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Attuazione dell’obbligo di prestare soccorso in mare nel Mediterraneo

A partire dal 1950, i flussi migratori sono stati contraddistinti dalla nota della globalità: sono notevolmente aumentate il numero e la varietà delle nazioni sia di partenza che di approdo.28

Gli ordini di ragioni (c.d. push factors) che muovono una simile quantità di persone sono principalmente: guerre civili e internazionali, persecuzioni o discriminazioni, cause economiche.29 I copiosi flussi migratori, di cui le coste meridionali dell’Europa sono state

testimoni, hanno fatto emergere le problematiche connesse all’attuazione dell’obbligo di prestare soccorso in mare. Le divergenze più significate hanno riguardato: la definizione del concetto di “distress”, la delimitazione delle regioni SAR, la nozione di “place of safety”.

La Convenzione SAR definisce30 “fase di pericolo” quella “situazione nella quale si

può ritenere che una nave o una persona è minacciata da un grave ed imminente pericolo e che ha bisogno di soccorso immediato”. Nonostante la formulazione normativa sia ampiamente adoperata negli strumenti internazionali, l’interpretazione spesso discordante tra i centri nazionali di coordinamento del soccorso ha determinato tragiche conseguenze. Caso emblematico è stato quello salito alla ribalta della cronaca come “Left to die”31. Nel

marzo del 2011, settantadue persone che tentavano di raggiungere l’isola di Lampedusa dalla Libia, a bordo di una piccola imbarcazione, furono lasciate alla deriva per quindici giorni all’interno di un’area marittima ampiamente sorvegliata dalla Nato nell’ambito delle operazioni militari contro la Libia. Nonostante fosse stato allertato il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo italiano e quest’ultimo avesse diramato la richiesta di soccorso anche alle autorità maltesi, i migranti non furono tratti in salvo ed i superstiti furono

28 DUSI P. (2000, p. 16), “Flussi migratori e problematiche di vita sociale. Verso una pedagogia

dell'intercultura”, Vita e Pensiero

29 BENVENUTI P. (2008, p. 226), “Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali”, Il Sirente 30 Cap. 1.3.11 Convenzione SAR

31 HELLER C., PEZZANI L. (2017), “Liquid Traces: Investigating the Deaths of Migrants at the EU’s

soltanto nove. Da questo e da altri eventi che testimoniano la violenza del regime di confine, è nata “WatchTheMed”32, una piattaforma di monitoraggio transnazionale delle violazioni

dei diritti dei migranti in mare. Nei fatti appena analizzati, l’inerzia dei governi italiano e maltese fu giustificata negando la circostanza che l’imbarcazione fosse alla deriva, poiché i motori erano ancora in funzione. Tale contingenza escluderebbe lo “stato di pericolo” così come prospettato dalla Convenzione SAR.33 Questa lettura è stata disconosciuta, oltre che

da numerosi Stati, anche dal Relatore speciale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa34: la circostanza che i motori siano ancora in funzione non è condizione sufficiente

ad escludere la sussistenza di una situazione di grave e imminente pericolo. Al contrario, nella più recente prassi, le imbarcazioni dedite al trasporto di migranti irregolari sarebbero oggettivamente in una situazione di pericolo.

Altre controversie rilevanti hanno avuto ad oggetto le delimitazioni delle regioni SAR e l’accertamento del corrispondente obbligo di effettuare l’intervento di ricerca e soccorso. Se il concetto stesso di SAR è stato definito dalla Convenzione di Amburgo del 1979, gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo hanno proceduto a spartirsi le rispettive zone solo vent’anni più tardi35, con la Conferenza dell’IMO tenuta a Valencia.36 Tale intesa

è stata propedeutica alla conclusione di accordi bilaterali e regionali; i primi in assoluto sono stati stipulati proprio dall’Italia con altri Stati rivieraschi dell’Adriatico37, al fine di

incrementare la sicurezza della navigazione e garantire una celere risposta a situazioni di emergenza. I centri sono autorizzati a sottoscrivere intese dirette per garantire il coordinamento delle operazioni poste in essere nelle rispettive acqua territoriali. Ad essi è, inoltre, consentito di rilasciare permessi alle unità di salvataggio dell’altra parte contraente,

32 Piattaforma accessibile su https://watchthemed.net/, consultata nell’aprile 2020

33 Si veda la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa adottata il 29.03.2012, “Lives

Lost in the Mediterranean Sea”, in particolare i parr. 70 – 71, in https://assembly.coe.int/CommitteeDocs/2012/20120329_mig_RPT.EN.pdf consultato nell’aprile 2020

34 Ibidem, par. 72

35 STANCANELLI E. (2019), “Venne alla spiaggia un assassino”, La nave di Teseo

36 Il “General Agreement on a Provisional SAR Plan” è stato adottato durante la Conferenza di Valencia nel 1997

su richiesta di quest’ultima, per l’ammissione alle operazioni di ricerca e salvataggio definita dai rispettivi memorandum d’intesa, ovvero per l’attraversamento del confine di Stato. Ulteriori strumenti per rafforzare la collaborazione sono anche il periodico scambio di informazioni e l’organizzazione di riunioni tra rappresentanti degli Stati contraenti.38 Pare

opportuno rilevare che, a fronte delle previsioni contenute negli accordi cui si è accennato, restano fermi gli obblighi discendenti dalla UNCLOS. Nonostante i molteplici strumenti internazionali posti in essere, forte opacità permane ancora in riferimento alle zone SAR di Malta, Libia e Italia. Malta non ha mai sottoscritto alcune modifiche alla Convenzione di Amburgo e SOLAS introdotte nel 2004; tali norme prevedono che lo sbarco abbia luogo nel Paese che ha coordinato i soccorsi e, in dette zone, questi sono sempre stati gestiti dall’Italia. Malta, inoltre, ha dichiarato unilateralmente la propria zona di ricerca e soccorso39, area non

riconosciuta dalle autorità marittime internazionali.40 Data l’assenza di un accordo di

cooperazione tra Malta e Italia e le limitate capacità di intervento dello Stato più piccolo dell’Unione Europea, il nostro Paese continua ad adoperarsi in operazioni di salvataggio nella zona SAR maltese. In essa, Malta continua a sottrarsi all’obbligo di intervento in violazione della regolamentazione IMO41, adducendo carenze di mezzi e di personale

adeguato. Anche la situazione libica concorre a tratteggiare un quadro problematico. Nel 2017 la Marina militare libica ha annunciato l’istituzione di una zona di ricerca e salvataggio ai sensi della Convenzione SAR, di cui la Libia è parte dal 2005.42 Lo Stato ha diffidato tutte

le navi straniere dall’effettuare operazioni di soccorso all’interno della propria zona di competenza43 che, tuttavia, non sarebbe ancora stata confermata dall’Organizzazione

38 op. cit. BENVENUTI P. (p. 87)

39 Malta rivendica una zona di vastissima estensione coincidente con la “Flight information Region (FIR)”, comprendente anche spazi relativi alle acque territoriali italiane e tunisine

40 AMATO MANGIAMELI A. C., DANIELE L., DI SIMONE M. R., TURCO BULGHERINI E. (2019, p. 144), “Immigrazione marginalizzazione integrazione”, Giappichelli Editore

41 Le già citate IMO Resolutions Msc. 167(78) del 20.05.2004

42 RONZITTI N., SCISO E. (2018, p. 204), “I conflitti in Siria e Libia. Possibili equilibri e le sfide al diritto

internazionale”, Giappichelli Editore

Marittima Internazionale.44 Dunque, sebbene l’estensione della zona SAR libica abbia messo

fine ad una situazione di incertezza che si protraeva da tempo, la procedura resta connotata da una forte anomalia: non è stato tenuto conto della normativa internazionale che prescrive la determinazione delle zone di ricerca e salvataggio attraverso accordi con gli Stati limitrofi e frontalieri. Anche altre aree del Mediterraneo continuano a non sono esenti da forti criticità nella definizione delle rispettive zone SAR: si pensi a Grecia e Turchia.45

Altro profilo problematico riguarda l’interpretazione di place of safety (cfr. 2.2). Tale divergenza si prospetta nuovamente nei rapporti tra Italia e Malta.46 La prima ritiene che per

luogo sicuro s’intenda un porto compreso nell’area SAR ove ha avuto luogo il salvataggio e, dunque, un porto maltese qualora il salvataggio avvenga nella zona corrispondente. Contrariamente, Malta asserisce che il place of safety sia individuabile alla stregua del principio di “contiguity” geografica: sarebbe il porto più vicino rispetto agli interventi di soccorso. A riprova di ciò, le autorità maltesi hanno sempre negato l’ingresso nei porti a navi militari italiane e mercantili in transito con a bordo migranti salvati nella sua zona SAR. L’individuazione di un luogo sicuro presso cui condurre gli individui soccorsi è ancora più rilevante qualora essi assumano lo status di rifugiati o richiedenti asilo. In tale circostanza, il principio di non refoulement merita un opportuno approfondimento (cap. 4).

44 Sul punto si veda l’articolo dell’Huffington Post (2017), “La Marina libica riduce il raggio d'azione alle

Ong straniere. Divieto di operare nella zona Search and Rescue", in

https://www.huffingtonpost.it/2017/08/10/la-marina-libica-riduce-il-raggio-dazione-alle-ong-straniere- d_a_23073848/, consultato nell’aprile 2020

45 CALIGIURI A. (2001, p. 223), “Lo status giuridico del Mare Egeo tra rivendicazioni nazionali e diritto

internazionale”, in La Comunità internazionale, Editoriale Scientifica, in https://u-

pad.unimc.it/retrieve/handle/11393/37195/324/articolo%20Egeo.pdf consultato nell’aprile 2020

46 op. cit. AMATO MANGIAMELI A. C., DANIELE L., DI SIMONE M. R., TURCO BULGHERINI E. (p. 144)

2.5 La responsabilità degli Stati per la violazione degli obblighi