alternativa ausreichend e zumutbar. 2.4 Il sistema rimediale. SEZIONE III. L’ESPERIENZA FRANCESE. 3.1 L’exploitation abusive de l’état de dépendance économique. 3.2 L’art. 8 ord. n. 86-1243. 3.3 L’art. 36 e la riforma del 1996. 3.4 Il sistema rimediale. 3.5 La Loi n. 2001-420. 3.5 (Segue) L’introduzione giurisprudenziale della locuzione «qui ne dispose pas de solution équivalente». SEZIONE IV. LA NATURA DEL DIVIETO. 4.1 Il dibattito dottrinario. 4.2 I rapporti esistenti tra contratto e mercato. 4.3 La giurisdizionalizzazione del diritto antitrust. 4.4 Il divieto di abuso di dipendenza economica e il divieto di abuso di posizione dominante: due fattispecie autonome. 4.5 Conclusioni.

SEZIONE I. GENESI LEGISLATIVA

1.1 La redazione della norma

L’art. 9 della Legge 18 giugno 1998, n. 192 (Disciplina della subfornitura nelle attività produttive) vieta l’abuso di dipendenza economica. La vicenda che ha portato all’introduzione di tale espresso divieto nel nostro ordinamento è stata particolarmente articolata e complessa.

(8)

Tale peripezia merita di essere ricordata, in quanto fornisce utili elementi alla definizione non soltanto dell’ambito applicativo dell’istituto ma anche della sua stessa natura.

Essa, infatti, ha preso le mosse da un disegno di legge della XII legislatura che, nel disciplinare la subfornitura, qualificava come abuso di posizione dominante (quindi non dell’altrui dipendenza economica), ai sensi dell’art 3 della L. 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato, c.d. legge antitrust), alcuni comportamenti posti in essere dai committenti dotati di una posizione di maggiore forza contrattuale rispetto ai subfornitori e pregiudizievoli per questi ultimi . 
1

L’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito AGCM) in un parere del 20 giugno 1995 , pur ammettendo che 2

“l’obiettivo di garantire, attraverso la disciplina del contratto di

subfornitura, una maggiore trasparenza e certezza nelle transazioni commerciali tra imprese appare meritevole di una valutazione positiva dal punto di vista della tutela del funzionamento del mercato”, si

dichiarò contraria all’estensione dell’art. 3 (abuso di posizione dominante) della l. antitrust.

Questo perché: a) la figura della posizione dominante rispondeva a canoni suoi propri che non era opportuno modificare

L’art 10 del testo unificato dei disegni di legge nn. 932 e 1143 disponeva come 1

segue “Costituisce abuso di posizione dominante, ai sensi dell’art. 3 della legge

antitrust, la sistematica imposizione da parte del committente — il quale grazie alle

sua posizione nel mercato, goda di una posizione contrattuale superiore a quella della controparte — di ordinativi, termini di consegna e condizione di pagamento tali da assicurargli abnormi disponibilità di liquidità a scapito del fornitore o da addossare al fornitore ogni ordinario onere di stoccaggio, senza adeguato compenso, o da determinare per il fornitore gravi difficoltà organizzative in ordine all’approvvigionamento di materie prime e alle disponibilità di manodopera”.

Parere reso ai sensi dell’art 22 della l. antitrust che consente all’AGCM di

2

(9)

considerando che l’art. 3 discende direttamente dall’art. 82 del TCE ; 3

b) le ipotesi di dominanza relativa, quali quelle che si verificavano nella subfornitura, non integravano sempre gli estremi della posizione dominante definita alla stregua dei suddetti canoni; c) qualora si fosse ritenuto che l’efficiente funzionamento del mercato potesse dipendere anche da una maggiore equità nei rapporti contrattuali di subfornitura, si sarebbe dovuto fare ricorso all’introduzione di una disciplina che seguisse canoni diversi da quelli di abuso di posizione dominante, così, come peraltro, già avveniva in altri Paesi in relazione alle situazioni di dominanza relativa.

Risultava in maniera evidente il riferimento alla figura dell’abuso dell’altrui dipendenza economica. Tale figura in altri ordinamenti è contemplata all’interno delle discipline antitrust, ed è volta a regolare i rapporti in cui uno dei soggetti, pur non avendo ciò che viene definita “posizione dominante sul mercato”, risulta in posizione di forza relativa.

Tale indicazione fu integralmente accolta nel corso della XIII legislatura, dai redattori dei nuovi disegni di legge (S. 637 e S. 644), poi unificati in un unico testo, in materia di subfornitura.

In questi apparve l’esplicito riferimento alla figura dell’abuso di dipendenza economica , figura che — come venne sottolineato dalle 4

Relazioni ai disegni di legge — trova quale “Referente comparatistico…il §26, II, secondo periodo [ora § 20 II], della normativa antimonopolistica tedesca (GWB: Gesetz gegen

Attualmente art. 102 TFUE

3

La figura dell’abuso di dipendenza economica compariva già nella proposta

4

(10)

Wettbewerbsbeschränkungen), e…l’art. 8, lettera b), dell’ordinanza 1°

dicembre 1986, n. 1243 [ora art. L. 420 — 2 del Code de commerce]” . 5

Quindi tanto gli originari disegni di legge, quanto quello poi unificato approvato dalla X Commissione Senato erano volti a modificare la disciplina antitrust (in particolare l’art. 3 aggiungendo un art. 3 bis) e ad estendere i rimedi da questa previsti (e, dunque, le competenze dell’AGCM) anche all’abuso dell’altrui dipendenza economica.

Ne conseguiva l’attribuzione all’AGCM del potere/dovere di intervenire per inibire e sanzionare, in via amministrativa, gli abusi di dipendenza economica di cui venisse a conoscenza, lasciando al giudice ordinario la competenza in materia di azioni di nullità, risarcimento del danno e cautelari previste dall’art. 33, comma 2, della stessa l. antitrust.

Da questa impostazione sarebbe scaturita un’enorme espansione del raggio di azione dell’AGCM, visto che il numero dei casi nei quali può essere riscontrato un abuso di dipendenza economica è potenzialmente ben maggiore di quello nel quale a commettere l’abuso sia un soggetto in posizione dominante sul mercato nazionale o su una parte rilevante di esso.

L’ inserimento dell’abuso di dipendenza economica all’interno della disciplina antitrust era mosso dal condivisibile intento di affidare l’interpretazione e l’applicazione di un istituto che implica una profonda conoscenza degli strumenti di analisi economica ad un’autorità particolarmente dotata di tali competenze tecniche ed anche provvista di adeguati poteri ispettivi e sanzionatori. Né appariva

Si tratta della Relazione al Disegno di legge n. S. 637 d’iniziativa dei senatori Wilde

5

e altri e della Relazione al Disegno di legge n. S. 644 d’iniziativa dei senatori Tapparo e altri. In quest’ultima si dichiara espressamente che la sollecitazione all’introduzione di questa nuova figura proviene dal già citato parere dell’AGCM.

(11)

irragionevole la scelta di rimarcare anche topograficamente la continuità dell’abuso di dipendenza economica con l’istituto dell’abuso di posizione dominante, ciò “sia perché innegabili sono, anche ad una

prima lettura, le affinità linguistiche e teleologiche tra le due disposizioni, sia, e soprattutto perché così avviene nei due ordinamenti che già da tempo conoscono norme consimili” (quello tedesco e 6

quello francese) secondo quanto, del resto, aveva segnalato la stessa AGCM.

Anche in relazione al progetto unificato l’AGCM espresse, in data 11 febbraio 1998, parere negativo. Ciò fondatamente perché mentre le norme antitrust avrebbero avuto quale scopo la protezione del processo concorrenziale in relazione all’assetto del mercato, la disciplina sull’abuso di dipendenza economica avrebbe potuto prescindere da tale finalità. Segnatamente l’AGCM in questo parere affermò che: “le norme antitrust sono disposizioni generali dirette a

tutelare il processo concorrenziale in relazione all’assetto del mercato … Viceversa, la norma dell’articolo 9 contenuta nella

proposta di legge costituisce una regola specifica inerente alla

disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti, con finalità che possono prescindere dall’impatto di tali rapporti sull’operare dei meccanismi concorrenziali … Le patologie di questo rapporto trovano

rimedio nel divieto, e conseguente invalidità, di clausole vessatorie (come previsto dalle norme della proposta di legge) e nelle garanzie stabilite a favore della parte più debole. La loro disciplina pertanto va

inquadrata nell’ambito delle norme civilistiche relative alle obbligazioni e ai contratti”.

R. NATOLI, L’abuso di dipendenza economica. ll contratto e il mercato, Napoli,

6

(12)

Occorre segnalare un certo contrasto fra le argomentazioni del primo parere e quelle del secondo . Infatti l’AGCM, dopo aver 7

suggerito in un primo tempo al legislatore di uniformarsi all’esperienza degli altri Paesi, che inseriscono il divieto di abuso dell’altrui dipendenza economica all’interno della disciplina della concorrenza, “auspica che [in Italia] la figura dell’abuso della dipendenza

economica, prevista dall’art. 9 della proposta di legge n. 3509, non venga collocata all’interno della legge n. 287/90”.

In dottrina sono state sollevate numerose riflessioni critiche sul parere dell’AGCM.

Autorevole dottrina ritiene opportuno ricordare che la stessa 8

Autorità garante ha, in alcune occasioni, utilizzato essa stessa il concetto di dipendenza economica proprio con il preciso scopo di “confezionare” il mercato rilevante alle dimensioni dell'impresa da proteggere, in maniera tale da poter applicare l'art. 3 l. antitrust anche nel caso di abusi consumati nei confronti di un cliente o di un fornitore da parte di un'impresa che non si trovava in posizione di dominanza assoluta . Questo orientamento, infatti, risulta in contrasto con la 9 R. CASO, Subfornitura industriale: analisi giuseconomica delle situazioni di potere

7

contrattuale, in Riv. dir. priv., 1998, che con riferimento al secondo parere afferma: “non si può non rilevare che il testo di quest’ultimo parere appaia piuttosto superficiale e del tutto sganciato dal suo diretto antecedente… L’unica indicazione chiara che se ne può trarre è che oggi l’autorità avanza riserve di fondo sull’abuso di dipendenza economica — quasi lasciando intendere che si tratti di in oggetto non identificato piombato sulle aule parlamentari —, mentre il tono del precedente parere si concentrava sul difetto di collocazione della normativa. Non a caso, il precedente parere si chiudeva con quello che sembra un implicito riferimento ai modelli francese e tedesco… Nel nuovo parere, invece, delle norme francesi e tedesche non vi è traccia (nemmeno indiretta)”.

V. PINTO, L’abuso di dipendenza economica “fuori dal contratto” tra diritto civile e

8

diritto antitrust, in Riv. dir., civ., 2000.

Esempi di casi: AGCM, 6 giugno 1996, provv. n. 3953 (A107), Fina Italiana/

9

Compagnia Italpetroli, in Boll., 1996, n. 23, p. 33 ss.; AGCM, 3 luglio 1997, provv. n. 581 (A110), Consorzio Nucleo Industrializzazione Cambobasso-Boiano/Società Gasdotti del Mezzogiorno, in Boll., 1997 n. 27, p. 9 ss.

(13)

motivazione del parere con cui l’AGCM ha indotto il legislatore a escludere l’abuso di dipendenza economica dalla l. antitrust (l’asserita

incompatibilità teleologica tra questa normativa, esclusivamente la

tutela del mercato, e l’art. 9, funzionale alla protezione dell’impresa dipendente). Facendo quindi presumere che le ragioni scaturenti la collocazione finale della norma sono da ravvisare nelle esigenze di carattere organizzativo interne alla struttura burocratica dell’AGCM.

L’inserimento dell’abuso di dipendenza economica nella legge

antitrust avrebbe ampliato notevolmente l’ambito di controllo

dell’Autorità fino a ricomprendere situazioni di potere a carattere meramente locale, difficilmente accertabili se non tramite una struttura burocratica accentrata . Quindi l’inserimento dell’abuso di dipendenza 10

economica nel corpo della l. antitrust senza la contemporanea riorganizzazione necessaria a seguito dell’ampliamento delle competenze avrebbe avuto come conseguenza la riduzione dell’effettività e dell’efficacia del controllo dell’AGCM sugli altri comportamenti anticoncorrenziali.

Ad ogni modo, la VI Commissione (Finanze), competente in sede consultiva sul progetto di legge, sottolineava l’opportunità di valutare se la “la fattispecie di abuso di dipendenza economica

introdotta all’art. 9 fosse coerente con l’impianto complessivo della legge n. 287/1990” .11

Basti pensare all’esperienza tedesca: con l’inserimento nel GWB di norme di

10

protezione individuale di piccole e medie imprese, corrisponde un apparato amministrativo di tutela della concorrenza (i Kartellbehorden) a struttura decentrata su base regionale. Pera ha sottolineato che il sistema di ripartizione della competenza per materia e per territorio tra il Bundeskartellamt e i vari Landeskartellbehorden è necessario per il più ampio ambito di applicazione della normativa tedesca rispetto a quella comunitaria e a quella italiana.

Parere reso dalla VI Commissione Camera (Finanze), in Bollettino delle Giunte e

11

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Alla stregua di tali osservazioni, in sede di esame degli articoli il relatore ha presentato un emendamento — successivamente approvato dalla Commissione in sede legislativa — diretto a “recepire le

indicazioni contenute nel parere dell’Autorità antitrust” eliminata la 12

novella alla legge antitrust, il salvataggio della norma avviene mediante una traslazione della lettera del divieto nella disciplina 13

settoriale “subfornitura nelle attività produttive”, da cui inevitabilmente discende la creazione di una fattispecie nuova ed autonoma.

L’art. 9 (Abuso di dipendenza economica) disponeva quanto segue: “1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di

dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. 3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo”.

X Commissione Camera, seduta del 4 giugno 1997, intervento del relatore, On.le

12

Rossi, in Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 25 febbraio 1998.

Fatta eccezione per la modifica del termine “significativo” con il termine

13

“eccessivo” all’interno dell’espressione che qualifica il sintomo di dipendenza economica come “eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi”, così per recepire l’osservazione espressa dalla I Commissione (Affari Costituzionali) che ha ritenuto il nuovo termine “giuridicamente più corretto alludendo alla nozione tecnica di eccessiva onerosità”. Per il parere della I Commissione v. Bollettino delle Giunte e

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1.2 La modifica del 2001

A poco più di un anno dall’emanazione della legge sulla disciplina della subfornitura nelle attività produttive, la Commissione Industria, Commercio e Turismo (X) del Senato, alla seduta di giovedì 20 gennaio 2000, si è riunita per verificare lo stato di efficacia della stessa, così come era stato previsto in fase di approvazione .14

In quella sede è emerso che i maggiori problemi interpretativi e operativi della disciplina riguardavano l’art. 1 (Definizione del contratto di subfornitura) e l’art. 9 (Abuso di dipendenza economica).

In relazione all’art. 9 è stato ricordato che la configurazione dell’istituto nell’ambito del diritto civile — anziché in quello della concorrenza — ne comportava l’azionabilità esclusivamente a iniziativa di parte, limitandone di fatto la praticabilità per le imprese interessate, le quali, trovandosi in uno stato di dipendenza economica, difficilmente avrebbero portato allo scoperto gli eventuali abusi delle controparti.

Sembra evidente che il problema delle organizzazioni di rappresentanza delle piccole imprese fosse quello, già segnalato dalla dottrina , dell’attribuzione della competenza a un organo che potesse 15

intervenire a prescindere dall’impulso di parte, pena l’inefficacia dei rimedi.

La volontà di dare risposta alla suddetta istanza è stata perseguita attraverso la presentazione (in data 16 febbraio 2000) di due

Nella seduta del 2 aprile 1997 il Senato aveva impegnato il Governo a verificare

14

l’efficacia del provvedimento anche coinvolgendo tutti i soggetti interessati.

Parte della dottrina aveva in generale dubitato della capacità del giudice ordinario

15

(a differenza dell’AGCM) di utilizzare gli strumenti interpretativi di tipo economico che la norma in qualche modo richiede (cfr. A. FRIGNANI, Disciplina della subfornitura nella legge n. 192/1998: problemi di diritto sostanziale, in I Contratti, 1999; D. MAFFEIS, Abuso di dipendenza economica, in De Nova (a cura di), La subfornitura, IPSOA, 1998).

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emendamenti ad un disegno di legge che disciplinava l’apertura e la regolamentazione dei mercati. Il primo emendamento era volto, ancora una volta, a modificare l’art. 3 l. antitrust, mentre il secondo era volto a modificare l’art. 9 attribuendo un ruolo all’ AGCM e prevedendo la possibilità di ottenere davanti al giudice ordinario tanto tutela inibitoria quanto tutela risarcitoria. Quest’ultimo emendamento è stato approvato, cosicché i primi due commi dell’art. 11 della L. 5 marzo 2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati) hanno modificato l’art. 9 della L. 18 giugno 1998, n. 192.

Questi due commi hanno: 1) individuato quale organo designato a conoscere delle azioni in materia di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e di risarcimento dei danni, il “giudice ordinario competente”; 2) attribuito all’AGCM, qualora questa ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, e ferma restando l’eventuale applicazione dell’art. 3 della l. antitrust, il compito di procedere alle diffide e sanzioni previste dall’art. 15 della disciplina antitrust, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso tale abuso, e ciò anche su segnalazioni di terzi e a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria.

Anche su quest’ultimo emendamento, però, l’AGCM, durante un’audizione attraverso il suo presidente (Professor Giuseppe Tesauro), aveva espresso qualche perplessità: la seconda parte di emendamento non sarebbe stata idonea a risolvere i problemi segnalati dalle organizzazioni di rappresentanza delle piccole imprese, e ciò perché: 1) anche in Germania ed in Francia — dove l’organo preposto al controllo è l’autorità antitrust — “il numero di decisioni di abuso di

dipendenza economica è comunque modesto” e ciò dimostra “che la sostanziale inapplicabilità della disciplina in tema di subfornitura industriale prescinde dalla questione… dell’organo (giudice o autorità

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amministrativa) cui è attribuita la competenza a giudicare la fattispecie abuso di dipendenza economica”; 2) se le normative

francesi e tedesche in tema di abuso di dipendenza economica hanno trovato maggiore (seppur modesta) applicazione di quanto sia avvenuto in Italia è perché “le formule legislative adottate in tali paesi

hanno ancorato la verifica della dipendenza economica principalmente a criteri economici e di mercato”; 3) la circostanza che la norma

sull’abuso di dipendenza economica non abbia trovato larga applicazione non è un male poiché l’intervento troppo incisivo sull’autonomia negoziale dei contraenti potrebbe generare un corto circuito nell’economia di mercato e cioè potrebbe indurre i produttori all’abbandono del decentramento produttivo “con conseguente ricorso

ad un’organizzazione accentrata delle transazioni o la scelta di imprese estere quali controparti del rapporto di subfornitura”; 4)

occorre tenere presente che “i casi in cui un abuso di dipendenza

economica abbia una rilevanza sul processo concorrenziale sono precisamente quelli riconducibili all’art. 3 della legge n. 287/90. Fermo restando l’applicazione di tale disposizione, dunque al di là dell’ipotesi di abuso di posizione dominante, è invece difficile configurare un abuso di dipendenza economica che abbia effetti sull’assetto concorrenziale”.

La novella si è rivelata finora inutile sotto il profilo pratico, non avendosi notizia di alcun intervento dell’AGCM per contrastare l’abuso di dipendenza economica che abbia rilevanza per la tutela della concorrenza.

La perdurante difficoltà che l’applicazione della disciplina della subfornitura incontra ha più di recente indotto il legislatore ad aggiungere in coda all’art. 3 bis la previsione secondo cui in caso di violazione “diffusa e reiterata” della disciplina sui ritardi di pagamento (D. Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231) posta in essere ai danni delle imprese,

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con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l’abuso si configura a prescindere dell’accertamento della dipendenza economica (art. 10, comma 2, l. 11 novembre 2011, n.180, Statuto delle imprese). Scopo precipuo della norma è quello di contrastare la pratica dei ritardi di pagamento, prescindendo dalla prova della posizione di debolezza contrattuale dell’impresa creditrice, cioè presumendo in via assoluta la debolezza economica dell’impresa creditrice vittima di violazione diffusa e reiterata delle disposizioni concernenti i ritardi nei pagamenti. La nuova disposizione ha di fatto ampliato le competenze già assegnate in materia all’AGCM, riguardando ora l’abuso di dipendenza economica anche la violazione “diffusa e reiterata” della legge sui ritardi di pagamento.

Occorre segnalare, infine, il rilievo dato all’aspetto dimensionale delle imprese che subiscono l’abuso, profilo non considerato affatto dalla legge sulla subfornitura. Il tenore della disposizione sembra, in verità, confermare la perdurante irrilevanza della dimensione dell’impresa ai fini dell’applicazione della legge, altrimenti risultando immotivata l’esigenza di assicurare particolare attenzione alle imprese piccole e medie. Tuttavia, l’aver ritenuto espressamente tali imprese meritevoli di una tutela più intensa di quelle grandi in tema di abuso di dipendenza economica determinata dalla pratica reiterata e diffusa dei ritardi di pagamento potrebbe avere conseguenze di ordine sistematico di un qualche rilievo.

Altro intervento legislativo, che ha modificato la disciplina dell’istituto in esame che merita di essere ricordato, è quello concernente l’estensione della legittimazione a proporre azioni in giudizio anche per i casi di abuso di dipendenza economica alle “associazioni di categoria rappresentate in almeno cinque camere di

commercio, ovvero nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e le loro articolazioni territoriali e di categoria”, sia “a tutela di

(19)

interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti” (art. 10, comma 3, dello Statuto delle imprese).

Scopo della norma è quello di dare impulso all’applicazione dei rimedi connessi con l’abuso della dipendenza economica. Dubbio è, peraltro, che vi riesca, essendosi dimostrate le associazioni di categoria riluttanti ad esercitare le azioni collettive a suo tempo introdotte per contrastare i ritardi di pagamento (art. 8, D. Lgs. n. 231/2002). Anche per la banale considerazione che alle associazioni di categoria aderiscono imprese di diverse dimensioni e con interessi, spesso conflittuali, diversi.

SEZIONE II. L’ESPERIENZA TEDESCA

2.1 Il § 20 GWB

Il § 20 del GWB vieta alle imprese o ai raggruppamenti di imprese di porre in essere l’unbillige Behinderung (iniquo impedimento) e l’Ungleichbehandlung ohne sachlich gerechtfertigten Grund (differente trattamento privo di causa obiettiva) (Abs.1).

Per Unbilige Behinderung si intende la lesione, da parte di un’impresa, della libertà di movimento sul mercato o della capacità competitiva di un’altra impresa, mentre per Ungleichbehandlung ohne

sachlich gerechtfertigten Grund si intende il rifiuto da parte di

un’impresa di avere rapporti con una specifica impresa o l’imposizione di condizioni contrattuali diverse ad imprese tra loro concorrenti.

In dottrina è comune l’idea che l’impedimento iniquo possa realizzarsi nei rapporti fra imprese concorrenti allo stesso livello, mentre il trattamento differente possa realizzarsi fra imprese che operano a livello diverso.

(20)

Il divieto è rivolto alle imprese o ai raggruppamenti di imprese dominanti, ai cartelli autorizzati e alle imprese che fissano prezzi di rivendita.

In seguito alla riforma del 1973 (II novella) tale divieto è stato esteso anche alle imprese o raggruppamenti di imprese nella misura in cui ci siano nei loro confronti imprese in situazione di dipendenza che non abbiano alternative sufficienti (ausreichende) ed accettabili (zumutbare) di rivolgersi ad altre imprese (Abs. 2).

La novella del 1980 ha introdotto una presunzione di dipendenza: si considera dipendente il venditore se un acquirente si fa accordare non solo dei ribassi corrispondenti agli usi commerciali ma anche, in modo regolare, dei vantaggi che non sono accordati normalmente agli acquirenti (Abs. 2).

Con la quinta novella è stato aggiunto un terzo comma che vieta alle imprese dominanti o che detengono un potere relativo di utilizzare la loro situazione per obbligare altre imprese che esercitano attività commerciali ad accordare loro delle condizioni preferenziali ingiustificate: viene vietata quindi la discriminazione passiva. Con la quinta novella il divieto di discriminazione è stato limitato alle sole ipotesi in cui si abbiano rapporti con le piccole e medie imprese.

Il quarto comma vieta ad imprese che detengano un potere di mercato superiore in relazione alle piccole e medie imprese concorrenti di utilizzare tale potere in modo da porre in essere direttamente o indirettamente un impedimento iniquo nei confronti di queste. La IV novella ha aggiunto che si ha iniquo impedimento quando un’impresa offre beni o servizi sotto costo, a meno che non ci siano giustificazioni obiettive a tale comportamento.

Il quinto comma contiene regole che rendono più facilmente perseguibili gli abusi di cui ai commi precedenti, mentre il sesto comma impone alle associazioni industriali ed alle organizzazioni

(21)

professionali di non rifiutare, quali nuovi soci, soggetti che ne facciano richiesta se questo costituisce ingiustificato trattamento iniquo e determina svantaggi competitivi per i richiedenti.

2.2 Le situazioni tipiche di dipendenza economica e il

relative marktmacht oggettivo e soggettivo

Le quattro situazioni tipiche di dipendenza economica, individuate in un parere del 1973 dal Bundestagsausschuss für

Wirtschaft (Commissione del Bundestag per l'economia) e ormai

entrate nella tradizione applicativa del § 20 II 1 del GWB sono: la

Sortimentsbedingte Abhängigkeit (dipendenza per causa di

assortimento, che si realizza quando un’impresa commerciale necessita di un determinato prodotto se vuole evitare uno svantaggio concorrenziale, l’ipotesi tipica è quella dei prodotti di marca) , la c.d. 16

Nachfragebedingte Abhängigkeit (dipendenza per causa di forza di

acquisto), la c.d. Mangelbedingte Abhängigkeit o Knappheitbedingte

Abhängigkeit (dipendenza per scarsità o penuria) e la c.d. 17 La giurisprudenza ha più volte riconosciuto un tale stato di dipendenza economica.

16

Famoso è il caso “Rossignol” (BGH 20.11.1975, in WuW/E, BGH 1391). La nota ditta produttrice di sci deteneva solo l’8% del mercato rilevante sicché il criterio strutturale c.d. della quota di mercato detenuta dall’impresa — solitamente utilizzato nell’individuazione della posizione dominante — difficilmente avrebbe potuto considerarsi soddisfatto. La Corte riconobbe che la circostanza che la Rossignol avesse un ‘immagine di successo determinava svantaggi competitivi per i commercianti privi del suo prodotto, sicché poteva ben dirsi che questi ultimi erano in uno stato di dipendenza economica.

La giurisprudenza ha ammesso l’esistenza di un tale tipo di dipendenza durante la

17

crisi petrolifera del 1973. Ed infatti, nel caso AGIP II la Corte (Kammergericht, 4 luglio 1974, in WuW/E OLG, 1499) ha ritenuto che una stazione di sevizio fosse in stato di dipendenza economica nei confronti di una società da cui aveva acquistato per un certo periodo i prodotti petroliferi, sicché quest’ultima non poteva in periodo di penuria vendere solo alle società con essa integrate. Più specificamente la Corte ha affermato che un’impresa è obbligata ad allocare i beni disponibili tanto alle imprese con essa integrate quanto a quelle indipendenti se ha avuto con queste ultime rapporti duraturi e se non possono sopravvivere senza quelle forniture.

(22)

Unternehmensbedingte Abhängigkeit (dipendenza a causa di relazioni

di impresa) .18

La c.d. Mangelbedingte Abhängigkeit o Knappheitbedingte

Abhängigkeit si realizza nel momento in cui vi è scarsità di un bene,

cosicché l’impresa che lo detiene riesce a controllarne in modo forte l’allocazione.

La c.d. Unternehmensbedingte Abhängigkeit può aversi se due imprese hanno rapporti da più tempo ed una di esse ha fatto investimenti mirati allo specifico rapporto sicché l’interruzione di questo determinerebbe notevoli svantaggi (una situazione del genere può verificarsi, ad esempio, nel rapporto tra industrie automobilistiche e concessionari oppure nell’ipotesi in cui un’impresa si approvvigioni da più anni dalla stessa fornitrice).

La differenza fra quest’ultimo tipo di dipendenza e le prime due è che in questa essa discende tipicamente e specificamente dal singolo rapporto, cioè la posizione di forza è relativa ad un solo soggetto (non è ricostruibile al di fuori e a prescindere dallo specifico rapporto intercorso fra le imprese), mentre nelle prime due discende da una situazione oggettiva che prescinde (rectius può prescindere) da specifici rapporti intercorsi fra le imprese.

Infatti la dottrina tedesca distingue in generale (cioè a prescindere dalle categorie di dipendenza) due tipi di “relative

Marktmacht” riconducibili al § 20 GWB: quello soggettivo, relativo

Il Bundestagsausschusses für Wirtschaft, nella relazione alla seconda novella del

18

GWB del 1973 porta, quali esempi di situazioni regolate dal § 26 Abs. 2 (ora § 20 Abs. 2) tanto le ipotesi cui in generale le alternative si possono avere con sforzi sproporzionati, quanto quelle in cui l’impresa ha rapporti da più tempo con un’altra impresa ed ha organizzato se stessa in funzione di uno specifico prodotto, e pertanto non può cambiare senza assumersi rischi incalcolabili. La relazione individua le situazioni di dipendenza facendo riferimento tanto a circostanze legate (rectius che possono essere legate) alla struttura ed all’organizzazione del mercato di riferimento, quanto a situazioni legate esclusivamente alla singola specifica relazione bilaterale.

(23)

allo specifico rapporto commerciale, e quello oggettivo relativo al mercato.

Vivamente contestato è stato che la dipendenza a causa di relazioni possa determinare comportamenti idonei a ledere il gioco concorrenziale. Parte della dottrina, isolata, tenendo conto dell’attribuzione di rilevanza alla c.d. Unternehmensbedingte

Abhängigkeit, ha ritenuto che nel § 20 la protezione dell’impresa

debole fosse preponderante e che la chiave di lettura dell’intera norma dovesse partire da questo dato; questa parte della dottrina ha ritenuto che ciò che assumeva rilevanza nel § 20 era la salvaguardia in sé della relazione commerciale bilaterale a favore delle imprese dipendenti.

La maggioranza della dottrina però ha sostenuto che non si può far diventare il § 20, attraverso l’attribuzione di rilevanza alla c.d.

Unternehmensbedingte Abhängigkeit, una disposizione di protezione

sociale per piccole imprese, prolungando indefinitamente il contratto che esse hanno concluso. Si può garantire, al più, un periodo transitorio, ferma restando in tutti gli altri casi la possibilità per ciascuno di organizzarsi come meglio ritiene.

Anche la giurisprudenza, prima più disposta a concedere tutela all’impresa dipendente “a causa di relazioni di impresa”, da ultimo ha riconosciuto solo un periodo transitorio di protezione.

2.3 L’alternativa ausreichend e zumutbar

La norma opera se l’impresa pone in essere un comportamento discriminatorio nei confronti di piccole e medie imprese che non abbiano alternative ausreichende e zumutbare.

(24)

L’alternativa è ausreichend se esistono possibilità di accedere ad altri canali: si tratta dell’elemento oggettivo.

Maggiori problemi sorgono quando si cerca di dare contenuto all’espressione zumutbar; quando, cioè, si cerca di capire, quali tipi di svantaggi derivanti dal mutamento di partner e/o di prodotto le imprese devono tollerare e contro quali, invece, sono protette. Questo requisito è da valutare in modo soggettivo prendendo in considerazione gli interessi propri dell’impresa dipendente e tenendo conto della possibile lesione della capacità competitiva della stessa sul mercato dopo il cambiamento.

Le alternative “ausreichende” non sono “zumutbare” se non sono accessibili alle stesse condizioni degli altri concorrenti. Ciò significa che gli svantaggi contro i quali si è protetti sono quelli che determinano uno stato di inferiorità competitiva nei confronti delle imprese concorrenti.

I problemi maggiori, nel valutare cosa sia “zumutbar”, sorgono quando si è in presenza della c.d. Unternehmensbedingte Abhängigkeit. La dottrina ritiene che nel valutare se ciò che è “zumutbar” nelle relazioni stabili e lunghe, quando la produzione è organizzata attorno a un prodotto, si deve prestare attenzione solo ed esclusivamente ai fini di concorrenza e non a quelli di politica sociale.

Parte della dottrina ritiene che nel valutare se l’alternativa sia o meno “zumutbar” si devono considerare solo gli interessi dell’impresa dominata e non quelli dell’impresa forte. La circostanza che la dipendenza discenda anche da colpa delle dipendenti non modifica nulla sul piano del giudizio della stessa (anche se ciò non esclude che la portata di tale responsabilità possa essere considerata dopo). L’unico

dato che rileva, ai fini della dichiarazione dello stato di “dipendenza”, è quello della mancanza di alternative

(25)

È diverso, però, secondo la giurisprudenza, se le imprese dipendenti distruggono la loro indipendenza senza l’intervento delle imprese dominanti. Qualora l’impresa si ponga da sola, e senza alcuna partecipazione dell’impresa forte, in situazione di dipendenza, l’eventuale alternativa originaria potrà essere considerata soddisfacente a prescindere dalla successiva situazione creata dall’impresa dipendente.

A fronte di ciò la giurisprudenza ha ammesso la possibilità per il c.d. “newcomer” (nuovo arrivato ovvero soggetto che entra per la prima volta in un determinato mercato) di ottenere tutela in quanto “dipendente”.

Ai fini della dichiarazione di dipendenza si chiede non solo che non vi siano per le imprese deboli alternative aureichende e zumutbare ma anche che esista una condizione precedentemente creata dall’impresa forte . 19

La giurisprudenza tedesca sembra dire che l’ordinamento garantisce protezione del soggetto solo quando siano il mercato e le situazioni pregresse ad imporre con chi contrattare, non quando la scelta del soggetto del partner contrattuale sia autonomamente effettuata dall’impresa dipendente senza nessun tipo di partecipazione (oggettiva o soggettiva) dell’impresa forte.

Si prendano in considerazione questi due esempi per meglio comprendere:

19

Ex. 1: un’impresa di sartoria artigianale acquista una quantità consistente di tessuto azzurro nella speranza di fare delle divise per la vicina fabbrica che utilizza tale tessuto per la divisa degli operai. Se la sartoria non ottiene la commessa dalla vicina fabbrica avrà difficoltà ad utilizzare tutto il tessuto acquistato e quindi potrà dirsi che non avrà alternative soddisfacenti. Per la giurisprudenza tedesca l’impresa “dipendente” in questo caso non avrà protezione.

Ex. 2: un nuovo commerciante intende aprire un negozio sportivo e non può rimanere competitivo senza l’assortimento di scarpe prodotte da una nota ditta statunitense. Per la giurisprudenza tedesca l’impresa “dipendente” in questo caso avrà protezione.

(26)

2.4 Il sistema rimediale

Il GWB non contiene norme che disciplinano espressamente le sorti del contratto posto in violazione del § 20: dottrina e giurisprudenza propendono però per la nullità.

Parte della dottrina però distingue a seconda del tipo di contratto ritenendo nullo solo quello che si riflette immediatamente sulla possibilità dell’impresa di stare nel mercato. Ritenendo che la nullità colpisca il contratto solo qualora la violazione del § 20 derivi direttamente da questo e nessun risultato anti-discriminatorio possa essere ottenuto senza la sua eliminazione. Da questo punto di vista potrebbero essere considerate nulle quelle clausole attraverso le quali viene impedito l’ingresso del terzo sul mercato (clausole di esclusione), mentre potrebbero non essere considerati tali quegli accordi che prevedono un trattamento diverso per un partner, poiché il medesimo trattamento potrebbe essere raggiunto anche attraverso il risarcimento del danno.

La nullità dipenderebbe dai fini e dagli effetti del contratto. Secondo parte della dottrina, poi, la nullità della singola clausola non travolgerebbe l’intero contratto non solo quando debba ritenersi che il contratto senza quella parte nulla sarebbe stato concluso, ma anche quando il fine protettivo della norma violata possa essere raggiunto attraverso la mera invalidità della singola clausola.

(27)

SEZIONE III. L’ESPERIENZA FRANCESE

3.1 L’exploitation abusive de l’état de dépendance

économique

Il sistema francese fino alla prima guerra mondiale era improntato al liberismo. Solo dopo la grande guerra e la crisi del ’29-30 si passò a un forte intervento dello stato nell’economia.

L’Ordonnance n. 45-1483 del 30 giugno del 1945, testo dirigista alle origini, finalizzato alla regolamentazione dei prezzi, con numerose modifiche costituì per molto tempo il testo base del diritto della concorrenza.

Questa ord. venne modificata con la legge del 9 agosto 1953 che inseriva una norma con la quale si disponeva la nullità di ogni accordo che avesse per effetto di “entraver le plein excercice de la

cuncurrence” giustificando solo alcune intese.

Con la legge n. 63-628 del 2 luglio 1963 l’ord. del ’45 cominciò a disciplinare l’attività delle imprese in posizione dominante.

Secondo dottrina unanime, la vera svolta in chiave di liberismo economico, si ebbe con l’ord. n. 86-1243 del 1° dicembre, relative à la

liberté des prix de la cuncurrence. L’art. 8 di questa ord. proibiva

l’abuso di posizione dominante, da parte di un’impresa o di un gruppo di imprese, sul mercato nazionale o su una sua parte rilevante.

L’anno prima (il 14 marzo 1985), la Commission de la

cuncurrence, in sede consultiva, aveva reso un parere per quanto

riguarda le centrali e le supercentrali di acquisto, esprimendo perplessità circa l’idoneità della disciplina francese a controllare e prevenire possibili abusi da parte di tali realtà economiche. La disciplina allora vigente, riferendosi solo all’abuso di posizione dominante, impediva di valutare “la simple domination d’un partnaire

(28)

sur l’autre, dans leur rapport bilatéral”, o meglio, impediva di

valutare adeguatamente “la possibilité qu’ont certains groupes

industriels … et …tous les grands distributeurs, de développer des stratégies de subordination dans la négociation ou de péréquation dans la vente”; possibilità che diceva sempre la Commissione “n’est pas sans incidence sur l’équilibre des forces contractuelles”. Per

superare tale limite la Commissione invitava l’ordinamento a predisporre « moyens juridique permettant, comme en République

federale d'Allemagne, de contrôler les comportements d'entreprises ou groupes d'entreprises qui, sans détenir une position dominante, sont, en raison de leur poids sur le marché, des partenaires obligés (soit pour leurs fournisseurs, soit pour leurs clients)».

Il legislatore del 1986 recepì tale sollecitazione e l’art. 8 dopo aver proibito l'abuso di posizione dominante, da parte di un'impresa o di un gruppo di imprese, sul mercato nazionale o su una parte rilevante di esso, interdiva anche « l'exploitation abusive (...) de l'ètat de

dépendance économique dans lequel se trouve, à son égard, une entreprise cliente ou fournisseur qui ne dispose pas de solution équivalente».

Tale norma fissava alcune ipotesi sintomatiche di abuso di dipendenza economica: «refus de vente, en ventes liées ou en

conditions de vente discriminatoires ainsi que dans la rupture de relations commerciales établies, au seul motif que le pertenaire refuse de se soumettre à des conditions commerciales injustifiées».

Mancava un esplicito riferimento all’abuso realizzato attraverso l’imposizione di prezzi iniqui.

La possibilità di proibire la pratica abusiva era subordinata all’entrave à la cuncurrence. L’ottica del legislatore del 1986 era di rottura al precedente dirigismo sicché si comprende che l’intervento

(29)

fosse giustificato solo dalla circostanza che la concorrenza ne risentisse.

Il successivo articolo 9 prescriveva la nullità di qualsiasi convenzione o clausola contrattuale collegata a uno dei comportamenti disciplinati dall'art. 8.

La repressione delle intese, dell’abuso di posizione dominante e di dipendenza economica veniva affidato al Conseil de la Cuncurrence. Alcune pratiche restrittive (dette individuelles) venivano proibite per sé. La competenza in questi casi veniva affidata al giudice civile o commerciale.

3.2 L’ art. 8 ord. 86-1243

L’art. 8-2 ord. n. 86-1243 vietava l’abuso, da parte di una o più imprese, dello stato di dipendenza economica nel quale si trovasse un’impresa cliente o fornitrice che non disponesse di una soluzione equivalente.

Il progetto dell’ord. richiedeva l’assenza di “solution alternative

et compétitive”, e la modifica intervenuta durante i lavori preparatori

aveva destato forti preoccupazioni sulle conseguenze cui un'interpretazione ampia avrebbe potuto portare; pertanto si auspicava che la formula fosse comunque interpretata facendo riferimento al livello di competitività.

Il suggerimento sembra sia stato effettivamente seguito sia dal

Conseil de la concurrence sia dalle autorità giudiziarie.

Ad esempio nel caso “Trivial Pursuit”, la Corte d'Appello di Parigi, ha ribaltato la soluzione del Conseil de la Concurrence con la quale era stato riconosciuto lo stato di dipendenza economica dei grossisti nei confronti della società produttrice, perché nonostante la

(30)

specificità, il gioco non fosse insostituibile e che, in ogni caso, i grossisti avrebbero potuto disporre di “resources alternatives

d’approvisionnement, même si le circuit puovait leur occasionner des

difficultés passegères ou entraîner pour eux un large manque à

gagner”.

La Corte sembrava, pertanto affermare che l’alternativa dovesse esistere (parametro oggettivo) e dovesse essere tale da lasciare l’impresa non nella medesima condizione di prima bensì in una situazione di competitività (le difficoltà dovevano, infatti, essere passeggere).

Secondo parte della dottrina, la valutazione in merito alla possibilità o meno delle imprese di rimanere competitive sul mercato avrebbe dovuto essere effettuata tenendo conto dei tempi e costi di conversione.

La giurisprudenza poneva la prova dell’assenza di soluzione equivalente a carico dell’impresa che invocasse lo stato di dipendenza economica.

Al contempo, è anche vero che l’applicazione concreta del n. 2 dell’art. 8 generalmente risulta poco creativa, e anzi molto prudente. Più fattori, con influenza chiaramente diversa di volta in volta, hanno condotto a tale risultato applicativo, e in particolare alla scarsa applicazione dell' abus de dépendace économique: a) il carattere indeterminato, e dunque l'ambiguità, del detto dato letterale; b) l’orientamento scaturente delle pronunce del Conseil de la

concurrence; c) le pronunce della Cour d'appel de Paris e della Cassation civil, in sede di giudice civile, in chiave antitrust.

Data la scarsità della casistica in materia, è opportuno considerare le rare ipotesi in cui è stata prospettata la violazione dell'art. 8, n. 2, anzitutto presso il Consiglio della concorrenza. Va precisato che esse riguardano soprattutto vicende inerenti a contratti di

(31)

distribuzione. Ad esempio, si considerino le pretese avanzate da piccoli distributori nei confronti dei propri fornitori. In tali casi, il Consiglio ha indicato quattro utili indici per l'individuazione della dipendenza economica del distributore: (i) l’importanza del fornitore riguardo al giro d'affari del distributore; (ii) la notorietà della marca del fornitore; (iii) l'importanza della quota di mercato detenuta dal fornitore; (iv) l'impossibilità per il distributore di procurarsi altri fornitori di prodotti equivalenti (in base a quanto previsto espressamente dall'art. 8, n. 2).

Va sottolineato che, secondo il Conseil de la concurrence, tali requisiti devono essere compresenti e contestuali.

Analoga posizione è stata assunta dal detto Consiglio, per le ipotesi in cui si discuteva e/o si sono ravvisati abusi di dipendenza perpetrati da grandi distributori a danno dei fornitori. Infatti i requisiti individuati e definiti, per ritenere integrata la fattispecie dell'abuso di dipendenza economica, sono simili a quelli relativi ai piccoli distributori . 20

Altri elementi rilevanti sono: gli eventuali accordi di cooperazione in funzione della distribuzione commerciale o dell'innovazione e della sperimentazione tecnologica; gli investimenti specifici necessari a soddisfare gli elementi di peculiarità della domanda effettuata dal distributore.

Si può dire che in Francia, così come in Germania, ai fini dell’individuazione dello stato di dipendenza economica di cui all’art. 8, giurisprudenza e dottrina richiedevano che esistesse una situazione precedente creata anche dall’impresa forte o attraverso l’acquisizione

Il Consiglio, ai fini dell’individuazione della dipendenza economica dei fornitori

20

nei confronti dei distributori, richiedeva una valutazione: a) della parte della cifra di affari realizzata dal fornitore tramite il distributore; b) dell’importanza del distributore nella commercializzazione dello specifico prodotto del fornitore; c) delle ragioni che avevano condotto alla concentrazione delle vendite del fornitore presso il distributore (se cioè questo fosse il frutto o meno di una precisa strategia commerciale del fornitore); d) dell’assenza di soluzione equivalente.

(32)

di parte del mercato o alla partecipazione alla costruzione dello stato di dipendenza di tipo soggettivo (lo stato di dipendenza discende dalla pregressa concentrazione di rapporti).

Nell’art. 8 dell’ord. l’abuso poteva consistere nel rifiuto di vendere, nell’imposizione dei c.d. contratti leganti o di condizioni di vendita discriminatorie e nella rottura delle relazioni commerciali in atto per il sol fatto che il partner rifiutasse di accettare condizioni commerciali ingiustificate.

Manca un espresso riferimento all’abuso realizzato attraverso condizioni e prezzi iniqui: ciò ha fatto sì che, nonostante la dottrina ritenesse che l’elenco dell’art. 8 non fosse tassativo, non si sia avuta un’adeguata riflessione sulla misura dell’abuso in tal modo realizzato.

Le Corti avevano riconosciuto l’abuso in rari casi limitati al settore della diffusione pubblicitaria e ciò perché era difficile dimostrare l’avvenuto attentato alla concorrenza. Ed invero, la maggioranza della dottrina e della giurisprudenza aveva ritenuto che l’abuso di dipendenza economica potesse rilevare solo se vi fosse il contestuale attentato alla concorrenza e tale attentato non coincideva con la semplice lesione dell’interesse dell’impresa debole. Questo perché l’art. 8 faceva espresso rinvio alle condizioni previste dall’art. 7 che proibiva le intese solo se avessero avuto «pour objet ou peuvent

avoir pour effet d'empècher, de restreìndre ou de fausser le jeu de la concurrence sur un marché».

3.3 L’art. 36 e la riforma del 1996

Nel quadro normativo dell’ord. del 1986, spicca isolatamente l’art. 36, il quale vietava alcune pratiche in sé, a prescindere se collegate a una situazione di abuso di posizione dominante o di

(33)

dipendenza economica, e che, a differenza della violazione dell’art. 8, non comportava l’intervento del Conseil de la cuncurrence.

Precisamente, tale norma, prima della riforma apportata dalla

Loi 1 luglio 1996, n. 96-588 (« Loyauté et l'èquilibre des relations commerciales»: legge sulla correttezza ed equilibrio delle relazioni

commerciali), assoggettava produttori, commercianti, industriali ed artigiani all'obbligo di risarcimento del danno causato qualora: 1. avessero praticato nei confronti di un partner economico o avessero ottenuto dei prezzi, dei ritardi di pagamento, delle condizioni di vendita o di acquisto discriminatori e non giustificati da contropartite reali, che avessero determinato per il partner un vantaggio o uno svantaggio nella concorrenza; 2. avessero rifiutato di soddisfare le domande di acquisto di prodotti o di prestazioni di servizi, nella misura in cui tali domande non avessero presentato nessun carattere anormale, fossero state fatte in buona fede, e che il rifiuto non fosse stato giustificato in ragione delle disposizioni di cui all'art. 10 dell’ord. ; 3. 21 avessero subordinato la vendita di un prodotto o la prestazione di un servizio sia all'acquisto concomitante di altri prodotti, sia all'acquisto di una quantità imposta, sia alla prestazione di un altro servizio (il riferimento è ai c.d. contratti leganti).

L’art. 10 dispone quanto segue: “Non sono sottoposte alle disposizioni degli artt. 7

21

e 8 le seguenti pratiche: 1. quelle che sono il risultato dell’applicazione di un testo legislativo o regolamentare adottati per la loro attuazione; 2. di cui gli autori possono giustificare che tali pratiche hanno per effetto quello di assicurare un progresso economico e riservare agli utilizzatori una parte equa del profitto che ne risulta, senza dare alle imprese interessate la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte consistente dei prodotti in causa. Queste pratiche che possono consistere nell’organizzare, per i prodotti agricoli o di origine agricola, i volumi e la qualità della produzione così come la politica commerciale, compresi gli accordi sui prezzi di cessione comune, non devono imporre restrizioni alla concorrenza se non nella misura necessaria affinché tali pratiche possano raggiungere gli obiettivi di progresso prefissati.

Certe categorie di accordi o certi accordi, in particolare quelle che hanno per oggetto il miglioramento della gestione delle piccole o medie imprese, possono essere riconosciute come soddisfacenti a queste condizioni dal decreto adottato previo parere conforme del Consiglio della concorrenza.

(34)

L’articolo era stato oggetto di svariate critiche, che si appuntavano soprattutto sul numero 2, quello sul rifiuto di vendere. La disposizione appariva arcaica, priva di significato in una economia di mercato che aveva superato la fase di penuria e la sola in Europa a presentare una tale “severité simpliste”. Non mancavano però critiche alle altre specifiche disposizioni che componevano l’articolo ed a quest’ultimo in generale.

Interveniva quindi la riforma del 1996, che, all'art. 14, abrogava la disposizione relativa al rifiuto di vendere e quella relativa ai c.d. contratti leganti, ma soprattutto aggiungeva le seguenti ipotesi di «abuso in sé» che paiono destinate a tutelare più il soggetto 22

imprenditoriale (le piccole imprese fornitrici fino a quel punto non protette ex art. 8) che l'interesse concorrenziale.

La dottrina ha affermato che la riforma si inscriveva più chiaramente dentro una prospettiva di controllo delle pratiche abusive o scorrette che dentro quelle di un controllo delle strutture del mercato, e che essa era una presa d’atto di un’evoluzione giurisprudenziale, affermatasi negli anni precedenti, tendente alla tutela dell’impresa debole.

«3. D'obtenir ou de tenter d'obtenir un avantage, condition préalable à la passation

22

de commandes, sans l'assortir d'un engagement écrìt sur un volume d'achat proportionné et, le cas échéant, d'un service demandé par le fournisseur et ayant fait l'objet d'un accord écrit; 4. D'obtenir ou de tenter d'obtenir, sous la menace d'une rupture brutale des relations commerciales, des prix, des délais de paiement, des modalités de vente ou des conditions de coopération commerciale manifestement dérogatoires aux conditions générales de vente; 5. De rompre brutalement, meme partiellement, une relation commerciale établie sans préavis écrit tenant compte des relations commerciales antérieures ou des usages reconnus par des accords interprofessionnels. Les dispositions précédentes ne font pas obstacle à la faculté de résiliation sans préavis, en cas d'inexécution par l'autre partie de ses obligations ou de force majeure».

(35)

3.4 Il sistema rimediale

L’ord. n. 86-1243 disponeva che la violazione delle disposizioni in esso contenute comportasse, oltre alle sanzioni amministrative, anche la possibilità di esperire azioni davanti ai giudici ordinari al fine di ottenere rimedi “civiles”. L’art. 9 disponeva la nullità de “l’engagement, convention ou clause contractuelle se rapportant à une

pratique prohibeé par les articles 7 et 8”.

Dottrina e giurisprudenza erano in generale concordi che si trattasse di nullità assoluta, e ciò perché, secondo alcuni, gli artt. 7 e 8 avrebbero contenuto regole di ordine pubblico di direzione economica. La Corte di Cassazione ha ritenuto che “toute contractant est recevable

à invoquer le caractère illecite d’une convention entachée de nullité”.

La nullità poteva riguardare sia l’intero accordo sia singole parti di esso .23

Nonostante nessuna norma lo prevedesse espressamente, parte della dottrina e giurisprudenza avevano ammesso la possibilità per il Ministro dell’economia di far valere la nullità dei contratti posti in violazione dell’art. 36. Da ultimo però era stato affermato che non potesse ammettersi tale possibilità.

Dubbi poi vi erano circa la possibilità che le vittime potessero far valere la nullità del contratto. Parte della dottrina riteneva più corretto che le parti potessero ottenere il risarcimento del danno: sia perché la norma si limitava a disporre che la pratica discriminatoria impegna la responsabilità del suo autore, sia perché lo strumento risarcitorio era più in linea con l’interesse della vittima.

La violazione dell’art. 8 comportava anche il risarcimento del danno subito dalla

23

vittima dell’abuso, ex art. 1382 cc. La dottrina identificava il pregiudizio nella perdita di capacità concorrenziale evidenziando però come la quantificazione fosse estremamente difficile. Nella prassi si ricorreva spesso alla nomina di esperti, cui i giudici offrivano delle indicazioni. La dottrina riteneva possibile ottenere tanto un’inibitoria negativa quanto una positiva.

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