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Capitolo 3 Materiali e Metodi

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Academic year: 2021

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Capitolo 3

Materiali e Metodi

3.1 Progettazione CAD del dispositivo

La prima fase di questo lavoro di tesi si è basata sulla progettazione di un dispositivo multifunzionale miniaturizzato, adattabile a pozzetti di piastre per colture cellulari da 24. Tale dispositivo può essere utilizzato sia per stimolare direttamente le cellule e sia per funzionalizzare un substrato conduttivo mediante electroadsorption di diverse proteine in base a diverse configurazioni degli elettrodi da inserire. Nel presente lavoro di tesi il dispositivo verrà validato per funzionalizzare uno scaffold conduttivo con proteine per promuovere l'adesione cellulare. In Figura 3.1 è mostrata un'immagine di una piastra per colture cellulari da 24 pozzetti con esempi di case produttrici e dimensioni standard [87,88,89,90,91].

Figura 3.1. Illustrazione di una piastra per colture cellulari da 24 pozzetti con una tabella riassuntiva sulle dimensioni dei pozzetti proposte da cinque diverse case produttrici.

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53 Dopo aver fatto un'analisi delle dimensioni si è passati alla progettazione CAD del dispositivo: i prototipi sono stati disegnati, utilizzando il software di progettazione AutoCAD® e successivamente realizzati mediante una stampante 3D (Rapid prototyping machine (3Dsystems, Project, HD3000, USA)). Le componenti principali del sistema sono:

guscio esterno; base;

supporto per scaffold; elettrodi.

3.1.1 Guscio esterno

Il guscio esterno, realizzato sulla base delle dimensioni standard di un pozzetto per piastre da 24, ha un diametro esterno di 15 mm, un diametro interno di 11 mm e altezza 16 mm. Il design del guscio prevede la possibilità di essere montato in maniera semplice in fase sperimentale, grazie alla progettazione di due sezioni complementari.

Il guscio, avente uno spessore di 2 mm, ospita quattro canali forati di diametro 1 mm, che permettono l'inserimento delle connessioni elettriche dagli elettrodi verso l'esterno (foro 1 in Figura 3.2) .

Le pareti laterali presentano quattro aperture per l'inserimento degli elettrodi e del supporto per lo scaffold. In Figura 3.2 sono mostrate le due sezioni complementari che costituiscono l'intero guscio. Durante la progettazione del dispositivo è stata rispettata la simmetria tra le due sezioni del sistema.

Figura 3.2. Vista in sezione delle componenti del guscio esterno: 1) foro di diametro 1 mm per l'inserimento delle

connessioni elettriche, 2) apertura complementare di diametro 1.3 mm, 3) incastro di diametro 1 mm per il montaggio completo del guscio, 4) apertura laterale di 5 mm x 5 mm per l'inserimento degli elettrodi di stimolazione, 5) apertura di 1.4 mm x 2 mm per ulteriori connessioni.

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3.1.2 Base

Per completare il montaggio complessivo del guscio esterno e per rendere l'assemblaggio reversibile, è stata realizzata una base removibile. All'interno di quest'ultima è stata prevista un'apertura in grado di alloggiare in futuro un generatore di ultrasuoni (piezoelettrico) miniaturizzato di spessore 0.5 mm e diametro 7 mm per la stimolazione delle cellule [92] (alloggio 1 in Figura 3.3) . In Figura 3.3 è illustrata la

base di chiusura inferiore del guscio esterno e la posizione di inserimento. L' inserimento di un piezoelettrico è stato contemplato in vista di applicazioni future con colture cellulari e potrà essere utilizzato per fornire stimoli meccanici.

Figura 3.3. Rappresentazione della base di copertura inferiore e vista dal basso del guscio assemblato. In 1) è

illustrata l'apertura per il piezoelettrico, in 2) l' elemento di diametro 1mm e altezza 0.5 mm per l'inserimento nei fori del cilindro.

3.1.3 Supporto per scaffold

Per sostenere la parte inferiore dello scaffold è stato realizzato un sistema di supporto costituito da due elementi uguali e simmetrici che andranno inseriti nelle fessure create nelle pareti laterali del guscio esterno (Figura 3.4). Tale supporto è realizzato in materiale plastico al fine di garantire l'isolamento elettrico.

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Figura 3.4. Illustrazione di un elemento di supporto e suo inserimento. In a) è mostrato l'inserimento del

supporto; in b) è illustrata la struttura di un elemento di supporto che ha un'apertura (2) di 3 mm x2 mm per l'inserimento dell'elettrodo e la parte a contatto con la superficie dello scaffold (1) di 7 mm x 2 mm.

3.1.4 Elettrodi

Il sistema realizzato prevede contattati elettrici per mezzo di elettrodi regolabili in altezza, facili da montare e versatili per il loro utilizzo sperimentale. Sono stati realizzati due tipi di elettrodi. Il primo tipo (working electrode o elettrodo di lavoro) è costituito da due elementi di metallo (elementi 1 e 2 Figura 3.5), di cui uno filettato con passo 0.4 mm per l'inserimento di una vite di tipo M2 (elemento 1 in Figura 3.5), necessario a regolare l'altezza dalla superficie da contattare, tramite un sistema a vite, e uno che rappresenta il vero e proprio elettrodo di contatto (elemento 2 di Figura 3.5). Il secondo tipo (no contact electrode) è un elettrodo progettato ad hoc per l'inserimento nelle pareti del guscio esterno (Figura 3.6). Tale elettrodo può sia fungere da controelettrodo (counter electrode, c.e.) opportunamente isolato (infatti è stato realizzato anche in resina) e ricoperto da una mesh di Pt, sia da elettrodo di metallo per stimolazione cellulare. I dettagli costruttivi delle due tipologie di elettrodi sono riportate nelle messe in tavola dell'Appendice A.

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Figura 3.5. Illustrazione del working electrode, contattato allo scaffold, inserito nel guscio esterno e relative componenti. L'elettrodo si compone di due elementi 1) e 2); grazie all'inserimento di una vite in 1) può essere

regolata l'altezza di 2) fino ad un massimo di 4 mm. L'elemento 1) presenta anche un foro posteriore per essere contatto elettricamente con la rete esterna.

Figura 3.6. Illustrazione del montaggio e vista frontale e posteriore del no contact electrode. In a) è mostrata la

faccia della superficie di elettrodo a contatto con la parte interna del sistema; in b) è illustrata la vista posteriore con un foro di diametro 0.8 mm realizzato per il contatto elettrico.

3.2 Simulazioni

Tra i numerosi software commerciali che sfruttano l'analisi ad elementi finiti, in questo lavoro di tesi è stato utilizzato COMSOL Multiphysics® (Appendice B). Si tratta di un potente ambiente interattivo per la modellazione e la risoluzione di tutti i tipi di problemi scientifici ed ingegneristici basati su equazioni differenziali a derivate parziali. Mediante

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57 questo software, è possibile trasformare modelli convenzionali relativi ad uno specifico fenomeno fisico in modelli multi-fisici, che risolvono simultaneamente fenomeni accoppiati. È il caso, per l’appunto di uno scaffold bilayer conduttivo immerso in un mezzo di coltura e stimolato da elettrodi esterni. Lo sviluppo e la fruizione del modello mediante COMSOL Multiphysics® hanno previsto i seguenti passaggi:

1. scelta dello spazio di lavoro 3D;

2. import della geometria del sistema dal software AutoCAD®; 3. scelta di lavorare allo stato stazionario;

4. utilizzo del modulo AC/DC (utile per modellare l'andamento delle correnti e delle tensioni in microsistemi) in particolar modo la sezione "Electric current" (ec).;

5. scelta dei materiali per caratterizzare il sistema e impostazione delle proprietà di conducibilità e permittività relativa (Tabella 5);

Tabella 5. Elenco dei materiali caratterizzati per la simulazione.

Materiale Conducibilità [S/m] Permittività

Mezzo di coltura 1.6 [93] 80 [93] PEDOT:PSS 9* 4.2 Au 4.5* 1 PolyShrink 10-16 4.3 Vetro 10-4 4.1 Ag 63* 1

6. impostazione delle condizioni iniziali per simulare la fisica del problema: conservazione della corrente, isolamento elettrico, valore di tensione del working electrode pari a 1V (potenziale che non determina elettrolisi nel mezzo liquido [86]), contatto elettrico a massa (GND) del reference electrode;

7. impostazione della mesh: dato che siamo in presenza di una geometria piuttosto semplice, la mesh utilizzata per la simulazione è quella di default presente nel programma, per cui non è stato necessario inserire una mesh molto fitta per studiare la fisica del sistema.

8. implementazione del solver;

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3.3 Fabbricazione dello scaffold conduttivo

Per la fabbricazione dello scaffold bilayer conduttivo sono stati utilizzati dei materiali del tutto innovativi per applicazioni in Ingegneria Tissutale ai fini di creare topografie superficiali micro- e nancorrugate. Tra le tecniche di fabbricazione è stata utilizzata la polverizzazione catodica (sputtering) che è un processo per il quale si ha emissione di atomi, ioni o frammenti molecolari da un materiale solido detto bersaglio (target) bombardato con un fascio di particelle energetiche (generalmente ioni); gli atomi emessi dal bersaglio si ricondensano sulle superfici interne di una camera da vuoto, ricoprendo, così, superfici: basta semplicemente introdurre il pezzo da trattare nella camera da vuoto per un tempo sufficiente alla formazione di uno strato di materiale emesso dal bersaglio sulla sua superficie. La deposizione per sputtering permette di ottenere film di ottima qualità. Tipicamente lo spessore dei ricoprimenti realizzati con questa tecnica va dalle decine di nm ai µm. In più è stata utilizzata la tecnica di rivestimento per rotazione (spin coating), la quale è una procedura utile per applicare un film sottile e uniforme ad un substrato solido piano. In breve, una quantità in eccesso di una soluzione molto diluita della specie che si vuole depositare (ad esempio, un polimero) viene depositata sul substrato, che è successivamente messo in rapida rotazione tramite un apposito rivestitore rotante (brevemente rotore), al fine di spargere il fluido sul substrato per effetto della forza centrifuga. I solventi utilizzati sono di solito molto volatili, dunque il film si assottiglia durante il processo anche per effetto dell'evaporazione del solvente; inoltre lo spessore tipico può andare al di sotto dei 10 nm. Nei paragrafi successivi verranno descritti in dettaglio le procedure seguite nel presente lavoro di tesi.

3.3.1 Scelta dei materiali

Lo scaffold è costituito da :

1. un substrato di PolyShrink, polistirene termoretraibile. Per questo lavoro di tesi sono stati utilizzati fogli di Polyshrink trasparenti di spessore 0.2 mm acquistati dalla Lucky Squirrel (Figura 3.7) [94]. Questo materiale, quando riscaldato a T = 160 °C per alcuni minuti, riduce le sue dimensioni laterali fino al 40% rispetto alle sue dimensioni originali. Concomitantemente, il suo spessore aumenta fino a circa 2 mm. Il modulo di Young del PolyShrink, ~ 3GPa a temperatura ambiente diminuisce di circa 100 volte (~ 1 MPa) quando viene riscaldato.

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Figura 3.7. Illustrazione di fogli di PolyShrink prodotti dalla Luky Squirred. In questo lavoro di tesi vengono

utilizzati fogli di PolyShrink trasparenti.

2. un film omogeneo di Au (modulo di Young ~78 GPa) ;

3. uno strato di PEDOT:PSS, polimero conduttivo prodotto dalla Clevios™ [95], il quale si presenta come una soluzione colloidale (particelle di PEDOT disperse in una soluzione acquosa), questo grazie al fatto che il PEDOT, polimero già intrinsecamente conduttore, viene complessato con il PSS che grazie ai gruppi polari preesistenti in esso (sulfonato) rendono il complesso PEDOT:PSS solubile in O. Il suo modulo di Young è di circa 1 GPa. Ci sono diversi tipi di sospensioni di PEDOT:PSS disponibili in commercio (Heraeus, Leverkusen, Germany) (Tabella 6), i quali differiscono tra loro per il rapporto di concentrazione tra il PEDOT e il PSS. Questo diverso rapporto di concentrazione è alla base di una maggiore o minore conduttività. In questo lavoro viene utilizzato il PEDOT:PSS PH1000 perché promette le migliori caratteristiche di conduttività.

Tabella 6. Tabella che mostra alcuni tipi di dispersioni di PEDOT:PSS Clevios™ commerciali . In Tabella sono

illustrati i valori tipici relativi al contenuto solido, al rapporto PEDOT:PSS, viscosità, dimensioni delle particelle e conducibilità delle dispersioni di PEDOT:PSS commerciali. I valori di conducibilità di PH500, PH750 e PH1000 sono stati misurati in presenza del 5% (w/w) di dimetilsolfossido (DMSO) [96].

Tali materiali sono stati impiegati nella preparazione di tre diverse tipologie di scaffold: flat, biassiale e uniassiale come descritto sinteticamente nello schema riportato in Figura 3.8. I campioni flat (F) vengono ottenuti depositando Au e PEDOT:PSS dopo aver

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60 trattato termicamente il PolyShrink, i biassiali (B) vengono ottenuti depositando prima Au e PEDOT:PSS sul substrato di PolyShrink e poi trattati termicamente, infine, i campioni uniassiali (U) vengono ottenuti depositando prima Au e PEDOT:PSS sul substrato di PolyShrink, bloccando due lati, del substrato (clamping) con due binder clip per essere poi trattati termicamente.

Figura 3.8. . Schema riassuntivo del processo di microfabbricazione delle superfici microcorrugate di tipo F, B e U. Dopo aver tagliato e lavato i substrati di PolyShrink (a) viene depositato Au per i campioni da 2.5 cm x 2.5 cm e

da 1.75 cm x 1.75 cm (b). Dopo lo sputter viene fatto uno spin coating di PEDOT:PSS (c), un trattamento su piastra a 40 °C per qualche minuto (consente la completa asciugatura del PEDOT depositato) e per B viene fatto il trattamento termico in forno a 160 °C per 6 minuti (d) (e). I campioni U, invece, vengono prima bloccati con delle binder clip (f) lungo il piano x-y e poi trattati termicamente in forno a 160 °C per 6 minuti (g). In (e) è illustrata un'immagine AFM di un campione B con 6 nm Au e spin coating di PEDOT:PSS a velocità 6000 rpm per 60 secondi, in (g) un'immagine SEM di un campione U con 6 nm di Au e spin coating di PEDOT:PSS a 6000 rpm per 60 secondi. (Immagine modificata da [71]).

Le specifiche procedure adottate per ciascun tipo di scaffold vengono descritte qui di seguito.

x y z

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3.3.2 Metodi di preparazione

PolyShrink

I fogli di Polyshrink sono stati tagliati alle dimensioni volute con l'ausilio di un sistema per il taglio laser, impiegante un laser a CO2 (VersaLaser VL200, USA).

Per ottenere campioni con superficie di 7 x7 mm2 sono stati effettuati i seguenti passi: 1. taglio alla laser cutter di quadrati di PolyShrink di 1.75 x 1.75 cm2 e spessore

200 µm per ottenere campioni di tipo B e F;

2. taglio alla laser cutter di quadrati di PolyShrink di 2.5 x 2.5 cm2 e spessore 200 µm per ottenere campioni di tipo U ;

3. lavaggio dei campioni con isopropanolo (IPA) e acqua deionizzata; 4. asciugatura con getti di aria compressa.

PEDOT:PSS

Per aumentare la conducibilità del PEDOT:PSS, alla sospensione è stato aggiunto il 5% w/w di dimetilsolfossido (DMSO) [42]. Per la preparazione della sospensione sono stati implementati i seguenti passi:

1. aggiunta del 5% in w/w di dimetilsolfossido (DMSO) al PEDOT:PSS Clevios PH1000;

2. filtraggio della sospensione con filtro aventi porosità del diametro di 1.2 µm (Whatman, USA);

3. agitazione per 6 ore.

3.3.3 Metodi di deposizione

Sputtering di Au

In questo lavoro di tesi, per la deposizione di uno strato omogeneo di Au sul PolyShrink viene utilizzato il Q150R ES Sputter Coater (Quorum Technologies, U.K) con differenti parametri di corrente e tempo di deposizione in base allo spessore del film che si vuole depositare. I parametri di sputtering desiserati possono essere ricavati da curve fornite dal datasheet dello strumento; infatti da esse si può ricavare il valore della corrente (mA) in funzione del rate di deposizione (nm/min) [97]. In Tabella 7 è illustrato uno schema dei parametri di sputtering relativi a spessori di Au utilizzati in questo lavoro di tesi.

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Tabella 7. Parametri di sputtering per il Q150R ES Sputter Coater per la deposizione di film di Au.

Spessore Au [nm] Corrente, I [mA] Tempo [s]

6 20 120

12 30 120

20 40 120

40 40 240

60 40 360

Spin coating di PEDOT:PSS

Per la deposizione di PEDOT:PSS sul substrato di PolyShrink, su cui è stato depositato precedentemente Au, è stata utilizza la tecnica dello spin coating (Single Substrate Spin Processor:SPIN150-NPP). La velocità di spin coating è legata allo spessore del film; infatti all'aumentare della velocità si ha una diminuzione dello spessore del film depositato [98]. In Figura 3.9 è illustrato un grafico dell'andamento dello spessore depositato di PEDOT:PSS in funzione della velocità di deposizione. Dopo lo spin coating i campioni vengono posizionati su una piastra a 40 °C per pochi minuti in modo da garantire la completa asciugatura del film conduttivo e il riarrangiamento strutturale del PEDOT e del PSS.

Figura 3.9. Grafico dell'andamento dello spessore di PEDOT:PSS, t (nm) depositato in funzione della velocità, s (rpm) [98].

3.3.4 Realizzazione di superfici micro- e nanocorrugate

Dopo la deposizione di Au e PEDOT:PSS si procede con un trattamento termico dei campioni in forno a 160 °C (Lenton Laboratory Oven, Welland range - 300°C). Il trattamento termico del Polyshrink a 160 °C per 6 min causa la riduzione irreversibile di circa il 40% rispetto alle dimensioni lungo la direzione x-y e un aumento dello

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63 spessore lungo z (da 0.2 mm a circa 2 mm per campioni B e F e a circa 1.3 mm per campioni U). La temperatura di 160 °C (al di sopra della temper

100 °C) rende il PS abbastanza flessibile da essere integrato nelle corrugazioni del metallo e del PEDOT:PSS [76,2].

Come accennato nel Paragrafo 3.3.1 durante il trattamento termico sono stati ottenuti campioni con diversa corrugazione superficiale. In Tabella 8 viene mostrato uno schema con il tipo di campione e il relativo trattamento in modo da chiarificare in cosa consiste la differenza tra le tre tipologie di campione.

Tabella 8. Schema riassuntivo delle peculiari topografie di campioni ottenuti con diversi trattamenti.

TIPO DI CAMPIONE TRATTAMENTO

F

Il trattamento termico del PolyShrink viene effettuato prima

della deposizione di Au e di PEDOT:PSS;

Campioni utilizzati come controllo.

B Si effettua il trattamento termico a

campione libero.

U

Si applicano due binder clip ai bordi del campione in direzione x;

Si procede con il trattamento termico;

Per ottenere campioni di 7 x 7 mm2 si effettua un taglio alla laser

cutter della parte centrale del campione ottenuto(Figura 3.10).

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Figura 3.10. Illustrazione del processo di clamping prima e dopo il trattamento termico. Le immagini mostrano

a sinistra il campione tra due binder clip posto su di un vetrino e a destra il campione ottenuto dopo il trattamento termico non più fissato tra le due clip.

3.4 Caratterizzazione topografica di scaffold micro- e

nanocorrugati: strumentazione e acquisizione dati

Le proprietà dei materiali su scala micrometrica e nanometrica sono fortemente legate alle dimensioni e alla forma della micro- e nanostruttura stessa. Infatti, a differenza di un sistema fisico macroscopico, la cui risposta elettrica e meccanica è determinata in linea di massima dalle proprietà di bulk del materiale di cui è composto, procedendo verso la miniaturizzazione dei sistemi ci si avvicina sempre di più alle dimensioni critiche per cui cambia la struttura elettronica stessa dei materiali ed entrano in gioco effetti determinanti alla micro- e alla nanoscala. Risulta quindi di fondamentale importanza poter sondare le proprietà di una micro- e nanostruttura ai fini di rilevare allo stesso tempo la sua forma e le sue dimensioni. La microscopia elettronica a scansione e la microscopia a forza atomica permettono di studiare la topografia di un sistema (Appendice C). In questo lavoro di tesi sono state utilizzate queste due tecniche per studiare con risoluzione nanometrica le superfici corrugate dei campioni B e U. In particolare sono state ottenute immagini ad alta risoluzione per poter caratterizzare la topografia degli scaffold bilayer conduttivi. Le immagini SEM sono state ottenute utilizzando tensioni di accelerazione tipiche di 10 kV con un SEM EVO MA10 (Zeiss, Germany) con sorgente LaB6 e un Dual Beam FIB-SEM con sorgente elettronica

field-emission (Helios NanoLab 600i , FEI, USA). Per ricavare immagini AFM è stato, invece, utilizzato il microscopio Innova Scanning Probe Microscope (Veeco, USA) e le misure sono state effettuate in aria, a temperatura ambiente, in tapping mode, con sonda rivestita in silicio per aumentare la riflettività (Micromach Ultrasharp NSC15/AIBS) e con frequenza di risonanza tipica di 325 kHz ad una forza costante di 46 N/m. L'area di scansione scelta è di 50 µm x 50 µm, scansione effettuata in direzione perpendicolare alle corrugazioni. Le immagini ottenute con il SEM e l'AFM sono state poi analizzate con opportuni software e sono stati ricavati i parametri caratteristici delle corrugazioni.

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3.4.1 Analisi delle immagini

Le superfici micro- e nanocorrugate vengono analizzate a partire da immagini ricavate da tecniche di microscopia elettronica a scansione e di microscopia a forza atomica. In questo lavoro di tesi le immagini SEM e AFM sono state processate con l'ausilio di due strumenti software di analisi: Gwyddion® per estrapolare i dati di interesse e MatLab® per la loro elaborazione numerica e statistica. L'obiettivo di questa analisi è stato quello di caratterizzare la peculiare topografia dei campioni, misurando la periodicità (λ0, distanza tra due picchi vicini lungo l'asse x) e l'ampiezza delle

corrugazioni (A, altezza tra un picco massimo e un picco minimo successivo lungo l'asse z). In Figura 3.11 è illustrato uno schema che chiarifica quanto appena descritto.

Figura 3.11. Schema della formazione di corrugazioni dovute ad una instabilità meccanica in un sistema

bilayer. In (a) è riportato lo spessore del materiale depositato; in (b) la periodicità λ0 e l'ampiezza A [99].

Gwyddion® è un programma modulare per la visualizzazione e analisi dei dati SPM (Scanning Probe Microscope). In particolare viene utilizzato per l'analisi dei campi di altezza ottenute mediante tecniche di microscopia a scansione di sonda, ma può essere generalmente utilizzato per qualunque altra analisi del campo di altezza o analisi sulla base di immagini. Gwyddion® è un software libero e open source, coperto da licenza GNU GPL e supporta un insieme limitato di formati di file dati.

In questo lavoro di tesi il calcolo delle lunghezze d'onda di immagini AFM e SEM è stato effettuato importando le immagini con formato PNG in Gwyddion® e sono state tracciate linee orizzontali sulle immagini stesse grazie allo strumento "Estrai Profili" che il software mette a disposizione. Da questa operazione si ricavano dei profili che rappresentano l'andamento delle posizioni dei pixel (asse x) in funzione dei livelli di grigio (asse y). La lunghezza d'onda viene vista come distanza lungo x tra la posizione di due picchi massimi successivi.

Per ricavare i valori delle altezze sono state importate le immagini AFM ed è stato effettuato prima di tutto un leveling dell'immagine (strumento: "Livella Dati per Sottrazione del Piano Medio"); infatti una delle potenzialità di Gwyddion® è quella di modificare le immagini prese con l'AFM che spesso presentano delle distorsioni dovute a movimenti spuri della punta dello strumento; successivamente sono state calcolate le

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66 altezze dai profili come distanza lungo y tra un picco massimo e il suo successivo picco minimo.

MatLab®, invece, è un ambiente per il calcolo numerico e l'analisi statistica. Questo software consente di manipolare matrici, visualizzare funzioni e dati, implementare algoritmi, creare interfacce utenti, e interfacciarsi con altri programmi. In questo lavoro di tesi, per il processing delle immagini SEM e AFM sono stati implementati programmi MatLab® sia per ricavare le lunghezze d'onda sia per ricavare le altezze. I listati MatLab® sono riportati in Appendice D.

Per il calcolo delle lunghezze d'onda in MatLab® sono stati effettuati i seguenti passi: 1. importazione dei dati relativi alla PSDF radiale (Power Spectrum Density

Function) calcolata su un'immagine importata in Gwyddion® mediante lo strumento "Calcolo Funzioni Statistiche 1D". La PSDF è la trasformata di Fourier (Fast Fourier Transform, FFT) della Funzione di Autocorrelazione (W). La definizione della Densità Spettrale di Potenza calcolata lungo i profili topografici è data da:

dove K indica la frequenza spaziale (con unità di misura m-1) espressa come: K=1/2πx. Dato che siamo nel dominio di Fourier si opera nel K spazio e la FFT di un'immagine la decompone in una somma di onde seno e coseno aventi ciascuna differenti frequenze. I dati importati vengono visti in MatLab® come una matrice avente nella prima colonna i valori della PSDF e nella seconda colonna i dati relativi alla frequenza spaziale;

2. calcolo delle lunghezze d'onda a partire dalla PSDF;

3. rappresentazione dell'andamento delle lunghezze d'onda in funzione della probabilità (valori della PSDF normalizzati rispetto al valore massimo);

4. applicazione della funzione "findpeaks" per trovare i massimi locali della funzione e individuare i picchi.

Per ricavare le altezze in MatLab® da immagini AFM è stata eseguita questa procedura:

1. importazione dei dati relativi ai profili tracciati su immagini in Gwyddion®; la matrice dei dati contiene nella prima colonna i valori delle posizioni (asse x del profilo) e nella seconda colonna i valori relativi alle intensità dei pixel espresse in livelli di grigio (asse y del profilo);

2. calcolo delle altezze come distanza lungo y tra un picco alto e il successivo picco basso e separazione;

3. calcolo del valore medio e della deviazione standard delle altezze con le specifiche funzioni.

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3.5 Marcatura ed electroadsorption di proteine

Come descritto nel Paragrafo 2.3 gli scaffold sintetici hanno lo scopo di mimare il più possibile le condizioni in cui le cellule si trovano normalmente in vivo e quindi avvicinarsi sempre di più alle caratteristiche della ECM. La biofunzionalizzazione di scaffold si basa principalmente sull'utilizzo di molecole per l'adesione che legano l'integrina (molecola di adesione cellulare attraverso cui è mediata la trasmissione dei segnali chimici e meccanici) a fattori di crescita. L'applicazione di proteine e di peptidi da esse derivati (ad esempio la sequenza RGD presente in laminina, collagene e Fibronectina) a scaffold per applicazioni in TE sta ricevendo grande attenzione per l'adesione di molti tipi di cellule.

Le proteine scelte per l'electroadsorption sullo scaffold conduttivo sono quelle ampiamente studiate in letteratura per l'adesione cellulare: la Fibronectina (Fn) e la Poli-D-Lisina (PDL). Le proteine sono costituite da aminoacidi che contengono siti acidi e basici. È dunque importante considerare il punto isoelettrico (PI) della proteina, ovvero il valore di pH al quale il numero delle cariche negative sulla molecola prodotta dalla ionizzazione del gruppo carbossilico risulta uguale al numero delle cariche positive acquisite dal gruppo amminico; quindi il PI è il valore di pH a cui la proteina non risulta elettrificata.

3.5.1 Marcatura in fluorescenza delle proteine

La fluorescenza è un fenomeno fisico per cui una molecola colpita da una radiazione elettromagnetica di una certa lunghezza d'onda (λ di eccitazione), emette un'altra radiazione di lunghezza d'onda superiore (λ di emissione).

Le proteine sono molecole che presentano scarsa auto fluorescenza: uno dei metodi largamente utilizzati per poterle osservare è quello di renderle fluorescenti per mezzo di un processo di labeling o "marcatura". Esse vengono fatte reagire con un fluorocromo opportuno rendendole in tal modo fluorescenti.

In Figura 3.12 sono riportati alcuni fluorocromi di uso comune e per ciascuno di essi è indicata sia la lunghezza d'onda di eccitazione che quella di emissione). In questo lavoro di tesi il fluorocromo utilizzato per la marcatura delle proteine è Oregon Green® 488 che presenta le seguenti lunghezze d'onda: λeccitazione = 496, λemissione = 524 (emissione nel verde).

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Figura 3.12. Lunghezza d'onda (nm) di eccitazione e di emissione di alcuni fluorocromi di uso comune.

Il kit di labeling fluorescente utilizzato per marcare le proteine utilizzate negli esperimenti è l' Oregon Green® 488 Protein Labeling Kit 0-10241 (Molecular Probe) il quale contiene principalmente:

1. il fluorocromo reattivo in fiale, ciascuna contenente una barra magnetica; 2. 84 mg di NaHCO3 ( bicarbonato di sodio con peso molecolare 84); 3. fiale e filtri per la separazione tra colorante non reattivo e proteina legata. La procedura di labeling seguita per questo lavoro di tesi ha previsto i seguenti passi:

1. preparazione di una soluzione 1M di bicarbonato di sodio;

2. diluizione con una soluzione buffer di PBS a 2 mg/mL la quantità di proteina avente concentrazione iniziale maggiore di 2 mg/mL;

3. aggiunta e mix di 50 µL di soluzione 1M di bicarbonato a 0.5 mL di proteina; 4. aggiunta della soluzione di proteina e bicarbonato alla provetta con colorante; 5. agitazione e incubazione overnight a temperatura ambiente ed in assenza di luce

per non danneggiare la marcatura fluorescente;

6. trasferimento della soluzione di proteina legata al colorante in una falcon (Amicon ® Ultra-4 Centrifugal filter devices, USA), con filtro da 10 KDa; 7. centrifugazione (Universal 320R Refrigerate Benchtop Centrifuge,

Hettlich-Tuttlingen (Germany)) fino a totale estrazione della proteina legata ed eliminazione del colorante in eccesso non legato.

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69 Fibronectina

La Fibronectina (FN) (F4759, Sigma) è una glicoproteina multifunzionale della ECM costituita da due catene polipeptidiche molto simili (non identiche) unite da legami disolfuro di peso molecolare 220 kDa (Figura 3.13). Essa contiene molti domini funzionali e strutturali distinti che possono legarsi alla superficie delle cellule per mezzo delle integrine e alle componenti della ECM come collagene, fibrina, glucosaminoglicani e proteoglicani. Numerosi studi mostrano che la Fibronectina può migliorare l'adesione cellulare ed influenzare la migrazione cellulare sia in vivo che in vitro [100]. Infatti la Fibronectina gioca un ruolo importante nella morfologia, organizzazione del citoscheletro, fagocitosi, omeostasi, differenziazione embrionica e guarigione di ferite [101]. L'adsorbimento di proteine è un processo fondamentale che si innesca immediatamente dopo l'introduzione di materiali artificiali in ambiente biologico sia in vivo che in vitro. Il reclutamento, la ritenzione, e la struttura conformazionale delle proteine sulla superficie di un biomateriale sono importanti proprietà che possono interagire in maniera sinergica per promuovere le risposte favorevoli e non di cellule e tessuti [83]. In particolare Molino et al. hanno caratterizzato un modello di adsorbimento di FN su una superficie corrugata di PPy dopato con destrano sulfonato (DS) (PPY-DS) ed hanno visto che l'adsorbimento della FN (ad una concentrazione relativamente bassa di 50 µg/mL) è indipendente dalla corrugazione superficiale; infatti hanno visto che non si verifica alcun cambiamento evidente nel legame superficie-proteina confrontato con altre superfici di diversa morfologia.

Figura 3.13. Struttura molecolare della Fibronectina.

Inoltre hanno studiato l'adsorbimento di FN assistito elettricamente. Per studiare l'influenza dell'attivazione elettrochimica dei film biocompositi di PPy-DS su FN hanno ridotto (-300 mV) ed ossidato (+300 mV) i film durante il processo di adsorbimento della proteina ed hanno visto che la concentrazione della FN su film ossidati era maggiore. Il PI della FN varia tra 5.5 e 6.0 per cui la proteina presenta una carica negativa in soluzione con pH neutro.

(19)

70 Poli-D-lisina

Oltre alle proteine della ECM anche la polilisina influenza positivamente l'adesione cellulare. È stato scoperto che la funzionalizzazione di biomateriali con piccole concentrazioni di polilisina a basso peso molecolare promuove solo debolmente l'adesione, mentre se presente in alte concentrazioni ed elevato peso molecolare induce lisi cellulare. La risposta delle cellule in superfici funzionalizzate con polilisina dipende quindi fortemente dal peso molecolare della stessa [102].

La Poli-D-Lisina (PDL) (P0899, Sigma), con peso molecolare che varia tra 70 e 150 KDa è una molecola sintetica che migliora l'adesione cellulare e l'adsorbimento proteico. Le superfici rivestite con polilisina sono ideali per le seguenti applicazioni: adesione e proliferazione di varie linee cellulari, differenziazione e crescita dei neuriti, adesione di linee cellulari transfettate e sopravvivenza dei neuroni primari in coltura [86]. La PDL è un polipeptide cationico sintetico carico positivamente (PI pari a 12.9) la cui formula molecolare è illustrata in Figura 3.14.

Figura 3.14. Formula della PDL, con indicato l'agente protonante, l'acido bromidrico (HBr). Il peso

molecolare di ciascuna molecola dipende dal numero di monomeri n da cui è formata.

In Tabella 9 vengono riportate le proteine utilizzate in questo lavoro di tesi con il relativo fluorocromo legato, il punto isoelettrico e il range di concentrazione consigliato per le colture cellulari.

Tabella 9. Tabella riassuntiva delle proteine, fluorocromi legati e concentrazioni consigliate per le colture cellulari.

Proteina Carica Fluorocromo Concentrazione per le cellule µg/cm2

Fibronectina Negativa Oregon Green® 488 1-5 [103] Poli-D-Lisina Positiva Oregon Green®488 2-4 [104]

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71

3.5.2 Calibrazione

Ai fini di un calcolo più realistico possibile sulla quantità di proteina elettroadsorbita sul substrato, sono state effettuate delle prove di calibrazione con misure di unità di assorbimento (U. A.) di soluzioni di proteine a concentrazioni note. Infatti da tale analisi si possono ottenere grafici di U. A. in funzione della quantità di proteina (µg). Inoltre dalla legge di Lambert-Beer si evidenzia la relazione tra intensità della fluorescenza e concentrazione di sostanza:

I = I0e-kcd

dove è l'intensità della radiazione di eccitazione, è l'intensità della radiazione emessa, k è il coefficiente di assorbimento molare, d è la lunghezza del cammino ottico (espresso in cm) e c è la concentrazione della sostanza (moli/litro).

Lo strumento utilizzato per la quantificazione della fluorescenza è un lettore di piastre (Victor X3 Multilabel Plate Reader (Perkin-Elmer- Whaltham (MA))), mostrato in Figura 3.15, il quale restituisce i valori di U.A. relativi alle concentrazioni di soluzioni poste in pozzetti di piastre per colture cellulari. Per realizzare il massimo della sensibilità, le misure di fluorescenza vengono normalmente eseguite ad una lunghezza d'onda corrispondente ad un picco di assorbimento, poiché in prossimità di tale punto la variazione di fluorescenza per unità di concentrazione è maggiore.

Per ottenere le rette di calibrazione sono stati eseguiti i seguenti passi: 1. scelta come volume di riempimento dei pozzetti 100 µL ;

2. riempimento di 3 pozzetti con 100 µL di PBS (campione bianco) in modo da ottenere il valore medio di assorbanza da sottrarre ai valori di fluorescenza derivanti dalle soluzioni con proteine;

3. riempimento di 3 pozzetti per ogni concentrazione di proteina. Sono state scelte 5 concentrazioni differenti di proteina in modo da avere 5 punti definiti nelle rette di calibrazione. Come valore massimo della concentrazione di proteina è stato scelto quello consigliato per le colture cellulari (Tabella 9);

4. scelta della lunghezza d'onda di eccitazione; il plate reader è interfacciato ad un software che presenta una schermata dove è possibile selezionare sia i pozzetti in cui sono presenti le soluzioni sia le lunghezze d'onda di eccitazione;

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72

Figura 3.15. Lettore di piastre utilizzato per la misura dell'intensità di fluorescenza.

3.5.3 Protein Electroadsorption: analisi fluorimetrica

La misura di fluorescenza associata a substrati con proteina adsorbita con e senza applicazione di correnti note è stata effettuata con lo scopo di risalire alla concentrazione di proteina adsorbita sulle tre tipologie di substrati conduttivi micro- e nanocorrugati. Per tale studio sono state effettuate due fasi. La prima fase, denominata "fase no current" consiste nei seguenti punti:

1. riempimento di tre pozzetti di piastre da 24 con 1 ml di PBS;

2. inserimento dei substrati conduttivi (F, B, U) all'interno dei pozzetti; 3. misura della fluorescenza mediante il lettore di piastre;

4. riempimento di altri tre pozzetti con 1 ml di proteina;

5. inserimento dei substrati conduttivi nella soluzione contenente proteina; 6. incubazione per 3 minuti senza applicazione di corrente;

7. risciacquo dei substrati in PBS;

8. inserimento dei substrati nei tre pozzetti di partenza, in cui è presente ancora 1 mL di PBS;

9. misura della fluorescenza al lettore di piastre.

La seconda fase denominata "fase current" consiste nei seguenti passi: 1. riempimento di tre pozzetti di piastre da 24 con 1 ml di PBS;

(22)

73 3. misura della fluorescenza al lettore di piastre;

4. montaggio del dispositivo e inserimento del substrato conduttivo;

5. collegamento al potenziostato (Gamry Instruments Reference 600) dei seguenti

elementi: elettrodo di lavoro (working electrode, w.e.) che viene contatto con il layer di PEDOT:PSS, controelettrodo (counter electrode ,c.e.) costituito da una mesh di Pt contattata con un filo di Pt) e dell'elettrodo di riferimento ((reference electrode, r.e.) (Ag/AgCl)); l'apparato sperimentale viene mostrato in Figura 3.16. Il potenziostato serve a mantenere ad un valore determinato, con buona precisione, la differenza di potenziale applicata tra il w.e., sul quale si svolgono i fenomeni elettrochimici di interesse, e il r.e. in modo da poter assumere come costante il suo contributo alla differenza di potenziale in questione. Ovviamente i tre elettrodi sono a contatto attraverso la soluzione elettrolitica;

6. impostazione della corrente al w.e. per 3 minuti e rilevamento della tensione in funzione del tempo grazie ad un'interfaccia software che comunica in maniera bidirezionale con il potenziostato. Il software di analisi utilizzato è Gamry Framework® grazie al quale è possibile impostare il tipo e i parametri dell'esperimento che si vuole eseguire. In questo caso è stata selezionata la voce "chronopotentiometry". La cronopotenziometria (galvanostatica) è una misura che viene effettuata a corrente costante e permette di registrare curve potenziale- tempo (E/t). In questo caso il potenziostato è impostato come galvanostato in grado di misurare la variazione del potenziale in funzione del tempo. Nelle tecniche galvanostatiche la corrente tra l’elettrodo di lavoro ed il controelettrodo (corrente di cella) è mantenuta costante ed il potenziale valutato tra l’elettrodo di riferimento e l’elettrodo di lavoro è espresso in funzione del tempo;

7. prelievo dei substrati dal dispositivo;

8. inserimento dei substrati nei tre pozzetti di partenza contenenti PBS; 9. misura della fluorescenza al lettore di piastre.

Il valore finale della fluorescenza in tutte e due le fasi viene calcolato come differenza tra il valore della fluorescenza dopo l'adsorbimento e il valore della fluorescenza prima dell'adsorbimento stesso.

(23)

74 a)

b)

Figura 3.16. Setup sperimentale per l'electroadsorption con collegamento degli elettrodi del dispositivo, con all'interno lo scaffold, ai connettori esterni del potenziostato. In (a) è mostrato in particolare l'inserimento del

dispositivo e dello scaffold in un pozzetto della piastra prima della fase di misura: 1) indica il w.e. con il relativo filo di connessione 2) al potenziostato; 3) è la vite per regolare l'altezza del w.e. per il giusto contatto elettrico con lo

scaffold 6) (l'immagine riporta un campione biassiale); 4) è la mesh di Pt (c.e.) connessa al potenziostato mediante il

filo di Pt 5). La figura (b) mostra l'apparato di sperimentazione per le misure di electroadsorption su scaffold conduttivi.

(24)

75

3.5.4 Protein Electroadsorption: analisi al microscopio a fluorescenza

In questo lavoro di tesi si è utilizzata anche un mezzo di analisi qualitativa per confermare i risultati dell'electradsorption.

Grazie alla microscopia in fluorescenza è stato possibile osservare, infatti, se la proteina si fosse elettroadsorbita in maniera uniforme sul substrato, in modo da confermare i dati ottenuti dall'analisi fluorimetrica (descritta nel paragrafo 3.5.3).

Le proteine elettroadsorbite sullo scaffold e marcate con fluorocromi sono illuminate con la luce di eccitazione. Questa luce è ottenuta filtrando la radiazione generata dalla sorgente luminosa del microscopio utilizzato, per mezzo di un opportuno filtro ottico, chiamato filtro di eccitazione, che lascia passare solo le lunghezze d'onda che possono essere assorbite dalle molecole fluorescenti con le quali sono stati marcati gli oggetti da osservare. Il filtro di eccitazione è un filtro ottico di barriera, cioè un passa banda con banda passante molto stretta centrata attorno alla lunghezza d'onda di eccitazione delle molecole di sostanza fluorescente.

La luce di eccitazione passa attraverso le lenti che costituiscono l’obiettivo del microscopio, le quali la focalizzano attraverso il campione da osservare. Le molecole fluorescenti, una volta illuminate dalla luce di eccitazione, emettono una radiazione luminosa; l’intensità di tale radiazione è direttamente proporzionale sia alla densità di molecole fluorescenti, cioè al numero di tali molecole contenute nell’unità di volume di campione osservato, che all’intensità della luce di eccitazione stessa. La luce emessa per fluorescenza passa di nuovo attraverso l’obiettivo, il quale la focalizza verso il dispositivo di rivelazione luminosa; poi attraversa un altro filtro ottico, chiamato filtro di osservazione, che lascia passare solo le lunghezze d’onda emesse dalle molecole fluorescenti considerate. Anche il filtro di osservazione, come quello di eccitazione, è un filtro ottico di barriera, cioè un passa banda con banda passante molto stretta centrata questa volta attorno alla lunghezza d’onda di emissione delle molecole di sostanza fluorescente.

La luce che esce da questo secondo filtro è monocromatica e raggiunge il rivelatore luminoso, che può essere un oculare oppure una videocamera; tale rivelatore permette all’operatore di osservare l’immagine di microscopia a fluorescenza del campione osservato, nella quale sono visibili gli oggetti marcati con le molecole fluorescenti in questione. In tale immagine gli oggetti marcati appaiono luminosi su uno sfondo scuro, perché i punti dello sfondo, non essendo marcati, non emettono luce per fluorescenza ed anche se riflettono una parte della luce di eccitazione. Il microscopio utilizzato in questo lavoro di tesi è un Nikon (Eclipse Ti-e Inverted Microscope (Kanagawa, Japan)), di cui è riportata l’immagine in Figura 3.17. Le immagini prese con tale microscopio sono acquisite a tre diversi tipi di ingrandimento: 4x, 10x e 20x.

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76

Figura

Figura  3.1.  Illustrazione  di  una  piastra  per  colture  cellulari  da  24  pozzetti  con  una  tabella  riassuntiva  sulle  dimensioni dei pozzetti proposte da cinque  diverse case produttrici
Figura 3.2. Vista in sezione delle componenti del guscio esterno: 1) foro di diametro 1 mm per l'inserimento delle  connessioni  elettriche,  2)  apertura  complementare  di  diametro  1.3  mm,  3)  incastro  di  diametro  1  mm    per  il  montaggio compl
Figura 3.3.  Rappresentazione della base di copertura inferiore e vista dal basso del guscio assemblato
Figura  3.4.  Illustrazione  di  un  elemento  di  supporto  e  suo  inserimento.  In  a)  è  mostrato  l'inserimento  del  supporto;  in  b)  è  illustrata    la  struttura  di  un  elemento  di  supporto  che  ha  un'apertura  (2)  di  3  mm  x2  mm  per
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