• Non ci sono risultati.

Le azioni inibitorie: tutela preventiva e tutela definitiva

Nel documento L'abuso di dipendenza economica (pagine 146-150)

SEZIONE I. LA COMPETENZA LE AZIONI INIBITORIE

1.2 Le azioni inibitorie: tutela preventiva e tutela definitiva

“Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia

di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni”.

È opportuno evidenziare che, ai fini dell’intervento dell’Antitrust, l’attuazione del

139

comportamento anticoncorrenziale non è requisito essenziale per l’applicazione delle sanzioni nei confronti di abusi di dipendenza economica né nei confronti di intese restrittive. Se riguardo a queste ultime, alla luce di quanto disposto dall’art. 2 l.

antitrust che vieta le intese che abbiano “per oggetto o per effetto” la restrizione della

concorrenza, non sembra esservi dubbio che le intese possano essere sanzionate per la loro intrinseca potenzialità anticompetitiva a prescindere dalla loro concreta attuazione anche quando si trovino ad uno stadio preparatorio, a diversa conclusione non sembra si possa pervenire riguardo all’abuso di posizione dominante, la cui concezione, come noto, ha natura oggettiva permettendo di sanzionare l’impresa dominante già solo per la posizione acquisita quando essa è una minaccia per la concorrenza ed a prescindere dagli effettivi danni cagionati alla concorrenza.

Rileva in proposito R. NATOLI, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il

140

mercato, Napoli, 2004, pag. 22: “Si può dire...che rientra senza alcun dubbio nella discrezionalità del legislatore l’individuazione dell’organo ritenuto più idoneo a controbattere le minacce anticoncorrenziali delle imprese. Sicché l’aver demandato all’AGCM soltanto la cognizione su fattispecie di marcata aggressione alla concorrenza non dovrebbe destare scandalo. Diversamente argomentando, infatti, si potrebbe correre il rischio di destinare alla salvaguardia di situazioni di impatto anticoncorrenziale scarso, se non persino bagatellare, una risorsa qualificata: ma, di conseguenza, si sottrarrebbe quella stessa risorsa alla tutela di situazioni di maggior allarme e gravità”.

La dottrina, invero, pur nel silenzio della legge prima della modifica intervenuta nel 2001, non aveva mai dubitato che la vittima dell’abuso potesse agire per ottenere il risarcimento del danno, mentre dubbi erano sorti in merito alla possibilità di poter chiedere la tutela inibitoria. Con la novella, che, dunque, si rivela per tale aspetto innovativa, si è posto termine ai dubbi sorti in merito141.

In via preliminare, è possibile condividere la considerazione secondo la quale la previsione espressa della possibilità di esperire le azioni inibitorie offre un rafforzamento alla tesi di chi aveva cercato di dimostrarne l’esperibilità generalizzata ogni qual volta si trattasse di conflitti inter-imprenditoriali, argomentando in via analogica dalla comunanza di ratio dall’art. 2599 cod. civ.; nonché la tesi di chi sostiene da tempo la generale esperibilità del rimedio, rintracciandone il fondamento giuridico nel risarcimento del danno in forma specifica, ed abbia l’effetto, in virtù del rinvio espresso operato dall’art. 9, comma 3 bis, alla disciplina dettata dalla l. antitrust, di fare chiarezza o, comunque, di offrire un’ulteriore argomentazione a favore dell’applicazione generalizzata del rimedio inibitorio, anche in via definitiva, ed al di là della sostenuta tassatività dell’elenco delle azioni di cognizione di cui all’art. 33, comma 2, l. antitrust, che, secondo l’impostazione prevalente in giurisprudenza, sebbene con diverse sfumature, riduce la possibilità di adottare provvedimenti d’urgenza inibitori alle sole ipotesi in cui si riesca a tratteggiare una tutela davvero anticipata e strumentale rispetto a quella esperibile in via definitiva.

Afferma S. BENUCCI, Le prime pronunce in tema di «abuso di dipendenza

141

economica», in G. Vettori (a cura di), Concorrenza e Mercato, Milano, 2005, pag. 505: “Nel silenzio della norma, prima delle modifiche, la dottrina era comunque giunta, seguendo varie opzioni argomentative, a riconoscere tale facoltà; tuttavia, in considerazione della non uniformità di vedute circa l’ammissibilità di un’azione inibitoria generale, l’espressa previsione normativa è stata quanto mai opportuna”. In senso conforme S.M. SPOLIDORO, op. cit. pag. 207 e s.

Ad oggi, tuttavia, non ci è dato conoscere posizioni giurisprudenziali che, sulla scorta della lettura sistematica proposta, abbiano esteso l’applicabilità dello strumento inibitorio oltre gli angusti limiti sopra accennati.

Tanto esposto, e limitandosi all’analisi degli strumenti offerti a tutela dell’abuso di dipendenza economica, dunque, anche quando questa assuma rilevanza ai fini della l. antitrust, occorre rilevare che il legislatore, nel dettare la relativa disciplina, utilizza l’espressione “inibitorie” al plurale, autorizzando in tal modo una interpretazione che attribuisce al comando inibitorio un’ampia articolazione, tale da potersi concretizzare, ad esempio, sia nel divieto di continuare l’attività di impresa del soggetto dominante fino a quando non sia eliminato l’abuso, sia nell’ordine di eliminare l’abuso stesso, ed in tali ipotesi, facendo riferimento alla distinzione accolta generalmente in dottrina, potremmo parlare nel primo caso di inibitoria negativa, in quanto concretizzantesi nell’ordine di cessare un’attività, e nel secondo caso di inibitoria positiva in quanto concretizzantesi nell’ordine di raggiungere determinati obiettivi.

A prescindere da tali notazioni di carattere generale, è possibile affermare che le inibitorie avverso condotte abusive dell’altrui stato di dipendenza economica siano essenzialmente quelle previste in materia di concorrenza sleale dall’art. 2599 cod. civ., ed in virtù della lettera della disposizione che parla in generale di “azioni inibitorie”, possano essere sia quelle ottenibili in via d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., in via strumentale ad un procedimento di merito e con funzione anticipatoria e conservativa, sia le azioni volte ad ottenere una inibitoria definitiva per tutte quelle condotte, che, pur non rientranti nel campo di applicazione della disciplina in tema di concorrenza sleale integrino comunque gli estremi dell’art. 9.

In tale ottica si può accogliere la posizione di coloro i quali, rigettando la qualificazione dell’inibitoria quale azione di carattere costitutivo assoggettata in quanto tale al principio di tipicità dettato dall’art. 2908 cod. civ., affermano l’esistenza di un potere generale inibitorio attuabile non solo in sede cautelare, ma ogniqualvolta la tutela risarcitoria o ripristinatoria si appalesi inadeguata alla protezione del diritto leso o minacciato. Posto, infatti, che un principio generale inibitorio è previsto, con l’inibitoria temporanea e provvisoria, dall’art. 700 c.p.c., è stato rilevato che “non si vede come possa inibirsi un

determinato comportamento sino al giudizio sul merito, quando poi non si possa, estendendone i presupposti, inibire lo stesso comportamento anche dopo la sentenza sul merito e cioè in via definitiva. Sarebbe un non sense inibire il compimento di certi atti della cui illiceità si ha soltanto il fumus, e non poterli invece inibire una volta accertata la loro illiceità con sentenza passata in giudicato. Si avrebbe, in tale caso, una evidente anomalia del sistema, in quanto il primo provvedimento rimarrebbe sterile, se non fosse seguito dal secondo” . 142

Seguendo, dunque, tale impostazione, esisterebbe un collegamento inscindibile tra inibitoria ed illecito in virtù della funzione svolta dall’inibitoria stessa. L’illecito, infatti, come atto

contra ius (ma anche, semplicemente, non iure), richiede, perché la

tutela possa dirsi effettiva, che venga fatto cessare se suscettibile di reiterarsi in futuro; l’inibitoria, a sua volta, rivolgendosi al futuro e non al passato, mira ad impedire la reiterazione di atti contra ius (o non

iure), posti in essere in violazione di diritti soggettivi meritevoli di

tutela.

Così A. FRIGNANI, voce “Inibitoria”, in Enc. del dir., pag. 571

È evidente, peraltro, che l’azione inibitoria è uno strumento rimediale essenzialmente preventivo, la cui caratteristica essenziale è quella di reagire ad un illecito già verificatosi, o, in corso, inibendone la reiterazione o la prosecuzione per il futuro e che consente di tutelare situazioni giuridiche che altrimenti non risulterebbero adeguatamente protette dal rimedio risarcitorio o restitutorio.

1.3 Tutela inibitoria ed obblighi di facere infungibili:

Nel documento L'abuso di dipendenza economica (pagine 146-150)