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La tutela del lavoro nelle piattaforme digitali

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in

Giurisprudenza

La tutela del lavoro nelle piattaforme digitali

Relatore

Chiar. mo Prof. Pasqualino Albi

Candidato

Vajdie Shtini

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INDICE

Introduzione...p. 7

CAPITOLO 1

RIVOLUZIONE DIGITALE: EFFETTI SUL MERCATO DEL LAVORO

1. Industry 4.0...p. 9 1.1 Workplace: la de-materializzazione del luogo di lavoro... p. 15 1.2 Smart Working: flessibilità di orario e luogo di lavoro... p. 17 1.3 L'orario di lavoro e il diritto alla

disconnessione... p. 22

2. Il lavoro mediante piattaforme digitali... p. 26 2.1 Alcune tra le principali piattaforme operative in Italia... p. 32 2.2 Chi è il datore di lavoro?...p. 38

3. Corsi e ricorsi storici: il caso dei Pony Express...p. 40

CAPITOLO 2

IL LAVORO MEDIANTE PIATTAFORME DIGITALI TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE

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1. La nozione di lavoro subordinato e la sua evoluzione storica...p. 43 1.1 Gli indici di subordinazione...p. 48

2. La disciplina protettiva del lavoro autonomo... p. 53

3. La risposta del legislatore al fenomeno delle “zone grigie”: le collaborazioni organizzate dal committente ex art 2 D.Lgs. n. 81/2015... p. 62 4. La qualificazione dei riders nella giurisprudenza

italiana... p. 69 4.1 Tribunale di Torino, sentenza n. 778/2018... p. 70

4.2 Tribunale di Milano, sentenza n.

1853/2018... p. 73 4.3 Corte di Appello di Torino, sentenza n. 26/2019... p. 77 5. La qualificazione dei riders nella giurisprudenza

straniera... p. 81 5.1 … nella giurisprudenza statunitense... p. 81 5.2 … nella giurisprudenza britannica...p. 85 5.3 … nella giurisprudenza spagnola...p. 88 6. Il lavoro mediante piattaforme digitali nell'Unione

Europea...p. 96 7. Osservazioni conclusive... p. 101

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CAPITOLO 3

ISTANZE DI TUTELA E PROPOSTE REGOLATORIE

1. Le istanze di tutela dei lavoratori digitali... p. 105 1.1 Il diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente... p. 107 1.2 Il diritto alla riservatezza del lavoratore... p. 108 1.3 Il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro... p. 113 1.4 Le tutele in caso di recesso... p. 116

1.5 L’effettività della rappresentanza

sindacale... p. 122 1.6 Un primo bilancio: le tutele (sinora) riconosciute...p. 126 2. Proposte regolatorie...p. 128

2.1 Disposizioni in materia di lavoro autonomo mediante piattaforma digitale: le c.d. Umbrella Companies....p. 131 2.2 Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano: la c.d. Carta di Bologna...p. 136 2.3 Interventi a livello regionale: possibile incostituzionalità...p. 139 2.4 La proposta di modifica dell’art. 2094 c.c. nella prima bozza del Decreto Dignità... p. 143 2.5 Proposta di legge di Deliverance Milano...p. 144 2.6 Verbale di accordo quadro – riders Toscana... p. 146

(6)

2.7 Misure urgenti per la tutela del lavoro e la risoluzione di crisi aziendali...p. 147 3. Osservazioni conclusive... p. 149 CONCLUSIONI...p. 153 BIBLIOGRAFIA...p. 155 SITOGRAFIA...p. 167 RINGRAZIAMENTI...p. 173

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Introduzione

L’obiettivo del presente lavoro di tesi è quello di analizzare il fenomeno del lavoro mediante piattaforme digitali, dedicando particolare attenzione al tema della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro che intercorre tra il prestatore e la piattaforma. Nel capitolo I si cercherà di contestualizzare il fenomeno all’interno della più ampia cornice del lavoro al tempo della Rivoluzione Digitale. In questa sede si analizzeranno le conseguenze giuridiche ed economiche dell’adozione del modello Industry 4.0 ed in particolare degli effetti sulle modalità di esecuzione della prestazione derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Sarà l’occasione, inoltre, per riflettere sulle ricadute applicative della nuova disciplina dello Smart working (legge n. 81/2017).

Nel medesimo capitolo verrà introdotto il tema del lavoro mediante piattaforme digitali e si indicheranno alcune tra le principali piattaforme di consegna via app attualmente operative in Italia.

Infine, si farà menzione del caso dei Pony Express a dimostrazione del fatto che la questione in merito alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei fattorini si è già posta in passato.

Il capitolo II contiene la parte più corposa di questo elaborato, ossia la questione dello status giuridico dei lavoratori che operano mediante piattaforma, i quali, nella maggior parte dei casi, sono inquadrati come autonomi, con la conseguenza di non poter accedere al sistema di tutele riservato ai lavoratori subordinati. Nella prima parte si analizzeranno le nozioni di lavoro subordinato e lavoro autonomo, affrontando le questioni poste dall’emergere delle c.d. zone grigie e le

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soluzioni proposte dal legislatore italiano volte a riempire i vuoti di tutela venuti a crearsi.

Nel medesimo capitolo, sempre in riferimento alla qualificazione del rapporto di lavoro che lega piattaforma e lavoratore, verranno analizzate una serie di esperienze a livello nazionale e internazionale in una prospettiva comparata.

Nel terzo ed ultimo capitolo, lo studio avrà ad oggetto i nodi critici della normativa, ossia le tutele da riconoscere ai lavoratori che prestano la loro attività lavorativa mediante piattaforme digitali. In particolare, si fornirà una panoramica sulle seguenti questioni: retribuzione proporzionata e sufficiente, limiti al potere di controllo del datore di lavoro, tutela della salute e sicurezza, disciplina dei licenziamenti e ruolo dei sindacati tradizionali.

Infine, l'analisi si concentrerà sull'inadeguatezza della normativa giuslavoristica rispetto al progresso tecnologico che sta caratterizzando il mondo del lavoro, analizzando le proposte regolatorie che negli ultimi tempi hanno cercato di disciplinare questo fenomeno formulando tutele specifiche per i lavoratori c.d. digitali.

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CAPITOLO 1

RIVOLUZIONE DIGITALE: EFFETTI SUL

MERCATO DEL LAVORO

1

Industry 4.0

Gli storici dell’economia hanno contato fino ad oggi quattro rivoluzioni: quella industriale del settecento, due tra fine ottocento e inizio novecento e quella informatica di oggi. Quest’ultima sta portando la produzione industriale ad essere quasi del tutto automatizzata.

L’organizzazione imprenditoriale “intelligente” è in grado di coniugare l’evoluzione tecnologica con gli indirizzi della produzione industriale del nuovo secolo.

Si tratta di tendenze dell’economia globale rafforzate dalla diffusione dell’informatica, della robotica e dei sistemi automatizzati.

Questa rivoluzione non si limita a produrre effetti nell’industria ma si estende anche al mercato del lavoro.

Con la rivoluzione digitale, le mansioni a rischio di automatizzazione sono sia quelle manuali, pesanti e pericolose, sia quelle di concetto, come quelle di tipo impiegatizio (si pensi al settore bancario) o quelle svolte da persone con competenze sofisticate. Inoltre, sono a rischio tutti quei lavori in cui ci sono molti dati da processare, regole seriali da applicare e il cui risultato è un prodotto con elevate caratteristiche di standardizzazione1.

(10)

A differenza della precedente rivoluzione industriale, in cui la tecnologia si affiancava all'uomo per migliorare e rendere più produttive le attività umane, nel paradigma proposto da Industria 4.0 il fattore tecnologico giunge persino, in alcuni casi, a sostituire il lavoro umano.

La definizione “Industry 4.0” nasce in Germania come paradigma economico nel quale la tecnologia non è che uno strumento per ripensare l'intera economia industriale. Si basa sull'utilizzo della rete internet nei processi produttivi per ottimizzare l'integrazione e il coordinamento all'interno della fabbrica e il rapporto con fornitori e consumatori2.

L’espressione può rivelarsi fuorviante, ma il concetto denota le attività lavorative svolte tanto in ambito industriale quanto nel settore dei servizi. In questa realtà le macchine diventano collaborative, intelligenti e sono in grado di adattarsi e di interagire.

Tuttavia, bisogna ammettere che gli algoritmi e le soluzioni organizzative non presentano differenze radicali rispetto a quelle in uso nel passato. Il maggior elemento di novità è, invece, individuabile nella capacità del sistema di gestire un flusso di dati molto grande, anche imponente: ciò consente di portare informazioni alle memorie digitali e di metterle a valore nel processo di produzione3.

Di fronte ad un panorama simile c’è chi preannuncia notevoli vantaggi nel mercato del lavoro – come la diffusione di nuove professionalità,

grazie alla PA”, disponibile al seguente link https://www.agendadigitale.eu/industry-4-0/robot-e-disoccupazione-di-massa-evitare-il-panico-anche-grazie-alla-pa/.

2 Senato della Repubblica, 11 Commissione Lavoro, previdenza sociale, “Impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale”, p. 3.

3 Salento A., “Industria 4.0 ed economia delle piattaforme: spazi di azione

e spazi di decisione, in Il lavoro nelle piattaforme digitali”, in Rivista Giuridica del lavoro e della previdenza, Quaderno 2/2017, p. 31.

(11)

nuove competenze, efficienza e rendimento delle prestazioni lavorative – e chi preannuncia conseguenze negative destinate ad abbattersi sulla forza lavoro. Infatti, se da un lato la presenza dei sistemi industriali intelligenti riduce e allevia gli aspetti più faticosi dell’attività umana, dall’altro però rappresenta una minaccia per la conservazione dei livelli occupazionali e rischia di emarginare i lavoratori addetti a mansioni manuali e di routine, portando inevitabilmente ad un aumento della disoccupazione4.

Le stime OCSE prevedono per l'Italia un 10% di soggetti che svolgono lavori ad alto rischio di automatizzazione ed un 44% di occupati le cui mansioni cambieranno radicalmente.

La trasformazione di Industria 4.0 si innesta, nel nostro Paese, in uno scenario socio-economico già polarizzato. Negli ultimi anni l'occupazione è cresciuta in particolar modo nelle attività caratterizzate da bassi livelli di competenze e di specializzazione e in quelle che, al contrario, richiedono elevata professionalità. Nello stesso arco di tempo il numero di occupati nella fascia intermedia è diminuito di circa il 10% in ragione della ampia dimensione di produzioni manifatturiere5.

Nonostante tutto, il progresso tecnologico non deve arrestarsi ma, semmai, si può fare in modo di ridistribuire quelli che sono i benefici apportati da questo e di riqualificare le persone cui i robot si sostituiscono. In questo modo, potranno dedicarsi ad altri lavori ad oggi richiesti ma vacanti, ma soprattutto ai lavori nuovi che saranno

4 Tremolada L., “Robot e lavoro: gli effetti dell’automazione per settore e

per mansione”, 21 febbraio 2017, disponibile al link

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/02/21/robot-lavoro-gli-effetti-dellautomazione-settore-mansione/.

5 Senato della Repubblica, 11 Commissione Lavoro, prevevidenza sociale, “Impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale”, p. 8.

(12)

richiesti domani e che le macchine non potranno svolgere.

Ruolo fondamentale in questo scenario lo ha la Pubblica Amministrazione che deve analizzare gli sviluppi tecnologici, intravedere evoluzioni future e mettere in campo strumenti adeguati alla formazione dei lavoratori.

I dati Ocse collocano l’Italia tra i Paesi in cui, sia adulti che giovani, hanno insufficienti conoscenze di base. Si avverte, quindi, il bisogno “ri-alfabetizzare” gli adulti in modo da evitare la marginalizzazione dal mercato del lavoro.

Tornando al ruolo svolto dall’innovazione tecnologica nel contesto socio-economico attuale, bisogna rilevare che i robot fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, benché ad oggi il diritto non ne abbia prestato particolare attenzione.

Gradualmente essi hanno acquisito capacità di azione autonoma, giungendo in alcuni casi ad “umanizzarsi”: si pensi, ad esempio, ai robot che svolgono attività di assistenza agli anziani, ai malati e ai bambini, oppure a quelli che svolgono attività militare (si pensi ai robot utilizzati in Corea del Sud). Nel maggio 2014, addirittura, un robot è stato eletto come membro di un consiglio di amministrazione in una società di Hong Kong.

La progressiva importanza assunta dall’intelligenza artificiale non può quindi lasciare indifferente il legislatore.

Alla luce di tutto ciò, non si può continuare a considerare i robot puramente e semplicemente dei beni commerciali. Più cresce il loro grado di autonomia e più questa definizione si allontana dalla realtà6. In Europa il parlamento si è mosso per chiedere una regolamentazione 6 Sul ruolo svolto dai robot nel contesto attuale cfr. Valeriani A., “Diritto e

intelligenza artificiale dei robot: verso una rivoluzione giuridica?”, 13

settembre 2018, disponile al link https://www.iusinitinere.it/diritto-e-

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in materia, giungendo ad ipotizzare l’introduzione di un regime assicurativo obbligatorio, la creazione di un fondo per risarcire i danni provocati dalle macchine, nonché l’immatricolazione dei robot. Obiettivo, invece, del lungo periodo sarebbe il riconoscimento giuridico di questi7.

Chi, al contrario, sostiene che tale riconoscimento giuridico non sia possibile, lo argomenta col fatto che, se da un lato è vero che le macchine sono in grado di eseguire regole formali, dall’altro, queste non sono in grado di comprendere il significato dei loro atti e, pertanto, non è possibile riconoscere la qualifica di soggetti giuridici8. Alla luce di questa rivoluzione, una delle sfide più grandi riguarda certamente il diritto del lavoro, nell’ottica di limitare la perdita di posti di lavoro conseguente all'automazione dei processi produttivi.

Le conseguenze dell’uso continuo della tecnologia nel mercato del lavoro però ricadono anche sulle aziende stesse che sono indotte a modificare la propria struttura organizzativa per adattarsi a questi cambiamenti.

Sul punto, si registra una drastica riduzione della vita media dell’impresa a causa degli input dell’innovazione e dell’accelerazione competitiva nei mercati globali9.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2018, ha presentato i risultati di un’indagine diretta alla quantificazione della diffusione 7 Tremolada L., “Robot e lavoro: gli effetti dell’automazione per settore e

per mansione”, 21 febbraio 2017, disponibile al link

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/02/21/robot-lavoro-gli-effetti-dellautomazione-settore-mansione/.

8 Valeriani A., Diritto e intelligenza artificiale dei robot: verso una

rivoluzione giuridica?, 13 settembre 2018, disponibile al link

https://www.iusinitinere.it/diritto-e-intelligenza-artificiale-dei-robot-verso-una-rivoluzione-giuridica-12297/amp.

9 Tullini P., “Lavoratori e imprese nel mercato del lavoro digitale”, in Tullini P., Economia digitale e lavoro non standard, Labour&Law Issues, vol.2 no.2, 2016 p. 6.

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delle tecnologie rappresentative della cosiddetta Industria 4.0. Da questo si ricava che “Sul totale della popolazione dell’Industria in senso stretto, l’8,4% delle imprese utilizza almeno una delle tecnologie considerate. A questa quota si aggiunge un ulteriore 4,7% di imprese che, anche se non coinvolte attualmente, hanno in programma investimenti specifici nel prossimo triennio. Le imprese che potremmo definire “tradizionali”, ovvero che non utilizzano tecnologie 4.0 né hanno in programma interventi futuri, rappresentano la grande maggioranza della popolazione industriale, pari all’86,9% del totale.

Naturalmente, la propensione verso queste tecnologie aumenta in maniera significativa al crescere delle dimensioni aziendali”

La proiezione futura non potrà che caratterizzarsi per una crescente propensione verso la digitalizzazione dei processi produttivi.

Inoltre, nel nostro Paese, la diffusione di queste tecnologie è più diffusa nel Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno10.

Nel novembre del 2015, il ministero per lo Sviluppo economico ha dichiarato di star lavorando ad un testo intitolato: «Industry 4.0, la via italiana per la competitività del manifatturiero. Come fare della trasformazione digitale dell’industria una opportunità per la crescita e l’occupazione».

Il documento individua alcune aree di intervento per tenere anche l’Italia al passo con la trasformazione in atto. L’obiettivo è quello di rilanciare gli investimenti industriali in ricerca e sviluppo e sostenere la crescita delle imprese, oltre a favorire le imprese innovative, migliorare le infrastrutture di rete, diffondere conoscenze approfondite sull’industria 4.0, sensibilizzare verso questioni concernenti la

10 Ministero dello Sviluppo Economico, “La diffusione delle imprese 4.0 e

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Cybersecurity e la tutela della privacy11.

1.1 Workplace: la de-materializzazione del luogo di

lavoro

Come già anticipato, il nostro modello economico è ad oggi oggetto di importanti cambiamenti tecnologici.

Tali cambiamenti ci sono sempre stati, ma oggi avvengono in modo molto più veloce e penetrante e coinvolgono anche le semplici attività quotidiane. Ciò richiede un modo di pensare diverso.

In ambito lavoristico i cambiamenti tecnologici hanno portato all’emersione di figure professionali nuove, diverse rispetto a quelle tradizionali.

Tutto questo cambia anche il modo di lavorare, che per alcuni versi diventa meno faticoso. I lavoratori sono sempre più in contatto con le macchine. Al tempo stesso, più aumenta l’intelligenza artificiale e più è importante quella dell’uomo.

Tutto ciò ha portato a cambiare anche, ad esempio, il modo di concepire il luogo di lavoro.

Tradizionalmente, per luogo di lavoro doveva intendersi l’ufficio dotato di una scrivania, una sedia, una macchina da scrivere, pile di documenti cartacei.

Con l’arrivo dei personal computer prima, e degli smartphone e tablet poi, il luogo di lavoro non è più qualcosa di fisso.

Adesso l’ufficio comprende, oltre a quanto detto sopra, anche un computer con la sua tastiera e il suo mouse, dove raccogliere tutta la 11 Rociola A., “Di cosa parliamo quando parliamo di industria 4.0 (20 cose

da sapere)”, 31 maggio 2016, disponibile al link

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documentazione, una stampante e un fax. Si affianca così al mondo analogico quello digitale.

Con l’arrivo di internet i computer diventano fondamentali nell’attività di gestione e scambio delle informazioni che diventano più efficienti e veloci.

Se qualsiasi luogo è connesso istantaneamente con il resto del mondo, il concetto di spazio di lavoro diventa sempre più “relativo”12.

La c.d. digital trasformation ha dunque portato a una frammentazione dell’organizzazione aziendale.

Parallelamente a questa rivoluzione, ciò che è cambiato è anche il modo di pensare del lavoratore e la cultura dell’azienda. Mentre inizialmente utilizzava la tecnologia solo se spinto dall’azienda, adesso il lavoratore è sempre più sensibile e aperto all’uso di questa. Ad oggi, l’attività lavorativa può essere svolta in qualsiasi momento e parte del mondo, indipendentemente dal perimetro fisico dell’organizzazione.

Il digital workplace comporta per le aziende di prevedere sistemi di accesso e criteri di gestione delle identità sempre più all’avanguardia13.

Si reinventano gli spazi di lavoro per agevolare la produttività individuale e aziendale, abbandonando il concetto fisico di scrivania. Non è più importante dove si lavora ma ciò che si fa e come lo si fa. Il luogo non è più rilevante grazie ai sistemi e alle piattaforme che abilitano lo scambio di informazioni a supporto della collaborazione 12 Planzi M., “Digital Workspace: se il lavoro è sempre più digitale, perchè

continuiamo ad andare in ufficio?”, 11 aprile 2018, disponibile al link

https://www.digital4.biz/hr/digital-workspace-se-il-lavoro-e-sempre-piu-digitale-perche-continuiamo-ad-andare-in-ufficio/.

13 Zanotti L., “Workplace 4.0:come e perchè il digitale cambia il concetto di

postazione di lavoro”, 28 febbraio 2018, disponibile al link

https://www.digital4.biz/hr/hr-transformation/workplace-4-0-lavoro-innovazione/.

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tra aziende e permettono anche di svolgere riunioni a distanza tramite sistemi audiovisivi. Tutto questo lascia al lavoratore maggior autonomia riguardo orario e modalità dell’attività14.

Nonostante questo però, l’ufficio come luogo fisico non è totalmente venuto meno.

Negli ultimi anni, ad esempio stanno prendendo vita i cosiddetti spazi di “coworking” dove la vicinanza tra persone esperte di discipline differenti favorisce la contaminazione e l’innovazione.

L’idea di creare uno spazio di “co-working” nasce nel 2005 in California per opera di un programmatore informatico che aveva messo un locale a disposizione di altri professionisti freelance. Da allora il fenomeno si è largamente diffuso negli USA ma anche nel nostro Paese.

1.2 Smart Working: flessibilità di orario e luogo di lavoro

All’interno di questo complesso quadro, si inserisce anche il c.d. lavoro agile, c.d. Smart working.

Grazie alla rivoluzione digitale, i nuovi modelli organizzativi del lavoro consentono la divisione dei compiti; inoltre, l’attività di coordinamento da parte del datore di lavoro può essere svolta anche senza la necessità di una presenza costante nella sede dell’azienda. Lo smart working non è una nuova forma di lavoro, ma la possibilità di svolgere la prestazione secondo modalità differenti, fuori dai locali aziendali grazie a strumenti informatici che permettono una 14 Zanotti L., “Activity Based Workspace (ABW): ripensare il posto di

lavoro con l’utente al centro”, 07 novembre 2018, disponibile al link

https://www.digital4.biz/hr/activity-based-workspace-posto-di-lavoro -utente-al-centro/ .

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connettività continua tra lavoratore e impresa. Parte della dottrina ha ritenuto che possa trattarsi di una forma moderna di telelavoro che si caratterizza per «l’assenza dell’obbligo di utilizzare una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti al di fuori dei locali aziendali»15. Da una parte, ciò permette al lavoratore di conciliare al meglio il tempo da dedicare al lavoro e il tempo da dedicare alla vita privata perché restituisce a quest’ultimo flessibilità nella scelta di spazi e orari di lavoro.

Dall’altra parte consente alle aziende di aumentare la produttività e al tempo stesso di ridurre i costi.

La revisione della cultura organizzativa implica il passaggio ad una definizione del lavoro per obiettivi e non più per ore lavorate. Di conseguenza aumenta l’elemento fiduciario che caratterizza i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore.

Per permettere tutto ciò, il lavoratore deve essere attrezzato di dotazione tecnologica e, inoltre, gli spazi fisici devono evolversi alla luce delle nuove esigenze che si prospettano. Al centro dell’organizzazione c’è la persona. Con questo sistema, l’azienda può aumentare la produttività del 15% per lavoratore e può risparmiare 40 ore all’anno di spostamenti. Secondo alcuni, l’opzione verso lo smart working avrebbe anche delle implicazioni “ecologiche”: lavorare in modo “agile” avrebbe dunque un impatto positivo sull’ambiente in quanto consentirebbe di ridurre le emissioni per un valore di 135 kg di CO2 all’anno16.

In Italia, Milano rappresenta il punto focale di questo cambiamento, dove ben il 44% delle aziende hanno adottato il metodo del lavoro 15 Tullini P., “C’è lavoro sul web?”, Labour&Law Issues, vol.1, no.1, 2015. 16 Crespi F., “Smart Working: cosa significa e perché è così importante?”, 09 gennaio 2018, disponibile al link https://blog.osservatori.net/it_it/cosè-lo-smart-working.

(19)

agile17.

Secondo i numeri dell’Osservatorio Smart Working, il numero di lavoratori che godono di autonomia nelle scelte di modalità di lavoro in termini di luogo e orario è in continuo aumento e ad oggi sono circa 480.000. Viene, inoltre, precisato che anche le grandi imprese hanno adottato questo metodo e ben il 56% di esse ha lanciato programmi strutturati. Invece, le piccole imprese sono più restie per la limitata applicabilità di questa soluzione nella propria realtà aziendale, infatti il 38% non sarebbe interessato18 .

Il fenomeno del lavoro agile è stato regolato dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017 a cui dedica il II capo.

L’articolo 18 della suddetta legge lo definisce come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”19.

Lo Smart Working è stato quindi promosso per incrementare la competitività e agevolare la conciliazione tra i tempi di lavoro e di vita.

Gli elementi principali che caratterizzano questa fattispecie sono il fatto che la prestazione di lavoro viene eseguita “in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno” degli stessi; la prestazione 17 Capoferro P., “Econocom, Intesa Sanpaolo, Lavazza e Philips: ecco gli

‘Smart Place’ del 2018”, 07 giugno 2018, disponibile al link

https://www.digital4.biz/hr/smart-place-econocom-intesa-sanpaolo-lavazza-philips/.

18 Crespi F., “Quanti sono gli Smart Worker in Italia?”, 16 ottobre 2018,

Disponibile al link

https://www.google.it/amp/s/blog.osservatori.net/it_it/smart-worker-in-italia %3fhs_amp=true.

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viene svolta all'esterno “senza una postazione fissa”; lo svolgimento dell'attività lavorativa implica il “possibile utilizzo di strumenti tecnologici” .

La fattispecie devia da quella del lavoro subordinato per il fatto che perde rilevanza l'etero-direzione, intesa come sottoposizione del lavoratore alle direttive stringenti da parte del datore di lavoro, e viene meno l'inserimento stabile del dipendente nell'organizzazione aziendale. Rimane comunque nell’ambito della subordinazione ma emergono i tratti della cosiddetta “subordinazione attenuata”20.

Poiché parte della prestazione lavorativa è svolta, come abbiamo detto, all’esterno, il controllo deve avvenire necessariamente a distanza, attraverso gli strumenti utilizzati dal dipendente per eseguire la prestazione lavorativa da remoto.

Questi controlli raggiungono la massima invasività quando avvengono attraverso programmi di accesso occulto che consentono al datore di lavoro di controllare tutte le attività e le informazioni relative al lavoratore, senza che questi ne sia a conoscenza.

L’articolo 21, comma 1, della suddetta legge disciplina, «l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 l. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni». Il rispetto dell’articolo 4 Statuto funge da limite al potere di controllo del datore. Nel primo comma fa riferimento agli “impianti audiovisivi e agli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” che “possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio 20 Ricci G., “Il lavoro a distanza di terza generazione: la nuova disciplina

del lavoro agile"( L. 22 MAGGIO 2017, N. 81), Nuove Leggi Civ.

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aziendale” e che necessitano di previa autorizzazione. Mentre nel secondo comma fa riferimento “agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” i quali non richiedono autorizzazione. Al terzo comma emerge il tema della privacy in quanto si prevede che queste informazioni siano utilizzabili solo se ne sia data adeguata informazione al lavoratore.

Il tema del controllo si ricollega a quello dell’orario di lavoro del prestatore di lavoro agile.

Per un verso l’art. 18, comma 1, l. n. 81 del 2017 configura «il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato […] senza vincoli di orario». Per l’altro, prevede che la prestazione lavorativa debba in ogni caso essere eseguita «entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva».

Il controllo sul rispetto di questi limiti potrebbe essere effettuato mediante gli «strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze» di cui all’art. 4, comma 2, l. n. 300 del 1970 ma non è chiaro se tali strumenti possano essere installati anche su dispositivi di proprietà del lavoratore. In ogni caso, rimane salva la possibilità di installare strumenti e impianti audiovisivi «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori […] esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale» .

L’art 19 della legge n. 81/2017 prevede che il contratto abbia forma scritta ai fini della regolarità amministrativa e della prova. Nell’accordo di smart working devono inoltre essere previsti i comportamenti passibili di sanzione disciplinare.

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determinato o indeterminato dell’accordo. Nel caso di accordo stipulato a tempo indeterminato, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Nel primo caso, in presenza di giustificato motivo le parti possono recedere prima della scadenza. Nel secondo, è possibile recedere anche senza preavviso.

All’articolo 20 viene disciplinato il tema del trattamento economico e del diritto all’apprendimento permanente. Il lavoratore ha diritto a un trattamento non inferiore a quello applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. Il rinvio alla contrattazione collettiva stabilisce l’inderogabilità in pejus ad opera del contratto individuale ma solo per quanto concerne il trattamento complessivamente applicato.

L’articolo successivo disciplina l’ambito della sicurezza sul lavoro prevedendo quanto segue: da un lato, l’obbligo del datore di garantire salute e sicurezza del lavoratore e l’obbligo di consegnare l’informativa contenente i rischi generali e specifici derivanti dall’esecuzione della prestazione; dall’altro, l’obbligo per il lavoratore di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione21

1.3 L’orario di lavoro e il diritto alla disconnessione

La smaterializzazione dei concetti di luogo e di orario di lavoro per l’esecuzione della prestazione lavorativa comporta il rischio per il lavoratore di essere sempre connesso con il datore e subire continue ingerenze di quest’ultimo. Occorre delineare i confini di questa flessibilità e individuare i limiti di esigibilità della prestazione in 21 Iodice D., Colombani R., “Il lavoro agile nella legge n.81/2018.

Flessibilità o destrutturazione del rapporto?”, Working paper n.9,

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modo che il lavoratore riesca a conciliare i tempi di vita e tempi di lavoro.

Per diritto alla disconnessione si intende il diritto del lavoratore alla irreperibilità, a non essere cioè soggetto a richieste per via telematica provenienti dal datore di lavoro al di fuori dell’orario massimo di lavoro. Significa diritto a potersi disconnettere dalle tecnologie che ne consentono la rintracciabilità senza interruzioni, senza subire ripercussioni sul piano retributivo e sulla prosecuzione del rapporto di lavoro.

La Francia è stato il primo Paese europeo a teorizzare una regolamentazione.

La legge 2016-1088 del 8 agosto 2016 ha modificato l’art. 2242-8 del Code du Travail e ha previsto al comma 7 il diritto alla disconnessione.

La norma prevede che il datore di lavoro di un’impresa che occupi più di cinquanta dipendenti, sia obbligato a prevedere il diritto alla disconnessione nel contratto collettivo aziendale. In mancanza di questo, deve prevedere il diritto in una charte che definisce le modalità di esercizio di questo diritto, previa consultazione del comité d’entreprise o dei i rappresentanti dei lavoratori.

Nonostante tutto però, non risulta una disposizione priva di criticità. Innanzitutto la norma non si applica a tutte le aziende, di conseguenza a tutti i lavoratori, ma sole alle imprese occupanti più di cinquanta dipendenti o che comprendono una o più sezioni sindacali delle organizzazioni più rappresentative. Inoltre, il legislatore, tra soggetti abilitati a definire le modalità di esercizio di questo diritto, non fa nessun richiamo al Comitato per la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro), il cui compito è proprio quello di tutelare i lavoratori dai rischi derivanti dalla prestazione di lavoro, in cui rientra anche

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l’aumento dello stress derivante dalla iper-connessione.

Da un punto di vista del profilo oggettivo, la legge afferma che è attraverso il riconoscimento del diritto di disconnettere che si garantisce l’efficacia del diritto al riposo.

Anche il nostro legislatore è intervenuto in materia all’art. 19, comma 1, della legge n. 81 del 2017. La disposizione prevede che «l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile (…) individua (…) i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche».

Diversamente della norma francese in cui abbiamo un chiaro riconoscimento alla disconnessione come diritto, qui non si qualifica espressamente come tale, cosa che invece era stata prevista nella sua originaria formulazione. La disposizione necessita quindi di eterointegrazione da parte della contrattazione individuale ma, soprattutto, collettiva.

Se nell’ordinamento francese, il diritto ad essere disconnessi deriva dalla disciplina generale dell’orario di lavoro, l’ordinamento costituzionale italiano si spinge ben oltre prevedendo all’articolo 36, comma 2 della Costituzione, che la durata massima della giornata lavorativa sia stabilita dalla legge.

Anche in mancanza di un espresso riferimento al temine “diritto”, si può sostenere che l’art. 19, comma 1, Legge n. 81/2017, abbia introdotto in sostanza un diritto i cui titolari sono i lavoratori che si servono di apparecchiature e strumenti tecnologici per rendere la propria prestazione lavorativa.

L’art. 18, comma 1, del medesimo corpus normativo, dispone che, anche se la prestazione lavorativa viene svolta senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, è chiaro che il tempo che il lavoratore

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impiega per rispondere ad es. alle mail o per effettuare telefonate per conto del suo superiore debba essere ricompreso proprio nell’orario di lavoro, anche se formalmente fuori dell’orario dedotto in contratto. Quindi le ore in disconnessione dovrebbero equivalere almeno alle undici ore consecutive di riposo giornaliero previsto dall’art. 7, d. lgs. 66/2003.

L’assenza di precisi vincoli di orario non significa che il datore possa sollecitare il proprio dipendente a suo piacimento.

Il tempo di disconnessione non rientra nell’orario di lavoro ma nel tempo libero, quindi il lavoratore non può subire ripercussioni disciplinari dal datore per mancata ottemperanza alle direttive impartite durante tali ore della giornata.

L’integrazione da parte della contrattazione collettiva è importante per chiarire le conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata o non corretta attuazione del precetto legale.

Un caso di applicazione di questo diritto è quello dell’accordo tra Barilla e le organizzazioni sindacali nel 2015 , dove non si fa un espresso richiamo la disconnessione, ma tra le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa si fa espresso riferimento al «normale orario di lavoro della sede di appartenenza» e si precisa che «durante lo svolgimento dello Smart working, nell’ambito del normale orario di lavoro, la persona dovrà rendersi disponibile e contattabile tramite gli strumenti aziendali». Quindi, in mancanza di una specificazione legislativa, la disconnessione dovrebbe essere garantita in tutto l’arco temporale che eccede tale orario.

Anche l’accordo Enel del 4 aprile 2017, prevede che «il lavoro agile rappresenta una mera variazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa», e non dell’orario di lavoro e che «la giornata in smart working è equiparata, a tutti gli effetti di legge e di contratto,

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ad una giornata di orario normale di lavoro e che il dipendente durante l’orario di lavoro (corsivo ns.) è tenuto, tramite gli strumenti tecnologici messi a sua disposizione, ad essere contattabile dal suo responsabile»

Infine, nell’accordo Siemens del 6 giugno 2017, è previsto «la connessione alle strumentazioni tecnologiche di lavoro sarà contestuale alle fasce orarie di prestazione lavorativa nell’arco della giornata». Da questo si può facilmente dedurre che al di fuori di questo arco temporale il lavoratore ha diritto di disconnettersi.

In conclusione, quello alla disconnessione andrebbe configurato come un diritto, nonostante l’imprecisione del dato legislativo; tuttavia resta pur sempre necessaria una eterointegrazione da parte della contrattazione collettiva22.

2

Il lavoro mediante piattaforme digitali

Il Web rappresenta un luogo virtuale di incontro tra datori di lavoro e lavoratori. Oltre a consentire la circolazione delle informazioni, nel tempo si è sviluppato e potenziato fino ad arrivare a svolgere il ruolo di intermediario professionale attraverso i dispositivi informatici. Inoltre, ha aperto il nuovo scenario dell’economia a richiesta grazie alla diffusione di circuiti informali capaci di intercettare le occasioni lavorative.

Il termine gig (che nell’inglese classico si riferisce ad un piccolo calesse a due ruote) si usa per indicare una prestazione lavorativa singola, saltuaria e di breve durata, il cosiddetto “lavoretto”. Le piattaforme digitali hanno reso possibile l’incontro tra domanda e 22 Di Meo R., “Il diritto alla disconnessione nella prospettiva italiana e

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offerta di queste attività economiche e da qui ne è derivato il termine gig economy.

In questo nuovo scenario si lavora on-demand , ovvero quando l’utente esprime la necessità di usufruire di un certo servizio o di una determinata prestazione.

L’utilizzo di dispositivi elettronici per la gestione delle relazioni economiche permette di abbattere l’asimmetria informativa, consentendo di migliorare le condizioni contrattuali. Allo stesso tempo però, il lavoratore si trova in una condizione sfavorevole causata sia dal disequilibrio nel rapporto tra piattaforma e lavoratore e sia dal fatto che le tecnologie utilizzate per raccogliere le informazioni sono di proprietà privata.

Il problema principale legato a questo nuovo contesto economico, è che la prestazione lavorativa non viene regolata da un contratto di lavoro subordinato. Infatti, la piattaforma digitale agisce come una sorta di agenzia di intermediazione che conferisce un incarico a soggetti giuridicamente considerati liberi professionisti.

Così facendo si vanno a frammentare le operazioni richieste al lavoratore portando inevitabilmente ad un aumento dello sfruttamento e a rendere difficilmente conciliabili i tempi di vita e di lavoro23. Questo sistema economico non può essere confuso con quello denominato Sharing Economy, in cui la piattaforma mette in contatto diversi utenti che desiderano condividere un bene o un servizio. Alla base di quest’ultimo paradigma economico ci sono concetti di condivisione e fiducia. L’obiettivo non è più il trasferimento del possesso di un bene, ma è la massimizzazione dell’efficienza di beni sottoutilizzati beneficiando un ritorno positivo che può essere di 23 Guardascio D., “Mansioni, competenze e rapporti di produzione

nell’economia delle piattaforme”, in Il lavoro nelle piattaforme digitali ,

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diverso tipo: economico, etico, ecologico.

Esempi di economia della condivisione sono tutti gli scambi tra pari, in cui gli utenti mettono a disposizione spazi, informazioni, conoscenze o condividono piccole attività senza la previsione di prezzi o rimborsi.

Gli scambi che avvengono nell’ambito della gig economy e nell’ambito della sharing economy si sviluppano nella rete attraverso piattaforme online ma ciò che differenzia i primi dai secondi è il fatto che gli scambi sono di natura economica tra prestatore e committente e vanno a creare nuove forme di lavoro.

Le piattaforme attraverso le quali si realizza la platform economy possono essere interne, a cui possono accedere solo i lavoratori di quella determinata azienda, o esterne, quindi aperte a tutti coloro in possesso di determinati requisiti. Queste ultime, a loro volta, si distinguono in piattaforme che offrono lavoro tramite applicazione informatica e forme di crowd-work on line. Tramite le prime la prestazione viene svolta in maniera tradizionale, come avviene ad esempio nel settore dei trasporti o delle pulizie, mentre nelle seconde viene realizzata attraverso la rete.

I lavoratori che interagiscono in queste piattaforme possono essere sia poco qualificati e addetti a mansioni semplici che professionisti altamente qualificati24.

Michele Faioli, nel suo saggio “Il lavoro nella gig-economy”, ci offre un’ulteriore classificazione, definendo il lavoro nella gig economy secondo quattro tipologie:

“- piattaforme assimilabili a servizi di taxi e trasporto di persone (exp., Uber, Lyft, etc.)

24 Weiss M., “Digitalizzazione, smart working, politiche di conciliazione.

La platform economy e le principali sfide per il diritto del lavoro”, in

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- piattaforme che organizzano consegne e distribuzione di beni mediante lavoratori riders (Foodora, Deliveroo);

- la piattaforma si limita a ospitare/facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di servizi (matchmaking tra famiglia, cliente, etc. e idraulico, giardiniere, etc.). Si pensi al match-making tra consumatore e Pmi/lavoratori autonomi operato dalle piattaforme digitali (ad es. Vicker, TaskRabbit, etc.) per l’erogazione di servizi alla persona o alla famiglia. In questi casi la piattaforma mette in contatto lavoratori indipendenti con il cliente, che procederà a remunerare il prodotto o il servizio reso;

- Nel caso di Amazon Mechanical Turk il lavoro viene offerto e contestualmente svolto mediante la medesima piattaforma digitale (traduzione di testi, data entry, contabilità, etc.).”25

Secondo Lunardon, quando l’interprete tenta di ricondurre a sistema le nuove forme di espressione del mercato del lavoro, deve distinguere la piattaforma dalla rete d’impresa. Mentre di questa si ha una definizione legislativa all’art. 3, comma 4-ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. con l. 9 aprile 2009, n. 33, della prima non si ha una esatta definizione giuridica. Nonostante alcuni tratti che le accomunano, secondo alcuni, la piattaforma digitale è centro di imputazione unitario di una pluralità di rapporti contrattuali che si caratterizzano per la loro volatilità.

È importante specificare che la piattaforma può svolgere il ruolo di intermediazione senza mai arrivare ad essere un datore di lavoro. Solo quando inizia ad organizzare le condizioni di erogazione di quel servizio, si può parlare di eventuale acquisizione di un ruolo “creditoriale”.26

25 Faioli M., “Il lavoro nella gig-economy”, I quaderni del CNEL, p.15-17. 26 Lunardon F., “Le reti d’impresa e le piattaforme digitali della sharing

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Nell’ambito della gig economy rientrano principalmente il crowd-work e il lavoro a chiamata via app.

La traduzione letterale del primo è “lavoro nella folla”. Questo perché una folla di persone è connessa ad una piattaforma digitale in rete su cui i committenti caricano delle commesse.

Chi si aggiudica le commesse può trovarsi in qualsiasi parte del mondo rispetto al luogo in cui si trova il committente e può svolgere la prestazione nei termini che ritiene opportuno, fermo restando un termine finale.

I benefici di questo tipo di lavoro sono quelli di creare occupazione anche in zone deindustrializzate, come il sud, vista la possibilità di assegnare commesse senza insediarsi nel territorio. Inoltre, favoriscono la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, visto che il lavoratore può tendenzialmente scegliere luogo e tempo di lavoro (a seconda, ovviamente, del tipo di prestazione).

I soggetti che interagiscono tra loro sono tre: l’utente-committente, la piattaforma che funge da intermediario e l’utente-lavoratore che svolge la prestazione.

Nel lavoro a chiamata via app, invece, la mansione viene richiesta online via app ma svolta offline in quanto si tratta di un lavoro di tipo tradizionale (c’è quindi un contatto tra utente finale e il prestatore di lavoro).

Per entrare a far parte della schiera di lavoratori a chiamata è sufficiente connettersi a internet e registrarsi ad una delle tante società della platform economy compilando una sezione dedicata all’anagrafe personale/contabile e una relativa al contratto per adesione.

Alcune prevedono meccanismi competitivi per l’aggiudicazione dell’incarico mentre altre obbligano il lavoratore a rispondere alla domanda di un richiedente sulla base della propria disponibilità. Per

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individuare il lavoratore disponibile più vicino si usa la geolocalizzazione (es UBER) e, alla fine del servizio, il cliente paga la corsa direttamente via app. La prestazione poi viene valutata e questo farà costruire a ogni lavoratore una reputazione utile per gli ingaggi futuri.

Questo sistema è caratterizzato da un potere di controllo molto incisivo a causa dei sistemi di valutazione, che permettono al datore di verificare in qualsiasi momento il numero di commesse accettate, il tasso di reperibilità nel corso della giornata e il grado di soddisfazione della clientela.27

Di fatto è la piattaforma digitale a gestire le relazioni giuridiche tra le parti.

I rapporti di lavoro poggiano su contratti atipici, comprensivi sia delle obbligazioni reciproche fissate dall’accorto tra utente e committente, sia dei termini per usufruire della piattaforma. Capita anche che l’utente sottoscriva due contratti diversi, uno contenente i termini di utilizzo della piattaforma e l’altro regolante il rapporto di lavoro. In entrambi i casi è sempre la piattaforma a definire le regole per la fase preliminare, lo svolgimento e la conclusione del rapporto.

Diversi studi hanno tentato di dare una dimensione quantitativa al fenomeno. Nel contributo di Michele Faioli, “Il lavoro nella Gig-economy” , emergono i seguenti dati: “Negli Stati Uniti, a fine 2015, la stima era che circa lo 0,5% degli occupati fosse impiegato in attività di gig economy. Nel 2016, includendo oltre agli Stati Uniti anche i paesi UE-15, un’approfondita ricerca del McKinsey Global Institute stima che la quota di independent workers sia il 20-30% della popolazione in età lavorativa, di cui circa il 15% ha lavorato 27 Aloisi A., “Il lavoro “a chiamata” e le piattaforme online della

collaborative economy: nozioni e tipo legali in cerca di tutele”,

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per piattaforme digitali. Nel 2017 le ricerche del Chartered Institute of Personnel and Development stimano, per il Regno Unito, circa 1,3 mln di gig workers, pari al 4% degli occupati”

Spostando l’attenzione sul nostro Paese, anche l’INPS, nel XVII Rapporto annuale, rileva come i problemi di definizione della gig-economy si riflettano nella possibilità d’identificazione dei datori di lavoro e dei lavoratori. Non esiste un codice identificativo che permette di individuare le aziende, né esiste una sola forma di pagamento dei compensi che sia essa stessa la soluzione del fenomeno. Qualunque analisi deve ritenersi parziale. Nel 2017 nelle banche dati INPS risultavano 50 piattaforme informatiche. Di queste 22 erano società senza lavoratori; 17 erano società con lavoratori dipendenti; 11 erano società con collaboratori e dipendenti.28

2.1 Alcune tra le principali piattaforme operative in

Italia

Negli ultimi anni sono proliferate, soprattutto nelle maggiori città italiane, piattaforme che offrono servizi di consegna via app effettuati da fattorini in motorino o bicicletta muniti di apposito zaino-contenitore in spalla, i cosiddetti riders.

È difficile quantificare il numero esatto di questi lavoratori, per la maggior parte studenti in cerca di un’entrata extra ma anche soggetti che svolgono l’attività di consegna in via prevalente o ne ricavano la propria unica fonte di reddito.

Andiamo a richiamare brevemente le piattaforme operative in Italia nel settore della consegna immediata via-app.

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Foodora: è una piattaforma tedesca presente in Italia dal 2015 fino al 2018.

Il marchio è presente in 10 paesi europei ed extraeuropei e in Italia ha operato in molte grandi città, tra cui Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna e Verona.

Utilizzando il sito Internet della società o l'applicazione per i dispositivi mobili, i clienti visualizzano i ristoranti vicino a loro, possono fare un ordine e pagare online. L'ordine viene preparato dal ristorante, ritirato dal corriere e consegnato al cliente finale in 30 minuti.

Foodora stipula con i rider un contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Nell'ottobre 2018 Foodora Italia è stata ceduta al gruppo concorrente spagnolo Glovo29.

Glovo: fondata a Barcellona nel 2015, opera attualmente nelle principali città spagnole, oltre che a Parigi, a Roma e a Milano.

Il costo della consegna varia, secondo le scelte dei ristoratori, tra 1,90 e 4,90 Euro.

La sua particolarità è che non si limita alla consegna del prodotto food, ma si estende virtualmente a ogni bene di consumo.

Prima del gennaio del 2017, il contratto era di collaborazione coordinata e continuativa, con un compenso minimo determinato su base oraria di 7,35 Euro all’ora, assorbibile nel compenso variabile (determinato in funzione del chilometraggio e del tempo di attesa). I contratti successivi hanno tuttavia presentato una crescente 29 Rotunno R., “Glovo compa Foodora e licenzia in massa i suoi rider.

Possono candidarsi ma addio garanzie minime”, 09 novembre 2018, Il

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diminuzione dell’ammontare del compenso garantito, che sarebbe stato poi eliminato nel maggio 2017.

Oggi è un contratto di collaborazione occasionale che prevede esclusivamente un compenso a cottimo variabile secondo il tempo impiegato e il chilometraggio percorso e viene comunicato al rider prima dell’accettazione della consegna.

Deliveroo: attiva in Italia dal novembre 2015 attraverso la Deliveroo Italy s.r.l., controllata dalla holding inglese Roofoods Ltd, la quale opera con il marchio Deliveroo in oltre 84 città in 12 paesi.

In Italia è operativa a Milano, Roma, Piacenza, Firenze, Torino, Bologna, Monza e Verona, con un costo fisso per il cliente pari a 2,50 Euro a consegna.

Lo schema contrattuale adottato qui è quello della collaborazione occasionale.

Al lavoratore viene corrisposta la somma di 7 euro lordi per ora di lavoro, più un piccolo bonus a cottimo pari a 1,50 Euro lordi per ogni consegna effettuata.

Questo la fa preferire ai riders rispetto alla prima.

JustEat: fondata in Danimarca nel 2000, è attiva in Italia dal 2001. Opera in 18 paesi del mondo e in oltre 500 comuni italiani.

Le attività di consegna tramite l’app JustEat vengono svolte da collaboratori ingaggiati da una società diversa, la Food Pony s.r.l., che adotta contratti di collaborazione coordinata e continuativa con un compenso su base oraria di 6,50 Euro per ogni ora di attività, oltre a diversi bonus variabili.

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consegna pari oggi a 2,50 Euro.

Il modello ricalca quello del servizio di trasporto di Uber.

I fattorini utilizzano la medesima app adoperata dagli autisti e i rapporti con gli utenti sono regolati dai medesimi termini e condizioni. È prevista la corresponsione di un compenso per ogni consegna effettuata a cui si aggiunge una somma variabile secondo il chilometraggio percorso.

I contratti a cui sono sottoposti i rider possono essere di collaborazione coordinata e continuativa o di natura occasionale; tuttavia, in tutti viene ribadita la natura autonoma del rapporto, prevedendo ad esempio che il rider “agirà in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere” (Foodora), oppure che “resta libero di determinare luoghi e tempi della propria disponibilità” (JustEat).

L’oggetto della prestazione consiste nell’attività di consegna a domicilio di prodotti, da svolgere con mezzi propri.

Diversa è invece la modalità di determinazione del compenso. Questo può essere orario, parametrato alle ore di disponibilità o alle ore di lavoro effettivo, oppure a cottimo puro fisso o variabile, in cui alla determinazione del corrispettivo concorre anche il chilometraggio percorso. Alcune piattaforme aggiungono al compenso orario anche un bonus per ogni consegna effettuata. Altre prevedono indennità aggiuntive come il bonus pioggia o bonus festività.

Altro elemento in comune dei rider è l’utilizzo di un vestiario che reca i colori e il logo della app. Questo può essere affidato in comodato gratuito o dietro cauzione.

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ridotta oppure i contratti stipulati nell’anno possono scadere il 31 dicembre. In molti casi le singole collaborazioni vengono stipulate di volta in volta.

A seconda del contratto il rider ha diritto di recedere in qualsiasi momento o con obbligo di preavviso.

Anche il sistema di aggiudicazione dell’incarico varia a seconda della piattaforma.

Nel caso sia previsto un compenso orario per la disponibilità, onde evitare di pagare i rider anche quando non ci sono consegne da effettuare, la piattaforma si assicura di reclutare un numero di rider non eccedente. Ciò avviene attraverso il sistema degli slot per cui il rider prenota il turno all’inizio della settimana e, una volta calcolato il numero necessario di rider, la piattaforma trasmette la conferma. Qui la possibilità di rifiutare l’esecuzione dopo la prenotazione è molto ristretta e può essere trattata alla stregua di un inadempimento contrattuale.30

La scelta in alcuni casi ricade sul rider che si è prenotato per primo, in altri sulla base del rating, ossia in base al punteggio attribuito e ai commenti espressi dai clienti in merito al servizio ricevuto.

Dal numero di stelle che i clienti decidono di attribuire al servizio dipende la conservazione della posizione di mercato della piattaforma. Il cliente formula una valutazione in merito all’esatto adempimento dell’obbligazione del lavoratore. Tale valutazione viene inoltrata alla piattaforma, che verifica la qualità e la puntualità della prestazione. Come già accennato, viene attribuito così all’app un penetrante controllo su tutti gli aspetti della fornitura del servizio. Ciò comporta 30 Cavallini G., “Foodora, Deliveroo & Co.: le fattispecie della

gig-economy italiana, tra previsioni contrattuali ed effettive modalità di esecuzione del rapporto”, Convegno internazionale di Studi Impresa,

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che il lavoratore venga continuamente sottoposto ad un periodo di prova.

Inoltre, il rating non è importante solo perché viene utilizzato come parametro per affidare l’incarico ad un rider piuttosto che ad un altro ma, soprattutto perché a seguito di una pluralità di cattive recensioni si può arrivare al recesso della piattaforma dal contratto con il lavoratore, disattivandogli l’account.

La piattaforma non è nemmeno tenuta a giustificare il proprio recesso, limitandosi a fondarlo sulle valutazioni offerte dal creditore della prestazione, formalmente estranea al contratto tra il lavoratore e la piattaforma. Il cliente stesso non è giuridicamente responsabile della propria valutazione, la quale può ben riflettere anche aspetti estranei alla prestazione.

I sistemi di rating tengono conto anche dei tempi di inattività del lavoratore e fanno sì che parte della valutazione sia basata anche su questo.31

Diverso è invece il sistema di aggiudicazione immediata in cui il rischio che non vi siano ordini grava sul rider, il quale è libero di accettare o meno le richieste.

Per quanto riguarda il luogo della prestazione, ci sono piattaforme che prevedono o prevedevano (perché hanno sostituito il sistema a hotspot con il sistema “a zone”, all’interno delle quali il lavoratore decide di svolgere la propria attività) che il log-in potesse avvenire solo in alcuni luoghi, i cosiddetti hotspot, che presentano una elevata richiesta di consegna. Altre, invece, danno la possibilità di effettuare il log-in in qualunque momento e in qualunque luogo coperto dall’applicazione32. 31 Gramano E.,”Riflessioni sulla qualificazione del rapporto di lavoro nella

gig-economy”, Argomenti di diritto del lavoro,3/2018, Cedam .

32 Cavallini G., “Foodora, Deliveroo & Co.: le fattispecie della

gig-economy italiana, tra previsioni contrattuali ed effettive modalità di esecuzione del rapporto”, Convegno internazionale di Studi Impresa,

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2.2 Chi è il datore di lavoro?

I diritti dei lavoratori possono essere reclamati nei confronti di chiunque eserciti una delle funzioni tipiche del datore di lavoro. Nella gig economy parte di queste funzioni vengono svolte dalle piattaforme quindi bisogna valutare se esse possano essere considerate come datori di lavoro.

Il rapporto di lavoro tra crowd-sourcer e crowd-worker spesso non è regolato da un contratto, in quanto le parti si avvalgono dell’intermediazione della piattaforma digitale.

Autori come Prassl e Risak, nel loro contributo dal titolo “Uber, Taskrabbit, and Co.: Platforms as Employers?”, al fine di identificare il datore di lavoro, suggeriscono di concentrarsi sulle funzioni svolte da quest’ultimo e andare poi a compararle con quelle svolte dalla piattaforma e valutare se e in che misura queste funzioni combacino. Può verificarsi che la piattaforma svolga interamente queste funzioni e sia quindi l'unico datore di lavoro oppure, che esistano diversi datori di lavoro che condividono funzioni diverse.

Secondo questi Autori, datore di lavoro è «il soggetto, o un insieme di soggetti, che svolge un ruolo decisivo nell'esercizio delle funzioni relative al rapporto d lavoro, regolando e controllando in questa veste ciascun ambito del diritto del lavoro».33

L'intenzione è quella di sottolineare come il concetto tradizionale non sia più utile a identificare il soggetto che, operando nel contesto del

Lavoro e non lavoro nell’economia digitale, 12-13 ottobre 2017.

33 Prassl J., Risak M., “Uber, Taskrabbit , and Co.: Platforms as

Employers? Rethinking the Legal Analysis of Crowdwork”, in

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lavoro digitale, è responsabile dell'adempimento degli obblighi in capo al datore di lavoro.

La piattaforma ha un ruolo molto incisivo sulle condizioni a cui è sottoposto il lavoratore. Essa infatti oltre a mettere in contatto le parti, stabilisce il corrispettivo unilateralmente, addebita il costo al cliente e solo successivamente paga il rider.

Inoltre, i lavoratori vengono a conoscenza del tipo di attività o della distanza solo dopo aver dato la propria disponibilità.

È difficile dunque sostenere che la piattaforma operi come mero intermediario. Se così fosse, l’eventuale inadempimento del lavoratore non si ripercuoterebbe sul rapporto tra lui e la piattaforma. Ma abbiamo visto che non è così.

Da un punto di vista economico, si può dire che la piattaforma si avvale di propri lavoratori al fine di fornire un servizio agli utenti che ne usufruiscono, quindi saremmo di fronte a un rapporto bilaterale più che trilaterale.34

Prendiamo come esempio il caso Uber.

I termini e le condizioni per avere accesso alla piattaforma richiedono agli utenti di accettare che Uber non fornisce servizi di trasporto o logistici né opera come vettore di trasporto, ma semplicemente come un intermediario tra l'autista e l'utente.

L’Asociaciòn Profesional Elite Taxi, un’organizzazione professionale che rappresenta i tassisti della città di Barcellona, ha proposto dinanzi al Juzgado de lo Mercantil n. 3 de Barcelona (Tribunale commerciale di Barcellona) un ricorso contro Uber Systems Spain SL, per sentir dichiarare che le attività da questa svolte costituiscono concorrenza sleale.

34 Gramano E., “Riflessioni sulla qualificazione del rapporto di lavoro nella

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Il Tribunale spagnolo ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per determinare se Uber sia soggetta alle prescrizioni del diritto dell’Unione o se rientri nell’ambito della competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri nel settore dei trasporti locali. Quindi, se rientri nel campo di applicazione delle direttive n. 2006/123/CE e n. 2000/31/CE, nonchè delle disposizioni del TFUE sulla libera prestazione di servizi.

Secondo l’Avvocato Generale, quello di Uber sarebbe un servizio di trasporto tradizionale, reso a titolo oneroso, secondo condizioni imposte dalla piattaforma stessa e vincolanti per gli autisti. Essa esercita il controllo su tutti gli aspetti rilevanti di un servizio di trasporto urbano: sul prezzo, sulle condizioni minime del servizio, sull’accessibilità dell’offerta di trasporto, sul comportamento dei conducenti mediante il sistema di rating e sull’esclusione dalla piattaforma. Da qui ne deriverebbe una gestione basata su ordini formali impartiti da un datore di lavoro e sul controllo diretto dell’esecuzione di questi ordini35.

3

Corsi e ricorsi storici: caso dei Pony express

Indubbiamente le piattaforme digitali rendono poco visibile la distinzione fra produzione, lavoro e consumo e, conseguentemente, fanno vacillare i tradizionali indici di qualificazione giuridica del lavoro.

35 Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Causa C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi, cit. Sulcaso: D. Gerardin, Online Intermediation

Platforms and Free Trade Principles - Some Reflections on the Uber Preliminary Ruling Case, reperibile su SSRN https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2759379.

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La tendenza a nascondere i rapporti di lavoro subordinati dietro forme di collaborazione era una pratica già diffusa prima della rivoluzione digitale, così come il confine tra subordinazione e autonomia è sempre stato difficile da delineare. L’avvento della platform economy ha reso il fenomeno ancora più marcato. I lavoratori digitali hanno caratteristiche tipiche dei lavoratori autonomi ma anche dei lavoratori subordinati.

Il problema già si era posto in passato con il caso dei Pony Express. Il problema riguardava la qualificazione del rapporto tra le agenzie che

curavano la consegna di lettere e i loro “moto-messaggeri”. La consegna veniva assegnata al Pony Express che si prenotava prima via radio ricetrasmittente. La prestazione veniva svolta utilizzando un proprio mezzo di trasporto e indossando pettorine e borse recanti i segni di riconoscimento dell’agenzia. I lavoratori ottenevano un compenso fisso per ogni consegna.

Il problema qualificatorio è stato risolto in un primo momento dalla Pretura di Milano, il 20 giugno 1986, con il riconoscimento della natura subordinata del rapporto. La giurisprudenza era giunta a questa conclusione assumendo come indici di subordinazione la situazione di soggezione economica di una parte rispetto all’altra, la continuità e la ricorrenza della prestazione.

A diversa conclusione è giunto invece il Tribunale di Milano che ha puntato l’attenzione sull’assenza dell’obbligo di presentarsi al lavoro giorno per giorno e di tenersi a disposizione nell’arco della giornata in cui il pony express dichiarava la propria disponibilità. Unendo questi elementi alla corresponsione di un presso fisso e all’utilizzo di un mezzo proprio per effettuare le consegne, il Tribunale ha escluso la natura subordinata del rapporto. Anche la Corte di Cassazione

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successivamente ha confermato la stessa decisione.36

Non possiamo non notare le somiglianze di questo fenomeno con quello degli attuali riders che lavorano per le varie piattaforme presenti sul mercato odierno. Il problema della loro qualificazione è un problema mondiale che non trova opinioni unanimi ed è stato oggetto di varie sentenze che verranno esaminate nel capitolo successivo.

36 Biasi M., “Dai pony express ai riders di Foodora. L’attualità del binomio

subordinazione-autonomia (e del relativometodo di indagine) quale alternativa all’affannosa ricerca di inedite categorie”, Working Paper

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CAPITOLO 2

IL LAVORO MEDIANTE PIATTAFORME DIGITALI

TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE

1

La nozione di lavoro subordinato e la sua evoluzione

storica

Prima della rivoluzione industriale, il nostro sistema economico era caratterizzato dalla presenza di botteghe artigiane. L'artigiano, con l'aiuto dei suoi collaboratori, produceva beni su commissione e la sua attività era circoscritta alla piccola realtà cittadina. A garanzia della concorrenza, ogni artigiano poteva produrre fino a una determinata quantità di beni.

Con l'avvento delle banche nasce il fenomeno dell'accumulazione dei capitali. In questa fase nasce il contratto di lavoro subordinato come incontro tra rapporto di servitù e rapporto di Verlag (schema contrattuale attraverso il quale l'artigiano si impegna a restituire, tramite cessione di una partecipazione agli utili, il mutuo concesso dal mercante).

Successivamente, i mercanti cominciano ad affidare le fasi produttive a più imprese artigiane o ad un singolo artigiano dando progressivamente vita a quello che successivamente verrà definito sistema di fabbrica. Così l'artigiano, gradualmente de-professionalizzato, si ritrova ad offrire la

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