La trasparenza nella riforma Brunetta
5. Meritocrazia e premialità.
Per realizzare la riforma Brunetta, secondo l'articolo 17, oltre ad incrementare i controlli, è necessario offrire ai dipendenti uno stimolo di miglioramento attraverso un sistema premiale. Bisogna, perciò, valorizzare il merito ed incentivare la produttività e la qualità della prestazione. La valorizzazione del merito si attua attraverso l'assegnazione di premi ai dipendenti più meritevoli, cioè a coloro
che offrono prestazioni quantitativamente e qualitativamente migliori. Tali premi non vengono attribuiti a tutti, ma in modo proporzionale al merito. L'incentivazione della produttività, invece, è legata ai risultati complessivi della struttura: questi si confrontano con i programmi prestabiliti. Infine, l'incentivazione della qualità della prestazione riguarda il confronto con gli standard e le regole , comprese quelle internazionali. I principi da seguire si identificano con la selettività, secondo cui l'accesso ai premi avviene sulla base di una graduatoria, e la concorsualità nelle progressioni di carriera, secondo cui si ricorre ai concorsi per il passaggio da una categoria ad una superiore.
L'articolo 18, entrando nel dettaglio, fa riferimento alla promozione sia della performance organizzativa sia della performance individuale. La prima riguarda il salario accessorio che il dipendente riceverà a seconda del risultato complessivo della struttura in cui opera, invece, la seconda è legata all'apporto che il singolo ha dato all'ufficio. E', poi, vietata l'assegnazione dei premi se l'ente non ha provveduto a verificare i risultati, cioè, ad esempio se non sono stati costituiti gli organismi di controllo o gli indicatori per misurare gli obiettivi.
L'articolo 19, infine, risulta molto più operativo: il 50% del trattamento accessorio deve essere destinato alla performance individuale del 25% dei dipendenti, l'altro 50% al 50% dei dipendenti e il restante 25% dei dipendenti non avrà nessun trattamento accessorio. Questa eccessiva enfatizzazione della performance individuale risulta, in realtà uno dei principali limiti della riforma perché alimenta la competitività tra i dipendenti con il fine di dare la caccia ai fannulloni. La produttività, invece, si basa sull'organizzazione di tutta la struttura e non sul singolo dipendente. Inoltre, non concedere nessun trattamento accessorio al 25 % dei dipendenti non si rivela certo un incentivo.
Analizzando la specifica disciplina, all'articolo 20 e seguenti sono elencati i vari strumenti che premiano il merito. Il bonus annuale delle eccellenze è stato introdotto, appunto, dal decreto legislativo n.150 del 2009: si può associare ai giochi a premio televisivi perché si presenta come una vittoria non prevista e conferma l'attenzione che il legislatore pone sull'apporto dell'individuo rispetto a quello dell'organizzazione. Gli aventi diritto al bonus non possono essere più del 5 per cento del personale collocato nella fascia di merito più alta. Vengono selezionati attraverso una graduatoria, ma non possono accedere al premio per l'innovazione o ai percorsi di alta formazione se non rinunciando al bonus stesso.
Anche il premio annuale per l'innovazione incentiva la performance individuale. Deve avere lo stesso ammontare del bonus delle eccellenze e viene concesso a seguito della realizzazione di progetti concreti che aumentino la produttività. Tale progetto non deve essere teorico, ma deve provocare un incremento generale della produttività e deve avere delle ripercussioni anche sul sistema organizzativo. Il premio, ricevuto, non dalla struttura, ma dai singoli, viene assegnato dall'Organismo di valutazione. Solo uno tra i progetti viene premiato e può essere, poi, candidabile al Premio nazionale per l'innovazione nelle pubbliche amministrazioni, assegnato dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.
All'articolo 23 sono disciplinate, invece, le progressioni economiche. Prima della riforma Brunetta, si è abusato di questo strumento: si è trasformato in una procedura automatica di incremento periodico stipendiale, basata sull'anzianità di servizio ed estesa a tutti i dipendenti. Non si sono più considerati, quindi, i criteri meritocratici. Con la riforma, si fa nuovamente riferimento alla selettività, secondo cui la percentuale non dovrebbe superare il 30% dei dipendenti. Si prendono, perciò, in considerazione: le qualità culturali, cioè il curriculum; le qualità professionali, ossia la produttività; i risultati
conseguiti. Inoltre, il dipendente, per accedere alle progressioni economiche, dovrà essere collocato nella fascia più alta di produttività per tre anni, anche non consecutivi in un quinquennio: tale valutazione positiva non necessariamente comporta la progressione, ma sicuramente è un titolo preferenziale.
Le progressioni di carriera, poi, consistono nell'ascesa alla categoria o inquadramento superiore e avvengono per concorso pubblico aperto a chiunque; quindi, non ci sono più procedure riservate ai dipendenti. Non pare corretto, però, considerare la progressione di carriera come uno strumento premiale visto che, in realtà, valorizza la competenza professionale e, contemporaneamente, risponde alle esigenze delle amministrazioni.
E' allo stesso modo discutibile definire premio l'attribuzione di incarichi e responsabilità anche se sicuramente il trattamento economico sarà adeguato alla complessità del compito svolto. La base dell'assegnazione riguarda, però, la professionalità e parlare di premi rischia di ledere i principi di corretta gestione.
Ancora, il concetto di premio dà un'accezione utilitaristica in relazione all'accesso ai percorsi di alta formazione e di crescita professionale: si aumenta la competitività tra i dipendenti e ci si dimentica del progetto di apprendimento dato che il percorso viene visto come una meta da raggiungere. Invece, la formazione ha il fine di preparare e aggiornare i dipendenti e di aumentare le qualità delle attività svolte dalle varie strutture.
Infine, all'articolo 27 viene disciplinato il premio di efficienza che è costituito da una quota non superiore al 30% dei risparmi derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione. Non è un premio nuovo, ma se ne sono occupate varie leggi senza mai riuscire a concretizzarlo visto che è sempre mancato uno strumento di misurazione che rilevasse i risparmi. Oggi, il sistema di finanziamento risulta molto articolato: innanzitutto, con i sistemi di
valutazione e contabilità, bisogna rilevare i costi; poi, si devono indicare i risparmi; successivamente, si stabilisce la quota destinata al premio. Anche in questo, il premio si configura come individuale ed è destinato a chi effettivamente ha contribuito alla riorganizzazione, ristrutturazione e innovazione dell'ente e ha ottenuto, così, i risparmi.62
6. La dirigenza.
Se, invece, passiamo ad analizzare la figura del dirigente, notiamo come il meccanismo dell'incentivazione ceda il posto a quello della repressione: infatti, sono stati rafforzati notevolmente i poteri “punitivi” del dirigente. A partire dall'articolo 37, la riforma Brunetta apporta varie modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001, cioè alla disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: la riforma intende “ri-pubblicizzare” tale rapporto di lavoro. Si vuole raggiungere una migliore organizzazione del lavoro, ricondotta alla responsabilità del dirigente, e si vuole anche incrementare la qualità delle prestazioni. Il legislatore promuove, poi, l'uso dei criteri di gestione e valutazione del settore privato perché ritiene quest'ultimo più efficiente ed organizzato del settore pubblico, ma in realtà anche nel privato non mancano fallimenti e bisogna rendersi conto che i due settori non sono pienamente comparabili. In particolare, viene rivisto il ruolo del dirigente, inteso come datore di lavoro: a questo viene affidata la disciplina della micro organizzazione, cioè orari di servizio, attribuzione delle mansioni, specificazione delle modalità per la produzione delle attività e dei servizi, assegnazioni di incarichi ed obiettivi, valutazione e attribuzione di incentivi. Quindi, il dirigente riceve maggiori poteri e responsabilità che ne accentuano l'autonomia. Vengono riformati
anche i criteri per conferire e revocare gli incarichi dirigenziali con il fine di conformarli ai principi di trasparenza e pubblicità attraverso i concorsi pubblici. Si cercano, poi, di contenere le assunzioni di dirigenti esterni alla pubblica amministrazione visto che non rispettano la meritocrazia e la selettività. E' prevista, inoltre, la competenza esclusiva in alcuni ambiti della gestione del personale: l'individuazione dei profili professionali, la valutazione del personale a cui riconoscere la produttività raggiunta e l'utilizzo della mobilità volontaria. I premi sono molto selettivi visto che solo una parte dei dirigenti può ottenerne la misura massima. Ma gli incentivi restano bloccati se le amministrazioni non si adeguano alla riforma.
Riguardo ai dirigenti generali, vengono modificate le loro funzioni. Un'altra novità consiste nella definizione di misure per prevenire la corruzione e per controllare il rispetto, da parte dei dipendenti, degli uffici: queste cercano di attuare il principio di trasparenza, ma il dirigente non ha poteri di indagine e difficilmente riuscirà a dare concretezza a tali misure. Bisognerebbe trasformare la figura dirigenziale, da organo di gestione ed organizzazione, ad organo di controllo repressivo, ma il rischio è quello di creare un inquisitore. Il dirigente, comunque, ha una responsabilità personale sui singoli dipendenti e, per questo, può sanzionarli. Vengono riviste anche le funzioni dei dirigenti di seconda fascia: questi devono collaborare con la dirigenza generale nella proposizione dei profili professionali e della programmazione triennale, quindi anche nel controllo della corruzione. Si assegna, poi, alla dirigenza il compito di valutare il personale appartenente ai propri uffici. La riforma, quindi, attribuisce con chiarezza al dirigente tutti i poteri del datore di lavoro di diritto privato, cioè i poteri di conformazione della prestazione lavorativa dei dipendenti: sono poteri di gestione del rapporto di lavoro e si concretizzano nell'esigibilità della prestazione, nelle direttive sulla modalità di rendere l'attività, nella determinazione dei calendari e
degli orari di lavoro, nella vigilanza, anche attraverso sanzioni disciplinari, e nella misurazione della qualità della prestazione. Gli atti di conformazione non sono provvedimenti amministrativi, ma sono atti di diritto privato che seguono le regole del Codice civile. Quindi, l'autonomia e la responsabilità del dirigente trovano espressione nei poteri del datore di lavoro. Tra i poteri di quest'ultimo rientra anche la valutazione delle prestazioni dei dipendenti: visto che il dirigente fissa lo schema delle prestazioni ed elabora i programmi di lavoro, risulta adeguato che lo stesso verifichi come sono state svolte le mansioni e se sono stati raggiunti gli obiettivi, attraverso strumenti come l'osservazione diretta o indiretta del lavoro svolto, attraverso la verifica degli stati di avanzamento nel corso di gestione e attraverso la relazione. La valutazione sta alla base degli eventuali incentivi alla produttività e, quindi, dei salari accessori. Tali premi devono essere conferiti secondo criteri meritocratici e sulla base di giudizi differenziati.
Un'altra modifica riguarda il sistema di conferimento e revoca degli incarichi: per prassi, si adotta lo spoil system, secondo cui gli organi di governo selezionano i dirigenti sulla base di un rapporto ”fiduciario”. Tale rapporto, come sottolineato dalla Corte costituzionale, contrasta con i principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrazione, previsti dall'articolo 97 della Costituzione: i dirigenti rischiano di perdere la loro autonomia visto che vengono selezionati secondo le logiche di partito e non secondo le loro capacità. Il decreto legislativo n. 150 del 2009 non revisiona la disciplina dello spoil system, ma si sforza di attenuarne i difetti. Si prevede che vengano ridefiniti i criteri di conferimento e revoca degli incarichi sulla base dei principi di trasparenza e pubblicità: a tal proposito, è necessario introdurre un procedimento e indicare la motivazione della scelta, basata sul confronto dei curriculum e delle esperienze professionali. Riguardo al conferimento degli incarichi, la
riforma introduce vari criteri. Innanzitutto, la professionalità del singolo deve essere adeguata alle attività da svolgere e, quindi, agli obiettivi prefissati. Poi, si fa riferimento alla complessità della struttura, cioè alle risorse e al personale da gestire. Si prendono in considerazione, oltre alle capacità del singolo, anche i risultati conseguiti in precedenza e le relative valutazioni. Infine, si tiene conto delle competenze organizzative, cioè se il dirigente abbia svolto funzione di guida di gruppi, e delle esperienze all'estero. Viene, quindi, abbandonato il rapporto di fiducia e, per rendere la scelta dei dirigenti trasparente e pubblica, si fissa un procedimento, cioè un iter da rispettare. L'amministrazione deve rendere conoscibili, anche attraverso la pubblicazione di avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti disponibili ed i criteri di scelta. Tale impostazione, anche se non si configura come una procedura concorsuale, rispetta comunque l'evidenza pubblica. Altrettanto trasparente deve essere il mancato rinnovo degli incarichi che, a differenza della revoca, presuppone una scadenza, a seguito della quale è necessaria una valutazione negativa, altrimenti il dirigente ha una legittima aspettativa al rinnovo. L'amministrazione che non intende confermare l'incarico deve dare al dirigente una comunicazione idonea e motivata con un preavviso. Tale motivazione può consistere nel mancato raggiungimento degli obiettivi oppure nell'inosservanza delle direttive, imputabile al dirigente. Nel primo caso, deve essere avvenuta una misurazione attraverso un sistema di valutazione e, dopo l'accertamento, si deve dare al dirigente la possibilità di controdedurre le proprie ragioni. Invece, nel caso di violazione delle direttive, l'accertamento della stessa lascia un certo margine di discrezionalità all'organo di governo. Anche la revoca avviene negli stessi casi e secondo il giusto procedimento, quindi, secondo il contraddittorio, ma prevede sanzioni commisurate alla gravità del mancato conseguimento del risultato oppure delle
conseguenze derivanti dalla violazione delle direttive. La riforma Brunetta ha introdotto, poi, una nuova fattispecie di responsabilità dirigenziale consistente nella culpa in vigilando sulla produttività dei dipendenti: il dirigente, visto che ha il ruolo di datore di lavoro, deve anche controllare come ogni dipendente svolga la propria prestazione e rilevare se raggiunga gli standard di produttività. Sulla base di tali controlli, determina i premi , ma anche le sanzioni nei confronti dei “fannulloni”, il cui operato si ripercuote su tutta l'amministrazione con conseguenze dannose quali ritardi ed inefficienze. Nel caso in cui il dirigente non riesca a rilevare tali inefficienze a causa della sua insufficiente vigilanza, ne risponde con la decurtazione della retribuzione di risultato. Anche per questa fattispecie è previsto il contraddittorio nel rispetto del giusto procedimento.
In linea con il fine della riforma Brunetta, che vuole creare una connessione stretta tra trattamento economico e risultati conseguiti, si prevede, inoltre, che la retribuzione di risultato costituisca almeno il 30% di quella complessiva. Alla remunerazione dei dirigenti si aggiunge, perciò, una terza componente: secondo il decreto legislativo n. 165 del 2001, il trattamento economico accessorio era determinato dalle funzioni svolte e dalla responsabilità, ora, invece, incide anche il modo in cui viene eseguito l'incarico.
Dal decreto n. 150, quindi, risulta fortemente enfatizzata la figura del dirigente che sorveglia, minaccia e punisce, ma si trascurano le sue qualità di manager e di leader.63
7. La responsabilità dei dipendenti pubblici e le sanzioni