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Dott. Proc. Gualtiero Melano Bosco Occorre la C.T.U. medico legale per accertare il danno psichico da morte

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Dott. Proc. Gualtiero Melano Bosco

Occorre la C.T.U. medico legale per accertare il danno psichico da morte

Com’è noto si sono oramai ammessi sia l'esistenza del cd. danno biologico da morte sia il riconoscimento della risarcibilità dello stesso iure proprio ai prossimi congiunti del danneggiato-deceduto. Le decisioni più recenti sull'argomento (ne cito solo quattro: quella n.

8166 del 2.9.93 del Tribunale di MILANO, quella (ordinanza) del 10.11.93 n. 2879 del Tribunale di FIRENZE e la conseguente pronuncia della Corte Costituzionale n. 372 del 24- 27.10.94 nonché quella n. 5168 del 11.7.94 del Tribunale di Torino) vi sono certamente note.

Rileverete come sia le prime due pronunce sia le altre due siano state emesse a brevissima distanza di tempo l'una dall'altra. E non è casuale il fatto di avervi indicato per ultima la sentenza torinese anche se essa è di pochi mesi antecedente alla decisione della Corte Costituzionale.

Il cosiddetto danno biologico da morte “iure proprio” si traduce, in sostanza, per i superstiti, in un danno di carattere psichico o psicologico nel senso, intuitivo, che essi avrebbero per conto loro sofferto un gravissimo danno all'integrità psicofisica in seguito alla scomparsa del prossimo congiunto:

come si espresse il Tribunale di Firenze, “... una rilevante lesione dell'integrità psicofisica con evidente accentuazione dell’aspetto psichico". Dunque un danno (come osservò Giulio Ponzanelli in sede di commento) forse più psichico che non alla salute in senso stretto.

Apro una parentesi: mi pare ovvio come tale danno possa sussistere non solo nel caso di morte, ma anche in altre particolari ipotesi, per la cui individuazione ritengo sia assolutamente necessario l'aiuto del C.T.U. medico-legale.

Ed allora, se cosi è, mi pare che possa porre a tutti i presenti alcuni quesiti: tale danno deve essere processualmente provato? La prova deve, o può, essere fornita solo in sede documentale ed istruttoria orale oppure necessita comunque della cosiddetta C.T.U. psicologica? E tale indagine a mezzo di C.T.U. (e da conferire a quale C.T.U.?) può essere, da sola, bastante alla bisogna oppure no? E, infine, tale danno può essere riconosciuto in via equitativa per il solo fatto di esistere quale naturale conseguenza dell'evento morte oppure può essere sdoppiato?

Presupponiamo come scontata la esistenza di un nucleo familiare armonico e legato dai normali vincoli di affetto, amore, solidarietà, stima, ecc..

Pacifica, direi, è la possibilità per la parte convenuta di fornire o, per lo meno, di cercare di fornire la prova contraria rispetto alle istanze della parte attrice.

L'Avvocato Gennaro Giannini, nel noto commento alla sopraricordata decisione milanese, scrisse che ''l'accertamento della lesione psichica (e della malattia psichica) pone una serie di

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problemi di accertamento e di valutazione che non possono prescindere da una C.T.U.

medico-legale."

Però ciò non pare possa considerarsi risolutivo ma tale C.T.U. ritengo debba essere preceduta da una adeguata indagine istruttoria: e ciò poiché tale lesione psichica rappresenta un fenomeno intangibile caratterizzato da elementi incorporei con sintomatologia soggettiva che si manifesta attraverso il comportamento del danneggiato. Si ripropone, dunque, quello che, in fondo, è il grande problema della RC e cioè l'accertamento del nesso causale.

Non casuale, dicevo, è stata l'indicazione della decisione del Tribunale torinese per prima rispetto a quella della Corte Costituzionale anche se l'ordine cronologico è all'opposto.

Il nostro Tribunale (senza lasciarsi attrarre da aspetti per cosi dire, e passatemi il termine, pubblicitaria e senza sentire il bisogno di convocare, come oramai pare purtroppo di moda, una conferenza stampa) ha ritenuto di operare una costruzione per certi versi diversa rispetto a quella della Corte Costituzionale.

Una costruzione basata su una applicazione dei principi di cui alla nota sentenza costituzionale n. 184 del 1986 e su una attenta rilettura dell'art. 2043 c.c. definito, nella sentenza torinese, quale "norma in bianco"; oltre a puntuali riferimenti agli artt. 143, 147 e 316 c.c. e ad altre norme, costituzionali e non solo.

Per il Tribunale torinese, dunque, vi è un doppio aspetto del problema: la morte determina il diritto dei superstiti al riconoscimento iure proprio del cd. danno biologico da morte, poiché il danno è in re ipsa.

A tale voce si può, per così dire, aggiungere una ulteriore componente del danno biologico quando si verifichi un vero e proprio stato patologico del familiare superstite: in tale ipotesi occorrerà, però, una idonea prova tramite documentazione medica, fase istruttoria orale e

"comunque" acclarata mediante C.T.U. Ma è la prima componente di cui sopra a spettare per il solo fatto della morte.

Per il resto non mi rimane che rimandare alla diretta lettura della sentenza torinese il che meglio permetterà di coglierne i particolari aspetti concettuali da me ora solo sommariamente espressi.

Per concludere: al C.T.U. si potrà porre da parte del magistrato e su sollecitazione dei legali interessati apposito quesito in relazione a tale particolare problema ma non si potrà pretendere, e ciò vale in linea generale, che sia il C.T.U. da solo a togliere le castagne dal fuoco laddove non esistano, a monte, delle idonee prove e/o documenti medici e non si

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potranno richiedere al C.T.U. degli apprezzamenti che il consulente non è in grado di fornire in carenza come purtroppo troppo spesso accade di un'adeguata istruzione preventiva.

In pratica, si pongano al C.T.U. dei quesiti cui il C.T.U. possa rispondere.

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