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Ambito soggettivo: il concetto economico di “impresa”

Nel documento L'abuso di dipendenza economica (pagine 69-73)

SEZIONE I. IL CAMPO DI APPLICAZIONE

1.2 Ambito soggettivo: il concetto economico di “impresa”

Dal punto di vista soggettivo, l’art. 9 trova applicazione quando le parti del rapporto, fonte della dipendenza economica, siano “imprese”.

La norma utilizza il termine impresa come traslato per significare il soggetto che l’impresa esercita (profilo soggettivo dell’impresa) : 53

l’interprete dovrà quindi chiedersi chi è precisamente il soggetto che si nasconde dietro la nozione di impresa.

Una prima soluzione si configura ricorrendo alla nozione di imprenditore ex art. 2082 c.c.; senza soluzione rimarrebbe però il motivo che ha indotto il legislatore a utilizzare il termine impresa per riferirsi al concetto di imprenditore anziché prediligere una terminologia idonea ad allacciarsi direttamente al preciso disposto dell’art. 2082 c.c. e a tutta la consequenziale elaborazione dottrinale.

Meglio sarebbe una seconda soluzione che vede nella scelta del termine impresa una precisa scelta da parte del legislatore, diretta a recepire il concetto economico di impresa adottato dalla legislazione

antitrust italiana e comunitaria. Si tratta dell’impresa “comunitaria”

definita recentemente come “ogni entità, a prescindere dalla forma

giuridica rivestita, che eserciti una attività economica”, comprese “le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo

A. ASQUINI, I profili dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1943, secondo il quale

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l’impresa è un fenomeno economicamente unitario (“il prisma unitario, che è l’impresa in senso economico”, così G. MINERVINI, L’imprenditore. Fattispecie e statuti, Napoli, 1970), di cui il legislatore ha deciso di disciplinare soltanto alcuni profili rilevanti (soggettivo, funzionale, oggettivo o patrimoniale, corporativo); ciò comporta, dal punto di vista terminologico, che il termine impresa possa essere utilizzato come traslato per indicare ciò che, in realtà, è soltanto un profilo della stessa.

individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica” . 54

Proprio in tale prospettiva europea è stato affermato che “la

nozione di impresa rilevante agli effetti dell'art. 9 l. n. 192/1998 sarà perciò quella propria del diritto della concorrenza, vale a dire una nozione economica e funzionale” ovvero “qualsiasi attività di cessione di beni o servizi sul mercato, a prescindere dalla forma giuridica, dalla natura pubblica o privata, nonché dalle modalità di finanziamento dell'ente, al quale l'attività fa capo” ; sono pertanto da 55

ritenere imprese ai fini dell’abuso di dipendenza economica le società occasionali, gli enti di diritto pubblico e le c.dd. imprese culturali.

Niente affatto rilevano, invece, le tradizionali classificazioni del

genus imprenditore ai fini dell’applicabilità dell’art. 9: il divieto di

abuso di dipendenza economica si estende, sotto il profilo qualitativo, sia per l’imprenditore commerciale sia per l’imprenditore agricolo e, sotto il profilo quantitativo, sia per il piccolo imprenditore che per quello medio-grande.

1.2 (segue) Le relazioni commerciali tra professionisti

e imprese

L’art. 9 fa, quindi, riferimento a una nozione economica di impresa, andando, dunque, a ricomprendere tutte le attività di cessione di beni e servizi sul mercato, prescindendo la forma giuridica e la natura pubblica o privata, e, inoltre, le modalità di finanziamento dell’ente facente capo l’attività. Da questa affermazione si dovrebbe, poi, trarre la conseguenza che l'abuso di dipendenza economica

Art. 1, Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 relativa alla

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definizione delle microimprese, piccole e medie imprese.

P. FABBIO, L’abuso di dipendenza economica, Milano, 2007, p.101

troverebbe applicazione anche nell’ambito delle relazioni commerciali con esercenti professioni intellettuali; del resto è stata proprio la disciplina europea in tema di concorrenza a far venir meno, e ciò anche a causa del disinteresse dell'Unione per le "definizioni nazionali" e persino per gli stessi istituti giuridici dei Paesi membri, le differenze tra attività professionale ed attività imprenditoriale.

Al riguardo si può osservare come il legislatore comunitario, quanto meno quando si è trattato di regolare contratti o rapporti asimmetrici, non ha operato alcuna distinzione tra professionista ed imprenditore come distinti soggetti di mercato, avendo attribuito per converso maggiore rilievo all'esercizio di una attività "professionale" (da contrapporsi, da tale punto di vista, ad una attività "di consumo"): non a caso si è affermato che oggi “si tratta di individuare l'agente attraverso la disciplina dell’attività” . 56

Con riferimento al professionista intellettuale appare tuttavia difficile configurare una dipendenza economica “da assortimento”, poiché tale tipologia di abuso si presta a disciplinare soltanto rapporti tra commercianti i quali abbiano la necessità di disporre nel proprio assortimento di una o più marche affermate agli occhi del consumatore ovvero abbiano la necessità di accedere ad un determinato sistema distributivo.

Nell'ambito dei rapporti “commerciali” tra professionisti intellettuali o tra professionisti ed imprese può viceversa verificarsi l'ipotesi di un abuso di dipendenza economica “da rapporti commerciali”, ovvero di un abuso che si concretizzi nella sottrazione di risorse e di investimenti non riconvertibili effettuati dalla parte debole da parte del contraente forte: al riguardo ci si potrebbe interrogare sulla possibilità di configurare un abuso di dipendenza

L. DI VIA, L’impresa, in N. Lipari (a cura di), Diritto privato europeo, Padova,

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economica nell'ambito del rapporto asimmetrico tra un avvocato ed una banca, dove di volta in volta i rapporti contrattuali possono rientrare nello schema del b to B , ovvero del B to b : quasi mai infatti 57

le parti di tale rapporto si pongono su posizioni paritarie dato che la banca riveste al contempo il ruolo di consumatore e quello di contraente forte. Mentre, infatti, nel singolo rapporto legale è ovviamente la banca che è "consumatore", se si guarda all'intero rapporto commerciale è per converso l'avvocato la parte debole, dato che la banca detta ormai spesso le sue condizioni contrattuali che possono risolversi nella stessa deroga ai minimi professionali. Si pensi all'ipotesi del contratto d'opera intellettuale tra banca ed avvocato, laddove quest'ultimo è certamente più informato, e dunque parte forte rispetto alla prima per quanto riguarda le specifiche competenze legali. Per converso, però, il professionista che abbia dedicato tempo e risorse allo studio ed alla soluzione di un ampio numero di controversie per conto della banca, avendo applicato ad esempio tariffe minime, o addirittura al di sotto dei minimi, proprio in virtù del numero degli incarichi ricevuti ed in vista della prosecuzione di quei rapporti commerciali, potrebbe poi trovarsi "imprigionato" nel rapporto allorché la banca decida di revocare improvvisamente il mandato per tutte o per alcune delle controversie.

Il profilo dell'applicabilità dell'abuso di dipendenza economica ai rapporti tra professionisti intellettuali o tra questi e le imprese appare dunque problematico e di non facile soluzione, e ciò anche alla luce delle numerose differenze che tuttora permangono, quantomeno in Italia, tra la disciplina dell'impresa e quella delle professioni intellettuali (specie se "protette"): si pensi alla disciplina fallimentare, all'iscrizione obbligatoria negli albi professionali, al necessario superamento di un esame di abilitazione per l'esercizio della

Laddove la lettera minuscola b sta indicare la parte debole del contratto e la lettera

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professione protetta, nonché, in particolare, al profilo della vincolatività delle tariffe per coloro i quali esercitino alcune professioni.

1.3 La dipendenza collettiva e il coordinamento con la

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