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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1435, 3 novembre

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L’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

inno XXVIII - Voi. f f l l l

Firenze, 3 M em bri 1 «

Ancora delle cose di Napoli

La Relazione pubblicata dalla Commissione d’ inchiesta sul Comune di Napoli è documento di tale importanza, che sarà lungo e ampio tema di commenti per tutta la stampa italiana. Come è naturale, a noi spetta occuparci più che altro della parte economica ; perciò verremo a un po’ alla volta analizzando le proposte che nella Relazione si trovano formulate, delle quali nel­ l’ultimo numero abbiamo dato un sunto molto

largo. . . ,

Ma prima di ciò ci sia lecito, per oggi sol- tanto, quasi per sgombrare il terreno dalle que­ stioni che meno ci riguardano, insistere su qual­ che nostro concetto intorno alla situazione in cui si trova Napoli nell’ imminenza delle nuove ele­ zioni amministrative.

Tre quesiti ci vien fatto di enunciare : Le elezioni arrivano in momento opportuno ? L ’ inchiesta dovrà dichiararsi terminata, o invece estendersi, dopo aver preso per oggetto il Co­ mune, anche ad altri Enti napoletani ?

Una qualsiasi ingerenza dello Stato, tanto raccomandata dagli uni, tanto avversata da altri, è necessaria si o no in alcune parti dell ammini­ strazione comunale di Napoli ?

* * *

Le elezioni sono indette per il IO corrente. Siamo dunque, come si dice, all uscio co sassi, e il corpo elettorale, come si rileva dai giornali napoletani, non si è trovato mai piu impreparato. È naturalissimo, del resto : la città è rimasta senza rappresentanti elettivi per un anno, e la Relazione della Commissione d’inchiesta, che col suo esame sull’opera degli ex amministratori del Comune ha prodotto così generale sbalordimento, non è stata resa di ragion pubblica fuorché da pochi giorni. Come possono gli elettori tutti averne piena cognizione, discuterla, orizzontarsi, affiatarsi, scegliere ponderatamente 1 candidati ?

Il Corriere di Napoli del 29 ottobre defini­ va non a torto, le prossime elezioni un salto nel buio ed incitava i senatori e i deputati napole­ tani a rendersi iniziatori T un movimento nella cittadinanza per rinviare ancora di qualche mese la ricomposizione del nuovo Consiglio.

« Si avrebbe cosi il tempo di concordare col Governo i provvedimenti che s’ impongono per la salvezza della città; mentre si andrebbe dissi­

pando la fitta nebbia che, specie dopo l’ inchie­ sta, avvolge la vita pubblica napoletana.

« La nuova amministrazione verrebbe ri- costituita a base di un programma definito e reso sicuro nella sua attuazione.

« L ’autorità giudiziaria da un canto, la pub­ blica opinione, bene illuminata e consapevole dall’ altro, avrebbero il modo di pronunziare 1’ ultima e decisiva parola intorno ad accuse che non sempre con piena e convincente prova, col­ pirono cose e presone. »

Benissimo detto, ma il Corriere, che adesso parla bene, si desta tardi. Perchè non si è tatto lui iniziatore di un tal movimento in tempo utile, cioè quando il tempo, nonché bastare, sovrabbondava ? Come mai quell’ accreditato periodico, che spesso (sarà prudenza e circospe­ zione da ammirare) nei momenti decisivi e di­ nanzi a situazioni gravi ma chiare, non dà nè in tinche nè in ceci, per suggerire il rinvio delle elezioni ha aspettato che i comizi elettorali siano già ufficialmente convocati?

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676 L ’ E C O N O M IS T A 8 novembre 1901 gli animi, non si sbrigano davvero in quattro e

quattr’otto. O’è anzi da.prevedere uno strascico largo e lungo come quello delle comete. » Esor­ tava perciò a pensare all’ inconveniente a cui non fu provveduto, mentre allora si poteva, e che ora si deplora, osservando : « Se vi saran­ no polemiche e anche processi, come già ne corre voce, se per conseguenza sulle responsa­ bilità degli antichi suoi amministratori la città non sarà ancora abbastanza illuminata, il Gover­ no non potrà proporre un’ altra legge di pro­ roga, perchè alla fine di ottobre e ai primi di novembre il Parlamento non è mai aperto. E allora ? » *)

Anche secondo la Perseveranza, il Governo avrebbe addirittura il dovere assoluto di sospen­ dere le elezioni fino a quando, almeno, non siano state compilate nuove liste elettorali. Dovere..,, in che senso ? Morale, supponiamo : legale no dicerto, chè anzi sarebbe una illegalità, bella e buona.

In verità, ci sentiamo perplessi nell’emettere una opinione. Da una parte 1’ accuratissima revi­ sione delle liste e il lasciare che i cittadini pos­ sano accingersi all’ opera elettorale cosciente­ mente, sarebbero una ragione imperiosa ; dal­ l’altra è un gran brutto esempio quello d’un atto arbitrario, sia pur provvido, in un momento e riguardo a una popolazione in cui si tratta di ri­ stabilire in tutta la sua austera purezza la scru­ polosa osservanza delle leggi.

Una delle due, forse : o seguir la via della legalità, fare che le elezioni si compiano, spe­ rando che i cittadini abbiano il buon senso di lasciare per questa volta da parte, per non sba­ gliare, tutti coloro che in passato furono ammi­ nistratori del Comune; o il Governo si prenda, se crede, 1’ arbitrio di prorogare ancora il regime straordinario, ma nel chiederne la sanatoria al Parlamento, gli presenti provvedimenti per Na­ poli così completi, così ben ponderati, così sicu­ ramente efficaci, da affidare che la complessa e gravissima questione resterà risoluta una buona volta e bene. Nessuno nega che alcune' pesanti responsabilità i Governi se le devano talvolta assumere, ma in pari tempo bisogna che la po­ stuma approvazione di certi atti di per sè stessi irregolari se la sappiano meritare.

Nel nostro parere, il Governo non se la me­ riterebbe abbastanza se, oltre al concretare op­ portuni provvedimenti per la città di Napoli, non si risolvesse senza troppo indugio ad estendere l’ inchiesta sino agli estremi confini delineati dal Regio Decreto 8 novembre 1900, che nominava la relativa Commissione.

Come è noto, per le indagini sulla Ammi­ nistrazione del Comune, il Decreto dava alla Commissione esplicito incarico; per quelle sulle altre Amministrazioni della città e della provin­ cia le dava facoltà pienissima, ma non obbligo. Compiuta questa prima e ponderosa parte di la­ voro che le incombeva, la Commissione, che avrebbe avuto il diritto di intraprendere quelle

t) Economista del 19 maggio 1901.

ulteriori, ha reputato ben fatto aspettare i cenni del Governo. Ora, a determinarlo in un senso piuttosto che in un altro, dovrebbe valere la voce dell’opinione pubblica dell’ Italia intera, che si è oramai manifestata in modo non dubbio.

Invero, non vi è oggi nessuno che vi si op­ ponga apertamente; ma copertamente vi deve essere di certo, se no non vedremmo il Governo temporeggiare. Or bene, questa indecisione biso­ gna che cessi. Tutto lo consiglia, anzi lo impone tutto !

In primo luogo, se il Decreto dette facoltà alla Commissione di estendere le sue indagini anche a tutte le altre amministrazioni di Napoli e della provincia, e perfino aggiunse a tutte le manifestazioni della vita pubblica in Napoli, non lo fece a caso. Vuol dire che i motivi che deter­ minarono l’ inchiesta sul Comune, fino da allora lo lasciavano intravedere probabilmente oppor­ tuna e necessaria anche su altri Enti.

In secondo luogo, è risaputo che fra tutte le faccende umane v’ è un nesso. Vera soluzione di continuità non v ’ è mai. È certo che nelle in­ dagini di qualsiasi specie non si può, di cosa in cosa, andare all’ infinito, che limiti ce ne voglion sempre e che a un certo punto bisogna fermarsi. Ma è anche innegabile che un nesso strettissimo e questa volta non scindibile, vi deve essere e v’ è tra le faccende di tutta una provincia, impor­ tante e popolosa, ma non vasta. D ’altronde le isti­ tuzioni si incarnano poi sempre in uomini; e la voce pubblica, che 1’ Inchiesta ha dimostrato es­ sere nel vero, accusa parecchi uomini che hanno ed ebbero ingerenze non nel Municipio soltanto.

In terzo luogo, la stessa Commissione Reale lascia intendere che forse avrebbe continuato il proprio lavoro, se il tempo non le fosse stato scarso per la voluminosa sua prima parte. Si legge infatti nel proemio della Relazione eh’ essa « non si è valsa della facoltà conferitale dallo art. 2 del R. Decreto, di estendere le sue inda­ gini alle Amministrazioni della provincia; e di due soli Comuni ha creduto doversi occupare, per la gravità dei mali denunciati e la urgenza di provvedere, i Comuni di Casoria e di Portici e le risultanze della inchiesta hanno, pur troppo, dimostrato che si trattava non di vaghe afferma­ zioni, ma di tristi realtà ! ». La voce pubblica, dunque, non sbaglia; ergo seguitare!

In quarto luogo, una parte della stampa na­ poletana chiede con insistenza il proseguimento dell’ inchiesta. _E quale parte? Non certo quella che fu ed è più o meno in connivenza coi col­ piti o con gli indiziati, ma quella che invocò l’ inchiesta, ebbe fiducia nei suoi procedimenti, difese la Commissione da attacchi troppo gros­ solani e violenti per non essere interessati. Que­ sta parte della stampa merita di essere molto ascoltata, giacché i risultati dell’inchiesta sul Comune le hanno data ragione piena, intera, sfolgorante.

In quinto luogo, si hanno alcune manifesta­ zioni isolate, se vuoisi, ma di significato notevole per le persone da cui provengono. Un paio di settimane fa, fu proprio un consigliere provin­ ciale quello, che presentò al Consiglio di cui fa parte la seguente mozione (non peranco discussa):

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gine sulíe pubbliche amministrazioni napoletane debba essere completa ed esauriente, nell’ inte­ resse del decoro e dell’ avvenire della città, fa voti al Governo perchè l’ inchiesta si estenda all’ amministrazione della Provincia e delle Ope­ re Pie ».

E per ultimo, è proprio questa volta il caso di non far le cose a mezzo, di far la campana tutta d’ un pezzo, di secondare l’ opinione pub­ blica già prevalente in tutta l’ Italia, che delle eterne questioni di Napoli — chiamiamo pane il pane — ha ormai piene le tasche; ma sopratutto di battere il ferro finché è caldo, cioè cercare sino in fondo la verità e tutta la verità mentre i cattivi sono ancora un po’ sbalorditi dai primi colpi, un po’ rianimati i buoni, un po’ scossi gli indifferenti e i neghittosi.

Concludendo, occorre ancora: inchiesta sul­ l’ Amministrazione Provinciale, inchiesta sulle Opere Pie, inchiesta su quei Comuni della pro­ vincia contro i quali vi siano denunzie d’ una certa gravità.

* * *

E ora veniamo all’ ingerenza dello Stato sulle cose del Comune di Napoli.

Il nostro articolo del 18 ottobre è stato og­ getto di quelche confutazione. Cominciamo dalla Propaganda. E’ superfluo dire che dal confra­ tello socialista siano lontani le mille miglia nel considerare certe finalità sociali e il modo di sciogliere i problemi economici. Ci è grato in­ vece dichiarargli che lo stimiamo, perchè fu pri­ mo a intraprendere una ardente, tenace e fin qui vittoriosa campagna contro i disonesti, i preva­ ricatori, i malversatori.

Esso dei resto è logico, se non vuole al­ cuna ingerenza dello Stato, dacché non ne vuole neppure il sussidio pecuniario, come risulta da un suo programma pel riordinamento finanziario del Comune di Napoli, che crediamo inattuabile e che forse esamineremo in altro momento. Sol­ tanto non ha bene interpretate le nostre parole, con 1’ attribuirci l ’ idea di porre il Comune sotto l’ intera tutela dello Stato. Noi parlammo di tu­ tela spedale, e questa parola è già una limita­ zione, perchè di un caso speciale si tratta. Ne parlammo come di necessaria cautela nel caso di sborsi pecuniari, o di alleviamento d’ oneri, che torna lo stesso. E se non bastasse, dicemmo anche: sarà bene di cercare il modo che questa tutela impedisca il meno possibile il libero svol­ gimento delle forze del paese.

Naturalmente il nostro concetto, che non pretendeva d’ esser maturo per ogni parte della sua applicazione, era soltanto abbozzato, non svolto, giacché i provvedimenti necessari ma difficili hanno bisogno di studio, non si improv­ visano. Ma nelle linee generali prevediamo di doverci insistere.

Un altro nostro contradittore è stato il Pungolo Parlamentare. Veramente il suo non era un articolo; il che avremmo preferito, giacche quel giornale, in genere encomiabile per^ onesta d’ intendimenti, assoluta indipendenza e sincerità incisiva ma urbana di linguaggio, nella questione di Napoli a noi sembra sia, tra i periodici par­ tenopei, quello che abbia tenuta la migliore in­

tonazione e fatte vibrare le note più giuste. Ma il Pungolo si limitava a dare ospitalità a una lettera del socialista signor Enrico Leone, e ad esclamare in una brevissima nota d’ approva­ zione e di consenso: « Niuno ha il diritto d’ at­ tentare a Napoli, tentando di metterla fuori legge ! »

Risponderemo pacatamente, perchè, volen tieri o no, dobbiamo essere flemmatici p er do­ vere d’ ufficio.

Non è mai posto fuori legge chi, in con­ traccambio di qualche cosa, sia oggetto di mo­ dalità amministrative particolari, stabilite per legge discussa e approvata dal Parlamento, dove siedono anche i rappresentanti della parte inte­ ressata. Lasciamo un po’ da parte, se è possibile, le frasi sonore ma inesatte.

Ma il sig. Enrico Leone, gratificandoci della qualifica di organo scientifico ufficiale (?) del li­ berismo italiano, ci rimproverava d’ esser caduti, di fronte al problema napolitano, nella statola­ tria più spinta.

Della estensione moderata che si possa as­ segnare all’ ingerenza dello Stato in qualche parte dell’ amministrazione municipale di Napoli, di­ scorreremo in un prossimo numero, cominciando ad analizzare ponderate e motivate proposte della Commissione d’ Inchiesta.

A noi sembra ancora ben naturale che se lo stato è chiamato a sussidiare un’ altra volta il Comune di Napoli per toglierlo da imbarazzi finanziari, debba aver diritto di invigilare in modo speciale a che il sussidio accordato sia ri­ volto interamente ai fini per i quali venne ac­ cordato. Ciò non vuol dire affatto che al Co­ mune si debba togliere la sua autonomia e la sua indipendenza. Soltanto essendo dimostrato che finora gli organi attualmente stabiliti dalla legge per sindacare la azione dei Comuni, non risulta­ rono sufficienti nè per solerzia, nè per vigilanza, diventa necessario che altri organi che dieno maggiore affidamento sieuo creati, affinché se­ guano passo a passo le deliberazioni e gli atti del Comune e li impediscano tempestivamente ove sieno contrari alla legge.

Che questo sia illogico od offendente la cit­ tadinanza di Napoli non sappiamo invero come si possa dimostrarlo, nè valgono certamente allo scopo le solite frasi ed i soliti luoghi comuni che si vorrebbero sostituire ai validi argomenti.

Accusare il Governo di aver rovinato Na­ poli servendosi della corruzione è puerile; per­ chè lo stesso Governo che imperava in Napoli imperava anche in Torino, in Genova, in Milano; e se il servirsi della corruzione fu possibile solo o specialmente a Napoli vuol dire che là vi era od era maggiore la attitudine alla corruzione.

Abbiamo già in un precedente articolo ac­ cennato al Congresso dei viticultori a Novara ed espressa nelle linee generali la nostra opinione sulle voci che correvano di esigenze che sareb­ bero state accennate dai proprietari per l’attuale

LA QUESTIONE DEL VINO

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678 L ’ E C O N O M IS T A 3 novembre 1901 crisi vinaria aggravata dal copioso raccolto di

quest’anno.

Diamo qui sotto un riassunto del discorso al solito affascinante e pieno di preziose notizie, pronunziato dall’on. Luzzatti inaugurando il Con­ gresso. Siamo lieti di notare che il deputato per Abano, dopo esposto con chiarezza lo stato delle cose, dovendo parlare dei rimedi si limitò ad enumerare le varie proposte, non nascondendo una certa tiepidezza, se non ripugnanza, a chie­ dere l’ intervento dello Stato.

Noi applaudiamo a tutte le proposte che mi­ rano ad associare i viticultori perchè provvedano alla migliore tutela dei loro interessi, ma persi­ stiamo nel concetto che sarebbe ingiusto e peri­ coloso un intervento dello Stato diretto a dimi­ nuire, a spese di tutti, le conseguenza della attuale crisi vinaria, mentre lo Stato non ha partecipato agli utili notevoli che in tempi non lontani dal largo smercio dei vini hanno goduto i viticultori. Sintetiziamo il nostro pensiero ri­ petendo: che non crediamo possa essere missione dello Stato quella di fare l’ assicuratore di un minimo di utili, e meno ancora poi di farlo solo per alcune classi che godono già di altissima

protezione-Ed ecco ora il riassunto del discorso pro­ nunziato dall’on. Luzzatti :

* L ’ on. Luzzatti pronuncia un discorso che dura circa due ore e in cui egli esamina tutti i lati del vastissimo problema di cui la soluzione preoccupa i viticultori.

Egli incomincia col dire essere di buon au­ gurio che a questa riunione assistano Ricotti e Saracco, due uomini che per diretto lignaggio discendono dallo statista a cui dobbiamo il risor­ gimento d’ Italia, Camillo Cavour.

Attaccando decisamente il tema, l’ on. Luz­ zatti premette che nulla egli dirà, nessuna propo­ sta avanzerà che non attuerebbe se ne avesse la facoltà.

Nota che il vino rappresenta per l’ Italia il secondo prodotto in valore, dopo il frumento, e nelle esportazioni tiene il primo posto tra i pro­ dotti agrari, il terzo posto tra tutti i prodotti.

Dunque importantissima è nei rapporti del­ l’ industria vinicola la questione dei trattati com­ merciali internazionali.

Qui il deputato Luzzatti ricorda molte cir­ costanze personali della sua carriera di nego­ ziatore e l ’ eclettismo di principi economici che è necessario portare in tale ufficio : di che il Thiers, sentendolo dichiarare la sua professione di fede, necessariamente opportunistica di fronte agli at­ teggiamenti dei vari Stati, gli diceva: « con que­ ste teorie voi siete imprendibile ».

Ma oggi — si domanda il Luzzati — quali sono le speranze nostre circa la rinnovazione dei trattati? Il mio illustre amico Saracco, in una intervista avuta col redattore di un importantis­ simo giornale, della Gazzetta del Popolo, ha mo­ strato di credere che io mi illudessi in troppo rosee speranze. Ma già nel mio discorso di Fi­ renze io avevo espresso molti timori insieme alle speranze. Devo soggiungere che questi timori si sono adesso aggravati per l ’ atteggiamento ostile della Svizzera e del Trentino.

E vero peraltro che oggi ci presentiamo a

negoziare in condizioni assai migliori che non nel 1891, perchè il nostro assetto economico ci dà maggior forza, e l’ incremento delle nostre indu­ strie ci permetterebbe anche di sostenere una lotta.

Ma io non la consiglierei; perchè siano 30 o 40 i milioni di ettolitri che oggi si produ­ cono, ed è difficile il saperlo, perchè le statisti­ che del Ministero di agricoltura sono le peggiori che si facciano in Europa sulla produzione nostra abbiamo un’ esportazione di due milioni : e noi dovremmo star paghi a conservare questa posi­ zione: è illudersi vanamente il pensare ad accre­ scere notevolmente l’ esportazione.

Ma dobbiamo pur difenderci dall’ importa­ zione estera.

Per conto suo intanto l’ onorevole Luzzatti si difende, specialmente contro il Comizio agra­ rio di Casale, dall’ opinione di quelli che attri­ buiscono una grande importanza all’ importazione di vini francesi, favorita dagli ultimi accordi.

L ’ onorevole Luzzatti crede di poter dimo­ strare che questa invasione si è ridotta a soli seimila ettolitri, specialmente perchè gli onore­ voli Rizzetti e Maggiorino Ferraris richiamarono l’ attenzione del Governo sull’ illecita introduzione in tariffa dei vini alcoolizzati e sui vini qui tran­ sitanti.

« Il pericolo vero — dice l’ onorevole Luz­ zatti — non è dalla Francia, ma è dall’ Oriente, specialmente perchè una gran parte di vini greci approfitta con frode della tariffa di favore fatta ai vini turchi: sono difatto oltre a novemila et­ tolitri introdotti in nove mesi. A questa inva­ sione bisogna risolutamente porre riparo.

« Così bisogna aiutare l’ esportazione, spe­ cialmente del nord d’ Italia, e difenderci dal- l’ importazione, utilizzando efficacemente le ta­ riffe ferroviarie ».

L ’ on. Luzzatti discute poi i provvedimenti per aumentare il consumo interno :

1° la fabbricazione dell’ alcool industriale, per cui la tassa deve essere ridotta da L. 180 ad un massimo di lire 20, dando alla legge un carattere definitivo che affidi l’ industria;

2° sottrarre al mercato il vino scadente, utilizzandolo nella distillazione.

Qui si presentano vari sistemi : un largo ab­ buono del 40 Ojo non sarà probabilmente accolto dal Governo, perchè troppo gravoso per i insul­ tati fiscali; la proroga dell’ abbuono concesso colla legge Boselli, che però non ha dato risul­ tati abbastanza efficaci; un’ altra proposta, forse più conveniente all’ economia nazionale, consiste­ rebbe nel favorire l’ esportazione dell’ alcool, re­ stituendo non soltanto il 90 Ojo, come adesso si fa, ma il 100 Ojo. L ’on. Luzzatti lascia al Con­ gresso di studiare queste varie proposte, ricono­ scendo però che qualcosa si deve fare.

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del Veneto il sistema è già con buoni risultati applicato, malgrado la legge lo vieti.

L ’ on. Luzzatti non discute però, la proposta della riduzione del dazio consumo a misura ra­ gionevole.

L ’ ultima parte del discorso di Luigi Luz­ zatti è dedicato alla necessità dell’organizzazione nella produzione, nella confezione e nel commer­ cio dei vini.

L ’ oratore, apostolo convinto della coope­ razione, ha qui poderosi slanci, malgrado l’ ora tarda e la stanchezza ; egli insiste sulla neces­ sità delle cantine sociali, e narrando di una vi­ sita fatta l’altro ieri alla cantina sociale di Oleg- gio, ha fiere parole contro l’assurda avidità del fisco, che vuole imporre ai viticultori coalizzati la tassa di ricchezza mobile.

Egli prende poi in esame il progetto del- l’on. Maggiorino Ferraris circa V Unione agraria, ed esprime la massima simpatia per quelle ardi­ mentose proposte, che, favorendo col credito di Stato l’ organizzazione degli agricoltori, potreb­ bero essere il rimedio decisivo della crisi.

A questo punto l’ on. Luzzatti conclude il suo discorso :

« Malinconiche, egli dice, sono oggi le ven­ demmie, ma liete diventeranno se sapremo orga­ nizzarci per vincere, e se nella crisi dell’ abbon­ danza sapremo vedere il messaggio della Prov­ videnza, che invita 1’ umanità a lavorare, a progredire, a gettar lo scettro sulla materia bruta. »

Grandi applausi accolgono il discorso del- l’on. Luzzatti, al quale il presidente Saracco ri­ volge i ringraziamenti dell’ assemblea.

LA STATISTICA INTERNAZIONALE

dei valori mobiliari

(Vedi i numeri 1432 e 1434 dell’ Economista). Il movimento dei valori mobiliari è stato di rado cosi intenso come negli ultimi due anni. Questa creazione incessante di titoli di rendita, di azioni e di obbligazioni, di quote d’ interesse, di quote dei fondatori, azioni di godimento, azioni privilegiate è stata e resterà una delle ca­ ratteristiche del secolo trascorso, che pure^ha già avuto numerose qualifiche. Per il finanziere : e- sterà il secolo dei valori mobiliari.

Nell’ anno in cui comincia il nuovo secolo non è senza interesse di raffigurare con cifre la importanza dei capitali messi in circolazione sotto le varie forme di prestili pubblici, d’azioni, di obbligazioni. In questa nuova statistica il Ney- marck ha fatto due calcoli : il primo riguarda l’ insieme dei valori quotati e negoziabili sui principali mercati europei, il secondo indica l’ammontare dei valori mobiliari appartenenti in proprio ad ogni paese.

Nella relazione presentata alla riunione di Pietroburgo, nel 1897, il Neymarck aveva indi­ cato come potevano ripartirsi i valori mobiliari nei vari paesi europei, avendo cura di far no­ tare che nei calcoli di questa natura bisognava evitare di includere due o più volte le stesse

cifre e di non confondere l ’ insieme dei valori negoziabili su un mercato con la ricchezza mo­ biliare rappresentata da valori di borsa appar­ tenenti in proprio a quei paesi, perchè quando si tratta di valori internazionali, parecchi di essi possono essere negoziati su varie piazze.

Per evitare questo scoglio, il Neymarck ha compilato una statistica che indica : 1“ l’ammon­ tare approssimativo dei titoli quotati e negozia­ bili sui vari mercati, titoli nazionali, e titoli esteri ; 2° il totale dei titoli appartenenti in pro­ prio ai nazionali di quei paesi.

Ecco i resultati ai quali è pervenuto :

T o ta le dei titoli T otale apparten en ti dei titoli in p rop rio n egoziabili ai n azion ali

Germania... miliardi 8 0 45 Austria-Ungheria.. .> 3 0 2 0 B elgio... » 8 6 Danimarca... » 2 . 2 1.5 Spagna... » 10 b Francia... » 135 9 0 Gran Brettagna---- » 2 1 5 1 2 0 Italia... » 17 1 0 Norvegia... » 1 0 .5 Paesi Bassi... » 15 1 0 Rumenia... » 1 .5 1 .4 Russia... » 35 2 5 Svizzera... » 8 5

Svezia, paesi varii. » 5 2

Totali... miliardi 5 6 2 .7 3 4 2 .4

L ’ insieme dei valori negoziabili in Europa sopraddiziunati raggiunge al principio del 1901 la cifra di 560 miliardi in cifra tonda, ma essa comprende necessariamente dei duplicati.

Parecchi fondi di Stato esteri, parecchi va­ lori e titoli stranieri sono quotati a un tempo a Londra, Berlino, Amsterdam, Bruxelles, Pa­ rigi, ecc. Sopra i 118 a 120 miliardi di fondi e titoli stranieri quotati a Londra, sopra i 60 mi­ liardi di fondi esteri quotati a Parigi, una gran parte è quotata sulle altre piazze. La rendita italiana, ad esempio, che è quotata e negozia­ bile in Inghilterra, in Germania, nel Belgio, in Francia, in Italia, rappresenta un capitale di 12 a 13 miliardi. Se questi 12 a 13 miliardi sono detratti in ciascuna delle piazze dove questa ren­ dita si negozia si arriverebbe a un totale di 60 a 65 miliardi che bisognerebbe guardarsi dal con­ fondere col numero reale dei Titoli esistenti ; sa­ rebbe assolutamente come se una persona osser­ vando la sua immagine in uno specchio ripercuo- tentesi all’ infinito si figurasse che vi fossero 5, 10, 20 persone, mentre vedrebbe la riproduzione multipla del suo proprio ritratto.

Ciò che è vero è che l’insieme dei valori quotati sopra un mercato, qualunque sieno le altre piazze sulle quali questi valori si negoziano, in­ dica che le transazioni possono esercitarsi su un totale di valori ammontanti a questa o a quella cifra; da questo punto di vista si può determinare l’ importanza relativa d ’ una piazza finanziaria.

Era dunque necessario di fare una distin­ zione completa fra i valori negoziabili nelle va­ rie borse e quelli appartenenti ai nazionali.

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680 L ’ E C O N O M IS T A 3 novembre 1901 vari paesi. Classificando questi paesi secondo la

quantità dei valori mobiliari appartenenti in proprio a ciascuno di essi il Neymarck propone il seguente ordine: M iliardi Gran Brettagna... 120 Francia... 90 Germania... 45 Russia... 25 Austria -Ungheria... 20 Paesi Bassi... 10 Ita lia ..., ... ; . . . 10 Belgio... 6 Spagna... 6 Svizzera... 5 Danimarca... 3 Svezia, Norvegia, Rumania e diversi 2 Totale 312 Sopra un insieme di valori negoziabili allo Stock-Exchange che si eleva a 215 miliardi di capitale nominale e a 200 di capitale versato, il Regno Unito possiede da 80 a 85 miliardi di valori del Regno, compresi i fondi di Stato, come pure i prestiti coloniali. I titoli e fondi esteri quotati a Londra formano un totale di circa 120 miliardi ; da soli i titoli ferroviari americani formano il totale di 910 milioni di sterline, ossia quasi 23 miliardi; i titoli delle al­ tre compagnie ferroviarie rappresentano press’ a poco 605 a 610 milioni di sterline, ossia da 15 a 16 miliardi. Vi sarebbero dunque, in ci­ fre tonde, 80 miliardi di fondi esteri quotati a Londra.

In Francia, l’ ammontare totale dei valori negoziabili a Parigi e nelle borse dipartimentali può calcolarsi in 135 miliardi. Sopra questi 135 miliardi, vi sono 67 miliardi di fondi e titoli francesi e 68 a 69 miliardi di fondi e titoli esteri. 1 fondi di Stato esteri, quotati al parquet degli agenti di cambio, formano il totale di 54 mi­ liardi, sul mercato libero questo totale sale a 2 miliardi. I valori esteri quotati al parquet e alla coulisse formano un totale di 13 miliardi. In Germania, a Berlino, alla fine del gennaio 1897, i valori interni quotati alla Borsa di Ber­ lino ammontavano a 27 miliardi 203 milioni di marchi, i valori interni non quotati a 2846 mi­ lioni di marchi, i valori esteri a 10 miliardi di marchi ossia in cifre tonde 41 miliardi di marchi. Ma dopo la formazione di questa statistica un gran movimento di affari si è prodotto a Ber­ lino e in tutta la Germania e molti altri valori vi sono stati creati.

I valori quotati alla borsa di Berlino erano in numero di 1184 nel 1890, di 1427 noi 1894, di 2028 nel 1899. Le emissioni di valori e ti­ toli vari sono saliti dal 1897 alla fine del 1900 alla cifra di circa 8 miliardi. Il Eeymarck crede quindi che se nel 1897 la Germania poteva pos­ sedere in proprio da 35 a 40 miliardi di valori mobiliari e non da 90 a 95 come parecchi sta­ tistici le hanno attribuito, perchè essi aggiunge- . vano ai valori mobiliari, l ’oro, l’argento, i me­ talli preziosi, gli effetti di commercio, i crediti ipotecari ; si può proporre oggi il totale di 45 miliardi come quella cifra che più si avvicina alla verità.

Londra e Parigi, tali sono oggi i due maggiori mercati finanziari dell’Europa, vengono in seguito

i mercati tedeschi di Francoforte, di Berlino; questa constatazione risulta a un tempo e dal numero dei valori negoziabili su quei mercati e dal totale dei valori quotati e da quello dei va­ lori appartenenti in proprio ai nazionali di cia­ scun paese.

Questa statistica si riferisce esclusivamente ai paesi d’ Europa e se ai valori quotati in Eu­ ropa si aggiungesse 1’ ammontare di quelli che si negoziano sui mercati americani, sarebbero altri miliardi che bisognerebbe aggiungere alle centinaia di miliardi di valori quotati in Europa e appartenenti a capitalisti europei. Intanto si può osservare che 560 miliardi di valori quotati, 340 miliardi di valori effettivi, sono cifre cosi enormi che tutto l’ oro e l’ argento estratti dalle viscere della terra, tutti i biglietti di banca messi in circolazione non ammontano alla ventesima parte di quel totale colossale. Quale avvenire il nuovo secolo riserva ai capitali enormi investiti in fondi di Stato, in azioni e obbligazioni ferro­ viarie, in prestiti di città, ed in titoli industriali ? Ohe diverranno quelle imprese e quei prestiti ? Quali saranno alla fine del secolo X X i bilanci e i debiti degli Stati, data la rapidità con cui aumentano gli oneri pubblici, le spese e le im­ poste? Sono altrettante domande alle quali non e il caso, certo, di dare risposta. Ma esse fanno tornare alla memoria ciò che diceva un economi­ sta filosofo, Hume, che cioè bisogna che il cre­ dito uccida le nazioni o che le nazioni uccidano il credito. In qual senso si realizzerà questa predizione? ecco il punto interrogativo più grave che presenta questa materia.

IL COMMERCIO ITALIANO

n el decennio 1891-4900

VI.

Proseguendo ora nell’ esame del movimento dei traffici italiani, dopo la Gran Brettagna ve­ diamo come si svolsero nel decennio quelli da e per la Germania.

b) Germania.

Tenendo conto della totalità del traffico, abbiamo nel decennio le seguenti cifre di im­ portazione ed esportazione in milioni di lire.

(7)

Queste cifre denotano subito uno sviluppo notevole del traffico tra 1’ Italia e la Gran Brettagna ; l’ aumento complessivo nel decen­ nio è notevole di 283.4 milioni a 424.8 cioè 199.4 milioni di maggiori scambi ; ma mentre la importazione della Germania in Italia salì da 133.6 a 203.4 milioni, cioè un aumento di 69.8 milioni pari al 52 per cento, la nostra esporta­ zione in Germania ha avuto un aumento da 149.8 a 221.4 milioni, pari al 41 per cento.

' Va notato di più che nel 1891 tra la im­ portazione e la esportazione correva un distacco di 16.2 milioni appena di preponderanza della espor­ tazione in Germania, nel 1900 il distacco non si è gran fatto modificato. Il che vorrebbe dire che tutti i provvedimenti doganali dal 1891 in poi hanno aperto alla Germania il mercato italiano non molto più dì quello che la Germania non aprisse il suo all’ Italia; onde tanto più può sembrar strano che oggi la Germania voglia approvare tariffe contro prodotti italiani ; mentre le deve essere facile considerare che se i due mercati si chiu­ dessero, il danno che ne risentirebbe la Germania sarebbe minore di quello che colpirebbe l ’ Italia.

Ciò premesso esaminiamo ora la nostra im­ portazione dalla Germania.

Nella prima categoria che riguarda gli spi­ riti, bevande ed oli non abbiamo nessuna voce che oltrepassi il milione di importazione.

Accenna ad un certo sviluppo la birra che dà le seguenti cifre nel decennio.

1891 Lire 525,000 1896 Lire 479,000

1892 » 548,000 1897 » 572,000

1893 » 451,000 1898 » 632,000

1894 » 448,000 1899 » 256,000

1895 » 489,000 1900 » 745,000

Assieme alla importazione della birra in bottiglie, ci avviciniamo al milione di lire.

Noteremo ancora una decrescente importa­ zione di spirito puro in botti e caratelli che nel 1897 arrivava sino a 224 mila lire e si riduce a 94 mila nel 1900 ; — una importazione 250 mila lire di olio d ’ oliva nel 1900 mentre prima l’ im­ portazione di tale prodotto era insignificante ; e infine le essenze che si mantengono sempre in­ torno a mezzo milione di lire.

La intera categoria con qualche oscillazione è andata mano mano sviluppandosi da 1.6 a 2.3 milioni.

Nella seconda categoria, generi coloniali, è quasi cessata la importazione della Germania del

caffè, che nel decennio diede un massimo di 222

mila lire ; — cresce invece la entrata della cic o ­ ria che da 134,000 lire nel 1891 arriva a 815,000 nel 1900. Importante è solo la voce zucchero che dà nel decennio in quintali.

1891 1892 1893 1894 1895 quint. 25,300 220,000 213,100 80,900 112,000 1896 1897 1898 1899 1900 quint. 12.900 30.900 60,300 78,100 44,400 La grande oscillazione della importazione di questo prodotto dimostra come sia dipendente dai raccolti così in Germania come in Italia delle barbabietole.

La terza categoria prodotti chimici segna una importazione sempre crescente dalla Germa­

nia; da 7.8 milioni nel 1891 si passa a 12.8 mi­ lioni nel 1900. Notiamo le voci principali :

Tra gli acidi il gallico, tannico e tartarico ; nel complesso però tutti gli acidi non superano il milione; la potassa nei due ultimi anni accenna ad una maggiore importazione (lire 290 mila nel 1900); i sali di chinina oscillano intorno al milione e gli altri alcaloidi ammontano da mezzo milione a due e mezzo.

Si notano ancora il carbonato di sodio per lire 787,000 nel 1900, il cloruro di potassio lire 870,000, il nitrato di sodio lire 547,000, il solfato

di rame lire 785,000, il bromo e jod io lire 596,000;

e finalmente stanno intorno al milione gli altri prodotti chimici non nominati; 367,000 lire il

sugo di aloe e fra 100 e 200 mila lire le gomme

e resine, il sapone comune e la ceralacca.

Due voci principali costituiscono quasi in­ tera la quarta categoria essendo quasi cessata la importazione dell’ indaco che pure nel 1898 aveva superate le 800 mila lire

Le due voci sono: i colori derivati dal c a ­

trame in ¡stato secco il cui movimento è andato

sempre crescendo ; sono 4 milioni nel 1892 di­ ventano 6 nel 1896 e da allora oscillano sempre tra i 7 e gli 8 milioni ; — i colori in mattonelle e

in polvere oscillano intorno al milione di lire di

importazione a cominciare dal 1895.

La categoria della canapa, lino, juta, ecc. rappresenta appena 2 milioni nel 1900, ed è an­ data lentissimamente crescendo. Nessuna voce arriva al milione di lire ; indichiamo per il 1900 la juta greggia (142,000 lire) i filati di lino sem ­

plici che hanno sempre oscillato intorno a 200,000

lire di importazione, ma nei due ultimi anni se­ gnano rispettivamente 543,000 e 583,000 lire ;

i tessuti di lino 280 mila lire con prevalenza dei

lisci; i pizzi e tulli 226 mila lire nel 1900 e poco

meno gli oggetti cuciti.

La categoria cotone così importante per l ’ Italia, dà nel decennio le seguenti cifre in mi­ gliaia di lire : 1891 Lire 9,459 1896 Lire 6,817 1892 » 9,962 1897 » 6,724 1893 » 9,510 1898 » 5,961 1894 » 6,947 1899 » 7,849 1895 » 6,999 1900 » 7,882

Se si tien conto che il cotone in bioccoli e

in massa rappresentava di questa importazione

561 mila lire che andarono mano a mano dimi­ nuendo nel decennio sino a 150 mila e solo nell’ ultimo anno 1900 risalirono a 641 mila, rie­ sce evidente che, specie nell’ ultimo anno, la en­ trata dei lavori di cotone dalla Germania fu appena di sette milioni e sono: filati tinti 538 mila, filati da cucire 945 mila; tessuti lisci, im ­

bianchiti, tinti un milione ; tessuti stampati 561

mila; tessuti misti con lana un milione e mezzo. Sulle lane che formano la settima categoria vi ha una importazione dalla Germania di mag­ giore importanza ; ecco i totali della categoria durante il decennio (milioni di lire).

(8)

682 L ’ E C O N O M IS T A 3 novembre 1901

Le lane pettinate non tinte sono il maggior

oggetto della importazione dalla Germania in Italia; il loro movimento nel decennio fu il se­ guente (migliaia di lire) :

1891 Lire 3,367 1896 Lire 4,810

1892 » 3,553 1897 » 6,041

1893 » 5,597 1898 » 3,291

1894 » 5,664 1899 » 8,151

1895 » 4,898 1900 » 4,331

Tranne la depressione del 1898 la tendenza di quelle cifre è all’aumento.

I cascami o borra di lana hanno minore im­

portanza; oscillarono dal 1894 in poi intorno al milione e mezzo mentre nel primo triennio danno una importazione di 894,000 - 635,000 - 975,000, nei due ultimi danno 2,248,000 ed 1,629,000. Anche il crino greggio che nei primi anni non ar­ rivava ad una importazione che di circa 200,000 lire, nel 1898 sale a 829,000 per oscillare negli anni successivi intorno a 600,000 lire e scendex-e nel 1900 a lire 317,000.

Più saltuaria è la importazione del pelo

greggio eccone le cifre del decennio (migliaia

di lire) : 1891 Lire 421 1892 » 667 1893 » 1,217 1894 » 1,048 1895 » 815 1896 Lire 1,832 1897 » 775 1898 » 1,100 1899 » 749 1900 » 707

Sui filati di lana pettinati semplici greggi

si nota una importazione decrescente; fino al 1898' si era arrivati ad oltre un milione di lire; nel 1899 si scende a lire 522,000 e nel 1900 a lire 235,000 ; e così pure scema notevolmente la im­ portazione dei filati ritorti da due milioni nel 1892 a 260 mila lire nel 1900.

Tessuti ; quelli di lana scardassata danno

nel decennio (migliaia di lire) :

1891 Lire 2,629 1896 Lire 1,605

1892 » 2,103 1897 » 1,459

1893 » 2,070 1898 » 1,396

1894 » 1,486 1899 » 1,593

1895 » 1,712 1900 » 1,441

quelli di lana pettinata:

1891 Lire 7,980 1896 Lire 6,989

1892 » 7,350 1897 » 6,810

1893 » 7,719 1898 » 6,281

1894 » 6,973 1899 » 7,104

1895 » 7,211 1900 » 5,327

In tutte e due le voci vi è una leggera ten­ denza alla diminuzione degli acquisti in Germa­ nia ; per i tessuti di lana scardassata il primo quinquennio dà 10 milioni ed il secondo quasi 7 e mezzo ; per i tessuti di lana pettinata il primo quinquennio dà 37 milioni, il secondo 32.

Va ancora notata una importazione di mezzo milione l’anno di tappeti di lana, ed una decre­ scente quantità di oggetti cuciti, (nel 1900 lire 293,000).

Nemmeno la categoria della seta ha grande importanza ; tranne il 1899 che ha dato una im- portazi.one di 18 milioni, gli altri anni del de­ cennio stanno fra gli 11 ed i 14 milioni.

La seta tratta é la voce più impoi tante nel

decennio, ha dato (migliaia di lire) : 1891 Lire 3,142 1892 » 4,267 1893 » 4,312 1894 » 5,120 1895 » 5,020 1896 Lire 5,916 1897 » 4,548 1898 » 6,591 1899 » 9,015 1900 » 6,923 Nel complesso questa voce segna un au­ mento che nel 1899 fu notevole.

Nel rimanente della categoria su molte voci si ripartisce la importazione ; tenendo conto delle principali si ha :

Tessuti di seta colorati lisci 507 mila lire,

operati 339 mila nel 1900; i velluti misti 456

mila, i pizzi e tulli 712 mila ; gli oggetti cuciti 903 mila con tendenza decrescente.

Di poca importanza la categoria del legno 6

paglia segna meno di due milioni e non ha voci

degne di nota.

Nella categoria successiva carta e libri vi sono tre voci di qualche importanza ; la pasta di

legno che da 300,000 lire a poco poco è salita

nel decennio a 1,795,000 di importazione, le

stampe e carte geografiche da un milione e mezzo

a 2 milioni e un quarto ; i lavori di cartone da 350 lire ad oltre un milione.

Il totale della categoria da 4 milioni è salito lentamente a 7.5 milioni.

E finalmente la categoria delle pelli che nel decennio oscillò tra i 7 ed i 9 milioni ha di im­ portante solo poche voci ; le pelli conciate di v i­

telli la cui importazione comincia nel 1896 ed ar­

riva nel 1900 a 2.8 milioni ; le pelli verniciate che vanno pure aumentando fino a 2.1 milioni. Nel rimanente si possono notare le pelli crude di buoi

e vacche, L. 415,000 ; di vitelli, L. 232,000 ; le

pelli conciate con pelo, L. 783,000.

(Continua).

PER LA RIFORMA DEI DAZI FISCALI

Secondo lo scopo principale, in vista del quale vengono applicati, i dazi possono dividersi in due categorie : dazi fiscali o di finanza, rap­ presentanti un’ imposta di consumo, dazi di proiezione o industriali, che oltre a costituire un’ imposta di consumo, tendono specialmente a impedire la concorrenza dei prodotti esteri sul mercato nazionale. In Italia sono colpiti dal dazio della prima specie cinque prodotti, che perciò si dicono fiscali, e sono lo zucchero, il caffè, il petrolio, il grano, lo spirito. Dal 1864 sino ad oggi furono oggetto di molteplici provvedimenti legislativi, di cui ci sembra valga la pena stu­ diare l’ efficacia rispetto ai consumi, perché, se negli anni 1864, 1866, 1867, 1872, 1877, 1879, 1880, 1891 e successivi, si apportarono cambia­ menti alle tariffe vigenti, fu sempre nel senso di un maggiore inasprimento, di fronte al quale il consumo dei prodotti fiscali non deve essere rimasto indifferente.

(9)

regola il consumo della popolazione nel vero interesse della popolazione stessa ; ma a noi sembra che meglio sarebbe risparmiarsi ogni sforzo tendente alla ricerca di giustificazioni completamente inutili, e perchè di per sè stesse già destituite di fondamento e perchè insuffi­ cienti allo scopo, cui si vuol farle servire. Pur concedendo che si possa aver di mira la cura del benessere della popolazione nel caso del- l’ imposta sullo spirito o sul tabacco, si ar­ riverebbe a conseguenze assai strane, allorché si volesse considerare seriamente un tale con­ cetto e porlo a giustificazione di un’altra imposta di consumo sopra un oggetto qualsiasi. L ’ unico caso, in cui potrebbe sembrare meno ingiusta l’ applicazione di tale principio, sarebbe quello di un’esuberanza di consumo effettivamente dan­ nosa pei suoi effetti fisici o psichici ; ma bi­ sognerebbe non tener conto di tutte le obie­ zioni contro una siffatta ingerenza dello Stato, e dimenticare tutte le difficoltà pratiche, diffi­ coltà che non mancherebbero, perchè se il prov­ vedimento in genere fosse giusto, per ottenere il suo effetto si dovrebbe esplicare nella forma di sorveglianza individuale su ciascun fumatore e su ciascun consumatore.

E nel caso del dazio sul grano si potrebbe ripetere lo stesso ragionamento ?

S’ aggiunga che la base stessa dell’ imposta ci sfumerebbe e sfuggirebbe completamente, quando ci facessimo a ricercare i limiti del con­ sumo razionale, giacché il sapere se vi è esube­ ranza dipende esclusivamente dalla divisione del consumo di ogni singola persona, e quindi è cosa mutevole e incerta perchè temporanea.

Nella impossibilità d’ una retta applicazione del principio, si finirebbe col non avere altro criterio che 1’ arbitrio. E se con le alte imposte, si ottiene una diminuzione dei consumi, la spesa totale, di una persona per gli oggetti consumati e che poteva consumare, senza eccedere i limiti della temperanza, diventa assai maggiore di quella che la stessa persona farebbe, con un’ im posta più lieve : il che cagionerebbe un turba­ mento nella retta distribuzione e nell’ impiego economico del reddito. Sarebbe quindi molto più salutare, se veramente lo Stato avesse uno scopo disinteressato, il prendere dei provvedi­ menti atti a rendere difficile la occasione di tali consumi. Ma se ciò non si fa, vuol dire che sono gli interessi fiscali che preponderano, e che lo Stato solo questi ha di mira. A che adunque andare in cerca del fattore morale, se il vero, 1’ unico non ci si nasconde ?

La tendenza dovrebbe sempre essere quella di ridurre la misura dell’ imposta, perchè spesso si avrebbe per effetto un aumento di consumo ; ma ordinariamente si seguì una politica finan­ ziaria del tutto opposta, con la scusa che qua­ lunque aggravio, mentre era vantaggioso per 1’ Erario dello Stato, era ugualmente ripartito tra la generalità dei cittadini, che più o meno sono tutti consumatori dei generi colpiti dai dazi fiscali. Quanto tale giustificazione sia de­ bole non è difficile rilevai i. Allorché la pres­ sione tributaria divene troppo forte, il consuma­ tore rivolge la domanda a surrogati dei prodotti colpiti dall’ imposta, il che si risolve in nessun

utile e spesso in perdita per l’ Erario e in un abbassamento delle condizioni di vita per certe classi di popolazione.

L ’ abuso di imposizione sui consumi non può quindi durare illimitatamente, ma deve per necessità venire un momento in cui, per aver prodotto conseguenze opposte a quelle, che aveva avuto di mira, deve cessare.

E quindi molto interessante, per arguire la possibile orientazione futura del nostro sistema finanziario, vedere se la capacità contributiva, in quanto si manifesti nel consumo dei prodotti fiscali, sia già arrivata al limite massimo di

sfruttamento o no. * * *

Cominciando dallo zucchero, vediamo come si sia comportato il consumo di esso in rapporto alla variazione dei dazi ed all’ aumento della po polazione.

La produzione interna di esso è di poca importanza, me è andata sempre crescendo.

Sino all’anno 1887-88 la quantità è quasi tra­ scurabile ’ ^giacché le fabbriche che lavoravano erano in numero esiguo ed il reddito della tassa di fabbricazione (istituita sin dall’ anno 1877 con la legge del 2 giugno) non fu tale da portare un grande giovamento alla finanza.

In seguito però si verifica un incremento s), che tranne una piccola interruzione negli anni 1892-93 e 1896-97, giunge al massimo nell’ ul­ timo anno con quasi 60,000 quintali.

La diminuzione del 1896-97 si è verificata, quasi per intero, nella fabbrica di Rieti e dipende dal basso rendimento delle barbabietole.

Infatti, sebbene nella campagna 1896 sìa stata lavorata una maggior quantità di barbabie­ tole in confronto di quella lavorata nella campa­ gna precedente, (circa 276,400 quintali contro 354,780), tuttavia minore fu il prodotto ricavato, e ciò deve attribuirsi alle prolungate e copiose pioggie, per le quali non avvennero in buone condizioni la maturazione e la conservazione delle barbabietole.

Il reddito dello zucchero indigeno presenta nell’ insieme un sicuro progresso, e questi risul­ tati sono in buona parte dovuti alle circostanze particolarmente favorevoli nelle quali si svolge l’ industria dello zucchero nei riguardi del regime fiscale. Infatti a favore della industria dello zuc­ chero concorre la protezione doganale nella mi­ sura di L. 20. 80 per quintale, che è la differenza ') Dal 1879 al 1887-88 la produzione ascese da 193 quintali a 1836, raggiungendo il massimo nel 1881-85 con quintali 7293. Come abbia variato la produzione, lo indicano lo seguenti cifre rappresentanti la diffe­ renza dell’ anno 188U e seguenti sul precedente: + 823, -3 8 1 ,+ 1283, i - 1621, + 3681, 5971,—516, + 68.

(10)

684 L ’ E C O N O M IS T A

3 novembre 1901 tra il dazio di L. 88 sullo zucchero greggio estero

e la tassa interna di fabbricazione di L. 67.20. Le differenze in più o in meno che si ri­ scontrano di anno in anno non sono, per il red­ dito, sempre proporzionali alle differenze che si incontrano nella quantità di prodotto fabbricato. La sproporzione dipende dai successivi aumenti ai quali fu assoggettato il tributo. La finanza fu costretta a ricorrere all’ instaurazione delle tasse di fabbricazione e di raffinazione sugli zuccheri, perchè non le era consentito di aumentare i dazi di importazione vincolati alle quote fisse di L. 20. 80 per il prodotto greggio e di L. 28. 85. per il raffinato, nel trattato del 23 aprile 1867 concluso con l’Austria-Ungheria.

La tassa di fabbricazione fu dapprima sta­ bilita nella misura di L. 21. 15 il quintale per ambedue le qualità di zucchero e fu aggiunta come sopratassa ai dazi di confine i quali ven­ nero cosi a rappresentare la protezione della produzione indigena.

Scaduto il trattato del 1867, e concluso con l’Austria-Ungheria quello del 27 dicembre 1878, fu convenuto che all’ entrata in Italia gli zuc­ cheri greggi esteri destinati o no alle raffinerie, dovessero assolvere il dazio in una misura cor­ rispondente ai 4/b almeno di quello applicato allo zucchero estero raffinato ; inoltre che la prote­ zione concessa alla produzione dello zucchero in­ digeno, tanto greggio che raffinato, non potesse essere aumentata1). Con leggo del 25 luglio 1879 1 dazi sugli zuccheri furono aumentati a 53 lire per il greggio e a 66. 25 per il raffinato ; la tassa di fabbricazione fu portata a L. 32. 20 e a 37.40. Con queste quote si rispettavano le stipulazioni convenzionate con l’Austria-Unghe­ ria, poiché il dazio sullo zucchero greggio cor­ rispondeva ai 4/ 6 di quello raffinato, e tra i nuovi dazi e le nuove tasse interne, correndo le diffe­ renze corrispondenti ai vecchi dazi', era rimasta ferma a favore delle fabbriche nazionali la pro­ tezione preesistente. I nuovi dazi furono stabi­ liti in modo che, pur rimanendo nei limiti se­ gnati dai trattati di commercio, era lasciato un margine di difesa al lavoro delle raffinerie na­ zionali. Come si vede, la misura della tassa in­ terna di fabbricazione fu legata all’ ammontare dei dazi d’ entrata, nei quali fu poi sempre com­ penetrata.

La legge di catenaccio del 29 novembre 1885 portò i dazi sugli zuccheri greggi e raffinati ri­ spettivamente a L. 64 e 78.50, e la tassa di fabbricazione a L. 43. 20 e 49. 65 ; la legge del 2 aprile 1886 aumentò da L. 64 a 65. 25 il tri­ buto dello zucchero greggio, e per conseguenza da L. 43.20 a 44.45 la tassa interna. Un se­ condo catenaccio, quello del 27 novembre 1887, accrebbe i dazi a L. 76.75 e a 90 e le tasse interne a L. 55.95 e 61. 15.

Con regio decreto del 22 novembre 1891 lo zucchero raffinato o di prima classe fu assogget­ tato al dazio di L. 92 e rimase fermo a L. 76.75 il dazio dello zùcchero greggio o di seconda classe; la tassa di fabbricazione per lo zuc

l) Identiche disposizioni furono riprodotte nel trattato di commercio con l’ Austria-Ùngheria del 7 dicembre 1887.

chero di prima classe fu portata a L. 63.15 e ri­ mase a 55. 95 i) quella dello zucchero di seconda. La legge del 24 dicembre 1891, per la con­ validazione del detto decreto, aumentò _da L. 92 a 94 il dazio sullo zucchero raffinato. È d’ uopo notare che col catenaccio del novembre 1891, in­ sieme al dazio, fu pure modificato il sistema per la classificazione degli zuccheri, basandola sul­ l’ associazione di due elementi, cioè il colore e il grado polari metrico, mentre prima si distin­ guevano i raffinati dai greggi solamente per la colorazione, per avere cioè un grado di bian­ chezza superiore al campione n° 20 d ’Olanda. Il grado polarimetrico richiesto per poter classifi­ care di prima classe gli zuccheri, secondo il ca­ tenaccio del 22 novembre 1891, doveva essere superiore a 98; ma la legge di canvalidazione del 24 dicembre lo ribassò a 97.

Yi furono poi le leggi 21 novembre 1892, il catenaccio del 1° dicembre 1894 e la legge dell’ 8 agosto 1895.

Questo rapido esame dei provvedimenti le­ gislativi adottati riguardo al tributo degli zuc­ cheri varrà a far meglio comprendere il signi­ ficato delle cifre che qui sotto vengono raccolte.

.R is c o s s io n e t o ta le (d a z io e ta s s a ) co ^ i> t> CO CO ¡ - ? 5 ' ! p 5 3 ' £ ¡ O Q 5 ' ,! # r - i cO 3 *

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P-x) La tassa di fabbricazione sullo zucchero di seconda classe fu mantenuta a L. 32.20 sino al 1884-85. Poi andò sempre crescendo, e fu di L. 48.20 nel 1885-86: 44.45 nel 1886-87 ; 55.95 dal 1887-88 al .1891-92 ; 59.65 dal 1892-93 al 1894-95 ; 67.20 dal 1895-96 al 1898-99.

(11)

Nei primi anni del periodo di tempo preso in esame, cioè fino a quando il dazio d’ entrata non era ohe di L. 20.80 per quintale, il consumo medio dello zucchero, nonostante l’ alto prezzo, si aggirava intorno ai 3 chilogrammi per abi­ tante. Sopravvengono gli aumenti daziari recati dalle leggi del giugno 1877 e del luglio 1879, i quali fanno sentire la loro azione ed il con­ sumo decade gradatamente e si riduce da chilo­ grammi 2,977 (come era nel 1876) a chili 2,707 nel 1881, segnando la quota più bassa di tutti gli anni precedenti. Questa diminuzione è do­ vuta esclusivamente all’ inasprimento dei dazi, giacché i prezzi dello zucchero dal 1877 al 1881 andarono diminuendo.

Luigi Nina.

(Continua).

Rivista (Economica

I prodotti delle imposte in Francia.

-Anche il mese di settembre ultimo scorso è riuscito assai sfavorevole per. riguardo ai prodotti delle im­ poste indirette e.dei monopoli, in Francia, poiché presentano una diminuzione di fr. 22,144,700 in con­ fronto ai prodotti ottenuti nel corrispondente mese del 1900 e una diminuzione di fr. 21,157,500 sulle previsioni di bilancio.

Cosi la situazione, già critica, si è di altrettanto aggravata. L ’ insieme dei prodotti delle imposte di­ rette e dei monopoli per i primi nove mesi dell’anno corrente presenta una diminuzione di fr. 189,112,300 rimpetto ai prodotti del 1900 e una diminuzione di fr. 91,844,000 sulle previsioni.

Li queste differenze quella che ha maggiore im­ portanza per l’erario francese è la deficienza dei pro­ dotti in confronto alle previsioni di bilancio: non è quindi inutile vedere in quali cespiti si sia' spe­ cialmente verificata.

La più grossa parte di tale diminuzione riguarda le contribuzioni indirette, non compresi i sali e gli zuccheri, con 48.7 milioni di minor prodotto: poi gli zuccheri, con 38.7 milioni in meno ; le dogane con 18 lj2 milioni; il registro con 3 1)2 milioni, i proventi del demanio dello Stato con 3 1[2 milioni ; i proventi diversi con 2 lp4 milioni. Insomma, pres­ soché tutti i cespiti dei quali si tratta sono rimasti al disotto delle previsioni, meno cioè il bollo, la tassa sui valori mobiliari, i proventi dei monopoli e quelli dei sali.

E meno male che le imposte dirette e tasse as­ similate hanno dato degli aumenti di prodotto, che compensano in parte la deficienza di quelli delle im­ poste indirette.

I ruoli in esazione delle imposte dirette ascen­ devano a fr. 955,27(1,900; e gli otto primi dodicesimi scaduti importavano fr. 636,851,300; le riscossioni in­ vece si sono elevate a franchi 718,375,900 e, quindi, presentano un maggior prodotto di fr. 81,524,600.

IL CONSUMO INTERNO DEL VINO I

I mezzi che si vanno propugnando per accre­ scere il consumo del vino italiano all’ interno, scrive 1’ on. M. Ferraris nella Nuova Antologia del 15 otto bre, sono cosi vari e molteplici che riesce difficile tutti enumerarli. Essi sono principalmente :

1. ° L’ esclusione dei fini stranieri ;

2. “ L’ aumento dell’ abbuono per la distillazione dei vini ;

3. ° La riduzione o la modificazione dei dazi consumo nelle grandi città ;

4. ° L’ abbuono della tassa sullo zucchero per lo zuccheraggio dei mosti ;

5. ° Le facilitazioni ferroviarie ;

6. ° Le associazioni di produttori per l’ impianto di spacci diretti di vino ;

7. " L’ applicazione di norme severe contro la falsificazione tei vini.

Le importazioni di vino estero in botti in Italia, furono le seguenti negli ultimi 6 anni :

Anni Ettolitri 1895 ... 104,223 1896 ... 121,540 1897 ... 205,295 1898 ... 76,887 1899 ... 139,257 I960 ... 124,000

L’ impoi fazione in bottiglie è di circa 350,000 bottiglie l’ anno, contro un’ esportazione di quasi 4 milioni e mezzo di bottiglie.

Nei primi otto mesi di quest’ anno, 1’ importa­ zione dei vini dall’ estero in Italia, soprattutto dalla Turchia, è sensibilmente salita in confronto dell’an­ no scorso e si avvicina alla cifra del 1898. *)

Ora un primo punto ci pare fuori di contesta­ zione : che il dazio di fr. 5.77 all’ ettolitro che il vino estero paga per entrare in Italia è difesa insuffi­ ciente, sopratutto di fronte alla Turchia: che biso­ gna quindi elevare questa cifra almeno a 10 e più lire e possibilmente porre la Grecia — che ora paga 12 lire — e la Turchia — che ne paga 5.77 all’ infuori del regime convenzionale dei vini, come già abbiamo fatto per la Spagna ed il Portogallo.

* ■k *

La legislazione degli alcools in Italia è così va­ riabile, che difficilmente possiamo darne in breve un’ idea precisa. Se non erriamo, in base alla legge 8 agosto 1895, sulla tassa di fabbricazione dell’alcool, di lire 180 1’ ettolitro, si accorda un abbuono del 7 per cento alle fabbriche di prima categoria che di­ stillano dai farinacei; del 15 per cento a quelle di seconda categoria che e-traggono 1’ alcool dalle frutta, dal vino, dalle vinacce, eec., e del 18 per cento per le stesse fabbriche esercitate da Società Cooperative. Ma a più riprese venne accordato per la distillazione del vino un abbuono temporaneo, che fu dal 25 al 30 per cento nel 1900 e che era invece salito fino al 40 per cento nel 1890-92. Le conse­ guenze di questi abbuoni si i ¡flettono necessaria­ mente sulle entrate dello Stato, che oggidì ricava circa 80 milioni di lire dalla produzione interna de­ gli spiriti. Nelle annate ordinarie, la produzione dello spirito dal vino supera di poco i 2000 ettolitri ; il rendimento oscilla, secondo gli anni, da circa 7 a quasi 10 litri di alcool per ettolitro di vino. Nel 1899-900, grazie all’ abbuono del 25 al 30 per cento, dal 15 aprile in poi, la produzione dell’ alcool dal vino sali ad ettolitri 6553 : ma nel 1899-93, con una tassa di lire 160 ed un abbuono del 40 per cento, l’ alcool distillato dal vino ammontò ad 89,650 etto­ litri, il ohe presume una lavorazione di circa un milione di ettolitri di vino. Il reddito della finanza fu di soli 25,700,000 nel 1892-93 e di .21,482,000 nel- 1’ anno successivo.

Possiamo adunque concludere che mediante un forte abbuono del 40 per cento è possibile far pas­ sare alla distillazione circa un milione di ettolitri di vino, ma ciò costa presso a poco 5 milioni di lire all’ erario. Un provvedimento siffatto fu parecchie volte emanato e prorogato, sopratuttó per le

insi-t) Dal 1° gennaio al 31 agosto 1901, l’ importa­ zione di vino estero in Italia, in botti, fu 134,332 et­ tolitri, contro soli 79,443 ettolitri nei primi otto mesi dello scorso anno. Le sole importazioni notevoli fu­ rono quelle dalla Turchia, 97,234 ettolitri nel 1901, contro 39,863 nel 1900.

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