ORAZIONE
PANEGIRICA DI S.
LEONE MAGNO
PATRONO DELLA PARROCCHIA DI...
Giovanni Monge
ORAZIONE PANEGIRICA
DI
S. LEONE MAGNO
ORAZIONE PANEGIRICA
DI
SAN LEONE MAGNO
PATRONO DELLA PARROCCHIA
DI
QOYKMOLO
dall' arcipretk
D.
GIOVANNI MONGÈ
TIPOGRAFIA DI LUIGI SEGNA 1864,
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or v
AL REVER.™ CANONICO
D. VILLELMO BRAGHIROLLI
IL
COLLEGA
L'AMICOI
Sanciilui...gloriamre§nilui éieent...
etpotenHamtuamloquentur...et mirabiliatuanarrabunt.
Salm.IU.v.5.11.
Come
il primo atto dell'Onnipossente Architetto fu di creare la luce con una parola, e questa si diffusecome
unsorrisosopratutteleoperedi Lui,lesueglorie narrando fino airultimo giorno; cosi avendo Iddiosta- bilita sulla terra una Chiesa che doveva rappresentarlo, e condurre a Lui l'umanità decaduta, era necessario largisse aquesta Chiesa unaluce primitivacheraggiasse sopra tutte le anime non solo,ma
che tanto maggior-mente
splendesse quanto più dense tenebre la circon- dassero. Tale è la paroladell'Evangelista... « etluxinte- nebria lucet ».Bella di questa luce apparve primamentelafronte dei poveri pescatori di Galileaai qualieradetto: « Voisiete la luce del
mondo
» Vos estis lux Mundi: e fu infatti colla rapidità medesima della luce che la loro parola percorse la faccia della terra.Egli è davanti a questo avvenimento che una lega generale si forma controla Chiesa nascente, che
Roma
suona Pallarme e il sangue dei Nazareni scorre per le«ontrade del Grande Impero.
—
Era questa la luce, laDigitizedbyGoogle
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testimonianza dei fatti: e il Martire consumato dall'ar- dore della Carità più che dalle fiamme dei roghi, sene volava al cielo cantando1'innodella vittoria, elasciando' alla Chiesa lo splendido e nuovo privilegio di storici che sanno morire per la veracità dei loro racconti.
—
Allora la Fede si levava trionfante sulle rovine del-
l'Idolatria, e
come
sole dopo la tempesta spandeva più brillante la sua luce sul Mondo.Ma
ilMondo
vinto dall'Apostolato e dal Martirio, odiava pur semprela luce che veniva a rompere la lunga notte de'suoi errori, e si indignava de' suoi benefìcicome
de' suoi trionfi.—
-
L'orgoglio dello spirito
umano
che vuole essere arbitro della propriascelta, evocavadell'abissol'Eresia: l'eresia o Signori, che e la lotta multiforme,gigantesca, perma- nente degli Spinti: laribellione delle grandiintelligenze traviate; l'albero della Scienza che porge i suoi frutti malaugurati.Ma
l'Apostolo lo avevagià detto: « Oportet hcereses esse >.E
fu allora appunto che ilMondo
mara- vigliando di essere cristiano, pu veportarelasua corru- zionenellaChiesa;allora che la Barbarie minacciava di stendere le sue tenebre sulcuoremedesimo
dellanuova Società, fu allora che quella luce indefettibile che do- veva trionfare di tutto, sfolgorò più viva, più attraente più portentosa nella potenza d-3l Cranio, a cuipreludevail Profetico canto: « I tuoi santi la Gloria diranno del tuo regno... parleranno la tua Possanza... e narreranno le tue maraviglie » Saticli tui gloriavi regni tuidicent...
et potenliam tuam loquentur... timirabilia tuanarrabunt.
Che se in tutti i grandi uomini che onorarono il Genio Cristiano,si rivelòquesta luce dello SpiritoSantQ,
9 che èSpirito di ConsigliodiSapienza e diFortezza;
—
nel Pontefice nostro S. Leone,del quale oggi è solenne commemorazione, risaltano così distinti, cosi eminenti, cosi sfoggiati questi caratteri, che al sacro oratore non resta altro sacrificio che della brevità.
Vedremo, o Signori, in Leone l'uomo del Consiglio che combatte FErrore nel suo Principio, vale a dire nello spirito d1Orgoglio che fervendo tra i Grandipre- para ildecadimento moraledella Società.
—
Vedremo
in LeoneFuomo
dellaSapienza che disarma Ferrore nelle sue Manifestazioni, propugnando Finte- grità della Fede ed accrescendo il patrimonio della Pietà.—
Vedremo
finalmente in LeoneFuomo
della Fortezza che trionfa delFErrore nelle sue Conseguenze, colla so- vrana potenza della Virtù e del Sacrificio.—
Ardua è la prova o Signori; e
temo
che il mio dire male risponda al mio desiderio, ed alla sentita vostra Pietà: pure,come
Finsetto cheravvolto poc' anzi nella polvere e sfuggito or ora al piè del viandante: appenala notte distende il velo delle sue ombre, si fa vedere per Faria bello e splendente per una scintilla di luce che ha raccolta nel suo seno; così nell'atto che io ac- cendo la mia breve lampa nel Sole, mi conforto pen- sando la mia stessa infermità e Fora che rapida fugge dinnanzi al vostro pensiero, vi faranno meglio apprez- zare
nelFuomo,
la Gloria, i Portenti le Maraviglie di Dio t Sancti tui... gloriam regni lux dicent... et potentiam tuam loquentur... et mirabilia tua narrabunt ».IO
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Ladeva
in seno all'Eternità il quarto secolo della Chiesa, e sotto il sole d'Africa, in presenza a quel- l'Atlanteche al dire della favola portava ilmondo
sulla sua fronte gigantesca, si erano veduti sorgere tali uo- mini che per l'altezza del loro Genio e per la latitu- dine del cuore parvero portare sugli omeri loroilpeso di tuttoilCristianesimo: Tertulliano,Cipriano,Agostino, Cirillo, Atanasio; i quali tutti erano stati 1' onore e la gloria della Scuola cristiana di Alessandria pertutto ciò che il Coraggio e laCoscienza,laFilosofìae l'Eloquenza possono offrire di consolante e di sublime airumanità: quando nelmezzo
della nostra Italia, nacque Leone a cuiilsopranomediMagno
parve predestinatonellaChiesa.Dappoiché, se la inclemenza di tanti secoli trascorsi»
e dirò meglio, la sterminata fecondità della primitiva Chiesa, avvolsero nelle tenebre i primi anni di Leone e le rivelazioni della sua vergine anima: si può non pertanto pensare e credere di lui, assai più che non si
possa dire, se Egli trasse a se gli sguardi di un Pon-
tefice santo e deli'intera cristianità che vedeva ogni dì moltiplicati esempli e nuove. maraviglie di virtù- Biso- gna bene, io dico o Signori, brillasse sopra tutti e da
Il hinga questo novello astro di Santità/se Leonegiovane ancora, si meritò
un
sì splendido destino che appenalevita, fu mandatodaPapaCelestinoinAfricaaSant'Ago- stino, portatore di pontificali decreti contro i Pelagiani:
E
Cirillo Vescovo diAlessandriagli scrive,edeglistesso scrive a Cassiano eccitandolo a compiere il suo libro sulla Incarnazione (1). 11 che ò quanto dire che Leone era nella Chiesa diRoma
ciò che Stefanoun
ài in quella di Gerusalemme, unuomo
cioè ditestimonianze immacolate e pieno di Spirito Santo.Imperocché il Cristianesimo non è
un
semplicepen- siero,ma un
principio realee creatore: è un vero chenon
si crede se non si opera: una scienza chenon
sipossiede se
non
diventaazione.—
La forzadi quell'idea che sirende poscia il principio di tutte le azionima-
gnanime degli eroi delmondo
é dovuta in gran parte ttta rapidità stessa del suo operare. Alta, nobile, gene- rosa, essa li sublima d'un
tratto e si fa arbitra delle loro anime, li colpisce, li atterracome
folgore,nè vi«ha tempoinmezzo: ondederivalasemplicitàessereildistin- tivo carattere dell'eroismo(2), e l'esclusivo dellaSantità.Ma
trattandosi del rapporto tra l'uomo e Dio, tra il finito e rinfinito, tra il nulla e l'Essere assoluto, la ò tale equazione che non si scioglie collo spirito,ma
colla virtù stessa di Dio accettata da noi, e frutto dèlia nostra unione con Lui: e a quel
modo
che inostrivi- sceri hanno mestieri di un commercio istantaneo, effi- cace, continuo colia natura che ristori la loro inanità,...
. » (l)Tritai:Cap.XXV.Art.f.A
Roimini-Filos.ìior.dell'aitofluito.-DigitizedbyGoogle
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così noi.comunichiamo con Dio per una fame ed una sete sacra il cui fremito non sì acqueta che inluisolo.
Onde
avviene, o Signori, chementrela Forzaèlavirtù che sostiene gli eroi, nè v'hacosa che più facilmente fallisca; la virtù che viene da Dio grandeggia da sola nell'anima e ne estrae la più pura sostanza.—
A
Celestino succeduto SistoIII di cuiebbe poi a tes- sere Leonecome
a suo predecessore le lodi (l), es- sendo nata dissensione tra Ezio Capitano ed Albino Prefetto dell'esercito che militava nelle Gallie; Leone lasciataRoma
venne al Campo, e tanto fece nell'opera del Consiglio da placare queglianimi inacerbiti, e spe- gnereun fermento d'odio troppo fatale all'esistenzadel già cadente Impero.— E
se oggi, o Signori, inmezzo
a tanta pretesa civiltà, fra tanto strepitare di macchi- ne, e dopo tante intellettuali conquiste ?sono cosìpro- fonde le ferite, così gli animi inveleniti che quasi nèmeno
rei ci farebbe il perdono,nèpiùlapazienzatran- quilli, senza interrogare i cuori desolati, le carniignu- de; le esistenze disonorate che incontriamo ad ogni passo sullenostremagnifichestrade;—
seoccorronomi- riadi di soldati per assicurare la società dalle conse- guenzemedesime
del suo abusato o male inteso Pro- gresso; quandoun
giorno la parola bastava e V opera del sacerdozio a tenere in freno città e Provincie, ad assicurare le frontiere, a sostenere i poveri, i pellegri- ni, gli infermi, a stabilire le paci, a difendere la giu- stizia; non ci resta che a confessare adunque, cagione e radice d'ogni nostra disgrazia essere questa,di avere(«)Serm.in Nat.StaiIHTritai.
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cioè sbandita dalle nostre istituzioni la Religione, l'Arca santa che sola può condurci al conseguimento dei no- stri veri destini.
—
Frattanto la Chiesa vedovata del suo Pastore per la
morte di Sisto, fu assunto al pontificato Leone nel Settembre 440, eletto, benché assente, dall'unanime suffragio del Clero edel Popolo romano, il qualechia- ramente mostrò quanto sentisse del merito suo. Impe- rocché se vi fu
tempo
in cui la nave di Pietro avesse mestieri d'un franco e valoroso Piloto, fu certamente a queir epoca più che mai disgraziata neir Oriente pel succedersi delle eresie: in Occidente per 1'Impero ro-mano
che stava per subire sotto lamano
di Dioun'im-mensa
espiazione.—
E
il novello Pontefice cosi parlava della sua eie- • zione nella sua prima Pastorale: « Prima a Dio, e po- scia a Voi che mi avete a tanta elevazione prescelto io devo gratitudine imperitura, ben conoscendo quanta ri- verenza, quanto amore, quanta rettitudine m* imponga la predilezione di anime che pronunciarono dime
un giu- dizio si santo.— La
diffidenzadelle nostre forze cilascia esultare del dono ricevuto: poiché quando Dio chiamaa
tal ministero, sorregge l'uomo in mezzo alle sollecitudini edai doveri che ne derivano, affinchè infermonontracolli sotto il pesodella grazia stessa....
— E
poiché in questo secolo in cui è tutta una tentazionela vita, i doni celestinon sidispensano secondoilmeritodelle nostre opere; cosi
non disperando di noi, tuttoattendiamodaLuiche in noi opera lesuemaraviglie » (1).
(I)Strm. de Oréin.tuaTrical. Art.1
Era T
uomo
del consiglio che gittava primamente lo sguardo sopra se stesso per misurare le proprie forze.Erail gigantearmatochesiponevainguàrdiadell'Atrio:
Era la lampada che collocata sulla cimadellamontagna doveva risplendere agliocchi ditutto ilpopolocristiana disperso, temente, agitato fra i deliramenti di una so- cietà dissoluta e crudele
come
laidonna deirApocalisse.Oltreché Leone, punto
non
ignorando la formidabile missione a cui era sortito;come
il vecchio pescatore dalla prua della sua barcapalleggiata dall'onde,alprimo scorgere di una nube cenerognola, densa, temporalesca dietro le creste della montagna,prevedegiàla tempesta e l'addita imminente, e grida a quei che sono al larga di affrettarsi a riva prima che il vento piombisul lago, e l'un Taltro si ajutano perchè nessuno si perda;—
cosi Leone,
come
colui chediffidavadise stesso, epro- sentiva troppo bene la tempesta che sovrastava alla mi- stica nave di Pietro allo sfasciarsi dell1antico Impera sotto il flutto barbarico, e ilrigoglio dellemalvagepas- sioni in tempi fortunosi, e lo spirito di sedizione sca- turire d'ondemeno
è atteso il pericolo: Leone dico,a
Signori, associandosi nell'opera uomini insigni per dot- trina e per virtù, Paolino di Nola,
Mamerco
di Vienna e Prospero d'Aquitania, foce risuonare per l'orbe cat- tolico il grido della sveglia colla forzadiun'animache vivendo di Fede, attinge le sue ispirazioni dauna di- vina sorgente. Epperò le sue LettereeicentoSermoni che ci restano di lui, più che perlo stile sublime, perla lucidezza del pensiero, per l'acuto ingegno e l'in- vitta costanza d'animo che vi traspirano, sono una
US preziosità, oon viessendo punto di fede e di ecclesia-;
stica disciplini cheegli non vi abbia rischiarata o di-
• scussa.
—
Signori, voilovedete:questo fatto nella Ohiesacatto- licadel consiglio de' suoi grandi uomini,che quasi colonna di
un immenso
edificio si sostengono e sistringonoinsie- me, bastadasearispondere,a resistere,atrionfare del-l' Errore, che si divide, si trasforma airinfinito,siri- bella all'autorità, strazia il seno materno che lonutre, eprovoca contro di se tutta la violenza delle opinioni perchè è la scelta arbitraria e fugacedell'individuo.
—
•
Sempre
combattuta,ma
sempre invincibile perché sempreuna, questa Chiesa apparve raggiantedelladoppia aureola della virtù e dei sapere nel Pontefice Leone, che si manifestava appunto l'uomo della Sapienza pro-pugnando
l'integrità della Fede contro 1'Errore dive- nuto adulto e ammantato di zelo ». Sanciimi
GloriamWia
tuanarrabunt ».• « -• •» i • « f t
Kon
a viso scoperto,non
col piglioinsolente de'Ma- nichei,ma
sotto il sembiante della pietà, avvalorava la insidia, reo di una umiltà traditrice ilmonaco
Eviti- che.—
Sceso costui nell'arena delledispute contro Ario»prete alessandrino che ricusava a Cristo gli onoridivi- ni; contro Nestorio ambizioso Patriarca di Costantino- poli, che distruggeva il mistero dell' Incarnazione, ne- gando a Maria la prerogativa della Maternità; contro Sabellio che volendo fissare audace lo sguardo nelsole della Triade, si perdeva nell' Ideale, confondendo la
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Sostanzialità col
nome
e coir operazione; Euticbe tra- boccava nell'opposto precipizio, negando in 6. Cristo la dualità della natura.—
Davanti alle fatali conseguenze di tanto errore che rapiva all'umanità la speranza della sua redenzione;in faccia al traviamento stesso della stirpe diCostantino,i cui delirii affrettavano il corsoallo sdegno di Dio;tur- bavasi la Chiesa,
come
il navigante che non può leg- gere il suocammino
ne1cieli velati dalla tempesta: ei vescovi d'oriente inquieti, smarriti invocavanodal su-
premo
Pastore l'oracolo della sapienza e la luce dello Spirito Santo.E
Leone, coir autorevole parola, col su- blimedettatoche scorredallasua penna,ritorna negli ani-mi
la calma e la certezza, impreziosendo gli insegna- menti che il Patriarca Flaviano deve in suonome
ri- petere nella solenne adunanza dell'episcopato in Cal- cedonia. La Grazia rifluisce in tutti i cuori, tutte le menti si piegano riverenti dinnanzi a Cristo Conso- stanziale al Padre, e l'adoranocome
Autoredellafede, che assumendo l'umana natura, dischiuse ai peccatorii tesori di una misericordia inflnita.
—
Quegli che èfi- glio, scrive Leone, eguale al Padre-secondo la divinità,etemo, coesistente, consostanziale; è figlio di Maria nel tempo,secondol'umanità.Imperocchénoinon potremmovin- cere l'autore del peccato e della morte, senonavesse as- suntae fattasualanatura nostra Colui che nonpotevané il
peccato contaminare, nè ritenere la morte. «
Non
enimsu- perarepossemus peccati et mortis auctorem, nisi naluram nostrani ille susciperet etsuam
faceret,quem
necpec- catumcontaminare,nec morsdetinere poterat »(I). Questa(1)Epistolaad Flavianum W.
17 voce è spada chetagliail capo all'Idra dell'Eresia:que- sto giudizio è regola abbracciata, èoracolo che spiega lafede dei Padri, che terminava ogni dubbio,che sventa ogni nuova questione.
Vale a dire,o Signori, chesiccome gli elettinelcielo cantanobenedizione, onore, gloria epotestàper sempreal-
l'Agnelloimmolato (i); così il fremito dell'empietà sulla terraè rivolto principalmente contro la fede nella Re- denzione in cui si centralizzano tutti i misteri del Cri- stianesimo, e per la quale l'uomo vadebitorea Diodi tutto, della prima felicità che ha perduto, e dell'ul- tima ora di cui dispone.
E
di che vorrà egli mai la- mentarsi, se mettendoloalla provadell'infortunio, della miseria, dell'abbandono dello spogliamento, non fache procurargli la gloria di trionfarne e di levarsi fino al cielo? Se il Cristo è venuto a dare a tutti quelli che credono in Lui la podestà di diventare fi- gliuoli di Dio; chi potrà più consumarela creaturache Dio stesso ha rispettata; chi potrà più attentare ai diritti e alla libertà di anime che siriguardano il con- quisto dell'amore infinito di un Dio?
Egli è perciò che 1' Errorecolpito allora nella sua radice, cessando di essere filosofico doveva divenire protestante, cioè un orgoglio offeso che si vendicacol dispregio, intantochè esso
non
potrà mai nulla contro quest'opera di Dio per la quale ilCristianesimo èim- medesimato colla stessa nostra natura.Del rimanente, quest'opera di Dio é giovane ancora
fi)ApocnJ.Cap Y.11.
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e
non
per anco recata a fine. Se il Sole di Giustizianon
è ancora giunto al suo meriggio, se non inonda della sua luce e del suo calore tutti i figliuoli degli uomini, egli è che essi fuggono il suo incontro:ma un
qualche dì,esso correrà più rapidodi loro, esenza aver mai fatta violenza ad alcuno, empirà della sua gloria il passato e l'avvenire, e t profeteranno i nostri fanciulli » (1).Egli è cosi, o Signori, che il Pontefice Leone ha gloriosamente combattute le battagliedel Signore, con- tro i nemici della nostra Fede.
— E
mentre la divina Grazia lavora il più spesso in silenzio, e si compiace ritenere i suoi eletti in una oscura condizione,lascian- done nell'oblio le opere, talvolta ignoratoil merito,so- spetta la riputazione e calunniata perfino la condotta, servendosi dell'ingiustizia degli uomini per dare l'ul- timo tratto alla loro virtù; contrariamente operòIddio col suo servo Leone. Poiché dopo di averlo rivelato Puomo
della Sapienza, lo chiamava a tale atto così pubblico, cosimagnanimo,
così fragoroso di cristiana Fortezza e insieme di Carità cittadina, da essere no- verato tra i benemeriti anche nell'opinione delmon-
do, il quale, se non apprezza la Santità
come
nega- zione radicale de'suoi principii; non può rifiutarle la sua ammirazionecome
sacrificio, che spingendosi fino all'abbandono di se per la salute altrui, meritanome
e lode di altissimo eroismo. « Sancti tui Gloriam regni
• *
(1) JoeUx.Cap.2.v.28.Eteritpostiute Effundam$piriiumnuumiuptr
•mncmcarncm:etprophetabuntfUii,et filicevettrcr...
<
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lui dicent...» et potentiam tuam ioqucniur.... et mirabilia tua narrabunt.
E
qui, o riveriti Cittadini, non ho che d'aprire la storia dei disastri che afflissero P Europa e piùcru- damente FItalia alFepoca in cuiLeone
sedette algo- verno della Chiesa, perchènon
vi sia chi non vegga, checome
non v'ha istituzione che duriperpetuasulla terra fuor quella fondata da Dio; cosìnon
vi ha forza che valga a sostenersi contro una fronte improntatadella sua Possanza.
—
'Quando
Giugurta uscì sbandito daRoma,
e sì volse indietro per maledirla, non pronunciò che queste due parole « Civitas emendat »0 Roma!
tu non aspetticheun
compratore. »Ei voleva dire,oSignori, cheil diritto perisce assai più per la corruzioneche perla violenza; e cheRoma
assaipiùdovevatemere Forode'suoi Cesari chenon
gliacciarinemici. Imperocché, la mollezza e illusso induconola depravazione; questa ingenera Fego- ismo: F egoismo partorisce Fodio degli altri, e F odio è la morte dell'anima e del corpo, la morte degli in- dividui, delie famiglie e delle nazioni.
—
E
siail vero: mentre il Cristianesimo partorito nel dolore, trovava nella tribolazione, nel sacrificio e nella mortemedesima
la propria conservazionenon solo,ma
la ragione della propria grandezza; il Mondo, quale il
dominio
romano
l'aveva ridotto, gli inspirò tale orrore colle sue turpitudini, che si volse mestamente in sé stesso, e lo condannò a morire, non con sedizioni e rivolgimenti,ma
sibbene separandosi da lui, e incor-• DigitizedbyGoogle
porando alia propria sostanza tutte le forze ancora vive di quella decrepita società che pasceva colle carni de' suoi Martiri, i leoni e le tigri dell'Anfiteatro.
—
Allora i Barbari che stavano origliando sulle frontiere dell'Asia, udita suonare l'ultima ora del Grande Impe-
ro,
come
torrente d'acqua si sprigionarono sopra di lui, e un esercito di cento popoli lanciò: suoi primi stracorridori oltre il Reno. Vennero allora Eruli ed Ostrogoti condotti da Teodorico, i Vandali daOdoacre1 e da Genserico, da Alarico i Goti.... cacciando innanzi a lorocome
il pastore gli armenti colla verga, e ro- vesciandoTun
sovral'altro i popoli spauriti,come
se la voce di Dio avesse lor detto: « Io tramescolerò le nazioni della terra affinchè dal loro cozzo le scintille della fede Cristiana sfavillino sututteleparti delGlobo, e si cancellino i tempi e lememorie
antiche, e tutte le cose si rinnovellino. »—
Cosi tra i saccheggi, gli incendii e lo sterminio di
un mezzo
secolo, erano ormai celebrati i funerali di quell'Impero sul quale mainon
tramontava il Sole, e che veniva nonpertanto trascinato nella tomba damani oscure, incompianto, esecrato perchè tutto vi era ven- dereccio, la coscienza del cittadino,il talamo dellaspo- sa, il brando del guerriero; quando sopraggiunseAttila sopranominato il Flagello di Dio, traendo i suoi Unni dal fondo della Pannonia. Il terreno si squassa sottoi loro passi, e il raggiodel nostro bel sole ripercosso dalle armi di cinquecento mille soldati, rende imagine di
un
generale incendio.— Come
le foglie inaridite dei boschi, essicamminano
a granii giornate verso P Eterna città.. intantochè avviluppatifra i cenci e la«4 polvere giaciono calpesti sotto l'unghia del cavallosel- vaggio, i libri, le tradizioni, il testamento delle età, i
lavori del genio, la preziosa eredità dei secoli.
—
Ma
Gesù Cristo Sovrano Pontefice, pel quale ogni cosa fu fatta, vegliavafra tante rovine, e preparava la risurrezione delmondo
in un'altraRoma
nata dalle sue proprie ceneri. AssociandoEgli pelmagisterodella sua Chiesa laCittà romanaalCampo
barbarico, lipopolò entrambidiuominiedi cristiani. -Per strappare l'Europa al suo mortale letargo, chiamò Egli la Guerra dagli estremi conflni dell'Asia: per trattenere e infrenarela barbarie, evocò la pace perla bocca de' suoi Pontefici.«
E
quando il ventoebbe dispersoilfumo
ditante arse città;quandoi vapori che si innalzavano da tanti campidi battaglia, riversaronsi sulla terra in rugiada fecon- datrice; si videro allora, quasi germogliati dal suolo dei popoli giovani, inermi, senza
nome
che si accal- cavano intorno ad alcuni vegliardi tenenti il Vangelo nell'una mano, e la croce neh"altra »Allora,
come
un giornoGiacobbe,uscito appena dalla notturnalottapercossoebenedetto,piùsicuromovea
con- tro lo sdegno fraterno, fidente nella forzamedesima
del suo divino avversario; il Pontefice Leone non ab- battuto dalle passate tempeste, dalle calamità pre- senti, dalnegro avvenire che vedevalevarsisulla eterna Città, avvolto in bianchi lini,
move
contro lo stermina- natore senz'altra forza che la virtù di Dio, [senz' altro alleato che la propria coscienza.—
A
tal vista, colui che troppo rapide chiamava le ore della distruzione... che avrebbe voluto essere fiammadivoratrice egli stesso per distruggere ogni avanzo di preda... colui che non il gridodeibambini morenti,
non
il plorato delle madri esterefatte, non la pietà della ca- nizie ravvolta nella polvere, nonT'inorridita naturacom- mossero, gonfio il cuore di
un
feroce dolore, rilucente nell'armicome
sinistrameteora; tralefumanti macerie de' tuoi lari, qui, sulle rive del tuo mestofiume, oGo- vernolo,si assise ilFlagello di Dio, quidoveil tuoPon-tefice doveva pur convincere il
mondo
che a Dionon
si resiste, e che non vi ha virtù cittadina di cui la
Fede nonsia lapiùveraelapiùforte inspirazione.
—
Poiché P
uomo
di Dio, non accompagnato che dalle benedizioni dei popoli che si accalcano sulla sua via, e da alcuni Seniori del Patriziato, pervenne al cospetto deltruculento Capitano; cosi parlò: « Gran rei il Senato ed il Popolo romano, vincitore un tempo dell' Universo, niinviano ad implorare la tua clemenza,A
te, veditnulla di più grande di più memorabile poteva succedere, che di vederli umiliato dinnanzi un Popolo che vide un giorno supplichevoli tutti i regi e le nazioni. Cosi tu hai vinto tutti quelli dei quali
Roma
ha trionfato: nè altra gloria timanca
ormai, che quella di vincerete stesso, e approssimarti a Dioperdonando acoloro che potrestiper- dere.— A
chivolle resistertihaimostrata latua possanza: mostra ora latua clemenza a chi liberamente si confessa vinto ».—
Cosiparla il santo Pontefice,e il Cherubino dal brando fulmineo che guardavaun
dì le dolenti so- glie deirEden, apparve minaccioso sul capo canuto di lui, segnando al barbaro re la via del ritorno.— A
23
queir accento, a quella visione, Attila indietreggia co- prendosi dello scudo: i guerrieri deir invincibile si
scompigliano, torvi guardando alla bella contrada che parve sogno alle menti briache: ei popoli stupefatti si
chieggono chi avesse spezzata la spada e rovesciati i carri del novello Faraone.
Tale èlo spettacolo acuiDio ti serbava insigne terra di Governolo, e se costumanza antica degli uomini fu di porre
un
segno ai luoghi che furono teatrodi qual- che grande avvenimento; qual più vivo e parlantemo- numento
del tuonome,
che ricorda ai credentiuno
dei più splendidi trionfi dell1 Idea cristiana sullaforza brutale, della luce sulle tenebre, della civiltà sulla bar- barie?
— E
chi mai se non la forza di un volere divi- no, poteva segnareun
confineall'orgoglio allacupidigia diunAttila, che dopo attraversata barbaramente trion- fando pressoché tutta l'Europa, si trovava apertala via al possesso di questa bellaPenisola che non poteva op- porrealtroostacoloallasuamarcia chelegrida dellasua disperazione,e l'incanto,lavoluttà delle suefelicipianure?La Storia non haancora risposto aquesto strano que- sito diquattordici secoli: e finché l'umana ragionenon avrà veduto alcun rapporto tra il
mezzo
adoperato eilfine raggiunto; noi diremo sempre che questo é tale portento di cui solo il Cristianesimo è fecondo, e che
il Pontefice Leone habenemeritatodalla suaPatria non
meno
che della Religione.—
Diremo che mai la Sede romana di maggior luce brillò, né tanto maestosa mai con minor fasto apparve. (1)—
Diremo che Leonefu per eccellenzal'uomo
del Consiglio, della Sapienza,DigitizedbyGoogle
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della Fortezza: echeil titolo diGrande onde laChiesa lo distingue tra i suoi Pastori, circonda lasua frontedi tal gloria che il
mondo
non può dare perchè è cosa tuttadi Dio: «Sanciilui... gloriamregnituidicent.»Ed
oh!voi Santissimo PonteficeLeonedi cuioggi cele- briamoilceleste Natalizio, portandoin trionfounavostra reliquia sulterrenomedesimo
calcato da Voi nel giorno più bello, piùglorioso dellamortale vostra carrierat po- trete voi rifiutare la vostra intercessione ad un popolo che vi onora e vi invocacome
suo Protettore?—
Po- treste voinon esaudirelenostre preghiere, quidove Dio esaudiva ilvoto più ardentedella vostra grand' anima,la salvezza della vostra Patria? Oh! Principe dei Pastori S.Leone, benediteaquestopopolo pio, a questo nostro belpaese, e in ogni evento siategli voi propugnacolodi salute: che dove s'alzerà lo scudo della vostra difesa,nonvi sarà nemico scontro, nè bellica rabbia, nòinfe- zione d'aria, nè corruccio di cielo, che diserti queste
felici campagne.
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Benediteci o Glorioso Servo diDio:raccoglieteci sotto l'ombra delvostro Patrocinio, econ- fuso nonresti chiad esempiovostro non riposa che in
Diosololesue speranze. Cosi sia.
—
il; •Sanquam Romana Sedainminimo(aitatanta 7najettate retplenéult, ftMUN tanfo sedente PonUfiec.» Tricalcl.Vii».S.Lcod Br oiaruro.
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