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LIMITI DEI POTERI DELLO STATO COSTIERO E ONG

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Academic year: 2021

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(1)ACCADEMIA NAVALE. Corso di Laurea Magistrale in: GIURISPRUDENZA. TESI DI LAUREA IN DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE. LIMITI DEI POTERI DELLO STATO COSTIERO E ONG LAUREANDO: GM (CM) SILVIO GRECO RELATORE: Prof. Andrea La Mattina. Anno Accademico 2019 – 2020.

(2) Alla mia famiglia.. “C’era una volta una giovane principessa fenicia, figlia del re di Tiro, che fu rapita da Zeus innamorato di lei sotto le sembianze di un mansueto toro bianco emerso dalle acque. La ragazza lasciò per sempre il Libano dopo essere salita sulla groppa del bianco toro che attraversò il Mediterraneo per approdare a Creta dove partorì tre figli: quella giovane donna si chiamava Europa.” DAVIDE ENIA, “Tutti noi siamo figli di una traversata in mare”, in L’abisso.

(3) LIMITI DEI POTERI DELLO STATO COSTIERI E ONG. INTRODUZIONE…………………………………………………………………..……1. CAPITOLO I PRINCIPI DI DIRITTO MARITTIMO INTERNAZIONALE 1.1. Codificazione del diritto internazionale marittimo………………………………...2. 1.2. Libertà dei mari e suo significato…………………………………………………..3. 1.3. Il mare territoriale………………………………………………………………….4. 1.4. Poteri dello Stato costiero nel mare territoriale…………………………………….5. 1.5. La zona contigua…………………………………………………………………...7. 1.6. Oltre la zona contigua……………………………………………………………...8. 1.7. Il mare internazionale……………………………………………………………...9. 1.8. La navigazione marittima………………………………………………………...10. 1.9. Nazionalità della nave……………………………………………………………15. 1.10. Conclusioni……………………………………………………………………….17. CAPITOLO II L’OBBLIGO DI PRESTARE SOCCORSO IN MARE 2.1. L’affermazione dell’obbligo quale norma consuetudinaria………………………18. 2.2. Quadro normativo………………………………………………………………...19. 2.3. Quadro normativo in Italia………………………………………………………..23. 2.4. Attuazione dell’obbligo di prestare soccorso in mare nel Mediterraneo…………28. 2.5. La responsabilità degli Stati per la violazione degli obblighi di soccorso in mare………………………………………………………………….32. 2.6. Conclusioni……………………………………………………………………….34.

(4) CAPITOLO III QUADRO GIURIDICO E RUOLO DELLE NAVI «ONG» NELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO IN MARE 3.1. Introduzione……………………………………………………………………....36. 3.2. Il concetto di “Organizzazione Non Governativa”………………………………..37. 3.3. Lo status giuridico delle ONG……………………………………………………38. 3.4. Il ruolo delle ONG nel soccorso in mare………………………………………….42. 3.5. Finanziamenti ed ONG…………………………………………………………...44. 3.6. Le ONG sotto attacco……………………………………………………………..46. 3.7. Regime normativo in Italia……………………………………………………….54. 3.8. Codice di condotta per le ONG impegnate nelle operazioni di salvataggio in mare………………………………………………………………56. 3.9. Conclusioni……………………………………………………………………….59. CAPITOLO IV PRINCIPIO DI NON-REFOULEMENT IN MARE 4.1. Introduzione……………………………………………………………………...61. 4.2. La Convenzione di Ginevra del 1951……………………………………………62. 4.3. Soccorso in mare e non-refoulement…………………………………………….66. 4.4. Le “politiche del non arrivo”…………………………………………………….69. 4.5. Conclusioni………………………………………………………………………70. CAPITOLO V POLITICA DEI “PORTI CHIUSI” E DIRITTO INTERNAZIONALE 5.1. Introduzione……………………………………………………………………...71. 5.2. Il caso Aquarius………………………………………………………………….72. 5.3. Il regolamento Dublino III……………………………………………………….75. 5.4. Il caso Diciotti……………………………………………………………………80.

(5) 5.5. Il caso Mare Jonio………………………………………………………………..83. 5.6. Il caso Sea Watch 3……………………………………………………………….86. 5.7. Il decreto Sicurezza-bis…………………………………………………………...92. 5.8. Bilancio di una politica di “porti chiusi”………………………………………….95. 5.9. Sul futuro dell’immigrazione……………………………………………………..97. BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………100.

(6) INTRODUZIONE Il mare è da sempre emblema dell’inferiorità dell’uomo rispetto alle forze della natura. È imprevedibile, insidioso, capace di far scomparire qualunque traccia. Proprio per questo, la disciplina del diritto marittimo affonda le proprie radici in epoche lontane, nell’ininterrotta ricerca di leggi cristalline, universali, che tutelino la vita umana. Il mare rifiuta le categorie giuridiche come noi le conosciamo, riducendole ad una logica binaria: naviganti e naufraghi. La linea di confine è sottilissima, i ruoli facilmente interscambiabili al mutare delle circostanze. Per vari secoli, il legislatore ha fissato il principio della libertà dei mari a fondamento della legge del mare, ponendo, quale unico limite, il rispetto delle pari libertà altrui. Tale principio si è gradualmente eroso dinanzi alla pretesa degli Stati rivieraschi di esercitare un certo controllo sulle acque adiacenti alle proprie coste. Questa tendenza ha raggiunto il parossismo con l’attuazione della politica “dei porti chiusi” da parte del governo italiano, aprendo un acceso dibattito circa la sua compatibilità con gli strumenti del diritto internazionale vigenti e con l’operato delle Organizzazioni non governative, attori sempre più decisivi in tema di soccorso in mare. La campagna di discredito mossa nei confronti dei soccorritori ha generato un clima di sospetto nell’opinione pubblica. La narrazione dominante, innescando un processo di criminalizzazione, ha parlato di “taxi del mare” in riferimento alle navi umanitarie. Il presente lavoro intende analizzare la cornice normativa del soccorso in mare affiancandola ai più recenti casi di cronaca, nel tentativo di far luce su una disciplina talvolta lacunosa ed eccessivamente stratificata. Il risultato è un’Europa ancora incapace di garantire uno spazio umanitario d’intervento efficace e di addivenire ad una normativa ampiamente condivisa e rispettosa dei diritti dell’individuo.. 1.

(7) Capitolo primo PRINCIPI DI DIRITTO MARITTIMO INTERNAZIONALE. 1.1 Codificazione del diritto internazionale marittimo Le norme che delimitano il potere di governo degli Stati negli spazi marini differiscono profondamente da quelle che descrivono la sovranità territoriale con riguardo alla terraferma. La disciplina dello spazio marittimo si è stratificata in una serie di norme nazionali, internazionali e consuetudinarie.1 La materia ha formato oggetto di due successive conferenze di codificazione: la Conferenza di Ginevra del 1958 e la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, tenutasi tra il 1974 e il 1982.2 La prima Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare si concluse a Ginevra il 29 aprile 1958 e produsse quattro convenzioni: la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua; la Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare; la Convenzione sull’alto mare; la Convenzione sulla piattaforma continentale. Tuttavia, si avvertiva, nell’immediato, l’esigenza di un lavoro di revisione; tale impulso derivava dalle rivendicazioni degli Stati prima soggetti a dominazione straniera e dai mutamenti tecnologici ed economici della società internazionale.3 Fu così che, dopo ben undici sessioni, il 10 dicembre 1982, fu prodotta la Terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS). I lavori si conclusero a Montego Bay (Giamaica) con l’adozione del testo definitivo, composto da ben 320 articoli e vari annessi, che disciplinava la quasi totalità delle questioni giuridiche relative agli spazi marini. Il 16 novembre 1994, dodici mesi dopo il deposito del sessantesimo strumento di ratifica, l’UNCLOS entrò in vigore. Attualmente, le ratifiche depositate sono 167.4. CATONE S. (2017), “Le ong che salvano i migranti in mare, spiegato bene”, Possibile, 7 Aprile, in https://www.possibile.com/le-ong-salvano-migranti-mare-spiegato-bene/#_ftn2 consultato nel marzo 2020 1. 2. CONFORTI B. (2018, p. 292), “Diritto internazionale”, Editoriale Scientifica. CATALDI G. (2016), “Diritto del mare”, Treccani, in http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-delmare_(Diritto-on-line)/ consultato nel marzo 2020. 3. TREVES V. (2011), Law of the Sea, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, in www.mpepil.com consultato nel marzo 2020. 4. 2.

(8) La ratifica dell’Italia è avvenuta con la l. 2.12.1994, n. 689.5 La Convenzione, stabilisce, inoltre, che essa “prevale, tra gli Stati contraenti, sulle Convenzioni di Ginevra del 29 aprile 1958 sul diritto del mare” (art. 311 par.1). Pertanto, essa, oltre ad inglobare gli istituti del diritto consuetudinario, va assunta quale punto di riferimento per la descrizione del diritto internazionale marittimo.. 1.1 Libertà dei mari e suo significato Per vari secoli, fino all’emergere delle sfide globali alla sicurezza collettiva, il principio della libertà dei mari è sembrato un semplice truismo, una verità ovvia e indiscutibile di cui appariva superflua ogni spiegazione.6 Sotto tale principio, si era concretizzato il primato degli olandesi nel corso dei secoli XVII e XVIII; essi vi attribuivano le grandi conquiste politiche e di civiltà.7 La libertà dei mari era, per costoro, di tale importanza nel corroborare gli ambiziosi progetti di sviluppo, che tentarono di persuadere Inghilterra, Spagna, Portogallo ed altri della stessa convinzione. Per libertà dei mari si intende, oggi, il principio “in virtù del quale nessuno Stato può impedire la circolazione marittima e l’uso del mare alle altre nazioni, con l’unico limite del reciproco rispetto delle libertà altrui” (Nuovo dizionario giuridico Simone). Il concetto di utilizzazione degli spazi marittimi si estrinseca in un ampio spettro di accezioni: navigazione, pesca, sfruttamento di una qualsiasi risorsa del mare. La pretesa antagonistica degli Stati di controllo delle acque adiacenti non ha mai prevalso sul principio di libertà dei mari fino alla prima metà del XX secolo, se non per la 5. Ratifica ed esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale,. fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, nonche' dell'accordo di applicazione della parte XI della convenzione stessa, con allegati, fatto a New York il 29 luglio 1994 (pubblicata su G.U. Serie Generale n. 295 del 19-12-1994 - Suppl. Ordinario n. 164) Entrata in vigore il 20/12/1994 6. FERRANTE E. (2006), “La libertà dei mari: le parole e i fatti”, Limes n°4/06. 7. a testimonianze del successo di tale convinzione si vedano, fra gli altri, gli scritti di W. USSEHNCX, nonché. gli anonimi: Levendich Drscours vant ghemeyne Lants Welvaert voor desen de Oost ende nu oock de West Indische generale Compaignien aenghevanghen, s. 1., (1622); Redenen, waeromme dat de Nederlanden, geensinis eenighe Vreede mci dcc Koningh van Spaignien konnen, mogen noch behooren te maken, s Rage (1630); Schaede die den Staet der Vereenichde Nederlanden il aenstaende l de versuymenisse van d’Oost en West-Indische Negotie in een Octroy ce Societeyt te begrypen, ‘s Graven-Haghe (1644). 3.

(9) regolamentazione della pesca e la repressione del contrabbando.. 1.2 Il mare territoriale Nella seconda metà del XIX secolo, non era estranea alla dottrina8 la figura del mare territoriale, inteso come zona sulla quale si irradia la sovranità dello Stato rivierasco e, dunque, pienamente equiparata al territorio. Tale riconoscimento, a livello dottrinale, ha posto le fondamenta per il primato rispetto al vecchio principio della libertà dei mari. Tappa fondamentale è stato l’ampliamento dei poteri degli Stati costieri in seguito all’accoglimento della dottrina Truman in tema di piattaforma continentale (cfr. 1.6).9 Oggi, il mare territoriale identifica “la fascia di mare lungo le coste che corrisponde alle esigenze di vita e di difesa della comunità statale e sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità” (Nuovo dizionario giuridico Simone). La sovranità esercitata sulla costa comporta, in automatico, sovranità sul mare territoriale. A statuirlo è l’art. 2 della Convenzione di Montego Bay: “La sovranità dello Stato costiero si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne…, a una zona di mare adiacente alle coste denominata mare territoriale”. Il limite esterno, in passato coincidente con quello di gittata dei cannoni, è fissato a 12 miglia marine 10 dalla costa. L’Italia, con la l. 14 agosto 1974 n. 359, ha esteso fino a tale distanza il precedente limite di 6 miglia, previsto dall’art. 2 del Codice della navigazione del 1942.11 Il limite interno, invece, è costituito dalle linee di base, cioè quelle linee a partire dalle quali si calcola verso il largo la larghezza del mare territoriale.12 L’art. 5 della Convenzione di Montego Bay definisce la linea di base come la “linea di bassa marea lungo la costa, come indicata sulle carte nautiche a grande scala ufficialmente riconosciute dallo Stato costiero”. A tale normativa si può derogare solo in applicazione di specifiche norme speciali, anch’esse codificate nell’UNCLOS; esempio emblematico è il ricorso al sistema delle linee rette, riconosciuto a seguito di una storica controversia tra Norvegia e Gran 8. op. cit. CONFORTI B. (p. 293). 9. CAFFIO F., CARNIMEO N., LEANDRO A. (2013, p. 69), “Elementi di diritto e geopolitica degli spazi. marittimi”, Cacucci 10. La l. 7 aprile 1930 n. 518 stabilisce che il miglio marino è pari a 1852 metri. 11. Di conseguenza risulta assorbito dalla legge del 1974 l’art. 33 della l. 25 settembre 1940 n. 1424 (art. 29. T.U. sulle dogane) che fissava a 12 miglia la zona italiana di vigilanza doganale 12. GIOIA A. (2013 p. 188), “Diritto Internazionale. Manuale breve”, Giuffrè. 4.

(10) Bretagna a proposito delle pescherie norvegesi.13 Tale metodo non segue la linea della bassa marea, ma congiunge i punti sporgenti della costa, delle corone di isole, degli scogli o di qualunque altra caratteristica naturale che comporti un repentino cambiamento della morfologia.14. 1.3 Poteri dello Stato costiero nel mare territoriale Allo Stato costiero spettano, nel mare territoriale, gli stessi poteri che questo può esercitare sulla terraferma. Vigono, tuttavia, due limiti alla potestà di governo caratteristici del diritto marittimo: il passaggio inoffensivo e l’esercizio della giurisdizione penale sulle navi straniere. Il diritto di passaggio inoffensivo è l’istituto del diritto del mare che si prefigge il compito di risolvere la contrapposizione tra gli interessi costieri e quelli della navigazione internazionale.15 Esso si definisce come quel passaggio che non mina la “pace, buon ordine e sicurezza dello Stato costiero” (art. 19 UNCLOS), assicurato nei confronti delle navi straniere, commerciali e militari. Va segnalato che petroliere e metaniere, pur essendo navi commerciali e, dunque, godendo del diritto di passaggio inoffensivo, devono preventivamente notificare allo Stato costiero l’attraversamento per via del rilevante impatto ambientale che il materiale trasportato può avere sulle acque interessate.16 Il passaggio, anche diretto verso le acque interne, deve essere “continuo e rapido” (art. 18 UNCLOS), pur potendosi ammettere soste dovute a forza maggiore, condizioni di difficoltà o allo scopo di rendere assistenza a persone e navi in pericolo. Le disposizioni richiamate hanno dato luogo a molteplici interpretazioni. Si ritiene che il passaggio inerisca esclusivamente alle unità che compiano ordinaria navigazione e non a quelle in avaria dirette ad un luogo di rifugio; in tale ipotesi, infatti, la nave non sarebbe diretta altrove (come prescrive il passaggio inoffensivo), ma il luogo di rifugio rappresenterebbe la destinazione e, pertanto, lo Stato costiero avrebbe 13. C. int.g., Sent. 18 dicembre 1951, in ICJ Reports, 1951, p. 166 ss., p. 128-129. L’Italia ha adottato il metodo. delle linee di base rette con il d.p.r. 26 aprile 1967 n. 816, G.U. n. 305 del 9 novembre 1977 14 15. op. cit. CONFORTI B. (p. 299) CATALDI G. (2016), “Diritto del mare”, Treccani, in http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-del-. mare_(Diritto-on-line) consultato nel marzo 2020 16. MUGNAINI M. (2017 p. 294), “Settant'anni di storia dell'Onu. Sessant' anni di Italia all'Onu”, Franco. Angeli. 5.

(11) il potere di vietare l’accesso alle proprie acque. Pur ammettendosi l’applicazione delle norme nei confronti delle navi che chiedono rifugio, agli Stati costieri rimarrebbe il diritto di negarlo perché i rischi connessi all’inquinamento ambientale sono privi delle caratteristiche dell’inoffensività. Lettura diametralmente opposta considera, invece, il transito di navi in difficoltà verso luoghi di rifugio avulso dall’istituto del passaggio inoffensivo e, dunque, l’accesso a tali luoghi potrebbe essere riconosciuto anche nei casi in cui il passaggio fosse negato, per via dei rischi per la comunità costiera. Pur ammettendosi l’applicazione delle norme, il passaggio verso luoghi di rifugio non prospetterebbe le caratteristiche di offensività elencate dall’art. 19 UNCLOS o di non rapidità, per il solo fatto che l’unità sia in avaria.17 Corollario di questa diatriba è che la Convenzione di Montego Bay non rappresenta la base giuridica idonea per riconoscere o negare il diritto di accesso a luoghi di rifugio. Ciò dipende, oltre che dalla carenza di precise indicazioni, dal mancato recepimento18 delle disposizioni della Convenzione, attraverso una legislazione interna, da parte degli Stati contraenti. Questa considerazione è di cruciale importanza, ai fini dell’approfondita trattazione che seguirà, per definire l’operato delle navi responsabili di attività di soccorso in zone di competenza di altri Stati (cap. 2). Se il passaggio non è inoffensivo, lo Stato costiero può adottare tutte le misure atte ad impedirlo. Esso, inoltre, può “sospendere temporaneamente il passaggio inoffensivo di navi straniere in zone specifiche del suo mare territoriale quando tale sospensione sia indispensabile per la protezione della propria sicurezza, ivi comprese le esercitazioni con armi” (art. 25 UNCLOS). Oltre al diritto di passaggio inoffensivo, altra limitazione alla sovranità dello Stato costiero riguarda l’esercizio del potere giurisdizionale sulle navi straniere, con particolare riguardo ai fatti che ineriscono alla giurisdizione penale. L’art. 27 della Convenzione di Montego Bay consente la giurisdizione penale su navi straniere in transito nel proprio mare territoriale soltanto quando: “a) le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero; b) se il reato è di natura tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale; c) se l'intervento delle autorità locali è stato richiesto dal comandante della nave o da un agente diplomatico o funzionario consolare dello Stato di bandiera della nave; d) se tali 17. LA TORRE U., MOSCHELLA G., PELLEGRINO F., RIZZIO M. P., VERMIGLIO G. (2006, p. 131), “Studi. in memoria di Elio Fanara”, Giuffrè Editore 18. Tale difetto è stato rilevato dal C.M.I. sulla base di un questionario sottoposto, nel 2002, alle Associazioni. Nazionali. 6.

(12) misure sono necessarie per la repressione del traffico illecito di stupefacenti o sostanze psicotrope”. Per quanto riguarda le navi da guerra, l’immunità è assoluta (art. 32 UNCLOS). Spetta, comunque, al giudice nazionale, in prima battuta e salvo controversia internazionale, stabilire quali fatti legittimino l’esercizio della giurisdizione poiché eccedenti la mera rilevanza interna. L’art. 27 UNCLOS, più che dell’esercizio della giurisdizione penale, pare interessarsi delle possibili interferenze che possono derivare al passaggio inoffensivo.19 L’uso del condizionale nella formulazione normativa (“non dovrebbe esercitare la propria giurisdizione…”) riflette la storica disputa tra le corti dei Paesi di “civil law”, sostenitrici dell’obbligo di astensione degli Stati rivieraschi dall’esercizio della giurisdizione per fatti meramente interni alla nave, e quelle dei Paesi di “common law”, che suffragano la piena giurisdizione ed addebitano l’eventuale astensione a ragioni di cortesia o convenienza. La giurisprudenza italiana si attiene alla distinzione tra fatti esterni ed interni ai fini dell’esercizio della giurisdizione penale sulle navi straniere nel mare territoriale.20. 1.4 La zona contigua Lo Stato costiero può decidere di esercitare diritti esclusivi rispetto a materie determinate in zone adiacenti al mare territoriale, che sfuggono alla sua sovranità. La prima zona individuabile, in tal senso, è la zona contigua. Il tentativo di codificare le norme ad essa relative risale già alla Conferenza di Ginevra del 1930, quando, però, l’esistenza dell’istituto era ancora dubbia. In seguito, le disposizioni adottate nella Convenzione di Ginevra del 1958 sono state trasfuse nella Convenzione di Montego Bay del 1982. Ai sensi dell’art. 33 UNCLOS, in una zona di estensione massima di ventiquattro miglia, lo Stato costiero può proclamare la zona contigua ed esercitare i suoi poteri di polizia per la prevenzione e repressione delle violazioni alle sue norme in materia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione. Dunque, se uno Stato costiero ha un mare territoriale di dodici miglia e istituisce una zona contigua estesa fino a ventiquattro miglia dalle linee di base, l’estensione reale della zona contigua è di dodici miglia a partire dal limite esterno del mare territoriale.21 19. op. cit. GIOIA A. (p. 193). 20. Cass. 30.10.1969, Massimario della Cass. penale, 1971, 161 (e Cass. 29.2.1951, 28.10.1953 e 15.4.1955 ivi. citate); Cass. 30.10.1985, FI, 1986, II, 1 21. RONZITTI N. (2016, p.121), “Introduzione al diritto internazionale”, Giappichelli Editore. 7.

(13) A differenza di quanto avviene per le acque territoriali, sulle quali la sovranità dello Stato rivierasco si irradia automaticamente, l’istituzione della zona contigua è facoltativa e, pertanto, occorre una formale proclamazione dello Stato costiero.22 L’Italia si è astenuta, finora, dal proclamare una sua zona contigua, tuttavia, in alcune disposizioni23 in tema di immigrazione clandestina via mare, nomina la “zona contigua italiana”. Si può ritenere, quindi, che essa esista ai soli fini dell’immigrazione e ciò sia opponibile24 a tutti gli Stati, data la riconducibilità dell’istituto al diritto consuetudinario, così come all’UNCLOS. All’istituzione della zona contigua fa riferimento l’art. 303 UNCLOS. Lo Stato costiero è preposto ad esercitare il controllo sul commercio degli oggetti di carattere archeologico e storico scoperti in mare, dunque, la loro rimozione dal fondale senza l’autorizzazione dello Stato costiero, costituisce violazione delle sue leggi e dei suoi regolamenti. In Italia, la materia è disciplinata dall’art. 94 d.lgs. 22.1.2004, n. 4225, che istituisce il “Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’art. 10, l. 6 luglio 2002, n. 137”. Giova sottolineare che, anche in questo caso, l’esistenza della “zona archeologica marina” italiana si erge unicamente sulla sussistenza della giurisdizione italiana tra le dodici e le ventiquattro miglia marine.. 1.5 Oltre la zona contigua La Convenzione di Montego Bay regolamenta, oltre al mare territoriale ed alla zona contigua, anche la piattaforma continentale, la zona economica esclusiva e le acque internazionali. La piattaforma continentale “è la parte sommersa dei continenti che si estende, con una pendenza media di 0,1°, dalla linea di costa fino a una profondità stabilita per convenzione” (Enciclopedia Treccani). L’estensione della piattaforma di ciascuno Stato, 22. ibid. 23. si veda l’art. 12, co. 9-bis del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e. norme sulla condizione dello straniero” (d.lgs. 25.07.1998 n. 286, G.U. 18.08.1998) 24. sul punto si è espressa la Corte di Cassazione, affermando l’illegittimità della pretesa di opporre l’esistenza. della zona contigua alla Turchia, non avendo questo Stato ratificato l’UNCLOS (Cass. Sez. I pen., 8.9.2010, n. 32960, con nota di Andreone, IYIL, 2010, 419-423) 25. la tutela dell’art. 94 deriva dall’applicazione di una Convenzione per la protezione del patrimonio culturale. subacqueo adottata il 2 novembre 2011 sotto l’egida dell’UNESCO , entrata in vigore nel 2009 e ratificata dall’Italia con l. 23.09.2009 n. 157. 8.

(14) dipendendo dalla conformazione geologica delle coste, cambia in funzione del prolungamento della terraferma. Lo Stato, al di là del mare territoriale, ha diritto all’esclusivo sfruttamento di tutte le risorse della piattaforma. Tale prerogativa viene acquistata in modo automatico, alla stregua di quanto avviene per il mare territoriale, però ha solo natura funzionale26: l’esercizio del potere di governo non si concreta genericamente nel disciplinare i vari aspetti della vita sociale, ma è limitato a quanto necessario per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma. Ai poteri esercitabili sulla piattaforma continentale si sono sovrapposti, nel tempo, quelli connessi alla zona economica esclusiva (ZEE). Con tale termine, si definisce “la porzione di mare adiacente alle acque territoriali, che può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale” (Enciclopedia Treccani). Essa diviene effettiva solo a seguito della formale proclamazione da parte dello Stato costiero e gli attribuisce controllo esclusivo su tutte le risorse biologiche, minerali, del suolo, del sottosuolo e delle acque sovrastanti. Agli altri Stati non sono pregiudicate le altre forme di utilizzazione: essi godono della “libertà” di navigazione, di sorvolo, di posa di condotte e di cavi sottomarini. Se fino alle 200 miglia i poteri sul suolo e sottosuolo marino si confondono con la giurisdizione derivante dalla dottrina della piattaforma continentale, oltre tale limite non è chiaro se permanga la potestà dello Stato costiero 27 oppure cessi ogni tutela di interessi e si dispieghi il mare internazionale.. 1.6 Il mare internazionale L’art. 86 UNCLOS definisce, in negativo, il mare internazionale come lo spazio non compreso né nella zona economica esclusiva, né nelle acque territoriali, né nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago né nelle acque interne. Nel mare internazionale trova ancora applicazione il vecchio principio della libertà dei mari, pertanto a tutti gli Stati è riconosciuto uguale diritto di compiere attività di navigazione, sorvolo, posa di cavi, costruzione di isole e installazioni artificiali, pesca, ricerca scientifica. Nessuno Stato può pretendere di assoggettare alcuna parte di esso alla propria sovranità (art. 89 UNCLOS). 26. op. cit. CONFORTI B. (p. 305). 27. JARES V. (2009, p. 1265) “The Continental Shelf beyond 200 Nautical miles: the Work of the Commission. on the Limits of the Continental Shelf and Artic”, Vand JTL. 9.

(15) 1.7 La navigazione marittima La libertà di navigazione è strettamente connessa ai due principi di nazionalità della nave e di non interferenza degli altri Stati diversi da quello della bandiera. L’art. 90 UNCLOS conferisce, a tutti gli Stati, “il diritto di far navigare nell'alto mare navi battenti la propria bandiera”. Ogni nave è sottoposta unicamente al potere dello Stato di cui ha la nazionalità28 (art. 92 UNCLOS); esso si definisce, pertanto, “Stato della bandiera”. Tale principio, in passato, veniva tratteggiato affermando che la nave è territorio dello Stato (territoire flottant). Il vincolo tra diritto e territorio, ovvero, le relazioni tra norme giuridiche e luoghi si implicano con storica e logica necessità29: “la nave contiene in sé l’ordinamento dello spazio, la nazionalità e la bandiera sono considerati, al contempo, atti e simboli che istituiscono su di essa e per essa un concreto ordine di rapporti” (ANTONINI A, 2007, p. 72, “Trattato breve di diritto marittimo Vol.1”, Giuffrè Editore). Lo Stato della bandiera esercita potere di governo sulla comunità navale attraverso il comandante o attraverso le proprie navi da guerra30. Il comandante di una nave, anche privata, in quanto organo dello Stato, dal punto di vista internazionale, ha poteri coercitivi limitatamente agli eventi che si verificano nel corso della navigazione, salvo il rispetto degli obblighi relativi al trattamento degli stranieri che si trovino a bordo. Con particolare riferimento all’ordinamento italiano, ulteriori disposizioni sono contenute nel codice della navigazione31 e nel codice penale, a tutela del rispetto dell’autorità del comandante.32 Tra le più significative, sono da menzionare quelle relative all’art. 1095 del codice della navigazione, volto a perseguire penalmente il passeggero o il membro dell’equipaggio che rifiuti di ottemperare ad un ordine impartito dal comandante dell’aeromobile per motivi di sicurezza, e numerosi articoli33 del codice penale, volti a punire comportamenti che ravvisino estremi di reato in danno dell’incolumità fisica della persona, del decoro e della dignità dell’individuo e dell’integrità dei beni altrui.. 28. il principio è stato affermato, per la prima volta, in una sentenza della Corte Permanente di Giustizia. Internazionale nel caso SS Lotus (Francia c. Turchia), CPJI, Recueil des arrêts, Série A, n° 10, 7 settembre 1927 29. IRTI N. (2001, pp. 462-463), “Geo-diritto”, Rivista internazionale di filosofia del diritto. 30. op. cit. CONFORTI B. (p. 315). 31. R.D. 30.03.1942, n. 327 (GU n. 93 del 18.4.1942). 32. BRUNA S. (2012), “Poteri e doveri del comandante di aeromobile”, Edizioni Mediterranee. 33. Si vedano gli artt. 581, 582, 590, 594, 612, 635, 652 c.p.. 10.

(16) L’art. 94 UNCLOS prevede una serie di obblighi per lo Stato di bandiera, che: “a) tiene un registro delle navi che contenga i nomi e le caratteristiche delle navi che battono la sua bandiera, ad esclusione di quelle che, in virtù di norme internazionali generalmente accettate, per effetto delle loro modeste dimensioni ne sono esenti; b) esercita la propria giurisdizione conformemente alla propria legislazione, su tutte le navi che battono la sua bandiera, e sui rispettivi comandanti, ufficiali ed equipaggi, in relazione alle questioni di ordine amministrativo, tecnico e sociale di pertinenza delle navi. (…) adotta, per le navi che battono la sua bandiera, tutte le misure necessarie a salvaguardare la sicurezza in mare, con particolare riferimento a: a). costruzione, attrezzature e navigabilità delle navi;. b). composizione, condizioni di lavoro e addestramento degli equipaggi, tenendo conto degli appropriati strumenti internazionali;. c). impiego dei segnali, buon funzionamento delle comunicazioni e prevenzione degli abbordi.”. Oltre alla già prospettata ipotesi di esercizio della giurisdizione da parte dello Stato di bandiera, nulla vieta che uno Stato diverso, così come esercita nel suo territorio giurisdizione su reati commessi in territorio straniero, faccia lo stesso per reati commessi su una nave straniera, a patto che sussista una connessione tra il reato e detto Stato. L’unica eccezione è rappresentata dall’art. 97 UNCLOS34, che inerisce all’esercizio della giurisdizione penale in materia di abbordi od altro incidente di navigazione. Il problema dell’esercizio della giurisdizione penale per fatti avvenuti in alto mare è venuto, di recente, in rilievo per una vicenda al centro di una crisi diplomatica tra Italia e India. Nel pomeriggio del 15 febbraio 2012, la nave petroliera Enrica Lexie, battente bandiera italiana, con a bordo due fucilieri della Marina Militare, si trovava al largo delle coste dell’India. Lì la nave aveva incrociato la rotta del peschereccio indiano St. Antony e, ad un certo punto, vennero sparati dei colpi che uccisero due marinai indiani a bordo del 34. art. 97 co. 1: “In caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto mare, che implichi. la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque altro membro dell'equipaggio, non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la cittadinanza”. 11.

(17) peschereccio.35 Questi sono gli unici fatti su cui le due parti sono d’accordo: per il resto della storia ognuno ha la propria versione.36 Secondo gli italiani, i colpi sarebbero stati sparati dai militari, che avevano scambiato il peschereccio indiano per un’imbarcazione pirata, per via di una manovra sospetta da parte della stessa. L’uccisione avrebbe fatto seguito alle procedure del caso, che prevedono delle raffiche di avvertimento, cui non è seguito alcun segnale di risposta. Le autorità italiane hanno precisato che l’episodio è avvenuto a 33 miglia di distanza dalle coste indiane, in acque internazionali; ciò implicherebbe la giurisdizione italiana e quindi i due militari dovrebbero essere giudicati da un tribunale italiano. Secondo gli indiani, la manovra della St. Antony sarebbe stata pacifica e volta a dare la precedenza alla petroliera. Dunque, la reazione dei militari italiani sarebbe stata sproporzionata rispetto alle normali procedure, anche tenendo conto della circostanza che i marinai della St. Antony non erano armati. Le autorità indiane sostengono che l’imbarcazione italiana, a fronte della mancata risposta alle raffiche di avvertimento, avrebbe dovuto tentare una manovra di evasione prima di attaccare. Gli indiani contestano, infine, la posizione geografica in cui si sarebbe verificato l’incidente: una distanza dalla costa tra le 15 e le 20 miglia, facendo ricadere il caso sotto la giurisdizione indiana. La risoluzione della controversia non è stata affidata ad un negoziato, quindi l’Italia ha attivato unilateralmente la procedura arbitrale prevista dall’Annesso VII alla convenzione di Montego Bay.37 Di particolare rilievo, ai fini della trattazione, è la circostanza che l’arresto38 dei militari sia avvenuto dopo che la Enrica Lexie, anziché prendere il largo, si era fatta convincere, dalle autorità locali, a raggiungere un porto indiano. Il medesimo atto di coercizione da parte delle autorità indiane, compiuto in alto mare, avrebbe, invece, rappresentato una chiara violazione all’esclusiva potestà dello Stato di bandiera di porre in essere atti d’imperio. Non è ancora intervenuta una decisione in 35. GAETA P. (2014), “Il caso dei marò italiani in India”, Libro dell'anno del Diritto 2014, Treccani, in. http://www.treccani.it/enciclopedia/il-caso-dei-maro-italiani-in-india_(Il-Libro-dell'anno-del-Diritto)/ consultato nell’aprile 2020 36. CIRRINCIONE M. (2013), “Il caso marò: facciamo il punto”, Il fatto quotidiano, in. https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/21/il-caso-maro-facciamo-il-punto/785635/ consultato nell’aprile 2020 37. procedura di affidamento delle controversie ad un Tribunale arbitrale. 38. RONZITTI N. (2013, pp. 1073-1115), “La difesa contro i pirati e l'imbarco di personale militare armato. sui mercantili: il caso della "Enrica Lexie" e la controversia Italia-India”, Rivista di diritto internazionale, vol. 96, n. 4. 12.

(18) merito all’esercizio della giurisdizione penale.39 L’esercizio in via esclusiva del potere d’imperio da parte dello Stato della bandiera incontra eccezioni sempre più importanti quanto più ci si approssima alle coste di un altro Stato. La prima ipotesi, riguardante la nave in acque internazionali, è quella della pirateria. Essa “rappresenta il primo crimen iuris gentium nella storia del diritto internazionale classico, sia sotto il profilo temporale delle origini di tali gravi crimina, sia per la preminente diffusione e dannosità sociale dell’illecito stesso” (DEL CHICCA M., 2017, “La pirateria marittima. Evoluzione di un crimine antico”, p. 17). L’art. 101 della Convenzione di Montego Bay definisce pirateria marittima qualsiasi atto illegittimo di violenza o impossessamento commesso in alto mare, a scopo di rapina, dall’equipaggio di una nave a danno di un’altra. In tale circostanza, il diritto internazionale, in deroga al principio secondo il quale gli Stati devono astenersi dall’esercizio di attività d’imperio in alto mare, attribuisce agli stessi il potere di catturare la nave pirata e di punire i colpevoli. La disciplina italiana40 è stata innovata con il d.l. 209/2008 (convertito in l. 12/2009), affermando il principio dell’universalità della giurisdizione penale.41 La disciplina internazionale è stata integrata con l’adozione della Convenzione di Roma del 10 marzo 1988, che estende la nozione di pirateria a qualunque atto illecito contro la sicurezza della navigazione marittima ed impone agli Stati contraenti l’obbligo di procedere all’estradizione del colpevole o di esercitare la propria competenza giurisdizionale. Un’ulteriore deroga al principio di non interferenza con la libertà di navigazione esercitata in alto mare dai mercantili di altra bandiera è il diritto di visita da parte di navi da guerra. Ad ammetterlo è l’art. 110 UNCLOS, in cui è stabilito che, salvo quanto previsto nei trattati, “una nave da guerra che incrocia una nave straniera nell’alto mare (…) non può legittimamente abbordarla, a meno che non vi siano fondati motivi per sospettare che: a) la nave sia impegnata in atti di pirateria; b) la nave sia impegnata nella tratta degli schiavi; 39. CONFORTI B. (2014, p. 2619),”In tema di giurisdizione penale per fatti commessi in acque internazionali”,. Scritti in onore di Giuseppe Tesauro, Editoriale Scientifica 40. L’art. 1135 del codice della navigazione punisce la depredazione ovvero la violenza in danno della nave o. delle persone a scopo di depredazione 41. “Pirateria”, Enciclopedia Treccani, in http://www.treccani.it/enciclopedia/pirateria/ consultato nell’aprile. 2020. 13.

(19) c) la nave sia impegnata in trasmissioni abusive e lo Stato di bandiera della nave da guerra goda dell’autorità di cui all’articolo 109; d) la nave sia priva di nazionalità; e) pur battendo una bandiera straniera o rifiutando di esibire la sua bandiera, la nave abbia in effetti la stessa nazionalità della nave da guerra”. Atto preliminare rispetto al diritto di visita è la c.d. “inchiesta di bandiera” (right of approach), consistente nella richiesta, da parte di nave militare ad un mercantile, in corso di navigazione, di informazioni inerenti a bandiera, carico e destinazione.42 L’azione della nave che esercita il diritto di visita deve sempre essere improntata a cautela43 e, con particolare riferimento al traffico e trasporto illegale di migranti in mare44, deve salvaguardare la tutela dell’integrità fisica, dei diritti umani e della dignità delle persone a bordo.45 Se, a seguito della visita, i sospetti si rivelano infondati, la nave, sempre che non abbia posto in essere comportamenti tale da ingenerarli, dovrebbe essere indennizzata per le perdite e i danni subiti. Altra eccezione rispetto al principio della sottoposizione della nave all’esclusivo potere dello Stato della bandiera è rappresenta dal c.d. diritto di inseguimento. Ai sensi dell’art. 111 UNCLOS, lo Stato costiero che abbia fondati motivi di ritenere che una nave straniera abbia violato le sue leggi in prossimità delle zone costiere, può inseguire detta unità anche in alto mare, al fine di fermarla ed, eventualmente, procedere all’arresto delle persone a bordo.46 Il diritto di inseguimento sottostà ad una serie di condizioni47: •. l’inseguimento in alto mare della nave può essere eseguito solo per consentire l’esercizio dei poteri coercitivi di cui lo Stato dispone nelle zone marine soggette alla sua giurisdizione. Se la Convenzione di Ginevra del 1958 faceva riferimento alle. 42. CAFFIO F. (2016, p. 62) “Glossario di diritto del mare”, Rivista marittima 2016. 43. detta nave deve: a) intimare al mercantile di fermarsi con mezzi radio o ottici, facendo ricorso, in caso di. inadempimento ad un colpo di avvertimento; b) inviare sulla nave sospetta, con una motobarca, un proprio ufficiale per il controllo dei documenti di bordo; c) eseguire, ove i sospetti permangano dopo il controllo dei documenti, un’ispezione della nave medesima 44. si veda, in particolare, l’art. 9 del Protocollo di Palermo del 2000 per “prevenire, reprimere e punire la tratta. di esseri umani, in particolare di donne e bambini, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite (ONU) contro la criminalità organizzata transnazionale e relativi protocolli” 45. op. cit. CAFFIO F., CARNIMEO N., LEANDRO A. (p. 84). 46. ANTONUCCI A., PAPANICOLOPULU I., SCOVAZZI T. (2016, p. 16), “L'immigrazione irregolare via. mare nella giurisprudenza italiana e nell'esperienza europea”, Giappichelli Editore 47. op. cit. GIOIA A. (p. 227). 14.

(20) acque interne, al mare territoriale o alla zona contigua (solo per violazione della normativa doganale, sanitaria o dell’immigrazione), il dettato dell’art. 111 UNCLOS consente che l’inseguimento abbia inizio anche nella zona economica esclusiva o sopra la piattaforma continentale. In materia di repressione del contrabbando, rileva, inoltre, la teoria della “presenza costruttiva”: anche se la nave da inseguire si trova in alto mare, è sufficiente accertare che “una delle sue lance o altre imbarcazioni, che lavorino congiuntamente alla nave inseguita utilizzata come nave madre” (art. 111 co. 4) si trovino entro una delle zone sopra citate perché si possa procedere alla cattura della stessa.48 •. l’inseguimento può essere eseguito solo mediante navi da guerra, aeromobili militari, o comunque mezzi inequivocabilmente identificabili come tali.. •. L’inizio dell’inseguimento è assoggettato all’emissione di un ordine di arresto co un segnale visivo e sonoro, ad opportuna distanza perché la nave inseguita ne sia consapevole.. •. L’inseguimento deve essere continuo ed ininterrotto.. •. Esso deve cessare “non appena la nave inseguita entra nel mare territoriale del proprio Stato o di uno Stato terzo”. 1.8 Nazionalità della nave In materia di nazionalità della nave, l’art. 91 UNCLOS stabilisce che “ogni Stato stabilisce le condizioni che regolamentano la concessione alle navi della sua nazionalità, dell'immatricolazione nel suo territorio, del diritto di battere la sua bandiera”; rilevante è anche la circostanza che “fra lo Stato e la nave deve esistere un legame sostanziale (genuine link)”. Il dettato normativo appena esposto resta l’unico parametro di riferimento49, a livello internazionale, al fine di valutare la liceità del comportamento degli Stati nell’attribuzione della propria bandiera alle navi. 48. per casi di applicazione della teoria della presenza costruttiva si vedano quello della Olimpios Hermes, deciso. dal Tribunale di Napoli con sent. 17.12.1976 (ItYIL, 1977, p. 282), quello del Poseidon, deciso da una Corte inglese (ICLQ, 195, p. 949) e, più di recente, la sent. Cass. Pen. I, 8.09.2010 n. 32960, in RDI, 2010, p. 1272 49. LOPEZ. DE. GONZALO. M.. (2012),. “Nave”,. Diritto. on. line. (2012),. Treccani,. in. http://www.treccani.it/enciclopedia/nave(Diritto-on-line)/#nazionalitdellanaveedirittointernazionaleprivato-1. 15.

(21) Il “genuine link” va considerato non a livello di collegamenti sussistenti tra nave e Stato nei cui registri viene chiesta l’iscrizione50, ma rispetto al momento di effettivo esercizio della sovranità da parte dello Stato che ha attribuito la propria nazionalità. Il contenuto di tale esercizio si estrinseca51 nell’art. 94 UNCLOS, ove si dispone che “ogni Stato esercita effettivamente la propria giurisdizione ed il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale sulle navi che battono la sua bandiera”. Dunque, dette norme hanno la sola funzione di assicurare l’attuazione dei doveri dello Stato di bandiera e si astengono dal fissare criteri alla stregua dei quali statuire sulla liceità della iscrizione di una nave nei registri dello Stato.52 L’art. 143 del codice della navigazione, il cui testo è radicalmente mutato per adeguarsi al diritto comunitario53, dispone che rispondano ai requisiti di nazionalità per l’iscrizione nelle matricole e nei registri italiani: “a) le navi che appartengono per una quota superiore a dodici carati a persone fisiche, giuridiche o enti italiani o di altri Paesi dell’Unione Europea; b) le navi di nuova costruzione o provenienti da un registro straniero non comunitario, appartenenti a persone fisiche, giuridiche o enti stranieri non comunitari i quali assumano direttamente l’esercizio della nave attraverso una stabile organizzazione sul territorio nazionale con gestione demandata a persona fisica o giuridica di nazionalità italiana o di altri Paesi dell’Unione Europea, domiciliata nel luogo di iscrizione della nave, che assuma ogni responsabilità per il suo esercizio nei confronti delle autorità amministrative e dei terzi”. Ai fini della iscrizione nelle matricole italiane, vengono in rilievo, accanto ai requisiti di nazionalità del soggetto proprietario, anche requisiti tecnici della nave.54 Inoltre, le navi che appartengano a soggetti dotati dei requisiti di nazionalità di cui all’art. 143 del codice della navigazione possono essere iscritte nel Registro internazionale55. Si tratta di uno strumento volto a migliorare la competitività della marina mercantile italiana e, dalla cui iscrizione, discendono, per il proprietario, rilevanti benefici. Essi ineriscono, in particolare, 50. ADEMUNI-ODEKE (1997, p. 22), “Bareboat and Charter (Ship) Registration Hardcover”, Springer. 51. LEANZA (1984, p. 194), “Navi private (dir. internazionale)”, in Nss.D.I., Appendice. 52. Tale orientamento è stato confermato da una pronuncia del Tribunale Internazionale del Diritto del Mare. (sent. 1.7.1999, caso Saiga, in Dir. maritt., 2001, p. 245) 53. nello specifico alla l. 27.2.1998, n. 30. 54. si veda, al riguardo, il regolamento CE/789/2004 in merito al trasferimento di una nave dai registri di uno. Stato membro a quelli di un altro Stato membro 55. istituito con il d.l. 30.12.1997, n. 457, convertito in l. 27.2.1998, n. 30. 16.

(22) a: a) nazionalità e trattamento degli equipaggi, b) trattamento fiscale, c) sgravi contributivi. Se manca il genuine link, gli Stati sarebbero “autorizzati a disconoscere il carattere internazionale della nave ed esercitare su di essa il loro potere di governo” (CONFORTI B., p. 322). Si tratta, tuttavia, di un comportamento che non trova conforto nella prassi56 o nella formulazione normativa della Convenzione di Montego Bay.. 1.10 Conclusioni La complessità della disciplina dello spazio marittimo deriva dal progressivo stratificarsi di norme nazionali, internazionali e consuetudinarie. Per vari secoli, il principio della libertà dei mari è stato il cardine del diritto internazionale marittimo. Tale principio si è gradualmente eroso dinanzi alla pretesa degli Stati di esercitare un certo controllo sulle acque adiacenti alle proprie coste. Nel presente capitolo si è proceduto a tratteggiare l’odierna suddivisone degli spazi marini ed i principi rilevanti ai fini dell’esercizio della giurisdizione da parte degli Stati. Il risultato è una ripartizione variegata, mutevole e connotata da non poche eccezioni.. Immagine illustrativa sul regime internazionale del mare. 56. In senso contrario hanno statuito la Corte d’Appello dell’Aja (sent. 29.5.1986, NYIL, 1989, 349) e la Corte. delle Comunità europee (24.12.1992 in causa C-286/90, parr. 12-16). 17.

(23) Capitolo secondo L’OBBLIGO DI PRESTARE SOCCORSO IN MARE. 2.1 L’affermazione dell’obbligo quale norma consuetudinaria L’obbligo di prestare soccorso in mare, che oggi rappresenta una regola consolidata del diritto internazionale1, discende dalle più antiche tradizioni di solidarietà marinara.2 Tuttavia, tale obbligo è stato riconosciuto, a livello giurisprudenziale, solo a partire dalla metà del XIX secolo, durante il quale un marinaio inglese su cinque perdeva la vita in mare ed il costo di vite umane connesse all’attività marittima era ingente.3 La graduale integrazione nella prassi degli Stati, manifesta il carattere consuetudinario dell’obbligo di prestare soccorso in mare. Ciò sarebbe suffragato anche dal parere, espresso dalla Commissione del diritto internazionale, nel quadro dei lavori di codificazione che hanno condotto all’adozione della Convenzione sull’alto mare del 1958.4 L’obbligo in esame è stato fissato, per la prima volta, in uno strumento a carattere pattizio: la Convenzione internazionale per l’unificazione di alcune regole in materia di collisioni tra navi.5 Essa, tuttavia, non definiva il contenuto dell’obbligo in termini specifici, tratteggiando solo un dovere incondizionato di prestare soccorso in mare.6 Ad oggi, la più matura ed espressiva formulazione dell’obbligo di portare soccorso in mare è quella elaborata nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).. 1. SCOVAZZI T. (2005, p. 106), “La tutela della vita umana in mare, con particolare riferimento agli immigrati. clandestini diretti verso l'Italia”, in Rivista di diritto internazionale 2. MOMTAZ D. (1991, p. 416), “The High Seas”, in R. J. Dupuy e D. Vignes (eds.), A Handbook on the New. Law of the Sea 3. JONES N. (2006, p. 158), “The Plimsoll Sensation: The Great Campaign to Save Lives at Sea”. 4. Nel commento all’art. 12, la Commissione ha infatti rilevato che tale norma ricalca “il diritto internazionale. esistente” 5. Conchiusa a Bruxelles il 23 settembre 1910 entrata in vigore, sul piano internazionale, il 1° marzo 1913. 6. CACCIAGUIDI-FAHY S. (2007, p. 6), “The Law of the Sea and Human Rights”, Panóptica. 18.

(24) 2.2 Quadro normativo I principali strumenti internazionali che disciplinano l'obbligo di salvaguardia della vita in mare, oltre all'articolo 98 della Convenzione di Montego Bay, sono la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (SOLAS)7 e la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (SAR)8. Dette Convenzioni, cui l’Italia ha aderito, rappresentano un limite alla sua potestà legislativa. Alla stregua degli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione9, il diritto internazionale e le Convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese, alle quali si riconosce il carattere di diritto cogente, non possono essere derogate da scelte discrezionali dall’autorità politica, amministrativa o giudiziaria, come si evincerà più volte dalla trattazione.10 L’obbligo di prestare soccorso in mare grava non solo sulle entità statali, ma su tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo. L’obbligo gravante in capo al singolo comandante della nave si ricava dall’art. 98 UNCLOS: “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: (a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita;. International Convention for the Safety of Life at Sea (SOLAS), adottata a Londra il 1 novembre1974 ed. 7. entrata in vigore il 25 maggio 1980 8. International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR), adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed. entrata in vigore il 22 giugno 1985 9. Ai sensi dell’art. 10 Cost. “l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale. generalmente riconosciute”; per l’art. 11 Cost l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”; per l’art. 117 Cost la potestà legislativa è esercitata nel rispetto “dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” 10. Ciò è stato affermato nella sent. del GIP di Trapani 23.5.2019 (dep. 3.6.2019), Giud. Grillo. 19.

(25) (b) proceda, quanto più velocemente è possibile, al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”. L’articolo prosegue delineando, accanto all’obbligo per il comandante della nave, un corrispondente obbligo in capo agli Stati Parte: “promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali11 con gli Stati limitrofi”. Nonostante detto articolo figuri nella Parte VII della Convenzione, inerente all'alto mare (cfr. 1.7), è acclarato che la sua efficacia possa estendersi anche alle restanti zone marine. Per quanto riguarda la disciplina della zona economica esclusiva, l'art. 58 UNCLOS accoglie tutte le regole di diritto internazionale ad essa compatibili.12. Mancano, invece, specifiche disposizioni in riferimento alla zona contigua e al mare territoriale. Nonostante ciò, non si configura l'esistenza di alcuna lacuna nella disciplina, in quanto il dovere di soccorso nel mare territoriale troverebbe implicita legittimazione nell’istituto del passaggio inoffensivo (cfr. 1.4). Lo Stato rivierasco nel cui mare territoriale avviene il soccorso, mantiene, in ogni caso, competenza esclusiva nel coordinamento dell’operazione e nella predisposizione dei mezzi necessari per l'intervento. La precisa definizione delle responsabilità degli Stati agenti nelle operazioni di salvataggio e del luogo in cui deve avvenire lo sbarco delle persone soccorse è affidata alle Convenzioni SOLAS e SAR. Il Capitolo V (Safety of navigation) della Convenzione SOLAS rafforza quanto già. 11. Esempio di accordi multilaterali sono i Protocolli di Palermo del 2000; bilaterali sono, invece, l’accordo tra. Italia e Libia del 2007 ed il successivo Trattato di amicizia del 2008 12. L’art. 58 co. 2 UNCLOS stabilisce che “gli articoli da 88 a 115 e le altre norme pertinenti di diritto. internazionale si applicano alla zona economica esclusiva purché non siano incompatibili con la presente Parte”. 20.

(26) prescritto dall’art. 98 UNCLOS, imponendo al comandante di procedere alacremente ad espletare il soccorso in mare, e predispone specifiche norme in materia di sicurezza della navigazione. In tal senso, il Capitolo V, Regolamento 33(1), Convenzione SOLAS: “Il comandante di una nave in navigazione che riceve un segnale da qualsiasi provenienza indicante che una nave o un aereo o loro natanti superstiti si trovano in pericolo, è obbligato a recarsi a tutta velocità all’assistenza delle persone in pericolo informandole, se possibile, di quanto sta facendo. Se non può farlo, o, nelle circostanze speciali in cui si trova, giudica non ragionevole né necessario andare in loro soccorso, egli deve riportare sul giornale di bordo le ragioni che lo hanno indotto a recarsi a soccorrere le persone in pericolo.” Quest’ultima previsione permette di misurare la responsabilità del comandante in caso di mancata assistenza. Alla stregua di quanto rilevato per l’art. 98 UNCLOS, sussistono, anche per lo Stato rivierasco, degli obblighi per la salvaguardia della vita umana. In tal senso, il Capitolo V, Regolamento 7, Convenzione SOLAS: “ a. Ogni Governo contraente si impegna ad accertarsi che tutte le necessarie disposizioni siano prese per la sorveglianza delle coste e per il salvataggio delle persone in pericolo lungo le loro coste. Queste disposizioni dovrebbero includere l’impianto, l’utilizzazione ed il mantenimento dei mezzi di sicurezza marittima giudicati praticamente realizzabili e necessari avuto riguardo alla intensità del traffico marittimo ed ai pericoli della navigazione e dovrebbero, per quanto possibile, provvedere i mezzi adeguati per localizzare e salvare le persone in pericolo. b. Ogni Governo contraente si impegna a fornire notizie relative ai mezzi di salvataggio di cui dispone e dei progetti per la loro modifica, nel caso che vengano formulati”. Sempre in un’ottica di cooperazione internazionale, la Convenzione SAR configura, per gli Stati parte, l’obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare ed il dovere di sbarcare. 21.

(27) i naufraghi in un luogo sicuro13. Pertanto, gli Stati sono invitati a concludere accordi con i Paesi confinanti al fine di coordinare i servizi e le operazioni di ricerca e soccorso nella zona marittima designata. Inoltre, ciascuno Stato deve dotarsi di un Centro nazionale di coordinamento delle attività di soccorso (MRCC – Maritime Rescue Coordination Centre) ed elaborare appositi piani operativi.14 Per "luogo sicuro" (POS ovvero “place of safety”), s’intende quella località ove non solo le operazioni di soccorso siano materialmente concluse (dunque la vita e la sicurezza delle persone salvate non siano più minacciate), ma anche ove le necessità umane primarie (cibo, alloggio e cure mediche), possano essere soddisfatte, i diritti fondamentali possano essere garantiti e da cui possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti verso una destinazione successiva o finale.15 Corollario di queste considerazioni è, dunque, che l’intervento del soccorso non si esaurisce con l’accoglimento dei naufraghi a bordo, ma solo con il trasporto degli stessi in un luogo sicuro, sulla cui idoneità spetta solo al comandante decidere16. In base al punto 3.1.9 della Convenzione di Amburgo: “le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati. 13. Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) dispongono che. il governo responsabile per la regione S.A.R. in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito 14. LEANZA U., CAFFIO F. (2015, p. 420), “L’applicazione della convenzione di Amburgo del 1979 sul SAR”,. Rivista del diritto della navigazione 15. op. cit. ANTONUCCI A., PAPANICOLOPULU I., SCOVAZZI T. (p. 102). 16. VASSALLO PALEOLOGO F. (2010, p.95), “Il caso Cap Anamur. Assolto l’intervento umanitario”, Diritto,. immigrazione e cittadinanza, 2/2010. 22.

(28) il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile”. Tale obbligo sussiste sia qualora le attività di ricerca e soccorso si rendano necessarie al di fuori della zona SAR di competenza, sia a fronte dell’inerzia o ritardo da parte dello Stato competente alla stregua delle delimitazioni. Le operazioni di soccorso vengono intraprese dall’autorità nazionale che per prima ha avuto contezza della persona in pericolo in mare ed alcuno Stato può sottrarsi a detto coordinamento o attendere l’esito di trattative con altri Stati. Nonostante la previsione dell'obbligo per lo Stato responsabile della zona SAR in cui avviene il soccorso, di garantire ai superstiti un luogo sicuro, ciò non è stato sufficiente a colmare il vuoto riguardante la sorte delle persone soccorse.17 Ulteriori vicende, anche della cronaca più recente, saranno approfondite nel corso dello studio (cap. 5).. 2.3 Quadro normativo in Italia Per l’Italia, inoltre, valgono gli obblighi derivanti dal Regolamento UE n. 656/201418 e, a livello nazionale, dal Codice della navigazione, dal Piano Nazionale per la Ricerca ed il Salvataggio in mare (D.P.R. 662/1994) e dal Decreto Interministeriale 14.07.2003, che ripartisce le competenze alle autorità preposte ai controlli in mare.. 17. PUGH M. (2004) , “Drowning not Waving: Boat People and Humanitarianism at Sea”, Journal of Refugee. Studies, Vol. 17, n.1 18. Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15.05.2014 “recante norme per la sorveglianza. delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea”. 23.

(29) Il testo del Regolamento (UE) n. 656/2014 ha ad oggetto molteplici aspetti riguardanti la sicurezza in mare (art. 3), la protezione dei diritti fondamentali e principio di non respingimento (art. 4), la localizzazione (art. 5), l’intercettazione nelle acque territoriali, in alto mare, nella zona contigua (rispettivamente: artt. 6-7-8), le situazioni di ricerca e soccorso (art. 9), lo sbarco (art. 10), i meccanismi di solidarietà (art. 12). Si tratta, inoltre, di un potente strumento giuridico per contrastare la criminalità transfrontaliera, in particolar modo il traffico di migranti.19 Il Codice della navigazione, nell’ambito della prestazione di soccorso, comprendeva due ipotesi: assistenza e salvataggio. La Convezione di Londra ha fatto cessare20 tale distinzione, in favore di una unitaria nozione di soccorso.21 Il criterio distintivo si rinviene osservando gli artt. 981 e 982 del Codice della navigazione: si parla di assistenza nei casi in cui sussista una forma di collaborazione da parte del soggetto che riceve il soccorso con il soccorritore. In particolare, l’art. 981, rubricato “obbligo di assistenza a navi o aeromobili in pericolo”, stabilisce che: “L'assistenza a nave o ad aeromobile in mare o in acque interne, i quali siano in pericolo di perdersi, ovvero ad aeromobile caduto o atterrato in regioni desertiche, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio dell'aeromobile soccorritore, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri, oltre che nel caso previsto negli articoli 485, 974, quando a bordo della nave o dell'aeromobile siano in pericolo persone. Il comandante di aeromobile in corso di viaggio o pronto a partire, che abbia notizia del pericolo corso da una nave o da un aeromobile, è tenuto nelle circostanze e nei limiti predetti ad accorrere per prestare assistenza quando possa ragionevolmente prevedere un utile risultato, a meno che sia a conoscenza che l'assistenza è portata da altri in condizioni più idonee o simili a quelle in cui egli stesso potrebbe portarla”. 19. SCIORTINO G. (2006, p. 95), “Schengen’s Soft Underbelly? Irregular Migration and Human Smuggling. across Land and Sea Borders to Italy, in International Migration” 20. La distinzione permane per quanto attiene al soccorso aeronautico. 21. MESSINA M. S. (2016, p. 145), “Compendio di diritto della navigazione”, Primiceri Editore. 24.

(30) Dunque, l’opera di soccorso è sempre obbligatoria al presentarsi della circostanza di pericolo per la vita umana. Detto obbligo scaturisce da un ordine dell’autorità amministrativa o dalla legge; nel primo caso, i diritti del soccorritore si concretano alla luce delle previsioni contenute nella Convenzione di Londra e nel Codice della navigazione.22 Al fine di conferire ulteriore rilevanza all’obbligo di prestare soccorso in mare, l’art. 1113 del Codice della navigazione prevede la reclusione da un anno a tre anni per chiunque “omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo”. Gli fa eco l’art. 1158 del medesimo codice, che però prevede pene di reclusione fino a 8 anni laddove una delle persone a cui non si è prestato soccorso dovesse decedere. L’Italia, dopo aver ratificato la Convenzione di Amburgo con la l. n. 147 del 1989, le ha dato attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994. Esso individua nel Ministero dei Trasporti e della Navigazione23 l’Autorità nazionale responsabile e nel Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto, l’organismo nazionale che deve assicurare il coordinamento dei servizi di soccorso marittimo ed i contatti con gli altri Stati.24 Ai sensi del citato D.P.R., si intende per “soccorso marittimo”, tutte le attività finalizzate alla ricerca e al salvataggio della vita umana in mare. Si stabilisce25, inoltre, che: a) il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto è l'organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (I.M.R.C.C. - Italian Maritime Rescue Coordination Center); b) le direzioni marittime costituiscono i centri secondari di soccorso marittimo (M.R.S.C. - Maritime Rescue Sub Center); c) i comandi di porto costituiscono le unità costiere di guardia; d) le unità navali e gli aeromobili del servizio di guardia costiera del Corpo delle capitanerie di porto, appositamente allestiti, costituiscono le unità di soccorso marittimo.. 22. Ivi, p. 146. 23. Ora denominato “Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti”. 24. BERNARDIS M. (2010), “Tutela dei diritti dei migranti in mare”, Diritto.it, in https://www.diritto.it/tutela-. dei-diritti-dei-migranti-in-mare/ consultato nell’aprile 2020 25. art. 3 del D.P.R. 662 del 1994. 25.

(31) Per gli organismi citati, in piena sinergia con le prescrizioni del Codice della navigazione26, sono definiti27 i compiti seguenti:. •. il comando generale del corpo delle capitanerie di porto, quale centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo (i.m.r.c.c.), assicura l’organizzazione generale dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio, coordina le operazioni di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare e tiene contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri stati.. •. le direzioni marittime, quali centri secondari di soccorso marittimo (m.r.s.c.), assicurano il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio, secondo le direttive specifiche o le deleghe del centro nazionale (i.m.r.c.c.) nel proprio settore, individuato dalle acque marittime di interesse nazionale ed internazionale che si estendono in profondità dalla linea di costa delle rispettive giurisdizioni, così come specificato all’articolo 6 e riportato nella rappresentazione grafica allegata al presente regolamento di cui fa parte integrante.. •. i comandi di porto, quali unità costiere di guardia (u.c.g.), dispongono l’intervento delle unità di soccorso marittimo da essi dipendenti dislocate nella loro giurisdizione e ne mantengono il controllo operativo, salvo che l’i.m.r.c.c. disponga diversamente.. •. le unità di soccorso marittimo intervengono nelle operazioni di soccorso secondo le pianificazioni delle unità costiere di guardia, redatte e disposte dai centri secondari di soccorso marittimo (m.r.s.c.) per l’impiego di mezzi disponibili nelle aree di propria giurisdizione.. 26. in tal senso, si vedano gli artt. 69 e 70. 27. art. 4 del D.P.R. 662 del 1994. 26.

(32) L’area S.A.R. d'interesse per l’Italia, notificata all’I.M.O., si estende per circa 500.000 chilometri quadrati. Essa è frammentata in 15 sub-aree di giurisdizione che corrispondono ai 15 sottocentri di soccorso (M.R.S.C.) da cui dipendono le U.C.G. (Unità Costiere di Guardia).. Area S.A.R. di competenza italiana. 27.

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