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Il dibattito dottrinario

Nel documento L'abuso di dipendenza economica (pagine 44-49)

SEZIONE IV. LA NATURA DEL DIVIETO

4.1 Il dibattito dottrinario

Il dibattito sorto in dottrina a seguito dell’emanazione dell’abuso di dipendenza economica verteva principalmente sulla corretta classificazione dell’istituto, se, cioè, si trattasse di una norma di diritto civile ovvero di una norma di diritto della concorrenza.

La classificazione nell’una o nell’altra branca del diritto portava, ed ancora porta, poi, i rispettivi fautori ad approfondire gli aspetti dell’istituto che ritenevano maggiormente vicini a fattispecie astratte a loro note. Così i fautori della “interpretazione civilistica”, cioè coloro che ritengono l’abuso di dipendenza economica completamente estraneo alla disciplina antitrust, hanno maggiormente approfondito i

rapporti tra tale istituto e la normativa consumeristica , di converso i 30

fautori dell’interpretazione concorrenziale, cioè coloro che ritengono essere l’abuso di dipendenza economica una disposizione esclusivamente di natura antitrust, si sono soffermati sul confronto con l’istituto dell’abuso di posizione dominante . 31

Secondo una prima impostazione, l’abuso di dipendenza economica dovrebbe posizionarsi nello spazio della cosiddetta concorrenzialità libera, in quanto opera all’interno dei limiti della

Si veda F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza

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economica. Profili ricostruttivi e sistematici, Napoli, 2002, pag. 297 e s., il quale afferma: “L’analogia con la protezione accordata al consumatore contro le clausole abusive predisposte dal professionista è di immediata evidenza, ponendosi in entrambi i casi limiti penetranti all’autonomia privata della parte contrattuale forte a protezione di quella debole, che la disciplina in materia di clausole abusive individua istituzionalmente nel consumatore...Se le norme...appaiono orientate a perseguire le medesime finalità attraverso meccanismi tecnici dello stesso tipo, l’utilizzazione delle regole e dei principi espressi in materia di disciplina dei contratti del consumatore per chiarire la portata del divieto di abuso di dipendenza economica non risulta semplicemente opportuna, ma imposta dall’esigenza di rispetto del fondamentale canone ermeneutica che postula la coerente unitarietà dell’ordinamento”. In senso conforme MAZZIOTTI DI CELSO A., sub Art. 9 (Abuso di dipendenza economica), in La subfornitura - Commento alla legge 18 giugno 1998 n. 192, a cura di Alpa- Clarizia, Milano, 1999.

Si vedano L. DELLI PRISCOLI, L’abuso di dipendenza economica nella nuova

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legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Giur. comm., 1998, pag. 839 e s.; C. OSTI, L’abuso di dipendenza economica, in Merc. conc. reg., 1999, pag. 45 e s.; nonché V. PINTO, op. cit., il quale sintetizza a pag. 395 e s.: “In definitiva, la chiave ermeneutica per attribuire un significato all’oscura previsione normativa risiede nel passaggio logico da un’indagine fondata sul concetto di squilibrio tra prestazioni (sia esso eccessivo o significativo), ad una centrata sul potere dell’impresa di determinare, nei rapporti con altre imprese, tale squilibrio. Il che, dal punto di vista sistematico, corrisponde all’abbandono – limitatamente alla definizione del concetto di dipendenza economica – di una prospettiva interpretativa «civilistica», a favore di una lettura che privilegi le innegabili connessioni all’istituto in esame con il diritto antitrust e, in particolare, con la nozione di posizione dominante”.

negazione lecita della concorrenza , ed in tale ottica, pertanto, del 32

tutto irrilevante ai fini antitrust. In virtù di tale ricostruzione la disciplina della dipendenza economica dovrebbe intendersi quale espressione dello stato sociale, ed il valore tutelato dall’intervento del legislatore sarebbe rappresentato dall’esigenza di protezione dei fattori esistenziali minimi del soggetto economico, lecitamente privato – in quanto non v’è violazione della normativa antitrust – dal sistema economico della forza competitiva necessaria per sopravvivere autonomamente nel mercato . 33

A tale impostazione è stato correttamente obiettato che sostenere l’estraneità della fattispecie del divieto di abuso di dipendenza economica alla disciplina della concorrenza costituirebbe una presa di

S.M. SPOLIDORO, Riflessioni critiche sul rapporto fra abuso di posizione

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dominante e abuso dell’altrui dipendenza economica, in Riv. dir. ind., 1999, I, pag. 196, chiarisce: “...entro il limite dell’antigiuridicità, quello oltre il quale si innesca il meccanismo di protezione offerto dal divieto, opera un principio di libertà che può spingersi sino alla negazione della libertà dell’altro soggetto economico, che può giungere sino al sacrificio della sua scelta esistenziale, all’eliminazione dal mercato”.

In tal senso A. BARBA, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in La

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subfornitura nelle attività produttive a cura di Cuffaro V., Napoli, 1998, il quale in merito alla protezione dei minimi fattori esistenziali del soggetto economico afferma a pag. 313: “Che un tale atteggiamento normativo abbia un costo economico che il mercato è chiamato ad assimilare, costituisce un dato ineluttabile; e tuttavia non meno ineluttabile di quello rappresentato dal costo sociale di una scelta esclusivamente orientata alla massimizzazione del risultato solo economicamente utile. Commensurare il costo sociale a quello economico è operazione culturale che incide sulla gerarchia assiologica voluta dal legislatore e che intanto potrebbe condurre a qualche risultato argomentativo utile, in quanto si accetti l’idea che tra

libertà e utilità non esista una relazione antitetica”. Si pone in quest’ottica anche

M.R. MAUGERI, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003 , pag. 141 e ss., la quale, partendo dall’analisi casistica della giurisprudenza tedesca e francese, rileva: “...l’art. 9 non è posto (quanto meno non esclusivamente) a protezione della concorrenza. Ciò si può dedurre...in primo luogo dalla circostanza che espressamente il legislatore distingue l’ipotesi in cui l’abuso abbia rilevanza per la tutela della concorrenza da quella in cui non ne abbia” ed aggiunge: “Ciò che il legislatore intende proteggere...è il tessuto produttivo italiano...non si potrà negare che la spinta che ha portato alla redazione della legge in generale sia di tipo dirigistico. Il legislatore attraverso tutta la disciplina sulla subfornitura intende proteggere l’economia nazionale, in cui c’è forte presenza di piccole e medie imprese, che potrebbero essere travolte in presenza di congiunture negative dalle imprese forti”.

posizione viziata dall’assunto, esclusivamente ideologico, secondo il quale il diritto antitrust dovrebbe occuparsi esclusivamente del potere di mercato in senso classico, ossia, in termini volutamente semplicistici, di una curva di domanda aggregata discendente, e, dunque, di una posizione di tendenziale monopolio, e non di una curva di domanda discendente relativamente ad un unico produttore.

Se si aderisse ad una tale impostazione, limitando, in concreto, l’intervento antitrust a quelle situazioni in cui un’impresa abbia un potere assoluto sul mercato rilevante, si dovrebbe giungere alla conclusione che, seppure tutte le imprese hanno un potere di mercato e possono, in qualche misura, aumentare il prezzo del proprio prodotto, nei limiti in cui un tale aumento “individuale” di prezzo non possa produrre effetti sul mercato, conducendo, cioè, ad un aumento generalizzato dei prezzi – cosa che per definizione può fare solo un monopolista –, la situazione descritta rimarrebbe del tutto estranea al diritto antitrust. In estrema sintesi tale ricostruzione postula l’esistenza di due ben distinti campi: la disciplina della concorrenza si occuperebbe dell’efficienza allocativa, mentre il diritto civile sarebbe destinato a perseguire la giustizia distributiva .34

Non si può, tuttavia, non concordare con quanti rilevano l’estrema rigidità di una tale visione, la quale sembra porsi in contrasto sia con la pluralità dei fini che possono essere, e sono stati storicamente, perseguiti tramite il diritto della concorrenza, sia, in

F. DE GENNARO, Note critiche tra i divieti di abuso di dipendenza economica e di

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abuso di posizione dominante, in Archivio Ceradi, il quale afferma a pag. 17: “...il legislatore italiano ha adottato una clausola generale di abuso del potere contrattuale che non ha riguardo al mercato e non presuppone un’alterazione del meccanismo concorrenziale. Può avere come unico fondamento i principi di lealtà tra imprenditori (la c.d. business ethics) ed in particolare la salvaguardia dell’indipendenza delle imprese e della permanenza sul mercato: ipotesi da tenere ben distinte dalla disciplina antimonopolistica, onde evitare la creazione di una forma di “tutela ibrida” che sintetizzi assiologie incompatibili tra loro”.

termini prettamente economici, con la perdita di benessere collettivo che potrebbe derivare dall’abuso di una posizione dominante relativa.

Si ritiene, infatti, che l’ abuso di dipendenza economica tenda anch’esso a stravolgere le condizioni che rendono possibile una concorrenza effettiva, in quanto non può escludersi che l’approfittamento dello squilibrio sia frutto dell’incapacità del mercato di mettere a disposizione alternative che consentano all’impresa debole di sottrarsi alla prevaricazione della controparte, determinando una perdita in termini di benessere generale simile a quella che deriva dall’abuso di posizioni monopolistiche.

Il fatto che l’abuso di dipendenza economica, poi, discenda da una incapacità del mercato (rectius di una particolare strutturazione del mercato) che rende naturali, quasi necessitate, le situazioni di dipendenza economica suscettibili di tramutarsi in situazioni di abuso, è confermato dal confronto con altre esperienze in cui si riscontrano forme di aggregazione tra subfornitori così da riequilibrare la differenza di potere con i committenti .35

N. MONTICELLI, Dall’abuso del diritto all’abuso di dipendenza economica.

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Un’indagine sulla dipendenza economica tra modello francese e modello italiano, Roma, 2006, che in proposito del mercato giapponese, dopo avere evidenziato l’alta specializzazione tecnica dei subfornitori, rileva a pag. 60-61: “Il percorso seguito è stato quello dell’aggregazione gerarchica e piramidale dei subfornitori in una forma associativa basata su vari livelli, complessivamente unitari, che riescono ad interloquire in modo diretto e paritetico con l’industria committente al fine di conseguire un vantaggio comune in una prospettiva di reciproco rispetto e vantaggio. Probabilmente, in questo approccio quasi «mutualistico» dell’associazioni dei subfornitori giapponesi ha inciso la tipica saggezza orientale ove si pensi che nell’esperienza italiana la produzione decentrata - lungi dall’essere incentivata per quello che concretamente poteva rappresentare in seno alla piccola e media impresa - è stata spesso vista quale sistema aziendale su cui trasferire il rischio di produzioni di beni a forte incertezza allocativa”.

Nel documento L'abuso di dipendenza economica (pagine 44-49)