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La trasparenza: dalle origini all'anticorruzione.

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Academic year: 2021

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Introduzione

La trasparenza non ha una specifica definizione e, attraverso il suo studio cronologico, si vede come questo principio si sia evoluto lentamente fino ai giorni nostri.

Si comincia a parlare di tale concetto negli anni Novanta a livello europeo e, di conseguenza, su impulso internazionale, si procede alla creazione di una normativa anche nel nostro ordinamento, ma, appunto, sempre senza un'esplicita definizione. I suoi primi riferimenti sono legati alla nota legge n. 241 del 1990, cioè alla legge sul procedimento amministrativo: l'accesso ai documenti amministrativi costituisce, quindi, la prima forma di trasparenza su richiesta, ma presenta ancora molte limitazioni. L'esigenza di accessibilità si avverte, poi, anche sul piano della comunicazione: nel 2002 la direttiva Frattini indica le modalità per semplificare il linguaggio amministrativo. Essere trasparenti non significa solo rendere tutto noto, ma significa anche renderlo comprensibile. Il principio della trasparenza, in seguito, viene introdotto esplicitamente all'interno della stessa legge sul procedimento attraverso le modifiche del 2005. Sempre nel 2005 viene emanato anche il Codice dell'amministrazione digitale: quest'ultimo regolamenta l'uso degli strumenti informatici per favorire ulteriormente l'accesso alle informazioni della pubblica amministrazione. Comincia, perciò, ad emergere un'accezione nuova di trasparenza, intesa, non solo come semplice accesso ai documenti, ma anche come diffusione dei dati da parte delle amministrazioni: conoscere e controllare l'azione amministrativa non è più solo onere del cittadino. L'amministrazione ha a disposizione i mezzi telematici e deve servirsene per rendere noti i dati necessari agli utenti, soprattutto, utilizzando i propri siti istituzionali. La trasparenza diventa partecipazione immediata alla cosa pubblica. Nel 2009, con

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la riforma Brunetta, questo nuovo significato di trasparenza trova una sua diretta esplicitazione: si parla, infatti, di accessibilità totale in funzione del miglioramento della produttività del lavoro pubblico e, quindi, dei servizi erogati agli utenti. Questi ultimi, infatti, visto che usufruiscono degli stessi servizi, sono gli unici in grado di dare suggerimenti per ottimizzare le prestazioni amministrative. E' necessario, dunque, rendere trasparenti le performance dei dipendenti pubblici per consentirne la conoscibilità ai cittadini. La trasparenza comincia ad assumere le forme del controllo, teso ad eliminare eventuali fenomeni di illegalità e, in particolare, di anticorruzione. Proprio per aumentare i controlli, vengono istituiti nuovi organismi come la CIVIT (oggi ANAC) e l'OIV. Ecco che la trasparenza inizia ad avere dei nuovi obiettivi: migliorare l'azione amministrativa attraverso l'abbattimento preventivo della corruzione al suo interno. La legge n. 190 del 2012 va proprio in questa direzione e introduce, a tal fine, dei nuovi strumenti amministrativi come il Piano nazionale anticorruzione (PNA) e il Piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC). La stessa legge non perde, però, di vista il legame esistente tra trasparenza e pubblicità e, a tal proposito, contiene una delega. Tale delega ha trovato attuazione nel decreto legislativo n. 33 del 2013: quest'ultimo riordina gli obblighi di pubblicazione da parte delle amministrazioni e introduce alcune novità come quella dell'accesso civico. Questo istituto risulta molto innovativo visto che sancisce per chiunque, senza limitazioni, il diritto di richiedere la pubblicazione dei dati per cui è previsto il relativo obbligo.

In conclusione, l'evoluzione compiuta dalla trasparenza, nel periodo intercorrente tra la riforma Brunetta e il decreto legislativo n. 33 del 2013, viene analizzata attraverso il confronto del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità (PTTI) 2012-2014 e quello 2014-2016 del Comune di Pisa: le differenze tra i due documenti

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emergono al primo impatto e dimostrano come sia aumentata la chiarezza.

Dall'analisi cronologica, quindi, appare dimostrata la flessibilità del concetto di trasparenza: quest'ultima, anche se mantiene le caratteristiche basilari legate alla sua etimologia (trans + inspicere= guardare dentro), viene strumentalizzata a seconda delle esigenze.

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Capitolo 1

Cenni generali sulla trasparenza nell'Unione europea

1. Nozione.

Non esiste una nozione precisa e chiara di trasparenza, ma questa si adatta ai contesti e risulta flessibile. Negli anni Novanta era intesa come la conoscibilità, da parte dei privati, delle attività e delle decisioni delle istituzioni europee. In seguito, si è associata anche al flusso di informazioni tra le stesse. Ci sono, quindi, molte incertezze e numerose posizioni. E' legata, inoltre, al diritto di accesso ai documenti delle istituzioni. Secondo alcuni è un principio, ma secondo altri è solo un valore politico per organizzare gli istituti e non ha una valenza giuridica.

2. Evoluzione.

Prima degli anni Novanta, il termine “trasparenza” si usava poco. Questo si è affermato con la Dichiarazione n.17 allegata all'atto finale del trattato di Maastricht e con l'ingresso nell'Unione europea della Svezia, nazione che ha cercato di promuovere tale principio. Già negli anni Ottanta, però, si era aperto un dibattito in rapporto alla democrazia: la trasparenza dell'esercizio del potere pubblico era necessaria per dare maggiore conoscenza degli atti adottati ai cittadini e per rafforzare la fiducia del pubblico verso l'amministrazione. Tale connessione fra trasparenza e democrazia ha, poi, assunto ulteriori caratteri come quelli della pubblicità e della partecipazione. Possiamo, quindi, distinguere due fasi di sviluppo.

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Nella prima fase, cioè prima del trattato di Maastricht, si adottavano strumenti che perseguivano l'obiettivo della trasparenza in modo indiretto, ma che avevano, però, altre finalità: andavano in questa direzione la motivazione, i controlli, l'accesso al fascicolo amministrativo e la pubblicazione degli atti. A ben vedere, tali istituti realizzavano il loro fine a posteriori. Nella seconda fase, con la dichiarazione n.17, la trasparenza diventò il criterio da seguire nel processo decisionale. Successivamente, ci fu un graduale riconoscimento come vero e proprio principio nell'accezione di diritto di accesso: a tal proposito, bisogna far riferimento al trattato di Amsterdam e alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

3. I vari istituti.

La trasparenza si è sviluppata sotto vari aspetti. Dal trattato di Maastricht in poi sono aumentati, con la prassi, gli atti di diritto derivato che venivano pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea: il fine era fornire maggior certezza e informare il pubblico. La motivazione, poi, ha reso conoscibili le ragioni dell'adozione degli atti e, quindi, le basi giuridiche. Un ruolo informativo riguardo alle attività delle istituzioni è stato svolto anche dai controlli che realizzano una trasparenza “mediata”. Oltre a quelli svolti dalle istituzioni stesse, esistono anche la petizione al Parlamento dell'Unione europea e la denuncia al Mediatore: entrambi possono essere attivati da qualsiasi cittadino dell'Unione europea. In particolare, il Mediatore costituisce un vero e proprio mezzo per promuovere la trasparenza in caso di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni o degli organi dell'Unione. Petizione e Mediatore sono anche importanti strumenti di partecipazione per i cittadini. Le relazioni, le denunce e le indagini vengono, inoltre,

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pubblicati sul sito web e sono, perciò, accessibili al pubblico.

Diverso, invece, è il diritto di accesso al fascicolo amministrativo: questo, infatti, determina la conoscibilità solo per i soggetti coinvolti in determinati procedimenti a seguito di infrazioni. Si configura, quindi, come una manifestazione del diritto di difesa e come una garanzia procedurale.

Tutti gli istituti presi in considerazione seguono i principi di buona amministrazione e di leale collaborazione. Il primo principio comprende il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che venga emanato un provvedimento individuale verso di lui, il diritto di accedere al fascicolo amministrativo, l'obbligo da parte dell'amministrazione di motivare le decisioni e l'esigenza che le istituzioni divulghino le informazioni. Il principio di leale collaborazione, invece, riguarda lo scambio delle informazioni tra istituzioni e stati membri.

La trasparenza, intesa come conoscibilità, quindi, ha assunto nel tempo varie forme e gradi diversi attraverso l'evoluzione di vari istituti: tali istituti sono stati via via potenziati anche grazie ad un notevole apporto della giurisprudenza.

4. Trasparenza “attiva”.

Con il termine trasparenza “attiva” si intende la divulgazione delle informazioni possedute dalle istituzioni su iniziativa delle stesse, cioè senza che vi sia una richiesta. Si concretizza, dunque, nella pubblicità dei lavori svolti dagli organi collegiali secondo il modello dei parlamenti nazionali. Il fine è quello di consentire la verificabilità delle attività. Per garantire un tale tipo di trasparenza, si sono rese pubbliche le riunioni: il pubblico può assistervi e sono previsti dei resoconti. Permangono, comunque, degli organi per cui prevale il

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diritto di riservatezza vista la necessità di tutelare determinati interessi: rispettano questa eccezione la BCE, la Commissione, la Corte dei conti e gli organi giurisdizionali.

La trasparenza “attiva” si può identificare anche con le informazioni che sono funzionali alla partecipazione dei privati ai procedimenti decisionali. Il pubblico può, così, influenzare la formazione delle norme comunitarie. I primi passi sono stati compiuti con la diffusione dei programmi di lavoro in modo tale da consentirne la consultazione. Oggi, poi, molte informazioni vengono trasmesse tramite internet che permette di seguire l'iter delle proposte normative.

La trasparenza ha anche il fine di evitare abusi: esistono delle misure apposite che cercano di favorire forme di auto-regolamentazione. Inoltre, i singoli funzionari devono dichiarare annualmente in un registro accessibile al pubblico le loro attività professionali, le loro retribuzioni e i loro sostegni finanziari altrimenti vengono sanzionati.

5. Trasparenza “passiva”.

La trasparenza “passiva” riguarda il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni su richiesta. Tale diritto di accesso si è sviluppato nel tempo. Prima degli anni Novanta era previsto soltanto per i fascicoli amministrativi e per gli archivi storici. Con il trattato di Maastricht, grazie al rafforzamento della trasparenza nel processo decisionale, è stato inserito nel codice di condotta del Consiglio e della Commissione. Il trattato di Amsterdam, poi, lo ha “costituzionalizzato”: qualsiasi cittadino dell'Unione europea e qualsiasi persona fisica o giuridica di uno stato membro ha diritto di accesso ai documenti del Parlamento europeo, della Commissione e

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del Consiglio. Tale diritto ha assunto la natura di diritto fondamentale tanto che, successivamente, è stato riportato anche nella Carta dei diritti fondamentali. Oggi, quindi, il diritto di accesso, grazie al suo graduale riconoscimento, si configura come uno dei principi cardine dell'ordinamento comunitario.

La richiesta deve essere formulata in forma scritta e precisa. Le istituzioni sono obbligate a fornire i documenti ed è prevista anche una tutela giurisdizionale. L'accesso, però, può essere negato ai documenti provenienti dagli stati membri se gli stessi lo hanno stabilito. Ci sono, poi, i casi di eccezione in cui non si consente il diritto di accesso per tutelare determinati interessi pubblici quali la sicurezza pubblica, le relazioni internazionali, la stabilità monetaria, gli interessi della vita privata, il segreto commerciale, gli interessi finanziari e la riservatezza chiesta dalle persone.

6. Qualità redazionale degli atti.

La trasparenza, intesa come diritto di accesso, deve consentire nei fatti un'agevole accessibilità agli atti. Il linguaggio adottato deve essere, quindi, comprensibile. Le riunioni di Birmingham ed Edimburgo, tenutesi nel 1992, hanno fornito delle regole proprio per ottenere una redazione degli atti che fosse più chiara e semplice, oltre che concisa e senza ambiguità. Tale necessità emerge anche in considerazione delle varie lingue ufficiali che comportano conseguenti difficoltà di traduzione (uno stesso concetto può avere più significati). Inoltre, spesso le norme comunitarie devono essere attuate dagli stati e, quindi, devono essere chiare. Bisogna, perciò, evitare: abbreviazioni, gergo comunitario, frasi troppo lunghe, riferimenti imprecisi ad altri testi e incoerenze. La struttura deve essere costituita da un preambolo (che giustifica), capitoli, sezioni,

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articoli e paragrafi. Devono essere riportati, infine, la data di entrata in vigore, le disposizioni transitorie, le modifiche, eventuali proroghe e abrogazioni degli atti preesistenti.

7. Trasparenza e democrazia.

Dopo il trattato di Amsterdam, le istituzioni hanno cercato di incrementare la propria democraticità con iniziative per informare l'opinione pubblica: si sono servite anche del sito web e dell'indirizzo di posta elettronica. Sul sito i diretti interessati possono seguire l'iter di formazione degli atti e possono formulare delle proposte. Sempre su internet vengono diffusi i programmi annuali di lavoro su cui possono nascere dibattiti. Possono, poi, formarsi gruppi di interesse costituiti da esperti che partecipino all'elaborazione delle politiche e della normativa dell'Unione europea. La trasparenza, quindi, aumentando la conoscibilità, ha rafforzato anche la partecipazione dei cittadini all'interno dell'Unione europea. 1

1 Cfr. A. Santini, Il principio di trasparenza nell'ordinamento dell'Unione europea, Giuffrè editore, 2004.

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Capitolo 2

La trasparenza nell'ordinamento italiano

1. Il concetto senza una specifica definizione.

Così come a livello europeo, anche a livello nazionale, non abbiamo una definizione specifica del principio di trasparenza. Questo si configura come un concetto relazionale: è caratterizzato, infatti, dalle interazioni tra due o più soggetti, un osservatore e un osservato. Di solito l'osservato è un soggetto pubblico e l'osservatore è un soggetto privato. Quest'ultimo, grazie all'evidenza e alla chiarezza, frutto della trasparenza, delle organizzazioni e delle attività dell'osservato, assume la conoscenza di quanto avviene all'interno della pubblica amministrazione. Soddisfa, così, le proprie esigenze di controllo democratico, si forma un'opinione personale e tutela diritti e pretese individuali.

Etimologicamente trasparenza significa “guardare dentro” (trans=oltre e inspicere=osservare): nel caso specifico della trasparenza amministrativa, si fa riferimento al superamento delle barriere che separano i cittadini dalle informazioni a disposizione dell'amministrazione e, in questo senso, “dentro” le amministrazioni stesse. Quindi, la trasparenza amministrativa indica una serie di istituti, norme e strumenti che fanno luce sul modo di essere dell'amministrazione.2

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2. La trasparenza come mezzo di affermazione dello Stato liberale e dello Stato democratico.

Per inquadrare i contorni di questo concetto incerto, bisogna, perciò, far riferimento alla sua evoluzione storica. Il valore della trasparenza cominciò ad emergere con la nascita degli Stati liberali, cioè quando il potere passò dalle mani del monarca a quelle del popolo. Con tale spersonalizzazione del potere, non più identificabile con un unico soggetto, si sentì l'esigenza di regolare il nuovo tipo di Stato legittimato dalla sovranità popolare. Ecco che il principio della trasparenza, seppure spesso in modo non del tutto consapevole, venne utilizzato per la formazione di istituti visibili e controllabili. Si creò un sistema razionale, fondato, cioè, su regole generali ed astratte, non più imposte, ma accettate perché comprese e prodotte attraverso procedimenti a tutti noti. In questo modo, il potere veniva attribuito dal basso ed era legittimamente esercitato. Sulla base del valore della trasparenza, si elaborarono i concetti di “competenza”, intesa come attribuzione delle funzioni e dei poteri ad ogni organo, e di “responsabilità”, cioè l'imputabilità e la sanzionabilità per le decisioni e i risultati conseguenti. Con lo stato liberale si affermarono, poi, i diritti di libertà e la trasparenza fu anche il mezzo per mettere in chiaro tali diritti e le relative garanzie.

Con l'industrializzazione, in seguito, cominciarono a moltiplicarsi le classi sociali, ognuna portatrice di un interesse diverso. Tali interessi chiedevano di essere rappresentati ed ecco che si ricorse nuovamente alla trasparenza per dar vita alla seconda generazione dei diritti: questi erano diritti di partecipazione politica che segnarono il passaggio allo Stato democratico.

In entrambe le fasi, dunque, la trasparenza fu strumentale alla conoscenza dell'esercizio del potere, all'affermazione dei diritti e alla partecipazione consapevole alle scelte politiche. Il principio della

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trasparenza, quindi, risulta funzionale all'apertura dei sistemi politici sebbene debba sempre tener conto del contesto in cui si inserisce.3

3. Trasparenza, democrazia e libera manifestazione del pensiero.

Al di là del contesto, si nota, però, che la trasparenza presenta alcuni tratti comuni e risulta strumentale rispetto all'espressione di ulteriori principi o diritti. Innanzitutto, ha un legame imprescindibile con la democrazia. La democrazia è legata alla conoscenza perché la conoscenza è potere. E, quindi, la gestione di quest'ultimo dipende dalla distribuzione delle informazioni. A tale distribuzione contribuisce proprio la trasparenza che consente ai cittadini di esercitare un controllo diffuso: questo è inteso come la possibilità di raccogliere informazioni, valutarle ed emettere un giudizio ed è uno strumento per raggiungere altri valori. Il controllo è il mezzo attraverso cui viene esercitata la sovranità popolare. Si favorisce, così, la responsabilità delle istituzioni che tenderanno a comportamenti virtuosi altrimenti dovranno rispondere del loro operato (in inglese si parla di accountability). In questo modo si promuovono azioni efficienti ed efficaci delle amministrazioni con il conseguente buon andamento delle istituzioni. Il controllo diffuso, poi, incrementa l'imparzialità delle amministrazioni che devono prendere le loro decisioni secondo criteri non condizionati da interessi particolari. Il risultato è un aumento della fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Quindi, la trasparenza coincide con la disponibilità effettiva delle informazioni e si realizza solo quando un'informazione, oltre ad essere pubblica e, quindi, conoscibile, risulta anche comprensibile. Per assicurare la trasparenza, dunque, bisogna porre i cittadini nella condizione di sviluppare una propria opinione basata sull'informazione ricevuta e compresa. Il diritto

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all'informazione va oltre lo schema diritto-obbligo dei diritti soggettivi perché permette un continuo confronto tra chi detiene le informazioni e chi vuole conoscerle. Tale confronto non è uno scontro, ma una collaborazione che dà vita ad una costante circolazione delle informazioni. “Solo infatti in una società in cui tutti siano messi in grado di conoscere i termini delle scelte e di scegliere liberamente, il consenso maggioritario, su cui si basa l'esercizio dell'autorità, acquista significato”.4

Il diritto ad essere informati, invece, è la concretizzazione della trasparenza in forma passiva e si ricollega alla libertà di manifestazione del pensiero che è nata durante il passaggio dallo Stato liberale a quello democratico. Oggi è disciplinata dall'articolo 21 della Costituzione. Ha avuto origine come prerogativa individuale, ma attualmente è legata ai mezzi di comunicazione (stampa e poi media). La trasparenza, intesa come apertura verso le varie forme di comunicazione, dovrebbe consentire la realizzazione del pluralismo informativo, ma l'ordinamento italiano è incapace di creare una disciplina che lo rispetti ed è stato anche richiamato dalle istituzioni comunitarie perché è in contrasto con le relative norme.5

4. La trasparenza nella Costituzione.

La trasparenza, a livello costituzionale, non trova espressione solo attraverso l'articolo 21. Non esiste nella Costituzione un esplicito riferimento al principio della trasparenza, ma ciò non significa che questo non abbia importanza. Attraverso un'opera di astrazione interpretativa, infatti, si può ricavare come principio implicito. Oltre che alla libertà di manifestazione del pensiero, la trasparenza è legata

4 Cfr. V. Onida, I principi fondamentali della Costituzione, in Manuale di diritto pubblico, a cura di G.Amato-A.Barbere, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 119. 5 F. Merloni ed E. Carloni, op. cit. , p. 33-35, 105-109.

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anche ai diritti di associazione e di riunione (partiti, sindacati, associazionismo religioso). Tali diritti si ritrovano nell'articolo 2 della Costituzione laddove si valorizza il singolo all'interno di una forma associativa: l'adesione a queste aggregazioni consente lo sviluppo della personalità individuale. Le relazioni orizzontali sono, poi, incoraggiate dall'articolo 118 della Costituzione che contiene il principio di sussidiarietà orizzontale. Il legame gerarchico, basato sul modello di relazione verticale tra Stato e cittadini, viene sostituito da livelli intermedi di rappresentanza che diano espressione ai vari interessi individuali. In rapporto alle associazioni, la trasparenza appare incompiuta e viene identificata con una disciplina che regoli: la responsabilità di queste associazioni verso i propri membri e verso la collettività; i criteri di selezione e convocazione. Tale disciplina è assente.

La trasparenza trova, poi, espressione anche attraverso l'articolo 3 della Costituzione. Il principio di uguaglianza presente nella Carta fondamentale è quello nato con il passaggio dallo Stato liberale a quello democratico: il concetto da statico diventa dinamico e viene inteso come un'uguaglianza “redistributiva” che deve abbattere gli ostacoli economici e sociali, cioè un'uguaglianza sostanziale. La trasparenza, con i suoi strumenti, svolge un ruolo fondamentale proprio perché contribuisce a colmare le differenze più gravi tra le persone attraverso la diffusione della conoscenza. Nella società attuale i divari spesso sono informativi e la trasparenza cerca di riequilibrare le differenze attraverso la ridistribuzione delle risorse e diventa, così, anche un mezzo di affermazione della dignità del singolo.6

Infine, la trasparenza si può individuare nell'articolo 97 della Costituzione laddove si fa riferimento ai principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione. Questi due principi sono funzionali ad ottenere l'efficienza dei servizi e l'efficacia dell'azione

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amministrativa. Il buon andamento riguarda l'organizzazione degli uffici. L'imparzialità, invece, fa riferimento all'obbligo per tutte le amministrazioni di agire secondo il contemperamento di tutti gli interessi in relazione al principio di uguaglianza. Complementare al buon andamento e all'imparzialità è il principio di legalità. Questo indica la preminenza della legge sull'azione degli organi amministrativi. Per i dipendenti si concretizza come la stretta osservanza delle norme nell'esercizio delle proprie mansioni.7

5. La trasparenza delle pubbliche amministrazioni: l'oggetto.

Scendendo nel dettaglio, proprio in relazione ai principi di buon andamento e imparzialità previsti dall'articolo 97 della Costituzione, si nota che la trasparenza amministrativa ha ad oggetto atti e documenti che contengono molteplici informazioni. Bisogna distinguere tra i documenti soggetti alla trasparenza e i documenti di trasparenza: i primi vengono formati dalle amministrazioni nello svolgimento delle proprie attività e i secondi nascono per rispondere a determinate esigenze di trasparenza (piani, prospetti, riassunti, statistiche, riepiloghi). Esistono, poi, dati di primo livello (grezzi, cioè non elaborati) e di secondo livello (raccolti e classificati). Attraverso la tecnologia si possono estrarre dai documenti una serie di informazioni e quelle di primo livello si possono trasformare in informazioni di secondo livello. Tutte le informazioni detenute dalle amministrazioni presentano problemi di: sicurezza, cioè di non modificabilità e di durata della validità dei documenti; affidabilità in relazione alla provenienza e alla verità; comprensibilità. I documenti amministrativi contengono informazioni sulla propria

7 Cfr. F. Rao, Responsabilità, partecipazione e trasparenza: la qualificazione dei rapporti fra pubblica amministrazione, cittadini e soggetti del terzo sistema, Fondazione Emanuela Zancan, 1993, p. 20, 21.

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organizzazione, cioè sulla distribuzione dei poteri, e sulle attività svolte. In passato, la conoscenza dell'attività si esprimeva solo attraverso la motivazione dell'atto che contiene gli elementi essenziali per ricostruire la volontà dell'amministrazione. Con le regole sull'accesso e sulla partecipazione al procedimento, per garantire la conoscenza dell'attività, si sono aggiunti, tra le informazioni dei documenti, gli elementi che sono stati alla base della decisione.8

6. La trasparenza nei vari modelli di amministrazione.

Oltre che in relazione all'oggetto, possiamo analizzare la trasparenza amministrativa in rapporto alla sua evoluzione. Emerge subito come questa sia un concetto elastico e mutevole a seconda del contesto. Cronologicamente, possiamo individuare quattro modelli di amministrazione: bipolare tradizionale, bipolare temperato, policentrico condiviso e paritario pluralista. Nel modello bipolare tradizionale esiste un rapporto gerarchico tra amministrazione e amministrati: i funzionari pubblici si trovano in una posizione sovraordinata perché tutelano l'interesse pubblico. Abbiamo, quindi, una struttura piramidale in cui il cittadino è sottomesso all'autorità. Negli altri tre modelli, invece, muta il rapporto tra l'individuo e l'amministrazione, cioè il rapporto di cittadinanza: il cittadino non è più inteso come un amministrato, ma come una risorsa. Tale concezione trova, poi, espressione nell'articolo 118 della Costituzione dove si parla di sussidiarietà orizzontale.

Il modello bipolare temperato emerge negli anni Novanta, anche grazie alla legge n. 241, quando l'amministrato acquisisce la possibilità di partecipare al procedimento amministrativo: assume il diritto di accesso ai documenti amministrativi e ha altri istituti per

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prendere visione del processo decisionale. Più che di cittadini, si parla di utenti, cioè di coloro che usufruiscono dei servizi erogati dall'amministrazione. Tali utenti diventano una risorsa fondamentale perché, spontaneamente o su sollecitazione dell'amministrazione, possono indicare alla stessa le eventuali disfunzioni dei servizi: solo gli utenti, infatti, conoscono benissimo i servizi visto che li utilizzano e possono migliorarne la qualità con i loro suggerimenti o con le loro lamentele. Le amministrazioni, quindi, oltre ad informare, devono sapere anche ascoltare. Per favorire questa comunicazione viene istituito l'Ufficio per le relazioni con il pubblico.

Nel modello policentrico condiviso, chiamato con il suo nome inglese, governance, i cittadini non sono più dei semplici destinatari dei provvedimenti o delle prestazioni, ma vengono coinvolti nelle politiche pubbliche e assumono responsabilità di governo, quindi partecipano al processo decisionale e si fanno portatori di interessi diversi. Visto il ruolo svolto, tali cittadini devono essere consapevoli e informati, ma soprattutto devono anche comprendere appieno le questioni che trattano. Ecco, appunto, che la trasparenza si riferisce, non solo alla conoscenza, ma anche alla comprensione.

Il modello pluralista e paritario è l'ultimo modello a livello cronologico. Viene definito pluralista e paritario proprio perché è costituito da vari soggetti (cittadini, imprese, amministrazioni) che interagiscono in modo paritario secondo uno schema a rete. I cittadini, in base al principio di sussidiarietà, apportano risorse per risolvere i problemi e si attivano secondo un interesse generale. Si nota, quindi, che, con il susseguirsi dei vari modelli, il rapporto tra cittadini e amministrazione si è modificato profondamente: ora si basa, non più sulla diffidenza, ma sulla collaborazione e sulla cooperazione per raggiungere un obiettivo comune. Si instaura, dunque, una fiducia reciproca e la trasparenza non serve più per difendersi o per controllare, ma per prendere decisioni insieme.9

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Capitolo 3

Il diritto di accesso

1. Le sue caratteristiche generali nella legge sul procedimento e la trasparenza come principio esplicito dal 2005.

La trasparenza trova una delle sue prime concretizzazioni nel diritto di accesso ai documenti amministrativi: tale diritto consente la conoscibilità esterna del procedimento amministrativo, la partecipazione allo stesso e, quindi, un controllo sull'attività amministrativa da parte dei cittadini. La disciplina generale dell'istituto è contenuta nella legge n. 241 del 1990. Precedentemente, erano previste leggi settoriali che regolavano la pubblicità degli atti. Ma la legge n. 241 costituisce una svolta rispetto al precedente sistema, fondato sul segreto e sul divieto di divulgazione delle informazioni della pubblica amministrazione. Il rapporto tra cittadini e amministrazione non è più inteso come verticale: la legge sul procedimento amministrativo all'articolo 1, così come modificato dalla legge n.15 del 2005, introduce proprio il principio di trasparenza insieme a quelli di economicità, efficacia, pubblicità e, dopo la legge n. 69 del 2009, di imparzialità.

In particolare, il diritto di accesso viene visto come l'espressione del più ampio diritto all'informazione. Quest'ultimo si declina sotto più aspetti: il diritto ad informare, cioè a diffondere le notizie; il diritto ad essere informati, ossia a pretendere la diffusione delle notizie; il diritto ad acquisire informazioni che è proprio quello incarnato dal diritto di accesso. L'accesso va inteso come strumentale rispetto alla tutela di una situazione giuridica soggettiva, tutela che si realizza, su apposita richiesta, attraverso la visione ed estrazione di copia dei

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documenti formati o detenuti dalla pubblica amministrazione: “l'accesso è collegato ad una riforma di fondo dell'amministrazione, informata ai principi di pubblicità e di trasparenza dell'azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all'informazione dei cittadini rispetto all'organizzazione o all'attività amministrativa. Ed è evidente, in tale contesto che si creino ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra di loro: interesse all'accesso; interesse alla riservatezza dei terzi; tutela del soggetto.

Trattasi, a ben vedere, di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali, risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante”.10 Infine, il diritto di accesso viene ricondotto ai livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, la cui tutela deve essere garantita e uniformata su tutto il territorio: il richiamo all'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione è oggi previsto all'articolo 29 delle legge n. 241. Prima della modifica da parte della legge 69 del 2009, tale rimando costituzionale era inserito nell'articolo 22.11

2. Cenni storici.

Prima della legge sul procedimento, la regola era costituita dal segreto amministrativo e l'accesso era un'eccezione. Il segreto, inteso, non come valore, ma come strumento per tutelare determinati interessi, era paragonabile a quello istruttorio operante in ambito

10 Cons. di Stato, A.P.,18-04.2006, n.6; Cons. di Stato, A.P., 20-04-2006, n.7. 11 Cfr. C. Giurdanella e C. Puzzo, L'accesso ai documenti amministrativi, Giuffrè

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penale: lo “stato carabiniere” non doveva svelare la sua attività se voleva raggiungere un risultato efficiente nei suoi settori quali la difesa, l'ordine pubblico e simili. In realtà, il segreto amministrativo caratterizzava tutta l'Europa. Facevano eccezione solo la Svezia e gli Stati Uniti d'America: la prima, nota come modello di democrazia, prevedeva il diritto di accesso dal 1766. Gli Stati Uniti, invece, prevedevano il “right to know” all'interno della Costituzione, ma di fatto l'effettivo diritto di accesso si affermò solo nel 1967 e neanche la prima legge di procedura del 1946 riuscì a disciplinarlo appieno viste le numerose limitazioni. In Italia, come in Francia, inizialmente la giurisprudenza introdusse un diritto di accesso funzionale al diritto di difesa. Nel nostro ordinamento, i primi passi per introdurre il diritto di accesso sono stati compiuti negli anni '80 con la Commissione Bozzi, che propose l'inserimento di tale diritto all'interno della Costituzione con l'articolo 21 bis. Ci sono, poi, stati riconoscimenti legislativi settoriali: la legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983 contiene una prima sbiadita affermazione del diritto di accesso; inoltre, la legge istitutiva del Ministero dell'Ambiente consente a qualsiasi cittadino di ottenere informazioni sullo stato dell'ambiente. Anche la proposta della sottocommissione Nigro andava nella direzione di estendere il diritto a tutti i cittadini, ma il testo finale se ne è discostato ed ha riconosciuto il diritto di accesso a “chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”, quindi anche allo straniero, all'apolide e alla persona giuridica. Questo era quanto recitava l'originale articolo 22 della legge 241.12

3. Le differenze tra accesso e pubblicità.

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accesso ai documenti amministrativi. Questo costituisce uno dei mezzi che garantiscono la trasparenza. Prima di tale legge predominava il principio della segretezza e, visto che quest'ultimo viene rovesciato, l'accessibilità diventa sinonimo di pubblicità. Ma, in realtà, pubblicità e accessibilità rappresentano due strumenti di trasparenza diversi: dove c'è pubblicità non c'è bisogno di accesso. Ciò che è pubblico è già noto a tutti e consente una conoscibilità in senso pieno a chiunque; perciò si parla di diritto civico di informazione: le amministrazioni stabiliscono discrezionalmente quali informazioni rendere pubbliche e così danno ai cittadini la possibilità di effettuare un controllo democratico. Rispetto alla pubblicità, le amministrazioni hanno un ruolo attivo: devono formare, raccogliere e conservare i dati che vogliono mettere a disposizione ed oggi devono anche curare gli appositi siti istituzionali. L'accesso, invece, secondo quanto viene chiarito al comma 3 dell'articolo 24, non garantisce un controllo generalizzato perché è soggettivamente limitato al portatore di un interesse qualificato. E', poi, condizionato da procedure fondate sulla richiesta motivata per ottenere l'ammissione alla conoscenza. L'accesso, quindi, deve essere concesso quando sia necessario per curare o difendere i propri interessi giuridici: la legittimazione all'accesso è, infatti, collegata alla titolarità di un altro interesse che otterrà protezione grazie alla conoscenza dell'atto richiesto. La titolarità del diritto di accesso risulta, perciò, condizionata: è, cioè, un diritto al servizio dell'interesse di un soggetto privato. La pubblicità, invece, è a fine a se stessa, cioè si può utilizzare per qualsiasi interesse e non è legata a nessuna posizione giuridica, ma è astratta da qualsiasi relazione concreta. Il diritto di accesso, inoltre, deriva da un rapporto giuridico concreto tra privato e amministrazione e potrebbe essere limitato da interessi pubblici oppure da altri interessi privati. Si può qualificare, dunque, come un diritto suscettibile di affievolimento

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laddove sia collegato ad altri poteri riservati.13

4. L'accesso partecipativo.

Oltre al diritto di accesso comunemente conosciuto, esiste anche l'accesso partecipativo: quest'ultimo viene chiamato anche accesso endoprocedimentale proprio perché consente la partecipazione del privato durante il procedimento amministrativo ed è disciplinato dall'articolo 10 della legge n. 241 del 1990. Secondo gli articoli 7 e 9 possono prendere visione dei documenti amministrativi: soggetti verso cui il provvedimento finale produrrà effetti diretti; soggetti che debbano intervenire per legge; soggetti, diversi dai diretti destinatari, a cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento; ogni altro soggetto portatore di interessi pubblici o privati, ma anche i portatori di interessi diffusi rappresentati da associazioni o comitati a cui potrà derivare un pregiudizio dal provvedimento finale.

La norma parla di sola visione degli atti e sono nati dubbi interpretativi riguardo alla possibilità di estendere il diritto di accesso alla facoltà di estrarne copia: la dottrina maggioritaria si è espressa in senso positivo. L'articolo 10 si differenzia dall'articolo 22, in cui si fa riferimento all'accesso conoscitivo, soltanto perché l'istanza di accesso non necessita di una motivazione. Sono, però, comunque, previsti dei limiti all'articolo 24: la richiesta partecipativa non deve provocare pregiudizio al procedimento né ai diritti industriali dei terzi.14

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5. L'accesso conoscitivo.

L'originario articolo 22 consentiva l'accesso conoscitivo, detto anche extraprocedimentale visto che si richiede a procedimento concluso, a chiunque dovesse tutelare situazioni giuridicamente rilevanti. Quindi, tale disciplina, nella versione iniziale si concentrava solo sulle finalità e lasciava molti dubbi nozionistici. La legge n. 15 del 2005 ha cercato di eliminare questi dubbi riformulando interamente l'articolo 22, 24 e 27 e abrogando l'articolo 31. Oggi all'articolo 22, sulla base delle elaborazioni giurisprudenziali, abbiamo le definizioni di diritto di accesso, di interessato, di controinteressato, di documento amministrativo e di pubblica amministrazione.15

6. I soggetti legittimati all'accesso prima della legge n.15 del 2005.

La commissione Nigro, nel proprio progetto di legge, aveva previsto di estendere il diritto di accesso a tutti i cittadini in base ad una sorta di azione popolare. Tale intento non fu rispettato per questioni pratiche, cioè per non sovraccaricare di eccessivo lavoro l'amministrazione. L'originario articolo 22 previde, quindi, l'estensione del diritto a chiunque avesse interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. Non c'erano altri riferimenti per individuare tale interesse. Secondo il D.P.R. n. 352 del 1992, cioè il regolamento di attuazione della legge n. 241, bisognava qualificare l'interesse in senso restrittivo come “personale e concreto”. Anche la giurisprudenza, inizialmente, limitò l'ambito compreso da tale interesse alla sola tutela di una posizione soggettiva di interesse legittimo. Ma successivamente mutò opinione e vi comprese anche la tutela di diritti soggettivi e di interessi diffusi. Furono, però, esclusi 15 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 11-13.

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gli interessi di fatto o privi di qualsiasi riconoscimento giuridico. Sia la dottrina sia la giurisprudenza concordano, poi, sul fatto che non esiste una correlazione tra legittimazione all'accesso e legittimazione processuale: il diritto di accesso è autonomo e si può esercitare anche se sono decorsi i termini per l'impugnazione giurisdizionale.16

7. I soggetti legittimati all'accesso dopo la legge n. 15 del 2005.

Secondo l'attuale articolo 22, così come modificato dalla legge n. 15 del 2005, sono titolari del diritto di accesso “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”. La riformulazione, frutto della giurisprudenza, è molto più restrittiva rispetto all'originale articolo 22. Innanzitutto, “chiunque” è stato sostituito da “tutti”, ma ciò non rileva visto che i soggetti pubblici non si ritengono titolari del diritto di accesso. Questi, però, secondo l'articolo 22, comma 5, possono acquisire i documenti amministrativi in base al principio di leale cooperazione istituzionale. Sono stati, poi, riconosciuti esplicitamente i portatori di interessi diffusi di solito coincidenti con associazioni che perseguono scopi pubblici come l'integrità dell'ambiente o la tutela del patrimonio storico ed artistico.

Oggi si definisce espressamente l'interesse come “diretto, concreto e attuale” e, quindi, si riprendono le caratteristiche già contenute nel regolamento di attuazione della legge n. 241. Si è discusso sulla qualificazione di “attuale”: inizialmente, è stato riferito alle sole istanze il cui interesse fosse attualmente esistente o minacciato, però in seguito si è esteso anche a quegli interessi non ancora attuali, ma

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che possono prendere forma proprio grazie alla conoscenza degli atti richiesti.

Si parla, poi, non più di “situazione giuridicamente rilevante”, ma “tutelata e collegata al documento a cui è richiesto l'accesso”. Nella sostanza non cambia molto visto che l'amministrazione, basandosi sulla motivazione a fondamento dell'istanza, dovrà accertare l'utilità data dalla visione o dall'estrazione di copia del documento. Ma la sostituzione di “rilevante” con “tutelata” potrebbe limitare il campo alle sole situazioni protette processualmente. Ciò potrebbe ampliare l'ambito di valutazione della pubblica amministrazione e, di conseguenza, ridurre l'operatività dell'istituto dell'accesso. La legge del 2005, quindi, ha ridotto la legittimazione attiva, ma ha ampliato quella passiva: per pubblica amministrazione si intende “Tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.17

Tra i soggetti legittimati compaiono anche i portatori di interessi pubblici e diffusi, soggetti che prima non avevano espresso riconoscimento. Questi creano alcuni problemi perché la giurisprudenza riconosce l'interesse all'ente esponenziale, ma non ai singoli associati: si teme che i singoli presentino istanze di accesso per effettuare un controllo generico sull'attività della pubblica amministrazione, controllo che è vietato dal comma 3 dell'articolo 24; invece l'ente ha delle finalità proprie.18

8. L'oggetto del diritto di accesso.

L'oggetto del diritto di accesso è costituito dal documento amministrativo. Quest'ultimo, dopo la legge n. 15 del 2005, prevede

17 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 20-25. 18 F. Merloni ed E. Carloni, op. cit. , p. 473-475.

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una definizione molto più ampia. Originariamente, l'articolo 22 lo identificava con “ogni rappresentazione del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa”. Erano nati molti dubbi interpretativi che la legge del 2005 ha cercato di eliminare. Oggi il documento amministrativo viene definito come “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento amministrativo, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. Quindi, è stato consentito, così, di accedere all'attività privata della pubblica amministrazione. Si è, poi, assecondato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, per prendere visione dei documenti, è sufficiente che questi siano detenuti dalla pubblica amministrazione. L'accessibilità, dunque, è legata all'attività di pubblico interesse.

Hanno, poi, creato problemi interpretativi gli atti interni, cioè gli atti che non hanno efficacia esterna e non influiscono sulle situazioni giuridiche. In realtà tra questi hanno efficacia esterna gli atti previsti come obbligatori dalla legge nella fase preparatoria del procedimento visto che questi potrebbero incidere sul contenuto e sulla legittimità del provvedimento finale. Invece, gli atti interni non definiti come obbligatori dalla legge, cioè quelli riguardanti rapporti interorganici o attività istruttorie (ad esempio: pareri tecnici di professionisti esterni), in origine erano esclusi dal diritto di accesso visto che non erano compiuti all'interno di un procedimento amministrativo. L'attuale articolo 22, modificato dalla legge n. 15, però, sostiene l'accessibilità anche di tali atti che sono semplicemente detenuti dall'amministrazione. Non è più, quindi, necessario che il documento abbia il fine di difendere determinati interessi giuridici.

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Infine, rimane aperta la questione concernente l'accessibilità degli atti preparatori, cioè di quegli atti che vengono compiuti durante il procedimento amministrativo e contribuiscono alla formazione del provvedimento: neanche la legge del 2005 vi fa riferimento e la soluzione è lasciata all'interprete caso per caso.19

9. La natura giuridica del diritto di accesso.

La legge non definisce la natura giuridica del diritto di accesso e questo ha dato vita a tesi dottrinali e giurisprudenziali contrastanti. Inizialmente, fu identificato come interesse legittimo perché la disciplina era rimandata al regolamento di attuazione e ciò faceva presupporre un'ampia discrezionalità della pubblica amministrazione. La qualifica di “diritto” doveva essere, poi, considerata come atecnica. La tesi dell'interesse legittimo era sostenuta anche dalla devoluzione della giurisdizione al giudice amministrativo. Si considerava, poi, una posizione soggettiva dipendente da un apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione e strumentale ad un interesse pubblico: tutto ciò era a favore dell'interesse legittimo. Infine, quest'ultimo era avvalorato anche dal termine decadenziale e dall'obbligo di motivazione della richiesta. Un ulteriore conferma è arrivata, poi, dal Consiglio di stato con la decisione n. 16 del 1999.

Attualmente, però, l'orientamento prevalente propende per la natura di diritto soggettivo. Innanzitutto, bisogna tener conto del riferimento letterale al “diritto di accesso”. Non si può, poi, ritenere decisivo nemmeno il termine decadenziale dato che bisogna tenere distinto il profilo processuale da quello sostanziale. Non bisogna neanche considerare l'apprezzamento della pubblica amministrazione come discrezionale, ma come una valutazione di corrispondenza tra i 19 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 27-30.

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requisiti presenti nella richiesta e quelli previsti dalla legge. Avalla, inoltre, la tesi del diritto soggettivo il fatto che il giudice, se accoglie il ricorso, oltre ad annullare il diniego, ordina all'amministrazione di esibire i documenti. Il Consiglio di Stato ha sostenuto la natura di diritto soggettivo sulla base dell'attuale articolo 25, che riconduce espressamente il giudizio di accesso alla giurisdizione esclusiva, e sulla base dell'articolo 117 della Costituzione, che considera il diritto di accesso tra i “diritti civili e sociali”. Inoltre, il supremo consesso ha aggiunto che la posizione soggettiva è tutelata individualmente e non ai fini di un interesse pubblico. Le ultime decisioni dell'Adunanza Plenaria risalgono al 2006: stavolta, però, non è stata definita la natura del diritto di accesso, ma il Consiglio di Stato ha sottolineato le finalità processuali dell'istituto.20

10. Il segreto e la riservatezza.

Il diritto di accesso prevede dei limiti che sono dettati da esigenze di segretezza o riservatezza. Il primo vuole tutelare l'amministrazione. La riservatezza, invece, è un concetto più ampio e vuole evitare pregiudizi al privato. La parola “segreto” deriva da secernere che significa separare; il fine è, quindi, separare qualcosa di valore e occultarlo dalla conoscenza altrui perché tali valori prevalgono sulla libertà di informazione. Questa è la ratio su cui si fonda il segreto di stato attraverso cui si intende garantire la sicurezza nazionale. Ci sono, poi, documenti o dati pubblici tenuti segreti per volontà della pubblica amministrazione, non in modo discrezionale, ma a seconda della tipologia degli atti. Per evitare di creare vantaggi, si vieta l'accesso ai processi di attuazione della politica monetaria e valutaria. Esistono, inoltre, il segreto d'ufficio, il segreto industriale e commerciale. Per garantire l'efficienza dell'attività amministrativa,

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non è consentito l'accesso agli atti preparatori normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione. La valutazione del concetto di segreto, seppur applicata a categorie predefinite di atti, rimane comunque discrezionale.

Dunque, una notizia rimane segreta quando è conosciuta esclusivamente dal suo protagonista o da una cerchia esattamente individuata o individuabile. Invece, la notizia riservata è conosciuta da una cerchia di persone non necessariamente determinabili. La riservatezza non vuole tutelare un valore pubblico, ma la dignità umana: infatti, ha per oggetto vicende della propria vita ed è considerabile un diritto inviolabile in relazione all'articolo 2 della Costituzione, interpretato come “clausola aperta”. Oltre al riserbo, la privacy consente anche l'accesso, il controllo, la rettifica e la cancellazione dei dati personali, inseriti in una banca dati. I dati personali (qualunque informazione sulla persona), in quanto riservati, semplicemente non devono essere diffusi o pubblicizzati: infatti, il loro trattamento necessita del solo consenso dell'interessato. Invece, i dati sensibili (i dati sull'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose e filosofiche, le opinioni politiche, le adesioni a partiti e sindacati, i dati che rivelino lo stato di salute e la vita sessuale) sono segreti e, quindi, bisogna impedire che ne venga a conoscenza chi non è partecipe: per il loro trattamento, dunque, oltre al consenso dell'interessato, è necessaria anche la previa autorizzazione del Garante.21

La distinzione tra segreto e riservatezza si può descrivere con le parole di Barile: “l'apparato della democrazia ha per regola la trasparenza ed il segreto costituisce un'eccezione, mentre i diritti costituzionali garantiti al soggetto privato in democrazia – la libertà nella comunità – hanno per regola la privacy e per eccezione la

21 Cfr. V. Italia, M. Della Torre, G. Perulli e A. Zucchetti, Privacy e accesso ai documenti amministrativi, Giuffrè editore, 1999, p. 156-165; 180,181.

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pubblicità”.22

L'amministrazione, quindi, possiede anche molteplici informazioni connesse ai diritti della personalità dei cittadini: questi pretendono che tali dati non vengano divulgati all'esterno e che rimangano, perciò, riservati. Bisogna, dunque, contemperare il diritto di accesso, teso a soddisfare l'interesse pubblico, con la tutela dei dati personali. Prima della legge che si occupasse di questi ultimi, cioè prima della legge n. 675 del 1996, l'articolo 24, seconda comma, lettera d) della legge n. 241, aveva ritenuto predominante il diritto alla riservatezza e così definiva il limite del diritto di accesso: “ la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”. Erano nati, quindi, vari orientamenti giurisprudenziali. Secondo alcuni, non bisognava consentire l'accesso di fronte agli interessi protetti dall'articolo 8 del regolamento attuativo della legge n. 241. Secondo altri, bisognava, invece, compiere un bilanciamento nel caso concreto: la riservatezza prevaleva quando il diritto di accesso si configurava come un interesse legittimo. Vi era, poi, chi sosteneva l'accesso limitato alla visione degli atti e senza la possibilità di estrazione di copia, quando ciò si riteneva necessario per difendere determinati interessi del richiedente. Ma secondo altri ancora, anche se doveva prevalere la riservatezza, la visione si accompagnava all'estrazione di copia se il richiedente doveva difendere i propri interessi.23

22 Barile, Democrazia e segreto, in Quad. cost., 1987, p. 29 citato da V. Italia, M. Della Torre, G. Perulli e A. Zucchetti, Privacy e accesso ai documenti

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11. La prima legge sulla privacy.

La prima legge sulla privacy, ossia la n. 675 del 1996, contiene una nozione di riservatezza, basata sulla graduazione di tutela a partire dai dai dati personali comuni fino a quelli sensibili intangibili. Secondo la legge sul procedimento amministrativo, i primi potevano essere comunicati e diffusi soltanto nei casi previsti dalla legge e i secondi erano in attesa di una normativa che li regolasse. Con la legge n. 675, tali dati vengono comunicati solo se espressamente consentito. Sempre nella legge del 1996, troviamo la differenza tra “comunicare” e “diffondere”: il primo verbo significa rendere noti i dati ad un destinatario determinato, invece il secondo fa riferimento ad un numero indeterminato di persone.

Il decreto legislativo n. 135 del 1999 contiene, poi, delle regole sul trattamento dei dati sensibili. Si stabilisce che, in assenza di legge, il Garante della privacy valuti quando prevalga l'interesse pubblico tale da consentire operazioni riguardanti i dati sensibili. Si afferma anche che l'amministrazione deve trattare tali dati solo in mancanza di altre soluzioni e nel modo meno invasivo possibile. Se la richiesta riguarda lo stato di salute o la vita sessuale, si concede il trattamento di tali dati solo se il diritto da difendere “è di rango almeno pari a quello dell'interessato” : è, quindi, necessario un confronto nel caso concreto.24

12. Il Codice della privacy.

Nel 2003, viene introdotto il Codice della privacy con il decreto legislativo n. 196. Questo stabilisce che un soggetto pubblico può comunicare i dati comuni a privati o ad enti pubblici economici solo se previsto da legge o da regolamento. Il Codice si occupa anche dei 24 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 39-42.

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dati sensibili, cioè quelli che riguardano l'origine razziale o etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico, sindacale. Vengono disciplinati anche i dati sensibilissimi, ossia quelli che rivelino lo stato di salute e la vita sessuale. Vista la delicatezza delle informazioni, l'accesso viene consentito solo se ci sia stretta indispensabilità e se la situazione da tutelare sia almeno di pari rango rispetto al diritto alla privacy oppure se sia un diritto di personalità o fondamentale e inviolabile. Non ci sono, poi, stati particolari problemi di coordinamento con l'articolo 24 che, di fronte alla riservatezza di terzi, vietava l'accesso, ma lo consentiva limitatamente alla visione quando questa fosse stata necessaria per la tutela di un diritto del richiedente. Oggi non è più previsto il limite della sola visione e, quindi, si può anche estrarre copia secondo l'articolo 25.25

13. Le ultime modifiche sulla privacy.

Il D.P.R. n. 184 del 2006 ha, infine, dettato un ulteriore garanzia: secondo l'articolo 3, l'amministrazione deve comunicare la richiesta ai controinteressati attraverso una copia della stessa a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento o per via telematica. I controinteressati sono coloro che avrebbero un pregiudizio al loro diritto alla riservatezza e possono, perciò, presentare opposizione alla richiesta di accesso entro dieci giorni dalla comunicazione, indicando i legittimi motivi. Se manca la comunicazione, l'eventuale accoglimento dell'accesso è illegittimo visto che la comunicazione è un atto del procedimento e, per il controinteressato, può anche

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nascere un diritto al risarcimento del danno.26 L'opposizione anticipa il contraddittorio perché la sola tutela giurisdizionale sarebbe poco satisfattiva: infatti, una volta reso accessibile il documento, si avrebbe ormai la lesione della riservatezza. Tale tutela anticipata rischia, però, di compromettere il richiedente perché i controinteressati vengono a conoscenza delle ragioni della sua istanza con anticipo e possono, così, preparare la loro opposizione su tali ragioni. In realtà, il richiedente può chiedere di accedere all'atto di opposizione e depositare le sue memorie. I tempi sono, però, molto ristretti. Questa procedura non si attiva se i dati del controinteressato sono personali comuni (non sensibili). Per dato personale si intende qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. In questo caso l'amministrazione può svolgere una valutazione autonoma sull'accesso.27

Sempre in riferimento al controinteressato, la legge n. 15 del 2005 ha modificato l'articolo 22, comma 1, lett. c) che, come controinteressati, indica “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili, in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vederebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”. Quindi, il controinteressato si individua secondo la natura in astratto del documento e non secondo il suo contenuto. Infine, il titolare dei dati riservati deve ricevere anche la notifica del ricorso contro il diniego di accesso.28

26 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 45. 27 F. Merloni ed E. Carloni, op. cit. , p. 296-298. 28 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 45 e 46.

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14. Il contemperamento tra accesso e dati personali.

La privacy viene ad assumere una funzione di limite “relativo” rispetto al diritto di accesso visto che comporta regole diverse del trattamento dei dati personali a seconda del tipo di dato preso in considerazione.

Di fronte ai dati personali comuni, prevale l'accesso nel caso in cui questo sia richiesto per curare o difendere i propri interessi giuridici. L'amministrazione non compara gli interessi (di accesso e personale), ma è vincolata all'accoglimento o al rigetto della domanda.

Invece, nel caso di dati personali sensibili e giudiziari, l'accesso prevale solo se “strettamente indispensabile” e l'amministrazione ha un'ampia discrezionalità nel valutare le motivazioni del richiedente. Riguardo ai dati sensibilissimi (stato di salute e vita sessuale), l'accesso prevale solo se “strettamente indispensabile” e se ha il fine di tutelare diritti “di rango almeno pari”rispetto a quelli riservati. Infine, i dati psico-attitudinali nei procedimenti selettivi sono inaccessibili.

Attraverso questa disciplina, graduata sul trattamento dei dati personali, si concretizza l'articolo 2 del Codice della privacy e cioè il “rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”. Infine, la valutazione dei criteri “di pari rango” e “stretta indispensabilità”, svolta dalla pubblica amministrazione, appare molto delicata e avvicina la stessa al ruolo del giudice. Ma tale ruolo para-giurisdizionale risulta improprio per un'amministrazione visto che quest'ultima manca della garanzia della terzietà.29

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15. La tutela giustiziale: la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi (Cada).

In caso di illegittimo diniego o differimento dell'accesso, il richiedente può rivolgersi al giudice amministrativo o, preliminarmente, alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. Quest'ultima ha il fine deflazionare il contenzioso giurisdizionale e presenta anche tempi più rapidi, ma i cittadini sembrano preferire il giudice viste le maggiori garanzie che offre. In realtà, la Commissione presenta alcuni vantaggi: assenza di spese e possibilità di promuovere il ricorso e avere la decisione a mezzo fax o per via telematica. 30

E' stata istituita nel 1991 ed è disciplinata dall'articolo 27 della legge n. 241 del 1990, così come modificata dalla legge n. 15 del 2005. Riguardo alla composizione, i suoi membri sono stati ridotti da sedici a dodici: la riduzione ha riguardato i dirigenti dello Stato e i professori universitari. Un altro componente della Commissione è, poi, costituito dal Presidente, individuato nel sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Questo è un elemento di dipendenza dall'esecutivo. A ciò bisogna aggiungere che la nomina dei componenti avviene con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri e non più con decreto del Presidente della Repubblica. Con la riforma del 2005, inoltre, si può ricorrere fino a cinque esperti.31 Riguardo, invece, alle competenze, oltre ad occuparsi dei ricorsi, funzione introdotta con la legge n. 15, svolge compiti generali di vigilanza sul rispetto del principio di trasparenza da parte delle pubbliche amministrazioni. Per questo redige una relazione annuale sullo stato della trasparenza dell'attività amministrativa e la presenta al Governo ed al Parlamento. Il Consiglio di Stato ha chiarito che tale funzione di vigilanza ha lo scopo di garantire i livelli essenziali delle

30 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 57-59. 31 F. Merloni ed E. Carloni, op. cit. , p. 483-485.

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prestazioni in materia di diritto di accesso. La Commissione ha anche un potere strumentale ispettivo con cui ordina a tutte le pubbliche amministrazioni di comunicare informazioni e dati richiesti, tranne quelli coperti dal segreto di Stato. Infine, la Commissione può proporre al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari utili ad avere una maggiore garanzia del diritto di accesso. E' prevista, poi, una funzione consultiva. Il Garante per la protezione dei dati personali deve acquisire un parere obbligatorio, ma non vincolante dalla Commissione nei procedimenti relativi al trattamento dei dati personali. La Commissione ha quindici giorni di tempo, decorsi i quali, il Garante può procedere ed adottare la propria decisione. La funzione consultiva può essere esercitata anche nei confronti degli enti pubblici che lo richiedano. Per ragioni di coordinamento, poi, la Commissione può esprimere pareri sugli atti adottati dalle singole amministrazioni e, se richiesto, sugli atti riguardanti l'esercizio e l'organizzazione del diritto di accesso. Anche il Governo, infine, può chiederle un parere prima di adottare un regolamento che specifichi i casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi.

Riguardo alla innovativa funzione giustiziale, il D.P.R. n. 184 del 2006 ha stabilito che alla Commissione si possono proporre i ricorsi contro il diniego o il differimento dell'accesso provenienti soltanto dalle amministrazioni statali, centrali o periferiche. Tale ricorso deve essere presentato entro trenta giorni dalla conoscenza del provvedimento di diniego o di differimento o dalla formazione del silenzio rigetto, mediante invio di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento oppure via fax o per via telematica Tra le novità introdotte, è stato consentito ai controinteressati di ricorrere contro le determinazioni ammissive dell'accesso. Nei confronti degli stessi è previsto, poi, l'obbligo di notifica dell'atto introduttivo se l'amministrazione abbia comunicato l'avvio del procedimento di

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accesso. I controinteressati potranno depositare le loro controdeduzioni entro quindici giorni. Tali garanzie sono ispirate alla disciplina dei ricorsi amministrativi e al principio del contraddittorio. Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: le generalità del ricorrente; la sommaria esposizione dell'interesse al ricorso, interesse che deve essere concreto, attuale e diretto; la sommaria esposizione dei fatti funzionali all'istruttoria, ossia cosa si è verificato dopo la presentazione della richiesta di accesso; l'indirizzo a cui dovranno essere inviate le decisioni della Commissione. Devono, poi, essere allegati il provvedimento impugnato (salvo il caso di silenzio rigetto) e le ricevute dell'avvenuta spedizione, con raccomandata con avviso di ricevimento, di copia del ricorso ai controinteressati. Le sedute, non pubbliche, sono valide se sono presenti almeno sette componenti e la decisione deve avvenire a maggioranza dei presenti. La Commissione si deve pronunciare entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso o dal decorso del termine per le controdeduzioni. Se non si pronuncia, il ricorso si considera respinto. Se, poi, il ricorso riguarda dati personali di terzi, la Commissione deve sentire il Garante e, quindi, il termine per la decisione è prorogato di venti giorni. La decisione finale può essere di irricevibilità, in caso di ritardo, oppure di inammissibilità se mancano i requisiti del ricorso, la legittimazione o l'interesse. In questi casi si può riproporre la richiesta d'accesso o il ricorso alla Commissione. La decisione viene comunicata alle parti e a chi ha impugnato entro trenta giorni. Nei successivi trenta giorni, l'amministrazione può emanare il provvedimento confermativo motivato e impedire al cittadino la visione dei documenti.32 La Commissione, quindi, non ha il potere di annullare il provvedimento illegittimo né di ordinare l'esibizione del documento, ma ha una funzione di “stimolo” nei confronti dell'amministrazione affinché riapra il procedimento e motivi il diniego. Se la stessa non provvede a tale obbligo, l'accesso è 32 C. Giurdanella e C. Puzzo, op. cit. , p. 59-66.

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consentito.33

Un'altra alternativa al ricorso giurisdizionale, è costituita dal difensore civico, una figura di origine scandinava (ombudsman), istituita dagli statuti comunali, provinciali e regionali. Il ricorrente può rivolgersi a questo entro trenta giorni dal diniego di accesso e chiederne il riesame. Nel caso in cui il difensore civico non sia stato istituito, ci si può rivolgere a quello dell'ente territoriale superiore. La legge n. 15 del 2005 ha sottratto al difensore il riesame del diniego proveniente dagli organi periferici dello Stato visto che di questo se ne occupa la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. Se il difensore ritiene il diniego illegittimo, lo comunica alla pubblica amministrazione che entro i successivi trenta giorni può confermare il diniego con una motivazione, concedere l'accesso oppure rimanere in silenzio per trenta giorni, decorsi i quali l'accesso si reputa consentito.34

16. La gestione dei documenti amministrativi.

Il documento amministrativo, oltre alla normativa sull'accesso, presenta una disciplina che riguarda altri profili come la forma, le modalità di redazione, di gestione, di trasmissione e di archiviazione. E' una disciplina che incentiva l'uso delle tecnologie per favorire la semplificazione e la partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo. L'effettiva fruibilità di un documento, infatti, non dipende solo dalla sua accessibilità, ma anche dalla sua comprensione che deve essere agevolata dai metodi di gestione e trasmissione. La formazione dei documenti da parte delle amministrazioni o la presentazione degli stessi dai privati è legata al principio della documentalità secondo cui ogni atto o fatto assume

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