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Sharing Economy e Crowdfunding: il caso StarsUp

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

Sharing Economy e Crowdfunding:

il caso StarsUp

Relatore

Chiar.mo Prof. Guidi Marco Enrico Luigi

Candidata

Castellana Egle

(2)

INDICE

INDICE DELLE FIGURE ... 4

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO 1 La Sharing Economy ... 9

1.1 Definizione ... 9

1.2 Nascita del fenomeno ... 10

1.2.1 Fattori Economici ... 11

1.2.2 Fattori tecnologici ... 12

1.2.3 Fattori Sociali e Ambientali ... 12

1.3 Caratteristiche ... 14

1.4 Vantaggi e rischi legati alla condivisione ... 17

1.4.1 Benefici ... 17

1.4.2 Svantaggi ... 19

1.5 Tipologie di SE: focus sul Crowdfunding ... 21

1.6 La SE in Italia... 23

1.6.1 La proposta di legge ... 24

1.6.2 La ricerca sulle piattaforme di SE ... 26

1.7 Dati statistici internazionali ... 30

CAPITOLO 2 Il Crowdfunding ... 34

2.1 Definizione ... 34

2.2 Motivazioni alla base della nascita del fenomeno ... 36

2.3 Tipologie di Crowdfunding ... 37

2.3.1 Donation-based ... 38

2.3.2 Reward-based ... 39

2.3.3 Lending-based ... 40

2.3.4 Equity-based ... 41

2.4 Vantaggi e Svantaggi dell’adozione del Crowdfunding ... 44

2.4.1 Vantaggi ... 44

2.4.2 Svantaggi ... 45

2.5 Gli attori del crowdfunding: focus sulle piattaforme ... 48

2.5.1 Il proponente ... 48

2.5.2 La piattaforma... 49

2.5.3 I Crowdfunder ... 51

2.5.4 Il progetto ... 52

(3)

CAPITOLO 3 Disciplina normativa dell’Equity Crowdfunding e i numeri sul

fenomeno………. ... 55

3.1 La normativa D.L. 179/2012 ... 55

3.1.1 La Legge 211/2012 ... 56

3.2 Il regolamento Consob ... 60

3.2.1 La nuova regolamentazione Consob ... 64

3.3 Le criticità della normativa ... 64

3.4 La normativa nel mondo ... 66

3.4.1 Gli Stati Uniti ... 66

3.4.2 L’Unione Europea ... 67

3.5 I numeri del fenomeno ... 69

3.5.1 Nel mondo ... 69

3.5.3 In Italia ... 73

CAPITOLO 4 IL CASO AZIENDALE: STARS-UP ... 77

4.1 Presentazione della piattaforma ... 77

4.1.1 La struttura organizzativa del portale ... 79

4.1.2 I numeri ... 79

4.2 Descrizione della piattaforma ... 81

4.3 Informazioni per gli investitori ... 83

4.4 Informazioni sulla creazione di una campagna di crowdfunding ... 90

4.5 Il caso di maggior successo: Safeway Helmets Srl ... 95

4.6 Critiche e riflessioni: intervista al team StarsUp ... 99

4.7 Confronto con la piattaforma Unicaseed: differenze ed analogie ... 103

CONCLUSIONI ... 106

BIBLIOGRAFIA ... 108

(4)

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1 Modello della Sharing Economy ... 10

Figura 2 Mancanza di fiducia come barriera alla condivisione ... 21

Figura 3 Piattaforme divise per settori ... 27

Figura 4 Andamento del numero di piattaforme ... 28

Figura 5 Numero di utenti mensili nelle piattaforme ... 28

Figura 6 Riepilogo dell’adozione della Sharing Economy in Italia ... 29

Figura 7 Percentuali sugli utilizzatori della Sharing Economy ... 31

Figura 8 The Sharing Economy life-cycle ... 32

Figura 9 The rise of Sharing Economy ... 32

Figura 10 Caratteristiche sintetiche dei modelli ... 38

Figura 11 “Quale soluzione fa per te?” Il miglior modello di Crowdfunding per ogni esigenza. ... 43

Figura 12 Tassi di crescita e volume d’affari per ciascuna tipologia. ... 44

Figura 13 How Much Do Crowdfunding Platforms Charge? ... 51

Figura 14 Classificazione modelli su due variabili ... 53

Figura 15 Andamento di crescita delle piattaforme nel mondo. ... 69

Figura 16 Percentuale di crescita e volume raccolto nel mondo. ... 70

Figura 17 Numero delle piattaforme attive in Europa. ... 71

Figura 18 Volume raccolto in Europa. ... 72

Figura 19 Grafico della crescita del Crowdfunding con e senza la Gran Bretagna ... 73

Figura 20 Grafico su anno di nascita e registrazione alla Consob in Italia... 74

Figura 21 Dati sulle campagne di Crowdfunding in Italia ... 75

Figura 22 Dati della piattaforma StarsUp ... 80

Figura 23 Fasi per una campagna di Crowdfuning ... 81

Figura 24 Iter per diventare un investitore ... 84

Figura 25 Offerte attive sul portale di StarsUp ... 86

Figura 26 Iter per la creazione di una campagna di Crowdfunding ... 94

(5)
(6)

INTRODUZIONE

La rivoluzione più importante avvenuta negli ultimi decenni, è stata quella digitale. Questa, ha fatto cambiare totalmente il modo di comunicare tra individui ed impresa, creando nuove opportunità di business e modificando il mercato, che presenta oggi, stakeholders con bisogni diversi dal mercato tradizionale. Per tal motivo, in questo lavoro, ho ritenuto utile affrontare i nuovi fenomeni, che si stanno diffondendo in scala mondiale, al fine di conoscere le caratteristiche, i benefici che offrono, ma anche i rischi che li accompagnano.

L’analisi condotta inizia affrontando a livello macro il fenomeno della Sharing Economy, per poi andare nello specifico di una delle sue tipologie: il

Crowdfunding. L’elaborato si conclude con un caso specifico di piattaforma di Crowdfunding: StarsUp, il primo portale di raccolta fondi iscritto al Registro

Consob.

La rivista americana "The Times" ha definito la Sharing Economy come “una delle dieci idee che cambieranno il mondo, sancendo in tal modo l'entrata in scena ufficiale del fenomeno e il suo peso in ambito socio-economico”. Essa può semplicemente essere definita come “un nuovo modello economico che parte dai reali bisogni dei consumatori, capace di far fronte alle sfide della crisi e di promuovere forme di consumo più consapevoli, basate sul riuso anziché sull’acquisto e sull’accesso invece che sulla proprietà”.

Il primo capitolo, dopo aver descritto in maniera generale il fenomeno, analizza accuratamente i fattori che hanno influenzato la nascita e la diffusione della Sharing Economy in tutto il mondo, con un focus sull’Italia, dai fattori economici a quelli sociali passando per quelli tecnologici. Vengono messi in luce e sottoposti ad un’accurata valutazione i vantaggi e gli svantaggi legati al fenomeno ed infine vengono descritte ed esaminate le diverse tipologie di Sharing Economy. Quest’ultimo paragrafo sarà solo introduttivo al secondo capitolo che tratterà, in maniera più approfondita, il Crowdfunding.

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A quasi un decennio dallo scoppio dell’ultima crisi finanziaria, che ha colpito tutto il globo, gli effetti sono ancora ben visibili in moltissime realtà, compresa la nostra. Il “credit crunch” messo in atto da tutti gli enti creditizi, non permette ancora a tutte le imprese di poter accedere a prestiti per poter realizzare nuovi investimenti; per tal motivo inizia a svilupparsi il Crowdfunding.

Esso si propone come un nuovo mezzo per reperire fondi, che provengono “dal basso”, da piccoli investitori, non necessariamente professionali, i quali contribuiscono a finanziare progetti sia di piccole che di medie imprese. Il termine, letteralmente tradotto dall’inglese significa “finanziamento della folla”. Nell’elaborato sono state dettagliatamente trattate le quattro tipologie di

Crowdfunding: donation based, reward based, lending based ed equity based,

oltre che alcune forme ibride contenenti caratteristiche combinate di esse.

L’analisi ha preso in esame, in particolar modo, l’equity based Crowdfunding, in quanto presenta alcune caratteristiche peculiari, utili a comprendere a pieno il fenomeno.

L’obiettivo dell’elaborato non è solo quello di comprendere il fenomeno ma anche quello di procedere ad un’analisi da un punto di vista legislativo. Se i promotori del fenomeno sono stati gli Stati Uniti D’America, il primato per la regolamentazione lo detiene l’Italia. Il nostro Paese è stato il primo che ha capito l’importanza di disciplinare il Crowdfunding, regolamentando il modello

equity-crowdfunding, emanando il Decreto Legge 18 ottobre 2012 n.179 (Decreto

Crescita bis) convertito in Legge n.221 del 17 dicembre 2012, e successivamente con il Regolamento Consob di cui alla delibera n.18592 del 26 giugno 2013, all’ interno di esso dall’art. 25 all’art 32 Il Decreto sopracitato affronta le tematiche legate al Crowdfunding e alla sua gestione, incaricando la Consob di redigere un regolamento ad hoc che disciplini questo nuovo mezzo di raccolta fondi.

Oltre ad una panoramica legislativa generale, che vede il confronto normativo italiano con gli Usa e i Paesi dell’Europa, ho trovato essenziale supportare l’analisi con dei peculiari dati statistici, utili alla comprensione del fenomeno, ponendo attenzioni alle aree del globo con maggior interesse e propensione al

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La parte conclusiva del lavoro entra ancora di più nello specifico, osservando e approfondendo il caso della prima piattaforma italiana regolamentata: StarsUp. Matteo Piras, fondatore della piattaforma esordisce affermando: «Inizia una nuova era di fare impresa», definendo il Crowdfunding lo strumento di vera rivoluzione in tale ambito. Sono state analizzate le peculiarità e le modalità operative con cui StarsUp interagisce con gli investitori e le start up emittenti. Particolare attenzione è stata data all’iter per accedere al portale e tutto ciò che la piattaforma si impegna a fare nei confronti delle società emittenti, garantendo trasparenza e chiarezza agli utenti. Nel capitolo finale viene presentato un caso di successo della piattaforma, Safeway Helmets Srl, la quale ha raggiunto il suo obiettivo massimo di raccolta nella campagna. Saranno inoltre analizzate le differenze ed analogie con un'altra piattaforma, Unicaseed, accompagnate da alcune riflessioni a delle problematiche che StarsUp, ha riscontrato in questi anni.

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CAPITOLO 1

La Sharing Economy

1.1 Definizione

Fornire una definizione specifica di Sharing Economy (SE) risulta complesso in virtù delle difficoltà legate alla rappresentazione di fenomeni di così vasta portata, inerenti settori molto diversi e che producono effetti che si riflettono su molteplici ambiti (Murphy, 2016).

L’impatto provocato dalla SE è stato analizzato dalla rivista americana "The Times" definendo il fenomeno come una delle dieci idee che cambieranno il mondo sancendo in tal modo l'entrata in scena ufficiale del fenomeno e il suo peso in ambito socio-economico.1

Il principio di condivisione non è nuovo, a differenza del concetto di SE che risulta essere ancora un fenomeno innovativo (Sinclair, 2016), di portata globale a cui prendono parte milioni di persone.

“La SE si propone come un nuovo modello economico che parte dai reali bisogni dei consumatori, capace di far fronte alle sfide della crisi e di promuovere forme di consumo più consapevoli, basate sul riuso anziché sull’acquisto e sull’accesso invece che sulla proprietà”.2

Il termine SE include i concetti di “consumo collaborativo”, “economia dei pari e non (peer-to-peer e business-to-peer)”, “economia collaborativa” ed “economia dell’accesso” ciascuno dei quali ha un ruolo nella effettiva normazione della Sharing Economy. Il minimo comune denominatore dei sopracitati temi è quello della condivisione di risorse, competenze o servizi, al fine di sfruttarle al meglio prevedendo o meno una compensazione monetaria (Murphy, 2016).

1 http://content.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,2059521_2059717_2059710,00. html 2 https://it.wikipedia.org/wiki/Sharing_economy

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Un potenziale modello economico basato sulla SE fa riferimento al concetto di “rete” fondandosi sulle potenzialità di connessione delle persone, attraverso l’utilizzo di internet e delle tecnologie digitali. La rete in questa ottica unisce utenti che condividono fra loro beni e servizi, ove l’incremento della rete stessa conduce ad un miglioramento dell’offerta e alla sua ottimizzazione (Gansky, 2012).

In tale contesto entrano in gioco due elementi chiave:

- L’ideazione di piattaforme d’incontro tra i vari attori del network di scambio;

- la progettazione di un sistema informativo che sappia sfruttare i vantaggi delle tecnologie mobile, del web e dei social network.

Figura 1 Modello della Sharing Economy

Fonte: http://bmtoolbox.net/patterns/sharing-economy/

1.2

Nascita del fenomeno

Il concetto di condivisione di un bene, di un servizio ma soprattutto di competenze, risale ad epoche antiche; già in epoca medievale un esempio era

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fornito dalle corporazioni di arti e mestieri ove i professionisti mettevano a disposizione le proprie competenze al fine di ottimizzare i servizi specialistici (Murphy, 2016).

Il fine della SE è quello di realizzare un’economia sostenibile che si concentri sullo sviluppo di strutture comuni e condivise, incoraggiando individui estranei a condividere risorse in eccesso (Slee,2015).

Il fenomeno della Sharing Economy ha iniziato a sviluppare le proprie radici negli anni '90, ha avuto una grandissima crescita in particolare negli ultimi 5 anni e sembra sia destinato a una continua crescita. Secondo alcune statistiche il valore del mercato generato dalla Sharing Economy si attesterà intorno ai 335 miliardi di dollari nel 2025 continuando ad espandersi geograficamente.3

I fattori che hanno influito sulla nascita della SE sono sicuramente 4: economici, tecnologici, sociali e ambientali.

1.2.1 Fattori Economici

a) La ripresa e l’innovatività della moderna SE è sicuramente figlia dell'avvento e diffusione di Internet, oltre che della crisi economica mondiale esplosa nel 2008, che ha messo nelle condizioni di ricercare nuovi modelli a supporto di un contesto economico debole (Mainieri, 2013). Le problematiche del nostro sistema economico da un lato hanno fatto emergere ancor di più le debolezze della nostra economia e dall’altro hanno offerto opportunità di cambiamento a tutti i livelli della nostra società, spingendo a trovare modelli più sostenibili ed equi.

b) La monetizzazione delle risorse inutilizzate è sicuramente un fattore determinante perché condividendo le risorse è possibile creare un valore

3

www.mckinsey.com/business-functions/strategy-and-corporate-finance/our-insights/how-the-sharing-economycan-make-its-case

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aggiunto determinando un conseguente profitto, in quanto alcune risorse rimangono inutilizzate.

c) La SE con la globalizzazione e la comunicazione nel mondo ha permesso agli individui di usufruire di risorse fino a quel momento inaccessibili che prima non potevano permettersi e soddisfare quindi i desideri e i bisogni dei consumatori.

1.2.2 Fattori tecnologici

a) Il successo della SE è sicuramente correlato ad Internet ed al Web 2.0. I sistemi di comunicazione si sono evoluti, la nuova tecnologia ha portato alla creazione di network, relazioni e transazioni che hanno agevolato la comunicazione. Gli utenti possono interagire, scambiarsi informazioni, dialogare in tempo reale in qualsiasi parte del mondo (John, 2011).

b) L’aumento dei dispositivi mobili come smartphone e tablet ha portato alla crescente richiesta di servizi tramite applicazioni. L’economia condivisa ha quindi dovuto provvedere a fronteggiare la domanda con l’utilizzo di dispositivi sempre più ricercati e sofisticati attraverso i quali è possibile usufruire di una moltitudine di servizi, controllare la disponibilità dei prodotti oltre il loro prezzo e la loro localizzazione.

c) L’evolvere dei sistemi di pagamento e fatturazione ha supportato il modello della SE, in quanto oggi la maggior parte dei pagamenti avviene virtualmente, perché risultano essere più veloci e garantiscono lo scambio tra individui divisi da chilometri di distanza.4

1.2.3 Fattori Sociali e Ambientali

A seguito della crisi sopradescritta, a cui si aggiunge il tasso di disoccupazione che ha caratterizzato gli anni in oggetto, si è assistito a un

4

Business Innovation Observatory, The Sharing Economy: Accessibility Based Business Models for Peer-to-Peer Markets, 2013, p. 12

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parziale cambiamento della mentalità del consumatore. Il sistema di valori che promuove l'individualismo, tipico della mentalità capitalista, sta lasciando sempre più spazio a valori differenti, dando sempre più importanza alla riduzione degli sprechi, alla condivisione di uno stesso bene e alla riduzione dell’importanza della proprietà materiale del singolo individuo (Viba, 2014). Inoltre il consumatore è sempre più sensibile a tematiche ambientali, etiche e di sostenibilità. Numerose piattaforme di SE sono state sviluppate in un’ottica “green” e promuovono il principio della condivisione come una soluzione sostenibile per ridurre pratiche inquinanti o lo spreco o inutilizzo di risorse (Owyang, 2013).

Il Dibattito

E’ di ardua impresa individuare quali dei fattori per lo sviluppo della moderna SE giochino un ruolo maggiore e quali un ruolo minore, ma è senza dubbio vero che ognuno di essi ha e ha avuto un peso fondamentale per lo sviluppo della moderna SE.

Vi sono numerose teorie che cercano di analizzare e delineare come si sia sviluppata la SE. La domanda che la letteratura quindi formula è: “si tratta di un fenomeno nuovo o è sempre esistito?”

Il tema è stato ampiamente discusso durante il seminario “Meridian 180 forum” nel 2014 presso la Cornell University of Law. Di seguito un breve excursus delle idee che sono state formulate e illustrate al seminario.

Alcuni studiosi della Northwestern University School of Law hanno spiegato come lo sviluppo sia conseguenza di un’avversione verso i modelli di consumo e quindi di una sorta di forma di ribellione contro l’eccessivo utilizzo della pubblicità nel promuovere le risorse.

Altri ricercatori hanno visto il nuovo fenomeno come un modello alternativo al concetto di proprietà, poiché la SE consente a tutti gli individui di abbattere il proprio consumo.

Altri ancora credono che la SE sia solo "una naturale estensione emergente da Internet."

(14)

Henry Hu, professore dell’università di economia e finanza di Shanghai ha esposto come la sharing economy sia nata come conseguenza della pirateria online e della diffusione di software piratati.

Christopher Kelty, dell’università di Los Angeles in California, sottolinea che l’economia di condivisione è sempre esistita attraversando le sue fasi di crescita. Nei primi anni Novanta con le “comunità virtuali” e i software open source, per poi passare per la “peer production” e approdare alla vera e propria SE con il web 1.0. Quella che conosciamo adesso nel XXI secolo è la sharing economy appartenente alla nascita del Web 2.0.

Alla base di tutte le teorie possiamo trovare un minimo comun denominatore: il trend è positivo. Dal 2008 vi è stato un incremento esponenziale di ricerche e discussioni in materia di economia della condivisione (Chung, 2014)

1.3 Caratteristiche

Le principali caratteristiche di questa nuova economia sono:

1. Condivisione: si intende l’utilizzo comune di una risorsa, intesa come profilo distinto dalle forme tradizionali di reciprocità, redistribuzione e scambio. 
La condivisione è intrinseca alla fiducia: questo aspetto chiave è necessario per tessere relazioni che perdurino nel tempo sia tra individui sia verso la reputazione nei confronti di un marchio, di un’impresa, di un prodotto di un servizio. Essa diventa fondamentale in un contesto di incertezza in cui vi è una asimmetria informativa da parte di un soggetto. La fiducia che si viene a instaurare nelle relazioni umane è basata su elementi personali e culturali e non può essere quantificata, a differenza della reputazione on-line. Si cerca di darne una quantificazione numerica attraverso indici di gradimento e dati sulle dinamiche del comportamento d’acquisto. In passato, il mezzo più utilizzato era senz’altro la pubblicità e le informazioni divulgate dall’impresa; queste ponevano la base per un

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rapporto di fiducia e fedeltà del consumatore. Oggi, con l’introduzione della tecnologia digitale, la fiducia risiede nel passaparola, cioè la condivisione di opinioni e commenti su siti internet dedicati o blog. Con l’aumento dei sistemi tecnologici, viene meno la trasmissione della fiducia tramite la pubblicità diffusa dall’impresa. (Garkifinkel, 2004) Con l’avvento della sharing economy la reputazione e la propensione alla collaborazione sono correlate alla fiducia che l’utente avverte nell’utilizzo delle piattaforme web.

2. La relazione che avviene tra gli individui e le organizzazioni è di tipo

peer-to-peer: la condivisione avviene tra persone (o organizzazioni), a

livello orizzontale e al di fuori di logiche professionali, con una caduta dei confini tra finanziatore, produttore e consumatore.

3. Concetto chiave della SE è l'empowering. I servizi, le piattaforme e ogni forma di consumo collaborativo sono ideate e realizzate dagli stessi consumatori. Essi non sono più passivi, ma assumono un ruolo centrale, uscendo dalla dimensione individuale per abbracciare una visione di condivisione di valori ed informazioni utili alla comunità.

4. La Sharing Economy è direttamente correlata a forme di consumo più sostenibili e questo perché la condivisione minimizza gli sprechi e gli inutilizzi sia a livello individuale che aziendale, che di base utilizzano la Corporate Social Responsibility per perseguire livelli di sostenibilità ambientale maggiori e nell’ultimo decennio anche i principi del business della SE.

La Sharing economy è un esempio dell’applicazione della regola delle 5 R: Ridistribuzione, Riduzione, Riciclo, Riuso, Riparazione. (Kopnina, 2015). Il possesso viene sostituito dall’accesso, si cerca di prolungare la vita utile della risorsa riducendo gli impatti ambientali, migliorando le dinamiche sociali ed economiche, così da ottimizzare e preservare le risorse anche per le generazioni presenti e future (Hamari, 2015).

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Come beneficio preponderante si delinea sicuramente quello economico, che prevale in un primo momento su quello ambientale. Ma il secondo è strettamente proporzionale al primo. Eliminando gli sprechi, l’inquinamento, anche il beneficio economico sarà maggiore. Affinché si realizzino benefici significativi, l’obiettivo è quello di ridurre l’impatto ambientale nel lungo termine, facendo sì che i comportamenti orientati alla logica green entrino negli usi degli individui. (Mont, 2014)

5. Gli scambi avvengono tramite una piattaforma tecnologica che supporta relazioni digitali; la distanza geografica è abbattuta e si cerca sempre più di costruire virtualmente la fiducia tra gli interlocutori attraverso forme di reputazione digitale.

L’evoluzione storica delle piattaforme è composta da quattro fasi principali. Le prime piattaforme comparvero in modo casuale spontaneo e includevano attività “come prestare una macchina a un amico, condividere gli ortaggi del proprio giardino o prestare del “Chianti” al proprio vicino di casa per una festa.” (Janelle, 2012)

La seconda fase vede le piattaforme acquisire un aspetto più formale, ma ancora basate su fini personali. Esse permettevano agli individui, che avevano già delle relazioni, di fare accordi più formali, “per esempio condividere la macchina con altri lavoratori oppure organizzare una sorta di asilo nido a rotazione all’interno di un quartiere.” (Slee, 2015).

Le piattaforme di terza generazione assomigliano alle attività commerciali. “Esse creano vere proprie organizzazioni in grado di perdurare nel tempo all’interno di una comunità. Un esempio tipico sono i vicini e le cooperative alimentari.” (Janelle, 2012)

Infine le piattaforme moderne, quelle che nascono in corrispondenza degli anni della crisi economica del 2008, assomigliano ancora di più alle attività economiche. Esse mettono in comunicazione milioni di utenti, si inseriscono all’interno della comunità di una regione o di una città con la cooperazione di

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differenti stakeholders e creando una partnership con governi locali. I maggiori esempi sono:

-The Hub a Londra: uno dei primi servizi di lavoro condiviso in termini di spazi e di risorse, il cosiddetto coworking;

-Airbnb a San Francisco: per condividere una stanza del proprio appartamento; -Taskrabbit, piattaforma che fornisce l'opportunità di contatto a chi ha necessità di svolgere dei piccoli lavori manuali e chi ha la possibilità di soddisfare tale domanda;

-Landshare chi ha un terreno può farlo coltivare a chi ne ha tempo e desiderio.

1.4

Vantaggi e rischi legati alla condivisione

Come tutti i fenomeni innovativi anche la SE presenta benefici e rischi legati all’applicazione di questo nuovo modello economico.

1.4.1 Benefici

Le motivazioni che spingono l’utilizzatore a prediligere la SE rispetto al modello tradizionale sono molteplici e possono essere suddivise in benefici razionali ed emozionali. Nella prima categoria rientrano i benefici economici, ambientali, nei secondi la generosità, il senso di comunità e un’alternativa di consumo intelligente e sostenibile.

a) Benefici personali e sociali

Le piattaforme di SE diventano un mezzo per la soddisfazione di socializzazione e di appartenenza. Fa sì che si istaurino relazioni tra individui anche sconosciuti, aumentando così il network di contatti. Nascono relazioni basate sulla fiducia tra utenti di ogni parte del mondo, abbattendo la distanza territoriale e cercando di arrivare al soddisfacimento del bisogno di socialità. Nel famoso testo "A Theory of Human Motivation" di Abraham Maslow nel 1943 vengono classificati i 5

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bisogni dell’uomo in una piramide: alla base troviamo i bisogni fisiologici, di sicurezza, appartenenza, stima e autorealizzazione. (Ferrero, 2015). La SE soddisfa parte di questi bisogni, che sono una guida importante per capire di cosa ha bisogno il consumatore. Alcune piattaforme quali Airbn o Enjoy, soddisfano i bisogni primari (di alloggio o trasporto), altre aiutano ad appagare i bisogni che occupano i vertici della piramide con l’instaurazione di relazioni. I vantaggi sociali che derivano dall’utilizzo dell’economia condivisa sono quindi essenziali sia per il singolo consumatore sia per l’impresa erogatrice di beni e servizi.

b) Reputazione ed influenze sociali

Per reputazione si intende una sorta di ricompensa personale che deriva da un’interazione tra individui. Essa diventa necessaria ed estremamente importante quando si creano transazioni tramite l’utilizzo di internet. Ogni utente la costruisce con l’intento di essere considerato più affidabile e virtuoso per ottenere vantaggi all’accesso di prodotti o servizi condivisi. Ogni azione è sottoposta a un controllo da parte degli altri membri che, lasciando feedback e commenti la possono danneggiare o incrementare, essa influenza l’accesso alle forme di SE perché il pagamento avviene tramite il web e quindi il livello di fiducia e reputazione è essenziale.

c) Benefici economici

L’aspetto che emerge sicuramente più evidente dell’applicazione della SE è il beneficio economico che si contrappone a quello che si otterrebbe in assenza dell’economia della condivisione. L’ottica del consumatore è quella di ottenere il miglior beneficio, col minor dispendio, minimizzando i costi, riducendo il tempo di ricerca di informazioni e valutazione delle alternative. (Foglio, 2008). Le cinque fasi che portano il consumatore ad acquistare il bene o servizio con la SE vengono meno. È possibile per l’utilizzatore godere di beni costosi, senza dovere investire denaro e tempo

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nella ricerca delle alternative. Dall’altra parte, colui che mette a disposizione il bene può giovare di un ritorno economico derivante dalla condivisione di questo.

Molte applicazioni, per esempio airBnB, consentono all’utente di visionare lo storico del credito accumulato e di assegnare premi economici derivante dal coinvolgimento di terzi (“amici”) alla piattaforma. Questo incentiva senza dubbio il consumatore a prendere parte all’economia di condivisione, il quale può addirittura trasformare un hobby in un’entrata monetaria extra oppure in un vero e proprio lavoro ben remunerato.

Si può quindi concludere che la SE ha notevolmente modificato la struttura delle organizzazioni, i rapporti di lavoro e le modalità di approvvigionamento di beni o servizi da parte del consumatore.

La SE è stata capace di creare una rete che mettesse in contatto un numero ampio di individui valorizzando le relazioni e realizzando vantaggi reciproci. Ha ridotto sensibilmente gli sprechi e i danni all’ambiente rendendo l’economia della condivisione più sostenibile.

1.4.2 Svantaggi

La SE presenta anche alcune criticità; di seguito vengono descritti i punti che suscitano maggiore perplessità riguardanti molteplici problematiche da quelle di tipo economico a quelle legali ed etiche.

a) Problemi legali

La criticità maggiore che quotidianamente la sharing economy deve considerare è l’assenza normativa che si traduce in un’incertezza in materia di privacy, garanzia di standard minimi qualitativi, in materia fiscale ed altri. Mancando un assetto normativo ben preciso gli utenti all’interno delle piattaforme possono agire senza delle linee guida

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andando a ledere l’interesse del consumatore. Anche in materia di responsabilità non è stato ancora ben chiarito come ci si debba comportare.

b) Problemi etico-sociali

La professoressa dell’università di Boston, Juliet Schor, in un suo studio, ha notato che non ci sono prove l’economia collaborativa sia più rispettosa di quella tradizionale nei confronti dell’ambiente, per esempio il car sharing secondo la sociologa ha portato il consumatore a prediligere l’utilizzo della macchina piuttosto che un mezzo pubblico, facendo sì che aumentassero le emissioni di anidride carbonica. (Schor, 2014).

c) Problemi economici

Se da un lato l’impatto economico dell’adozione dell’economia di condivisione ha prodotto extra redditi e minori costi dall’altro ha generato una diminuzione dei livelli di produzione e conseguentemente di occupazione. Il consumatore scegliendo la sharing economy preferisce condividere piuttosto che acquistare.

d) Problemi individuali

Ultimo punto, ma non per importanza, sono i problemi legati al singolo individuo. Soprattutto nella nostra società è impensabile immaginare che individui posseggano pochi beni e condividano il resto con altri soggetti. Varie indagini rivelano il grado di incertezza che molte persone hanno nel condividere un proprio bene, in particolare la paura di cedere qualcosa a individui sconosciuti e il timore di trovare rovinato qualcosa dato in prestito.

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Figura 2 Mancanza di fiducia come barriera alla condivisione

Fonte:www.cmithun.com/national_study_quantifies_reality_of_the_sharing_economy_moveme nt-2

1.5

Tipologie di SE: focus sul Crowdfunding

Gli studiosi R. Botsman e Rogers R. nel loro testo “What's Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption” sostengono che le realtà collaborative si possano suddividere in tre diversi gruppi:

1) Sistemi prodotto servizio (Product Service Systems, PSS). Questi sistemi sono utili in quanto i consumatori stanno convergendo verso una logica del cosiddetto “usage mindset”, ovvero la teoria che afferma che l’individuo è più disposto a pagare saltuariamente l’accesso a un bene piuttosto che detenerne il pieno possesso. L’accesso al servizio o bene è gestito da un’azienda o da un pari che mette a disposizione i propri assets, i quali possono essere ceduti a titolo gratuito, tramite pagamento o scambio. I vantaggi che il consumatore trae dall’economia di condivisione è l’assenza di pagamento immediato a fronte all’acquisto della risorse, l’assenza degli oneri legati al possesso di un bene (manutenzione, riparazioni, assicurazioni, ecc.), e l’ampia gamma di opzioni tra cui scegliere, configurando spesso il servizio richiesto. Dall’altra parte il

(22)

beneficio che il fornitore riceve è senz’altro la disposizione di nuove fonti di reddito senza dover effettuare nuovi investimenti, ma semplicemente mettendo nel mercato una risorsa in suo possesso. Le categorie di PSS sono due: gli usage PSS sono posseduti da privati o azienda e vengono messi a disposizione da più utenti; gli extended-life PSS invece pongono l’attenzione sull’ampliamento della vita utile del prodotto, attraverso dei servizi post vendite.

2) Mercati redistributivi (Redistribution Market): sono mercati in cui si riesce ad allocare le risorse in modi più efficienti perché lo scambio avviene istantaneamente tramite le piattaforme digitali e i social network. Il pagamento all’interno di questo mercato è vario; si passa dallo scambio gratuito alla remunerazione in denaro o in “punti” riutilizzabili.

3) Stili di vita collaborativi (Collaborative Lifestyles): esso si identifica come un modo di vivere a tutti gli effetti. Vengono condivisi asset intangibili come tempo, spazio, competenze e denaro. Gli individui con passioni, bisogni o interessi possono quindi voler comunicare con altri e condividere i propri asset con altri, permettendo quindi la trasmissione di capacità che non sarebbero valorizzate. Il principio fondante della SE è l’individuo che sente l’esigenza di far parte di una community, interagire e scambiare diventa il proprio “credo” contornato ovviamente da un alto livello di fiducia reciproca poiché l’oggetto di scambio è proprio l’interazione.

La SE si può manifestare in svariate forme, sicuramente pionieri di questo sviluppo sono i paesi anglosassoni, che hanno dato sempre un valore importante all’economia di condivisione.

Tra le possibili configurazione della SE troviamo:

-Trasporti: dalla condivisione di auto, aeri privati, barche o camper. La più utilizzata è sicuramente il car sharing, tramite un’applicazione si può condividere il proprio percorso con altri utenti iscritti nella piattaforma e condividere il

(23)

tragitto a costi meno elevati degli ordinari mezzi. Altre applicazioni consentono il noleggio temporaneo di veicoli all’interno dell’area gestita dell’applicazione, abbattendo quelli che sono i costi di proprietà e manutenzione di un mezzo di trasporto. Tra gli esempi più emergenti e importanti nella realtà italiana troviamo Car2go, Enjoy, Sharengo, Mobike e molte altre.

-House sharing: è la condivisione della propria abitazione o di uno spazio di essa che può avvenire a titolo gratuito, tramite uno scambio o mediante un pagamento telematico gestito attraverso la piattaforma.

-Crowdfunding: è indubbiamente la forma di SE più complessa e al contempo più particolare. Nasce come forma di micro finanziamento tra individui, successivamente si trasforma in una vera e propria forma di finanziamento di progetti imprenditoriali e creativi più efficiente e rapida. Vi sono svariate configurazione di Crowdfundig, esso sarà trattato nei prossimi capitoli in dettaglio.

1.6

La SE in Italia

A livello Mondiale la condivisione è un tema già radicato da decenni della cultura dell’individuo. Per quanto riguarda la SE, basti pensare che le prime piattaforme come le conosciamo noi prendevano piede in America già nel 2005. In Italia, come molti fenomeni estremamente innovativi e sconvolgenti per i nostri valori culturali, hanno iniziato a presentarsi sicuramente in anni più recenti. Per questo risulta arduo poter calcolare l’impatto che il fenomeno ha avuto nel nostro paese. Indice da considerare per esaminare lo sviluppo è senz’altro l’incremento registrato del numero di piattaforme web.

Molti esempi di eccellenza di piattaforme di SE sono italiane, ma nonostante questo il fenomeno è del tutto contenuto rispetto al resto del mondo. Tra le problematiche presenti nella nostra penisola è certamente la mancanza di una direzione unitaria proveniente dall’alto che sostenga, indirizzi e promuova la SE con investimenti ed incentivi. Questo ha portato a isolare le realtà piuttosto che fare aumentare la collaborazione per la crescita e lo sviluppo.

(24)

In questo senso, anche da un punto di vista normativo, le lacune sono evidenti. A livello nazionale solo nel 2016 si è aperto un dibattito legislativo in merito alla SE che ha portato a una proposta di legge di seguito descritta.

1.6.1 La proposta di legge

Il 27 gennaio 2016 è stata presentata presso la Camera dei deputati la proposta di legge relativa all’economia della condivisione. Una legge che ha l’obiettivo quello di disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione.5

La proposta prevede principalmente:

l’obbligo di iscrizione ad un registro degli operatori attraverso cui rendere chiare le condizioni contrattuali;

il controllo dell’Agcom per tutelare tutte le parti coinvolte;

la denominazione del reddito percepito da attività di sharing economy come “reddito da attività di economia della condivisione non

professionale”, a cui applicare un’imposta del 10% per redditi che non

superino i diecimila euro.6

Il tema della SE è comunque ormai entrato in varie sedi di dibattito, suscitando grande interesse nella comunità come dimostrato dalla crescente organizzazione di eventi sul tema. Uno degli appuntamenti principali sull’argomento è certamente l’evento annuale, Shareitaly, giunta ormai alla 4° edizione, ove sono affrontati vari temi riguardanti la SE con l’obiettivo di argomentare sul tema, cercando di realizzare un progetto che fornisca informazioni più chiare in merito e creando un progetto che dia informazioni più chiare e che riesca a compensare le carenze normative sul fenomeno.

5

http://www.camera.it/leg17/126?tab=2&leg=17&idDocumento=3564&sede=&tipo 6

(25)

Il congresso è organizzato e curato dall’associazione Collaboriamo7e da Trailab8 dell’università Cattolica di Milano.

All’ultimo incontro, tenutosi a Milano del 15 novembre 2016, hanno preso parte la luminare italiana della SE Marta Mainieri, scrittrice del libro Collaboriamo!, e Ivana Pais dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Nelle due giornate congressuali si è evidenziato come prosegue la crescita della SE in Italia, anche se con una minor enfasi rispetto agli anni passati.

Le ricerche delle due organizzazioni hanno mostrato il numero di piattaforme italiane, comprese quelle estere con sede nel nostro paese. Esse sono cresciute del 10% rispetto al 2015, numericamente si contano 206 piattaforme, di cui 68 sono quelle di Crowdfunding, rispetto alle 186 riscontrare nel 2015.

Il mercato dell’economia collaborativa si sta allargando verso i servizi alle imprese e alle persone, cultura e trasporti. Appare evidente dall’incontro che la sharing economy stia facendo il suo ingresso in un numero sempre più elevato di settori differenti: dalla casa ai trasporti, dal turismo al welfare, fino alla finanza, alla mobilità, alla cultura, al lavoro e alla scienza.

“Quello che stiamo osservando è che i processi collaborativi si stanno diffondendo con velocità e maturità differenti nei diversi mercati”, afferma Marta Mainieri di Collaboriamo. “A partire dai settori più consolidati come il turismo e i trasporti, si sta verificando un progressivo allargamento della sharing economy

7

Collaboriamo si occupa di sharing economy offrendo contenuti, studi, formazione e consulenza a startup, aziende e amministrazioni pubbliche che vogliano conoscere e approfondire le opportunità offerte dall’economia della collaborazione, progettare un nuovo servizio o sviluppare partnership con le piattaforme esistenti.

8

TRAILab (Transformative Actions Interdisciplinary Laboratory) è un laboratorio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore orientato alla co-produzione di conoscenza a elevato impatto sociale.

(26)

verso nuove aree potenziali di business, che includono servizi alle imprese e alle persone, ma anche finanzia, cultura, abitare collaborativo ecc..”9

Ivana Pais prosegue aggiungendo che “L’economia collaborativa non è un settore o un modello di business, è un approccio che mette in discussione i rapporti consolidati tra economia e società”.10

“In questo momento le piattaforme italiane sono ancora immature, ma mostrano una forte attenzione alla dimensione relazionale. E le nostre ricerche hanno permesso di indagare le specificità dei casi di successo, dove l’utilizzo delle piattaforme rafforza il capitale sociale degli utenti”.11

Mainieri continua commentando che “le piattaforme di sharing economy italiane sono ancora molto giovani, la maggior parte ha poco più di due anni di vita”.12

L’offerta è notevolmente cresciuta, ma ci sono ancora grandi margini di sviluppo per quanto riguarda la domanda.

1.6.2 La ricerca sulle piattaforme di SE

La ricerca delle mappature delle piattaforme di SE italiane, condotta da Collaboriamo.org con il supporto di Phd Italia e coordinata della studiosa Marta Mainieri, mostra come il fenomeno sia in continuo aumento e sviluppo. Ogni anno aggiornano i dati in merito alle piattaforme a seguito del convegno Shareitaly.

L’indagine viene fatta su un campione di 118 piattaforme suddivise in 11 settori rilevanti. Dal grafico (Figura 1.3) sottostante possiamo notare come vi sia stato un incremento in quasi tutti i settori dal 2015 al 2016, in particolare in quello del trasporto, dei servizi alle imprese e dei servizi alle persone. Il turismo invece ha avuto un andamento differente rimanendo invariato dal 2014.

9 http://sharitaly.com/sharitaly2016/sharitaly-2016-ancora-crescita-la-sharing-economy-italia/ 10 Id.9 11 Id.9 12 Id.9

(27)

Figura 3 Piattaforme divise per settori

Fonte: Mappature delle piattaforme di SE italiane condotta da Collaboriamo.org con il supporto di Phd Italia.

Le piattaforme di SE cominciano a comparire intorno al 2006, ma il picco di sviluppo maggiore si è verificato a partire dal 2009 con il picco massimo nel 2013. Oggi lo sviluppo è senza dubbio più contenuto, ma comunque costante. Il fenomeno è fortemente localizzato nel Nord Italia ove sono presenti il 70% delle piattaforme, la cui sede principale è Milano.

(28)

Figura 4 Andamento del numero di piattaforme

Fonte: Mappature delle piattaforme di SE italiane condotta da Collaboriamo.org con il supporto di Phd Italia.

Nel grafico sottostante sono riportati alcuni valori correlati alle piattaforme analizzate da cui si evince che:

l’80% delle piattaforme non raggiunge ancora i 30.000 utenti perché ancora relativamente giovani;

il 20% delle piattaforme invece ha un numero di membri superiore a 30.000 utenti fra questi il 4% delle piattaforme possiede più di 100.000 utenti e il 7% più di 500.000.

Figura 5 Numero di utenti mensili nelle piattaforme

Fonte: Mappature delle piattaforme di SE italiane condotta da Collaboriamo.org con il supporto di Phd Italia.

Mentre il numero delle piattaforme è rimasto costante nell’ultimo biennio,i dati relativi al numero di utenti mensili sono in continuo aumento rispetto agli anni precedenti.

Questi dati hanno fatto emergere importanti temi economici e sociali, inducendo i più illustri letterati a discutere sui cambiamenti nel modo di lavorare, di produrre, di fruire e di offrire prodotti servizi, ma anche sul cambiamento dei valori delle relazioni sociali e della fiducia negli scambi economici.

(29)

L’università degli Studi di Pavia ha condotto una ricerca delegata da PHD Italia la quale mostra che il giro d’affari della SE si aggira attorno ai 3,5 miliardi di euro e prevede che nel 2025 si potrà arrivare a 25 miliardi di euro, questa proiezione assume un valore rilevante in quanto il ruolo dell’economia di condivisone si fa sempre più parte dello stili di vita dei consumatori.

Figura 6 Riepilogo dell’adozione della Sharing Economy in Italia Fonte: Università degli studi di Pavia.

Una problematica per lo sviluppo della SE è il ritardo italiano, rispetto ad altri paesi europei, nel processo di digitalizzazione. L’indice DESI13

nel 2016 posizione il nostro paese al 25esimo posto tra le 28 nazioni dell’Unione Europea

13

Il DESI è “l'indice di digitalizzazione dell'economia e della società”, esso è uno strumento online che valuta i progressi degli Stati membri dell'UE verso un'economia e una società digitali.

(30)

1.7

Dati statistici internazionali

Nel resto del mondo il fenomeno della SE ha avuto uno sviluppo molto più precoce rispetto che in Italia.

Il 51% delle piattaforme ha un numero di utenti inferiore a 5mila, ma l’11% registra oltre 100mila utenze. Anche le piattaforme di crowdfunding registrano un andamento simile: il 49% ha un numero di donatori inferiore a 500, e il 9% supera i 50mila.

La ricerca di PWC14 pubblicata nel 2015 esamina quali sono i maggiori vantaggi derivanti dall’adozione della SE.

86 percento dei consumatori dichiara che il beneficio più grande sia il risparmio dei costi;

68 percento la realizzazione di comunità e relazioni;

43 percento il superamento degli oneri derivanti dalla proprietà.

Le fasce d’età più presenti nell’economia condivisa sono quelle tra i 25 e 34 e 35 ai 44. Tra questi i maggior utilizzatori sono quelli con un reddito annuo tra i 25000 e 49999 dollari.

14

The Sharing Economy. Consumer Intelligence Series [online]. Disponibile su https://www.pwc.com/us/en/technology/publications/assets/pwc-consumer-intelligence-series-the-sharing-economy.pdf

(31)

Figura 7 Percentuali sugli utilizzatori della Sharing Economy

Fonte: PwC Analysis 2015

I dati presi in esame mostrano come il modello di Sharing Economy attiri un complesso di individui abbastanza eterogeneo sia per età e classi sociali sia per quanto riguarda il consumatore utilizzatore del servizio sia per il prestatore stesso.

Spesso colui che eroga il servizio è anche utilizzatore della stessa piattaforma questo perché l’economia di condivisione si focalizza sulla collaborazione e reciprocità delle prestazioni.

Le diverse tipologie di SE analizzate nella ricerca sono state inserite in un grafico che mostra le fasi del ciclo di vita delle diverse forme di economie condivise. Nella prima fase troviamo quelle di nicchia, piattaforme che sono meno conosciute o che preferiscono un pubblico minore, poi ci sono quelle di “sfondamento” sono coloro che irrompono nel mercato in modo significativo e sono destinate a crescere, arrivando alla terza fase, e a normalizzarsi. La quarta fase è quella della maturità, vi sono presenti le piattaforme che sono ben entrate nel mercato, che sono risultate più attrattive e utili e che vivono esclusivamente di rendita. L’ultima fase è del declino o rinascita, le piattaforme possono prendere queste due direzioni a causa di molteplici fattori, dal settore in

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mutamento alla cattiva gestione, a una controtendenza da parte degli utilizzatori. Il prestatore di servizi deve anticipare il cambiamento e agire preventivamente per cambiare il suo prodotto o servizio onde evitare il declino.

Figura 8 The Sharing Economy life-cycle

Fonte: PwC Analysis 2015.

Figura 9 The rise of Sharing Economy Fonte: Nielsen, Statista Mashable.

(33)

Nella ricerca di Nielsen si mettono a confronto le 5 aree continentali rispetto a due dimensioni: la propensione a condividere i propri assets con altri e la disponibilità a condividere quelli degli altri delle comunità. Le percentuali mostrano un andamento constante tra le due situazioni, ciò che si può ben notare è come i paesi emergenti siano più disposti a condividere rispetto ai paesi dell’ Europa e del Nord America.15

15

(34)

CAPITOLO 2

Il Crowdfunding

2.1

Definizione

L’enciclopedia Treccani definisce il crowdfunding come una “raccolta collettiva e collaborativa di fondi, effettuata attraverso la rete, aperta a tutti coloro che decidono di finanziare progetti innovativi e imprese appena costituite” (Treccani16).

Per comprendere appieno il significato della parola è doveroso e necessario analizzare e studiare la sua etimologia. Il termine deriva dell’inglese e si compone da due parole: “crowd” che significa “folla, massa” e funding “raccolta di fondi, finanziamento” (Ibidem).

La traduzione letteraria di crowdfunding è quindi “finanziamento (che parte) dalla folla”, intendendo dire che è il finanziamento da parte di alcuni soggetti interessati a investire il proprio denaro per sostenere la realizzazione di un progetto o obiettivo nella cui gestione non si è necessariamente coinvolti. Tra i progetti chiavi vi sono: progetti creativi, start-up, progetti imprenditoriali, campagne di beneficenza, aiuti umanitari e sostegno al patrimonio artistico.

Questa definizione è quella più generale del fenomeno, ma nella letteratura vi sono moltissimi altri aspetti oltre quello della raccolta di capitali. Il Framework for European Crowdfunding, nella sua definizione, focalizza la sua attenzione sul fenomeno antropologico, sociale ed economico che si è venuto a creare perché coinvolge un numero ampio di individui che creano una rete unendo le proprie risorse finanziarie. Il crowdfunding si inserisce all’interno di un fenomeno più ampio, ossia il crowdsourcing. È “la raccolta di contributi da parte di molti individui per raggiungere un obiettivo”17. Jeff Howe, in un suo articolo18, utilizza per la prima volta questo termine con la seguente accezione. Infatti questa parola

16

http://www.treccani.it/vocabolario/crowdfunding_%28Neologismi%29/ 17

Rosenberg T., Crowdsourcing a Better World, in “The New York Times”, 28 Marzo 2011 18

(35)

è l’unione di: Crowd, Source che significa fonte/sorgente ed Outsourcing, esso è un processo di esternalizzazione di un’attività al di fuori della propria organizzazione per raggiungere standard qualitativi più alti, eliminare fasi produttive particolarmente costose o per una mancanza di know-how interno.

Il crowdsourcing diventa quindi un modello di business nel quale un organizzazione affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto ad una pluralità di soggetti attraverso una open call, cioè una “chiamata aperta”, un’offerta pubblica a cui gli utenti tramite il web possono prendere parte.

Vi sono numerosi esempi di crowdsourcing. Tra i più noti ricordiamo:

-Linux è un sistema operativo nel quale a ogni utente viene inviato un “codice sorgente” che gli permette di apportare modifiche al sistema.

-eBbay è una piattaforma nella quale gli utenti iscritti possono vendere o comprare prodotti usati e nuovi.

-Google è un noto motore di ricerca, che è alimentato dalla condivisione delle informazioni.

Il crowdfunding è quindi un’iniziativa promossa alla comunità, che pur non conoscendosi condividono una passione o scopo simile. Essa si effettua tramite la rete e per questa ragione deve essere rappresentata da un elevato dettaglio informativo riguardante le finalità e le modalità del progetto.

I social media quali Facebook, Twitter, Linkedin permettono di accelerare la realizzazione dei progetti grazie alla rapida ed efficiente condivisione di informazioni, ma il merito o l’insuccesso di un progetto deriva dalla “saggezza della folla” nell’appoggiarlo o meno (Castrataro, 2013)19

.

Per la stesura di questo capitolo sono stati utilizzati i dati di Massolution20, nota società di consulenza, ricerca in soluzioni di crowdsourcing e crowdfunding per le imprese private, pubbliche e sociali.

19

Castrataro D., Wright T., Bahr I., Frinolli C., Crowdfuture - The Future of Crowdfunding, 2013

20

(36)

2.2

Motivazioni alla base della nascita del fenomeno

Il crowdfunding è uno strumento di finanziamento di massa relativamente nuovo, che si è sviluppato e diffuso nell’ultimo decennio.

La sua nascita avviene negli Stati Uniti d’America per poi diffondersi nei paesi anglosassoni e in un secondo tempo in tutto il mondo, facendosi spazio soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

La nascita del fenomeno è conseguente allo sviluppo dei primi siti web, dove avvengono raccolte on-line soprattutto per il settore musicale. L’esempio più significativo si è verificato nel 1997, quando il gruppo musicale Marillion ottenne 60 mila dollari per finanziare il proprio tour negli Stati Uniti. Nel 2000 con l’avvento di web 2.0 internet è diventato più accessibile permettendo un maggior sviluppo del crowdfunding.

Il modello come oggi è conosciuto ha iniziato a prendere piede nel 2008 a seguito della crisi finanziaria, divenendo un attrattivo strumento finanziario in tutti i sensi, in particolare per le organizzazioni con gravi condizioni economiche o per finanziare progetti innovativi. Proprio in questi anni compaiono sul web le piattaforme IndieGoGo e Kickstarter che proponevano una raccolta fondi per imprenditori con idee creative che non avevano accesso al mercato finanziario tradizionale.

Possiamo concludere individuando quelli che sono i diversi fattori che hanno portato all’ascesa del crowdfunding21

.

Il principale motivo è sicuramente la crisi economica nel 2008, che ha coinvolto tutto il mondo, spingendo le imprese a trovare differenti modi di finanziamento più convenienti, cercando di ottenere una maggior fiducia rispetto ai sistemi tradizionali.

Un elemento che si collega al primo, in particolare alla fiducia necessaria per un sistema di finanziamento, è la trasparenza di questo strumento; infatti le

21

COMMISSIONE DI STUDIO UNGDCEC FINANZA, Start-up innovative e i nuovi strumenti di sviluppo e crescita: il crowdfunding, 2016

(37)

transazioni avvengono sul web e attraverso il meccanismo dei feedback è possibile per ogni fruitore della piattaforma formulare un giudizio, immediatamente visibile, che sarà certamente discriminante per la scelta o meno di altri investitori. Le recensioni diventano così ancora più fondamentali rispetto ad altri modelli di finanziamento. Anche per questo motivo, all’interno delle piattaforme l’azienda che chiede il finanziamento deve descrivere in modo chiaro, trasparente ed efficace gli obiettivi e i fini del proprio operato. La piattaforma viene creata per fornire la massima trasparenza ed è possibile visionare le somme versate e da vedere chi sono state versate. Questo consente ai potenziali investitori di abbattere le asimmetrie informative che spesso sono presenti nelle forme tradizionali di finanziamento. Il successo delle piattaforme è proporzionalmente correlato alla trasparenza e a quanti più feedback positivi le stesse ricevono. Un ulteriore fattore imprescindibile è lo sviluppo di internet e dei social network, che hanno abbattuto le barriere geografiche e hanno permesso la visualizzazione e condivisione di informazioni a una rete vastissima di individui, cosa molto difficile in passato e comunque prima della diffusione e rivoluzione del web, che questo contesto mostra ampiamente la propria potenza.

2.3

Tipologie di Crowdfunding

Il crowdfunding viene suddiviso in quattro categorie a seconda della natura dello scambio e del tipo di ritorni che viene corrisposto ai finanziatori. La società Massolution individua 4 modelli principali. Accanto a questi però è possibile identificare altre forme, ibride, che presentano più di una caratteristica con i modelli seguenti:

donation-based; reward-based; lending-based; equity-based.

(38)

Figura 10 Caratteristiche sintetiche dei modelli

Fonte: Baeck P. & Collins L., Working the crowd: A short guide to crowdfunding and how it

can work for you, NESTA 2013

2.3.1 Donation-based

Il modello donation-based è considerato la prima forma di crowdfunding.Tramite questo è possibile fare donazioni per supportare alcune cause o iniziative, senza però aver alcun tipo di ritorno economico. Lo spirito che spinge i donatori è spesso quello della beneficenza, è un’offerta libera che spesso aiuta le popolazioni del terzo mondo o persone disabili. I fondi raccolti sono utili per finanziare progetti musicali, cinematografici e d’arte.

Il progetto più noto è stata la prima campagna elettorale di Barack Obama, che nel 2008 è stata finanziata con il crowdfunding di questo modello.

Il Massolution Report, nel 2014 stima che il donation-based abbia registrato una crescita costante del 45% e abbia totalizzato circa 1,94 milioni di dollari transati. Esempi delle piattaforme più importanti sono:

59

ricorre all’equity crowdfunding, si può pensare di presentare e far firmare ai propri investitori questo tipo di documento legale.

3.2.3 La scelta del modello

Come esposto precedentemente (V. par. 1.2) ci sono diversi modelli di crowdfunding. Il promotore, in base al progetto da realizzare, deve scegliere la modalità più idonea.

Tabella 7 Caratteristiche modelli

Tipo di contributo Tipo di ritorno Motivazione del finanziatore Donation

Crowdfunding

Donazione Benefici intangibili Motivazioni sociali e

intrinseche Reward Crowdfunding Donazione / Pre-acquisto Ricompense ma anche benefici intangibili Combinazione tra motivazioni intrinseche e sociali e desiderio di ricompense Lending Crowdfunding

Prestito Rimborso del prestito

con interessi. In alcuni casi senza interessi

Combinazione di motivazioni intrinseche, sociali e finanziarie Equity Crowdfunding Investimento Ritorno dell'investimento nel tempo solo se l'azienda va bene. Qualche volta offerte anche

ricompense. Benefici intangibili un altro fattore per molti investitori Combinazione di motivazioni intrinseche, sociali e finanziarie Fonte: NESTA57 57

Baeck P. & Collins L. (2013), Working the crowd: A short guide to crowdfunding and how it can work for you, n.d, n.d.

(39)

- GoFundMe: piattaforma dove si può fare semplicemente una donazione senza un determinato scopo e vincolo di tempo, oppure si può scegliere dei progetti specifici in cambio di un regalo simbolico;

- Rete del Dono: piattaforma italiana utile per donazioni online a favore di utilità sociali. Per rendere un’idea della portata della piattaforma, si riporta che nel solo 2015 la raccolta è stata di 900 mila euro.

2.3.2 Reward-based

Il reward-based, che letteralmente significa “basato sulla ricompensa”, è un sistema di raccolta di finanziamenti ottenuti sfruttando internet ove per ogni finanziamento viene corrisposta una controprestazione o un riconoscimento come un oggetto realizzato mediante i capitali raccolti, lo sconto per l’acquisto di un prodotto oppure altri premi più complessi. Raramente il reward-based è di tipo finanziario.

Il primo esempio di questa forma di crowdfunding si è osservato nel 1880, attraverso un annuncio pubblicato su The World, Pulitzer. L’articolo promuoveva una raccolta di denaro per la costruzione della statua della libertà che raggiunse la cifra di 10.000 dollari, che venne impiegata per completare il basamento22. Questo modello spesso può essere confuso con il donation-based, in quanto anche tale sistema può corrispondere una ricompensa simbolica, ma il reward prevede la filosofia “all or nothing”, se il progetto non raggiunge l’obiettivo prefissato allora il finanziamento ritorna al donatore.

Questo modello è particolarmente utilizzato da imprenditori di start-up, per finanziare progetti creativi, organizzare tournée o mostre.

Tra le piattaforme più importanti di reward-based crowdfunding ricordiamo Kickstarter.

Esse possono essere distinte in due sottogruppi: “All or Nothing” e “Take It All”.

22

AA.VV. (2013), Incentivi per favorire la quotazione delle pmi sui mercati internazionali e in Italia. Opportunità e proposte, FrancoAngeli, Milano, pag. 20

(40)

Le prime, dal significato “tutto o niente”, prevedono che la somma debba essere raggiunta in un lasso di tempo determinato prima che avvenga la transazione. L’importo da raggiungere e la sua crescita sono visibilei a tutti, per garantire trasparenza e incentivare la donazione. Nel caso in cui non si raggiunga la somma richiesta, i contributi torneranno ai crowdfunder e potranno essere investiti in altri progetti, che necessitano di una cifra limitata.

La seconda modalità consiste sempre nella raccolta, ma qui i contributi vengono accreditati progressivamente anche se non si raggiunge l’obiettivo finale. Infatti i progetti indipendentemente dal raggiungimento o meno possono essere attuati. I progetti di tipo reward-based hanno fatto registrare nel 2014 un tasso di crescita dell' 84% rispetto al 2013, con 1.33 miliardi di dollari di volumi transati.

2.3.3 Lending-based

Questo tipo di modello consiste nella raccolta di denaro che verrà erogato sotto forma di prestito a fronte di un corrispettivo finanziario. È una forma alternativa di credito bancario, con tassi d’interesse ovviamente inferiori rispetto ai tradizionali finanziamenti. Come tutte le tipologie di crowdfunding, lo scambio avviene tramite il web.

Vi sono tre sotto modelli: - modello micro-lending;

- peer-to-peer (P2P) o prestito tra privati; - peer-to-business (P2B) o prestito per aziende.

Il primo modello prevede la fornitura di servizi finanziari a clienti che non hanno l’accesso ai servizi bancari perché con bassi redditi o poco solventi. Il denaro raccolto viene completamente gestito da un intermediario locale. La piattaforma più famosa è Kiva, che ha moltissimi partner (“Field Partner”) in 61 paesi, che provvedono a erogare il credito ai richiedenti. Al termine della scadenza contrattuale, il beneficiario dovrà restituire il prestito con il relativo tasso d’interesse applicato e trattenuto dal Field Partner. Questi ultimi invieranno la

(41)

somma a Kiva che la riaccrediterà sul contro del finanziatore, senza però alcun interesse.

Il secondo modello peer-to-peer lending (P2P) consiste nella creazione di una community nelle quale non vi sono intermediari. «All’interno della comunità si crea in questo modo un mercato, nel quale i tassi correnti sono determinati solo e soltanto dall’incontro diretto tra domanda e offerta» 23

Zopa, è stata la prima piattaforma P2P, che ha facilitato lo scambio.

Un terzo modello è il peer-to-business (P2B) è simile al P2P con la differenza che i beneficiari sono piccole imprese in cerca di credito per finanziare le proprie attività, perché godono di vantaggi di minor costo sugli interessi. Funding Circle è la piattaforma più nota per il P2B.

Nel 2014 il lending-based presenta una crescita del 223% rispetto al 2013 e circa 11.08 miliardi di dollari transitati (pari al 68,4% della raccolta totale rispetto al 57% nel 2013).

2.3.4 Equity-based

Quest’ultimo modello è la forma di crowdfunding più recente e in continuo sviluppo. È la raccolta di capitale di rischio per finanziare un’impresa tramite una piattaforma, in questo modello gli investitori ricevono una quota di partecipazione nel capitale dell’impresa, diventando soci. I crowdfunder investono nelle imprese proponenti entrando a far parte del capitale sociale della società nella quale hanno posto fiducia. Questo strumento è particolarmente utile per le start-up o aziende dal profilo altamente innovativo che non vogliono appoggiarsi a fondi di private equity o business angel.

L’equity-based crowdfunding fa nascere un legame tra investitori e imprenditori che sono disposti a condividere i successi e gli insuccessi economici della propria società. Negli altri modelli c’è la condivisione solo dei principi, nell’equity-based

23

(42)

sono condivise altre informazioni quali l’obiettivi, la redditività non solo per l’imprenditore, ma soprattutto per i finanziatori che decidono di aderire.

Le principali caratteristiche dell’equity-based crowdfunding sono:

stabilire termini e condizioni dell’operazione, definire la quota di capitale da investire, il prezzo e le modalità per ricompensare gli investitori;

i costi da sostenere sono di solito rappresentati da una commissione di successo, costi legali o amministrativi, oltre a eventuali altri oneri per consulenza alla costituzione della società;

l’operazione consente di avere un gran numero di soci invece di pochi grandi investitori;

l’impresa deve dimostrare agli investitori che è matura per l’investimento, attraverso la presentazione di un business plan e di proiezioni finanziarie; si devono preventivamente stabilire i diritti degli investitori nella società

costituenda e la porzione di controllo da mantenere.

Infine ci sono dei modelli ibridi, in quanto hanno diverse caratteristiche appartenenti a più modelli, e a seconda dell’ammontare raccolto adottano un modello piuttosto che un altro. Coi finanziamenti di importo minore utilizzano il

donation-based, con quelli più rilevanti utilizzano l’equity-based e infine per i

finanziatori che sottoscrivono più quote si preferisce il reward-based24.

Di seguito un piccolo schema che sintetizza quale modello è più indicato a seconda delle esigenze dell’investitore e beneficiario.

24

(43)

Figura 11 “Quale soluzione fa per te?” Il miglior modello di Crowdfunding per ogni esigenza.

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