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L’art 36 e la riforma del 1996

Nel documento L'abuso di dipendenza economica (pagine 32-37)

SEZIONE III. L’ESPERIENZA FRANCESE

3.3 L’art 36 e la riforma del 1996

Nel quadro normativo dell’ord. del 1986, spicca isolatamente l’art. 36, il quale vietava alcune pratiche in sé, a prescindere se collegate a una situazione di abuso di posizione dominante o di

dipendenza economica, e che, a differenza della violazione dell’art. 8, non comportava l’intervento del Conseil de la cuncurrence.

Precisamente, tale norma, prima della riforma apportata dalla

Loi 1 luglio 1996, n. 96-588 (« Loyauté et l'èquilibre des relations commerciales»: legge sulla correttezza ed equilibrio delle relazioni

commerciali), assoggettava produttori, commercianti, industriali ed artigiani all'obbligo di risarcimento del danno causato qualora: 1. avessero praticato nei confronti di un partner economico o avessero ottenuto dei prezzi, dei ritardi di pagamento, delle condizioni di vendita o di acquisto discriminatori e non giustificati da contropartite reali, che avessero determinato per il partner un vantaggio o uno svantaggio nella concorrenza; 2. avessero rifiutato di soddisfare le domande di acquisto di prodotti o di prestazioni di servizi, nella misura in cui tali domande non avessero presentato nessun carattere anormale, fossero state fatte in buona fede, e che il rifiuto non fosse stato giustificato in ragione delle disposizioni di cui all'art. 10 dell’ord. ; 3. 21 avessero subordinato la vendita di un prodotto o la prestazione di un servizio sia all'acquisto concomitante di altri prodotti, sia all'acquisto di una quantità imposta, sia alla prestazione di un altro servizio (il riferimento è ai c.d. contratti leganti).

L’art. 10 dispone quanto segue: “Non sono sottoposte alle disposizioni degli artt. 7

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e 8 le seguenti pratiche: 1. quelle che sono il risultato dell’applicazione di un testo legislativo o regolamentare adottati per la loro attuazione; 2. di cui gli autori possono giustificare che tali pratiche hanno per effetto quello di assicurare un progresso economico e riservare agli utilizzatori una parte equa del profitto che ne risulta, senza dare alle imprese interessate la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte consistente dei prodotti in causa. Queste pratiche che possono consistere nell’organizzare, per i prodotti agricoli o di origine agricola, i volumi e la qualità della produzione così come la politica commerciale, compresi gli accordi sui prezzi di cessione comune, non devono imporre restrizioni alla concorrenza se non nella misura necessaria affinché tali pratiche possano raggiungere gli obiettivi di progresso prefissati.

Certe categorie di accordi o certi accordi, in particolare quelle che hanno per oggetto il miglioramento della gestione delle piccole o medie imprese, possono essere riconosciute come soddisfacenti a queste condizioni dal decreto adottato previo parere conforme del Consiglio della concorrenza.

L’articolo era stato oggetto di svariate critiche, che si appuntavano soprattutto sul numero 2, quello sul rifiuto di vendere. La disposizione appariva arcaica, priva di significato in una economia di mercato che aveva superato la fase di penuria e la sola in Europa a presentare una tale “severité simpliste”. Non mancavano però critiche alle altre specifiche disposizioni che componevano l’articolo ed a quest’ultimo in generale.

Interveniva quindi la riforma del 1996, che, all'art. 14, abrogava la disposizione relativa al rifiuto di vendere e quella relativa ai c.d. contratti leganti, ma soprattutto aggiungeva le seguenti ipotesi di «abuso in sé» che paiono destinate a tutelare più il soggetto 22

imprenditoriale (le piccole imprese fornitrici fino a quel punto non protette ex art. 8) che l'interesse concorrenziale.

La dottrina ha affermato che la riforma si inscriveva più chiaramente dentro una prospettiva di controllo delle pratiche abusive o scorrette che dentro quelle di un controllo delle strutture del mercato, e che essa era una presa d’atto di un’evoluzione giurisprudenziale, affermatasi negli anni precedenti, tendente alla tutela dell’impresa debole.

«3. D'obtenir ou de tenter d'obtenir un avantage, condition préalable à la passation

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de commandes, sans l'assortir d'un engagement écrìt sur un volume d'achat proportionné et, le cas échéant, d'un service demandé par le fournisseur et ayant fait l'objet d'un accord écrit; 4. D'obtenir ou de tenter d'obtenir, sous la menace d'une rupture brutale des relations commerciales, des prix, des délais de paiement, des modalités de vente ou des conditions de coopération commerciale manifestement dérogatoires aux conditions générales de vente; 5. De rompre brutalement, meme partiellement, une relation commerciale établie sans préavis écrit tenant compte des relations commerciales antérieures ou des usages reconnus par des accords interprofessionnels. Les dispositions précédentes ne font pas obstacle à la faculté de résiliation sans préavis, en cas d'inexécution par l'autre partie de ses obligations ou de force majeure».

3.4 Il sistema rimediale

L’ord. n. 86-1243 disponeva che la violazione delle disposizioni in esso contenute comportasse, oltre alle sanzioni amministrative, anche la possibilità di esperire azioni davanti ai giudici ordinari al fine di ottenere rimedi “civiles”. L’art. 9 disponeva la nullità de “l’engagement, convention ou clause contractuelle se rapportant à une

pratique prohibeé par les articles 7 et 8”.

Dottrina e giurisprudenza erano in generale concordi che si trattasse di nullità assoluta, e ciò perché, secondo alcuni, gli artt. 7 e 8 avrebbero contenuto regole di ordine pubblico di direzione economica. La Corte di Cassazione ha ritenuto che “toute contractant est recevable

à invoquer le caractère illecite d’une convention entachée de nullité”.

La nullità poteva riguardare sia l’intero accordo sia singole parti di esso .23

Nonostante nessuna norma lo prevedesse espressamente, parte della dottrina e giurisprudenza avevano ammesso la possibilità per il Ministro dell’economia di far valere la nullità dei contratti posti in violazione dell’art. 36. Da ultimo però era stato affermato che non potesse ammettersi tale possibilità.

Dubbi poi vi erano circa la possibilità che le vittime potessero far valere la nullità del contratto. Parte della dottrina riteneva più corretto che le parti potessero ottenere il risarcimento del danno: sia perché la norma si limitava a disporre che la pratica discriminatoria impegna la responsabilità del suo autore, sia perché lo strumento risarcitorio era più in linea con l’interesse della vittima.

La violazione dell’art. 8 comportava anche il risarcimento del danno subito dalla

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vittima dell’abuso, ex art. 1382 cc. La dottrina identificava il pregiudizio nella perdita di capacità concorrenziale evidenziando però come la quantificazione fosse estremamente difficile. Nella prassi si ricorreva spesso alla nomina di esperti, cui i giudici offrivano delle indicazioni. La dottrina riteneva possibile ottenere tanto un’inibitoria negativa quanto una positiva.

Alla descritta evoluzione in tema di invalidità dei contratti realizzanti un abuso da parte dell’impresa forte maturata all’interno del diritto della concorrenza, veniva ad accostarsene un’altra maturata all’interno della teoria generale delle obbligazioni. Parte della dottrina aveva prospettato l’idea secondo la quale la pressione esercitata dalla situazione di debolezza economica potesse essere equiparata alla violenza come vizio del consenso, in modo tale che il contratto potesse essere considerato invalido ai sensi dell’art. 1111 ss. c.c. in quanto viziato da violence économique. Alcune corti di merito avevano seguito tale prospettiva .24

La Corte di Cassazione si era mostrata fortemente ostile alla figura della violence économique, ed aveva sempre censurato sul punto le decisioni dei giudici di merito. In casi isolati, la Corte aveva ammesso che la “contrainte économique se rattache à la violence”, ma poi aveva negato che esistessero gli estremi del comportamento

illégitime, soprattutto laddove non vi fosse stata alcuna pressione da

parte del soggetto forte, non essendo sufficiente la diversa posizione di forza tra le parti. Le obiezioni più forti a tale tipo di ricostruzione, accolte dalla maggioranza della dottrina, vertevano sull’idea secondo la quale l’accoglimento della tesi in commento avrebbe determinato lo stravolgimento dell’istituto della violenza come vizio del consenso (così come designato dal code civil) e l’attribuzione al giudice di un enorme potere di immistione nel contratto. Ciò avrebbe determinato una forte insicurezza nel traffico giuridico.

La Corte di Appello di Aix-en-Provence, 19.2.1988 ha ritenuto che l’accettazione

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da parte di uno dei contraenti delle condizioni a lui imposte dall’altra parte derivano chiaramente “d’un état de necessité et de dépendance économique équipollent à une

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