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Le cause di incompatibilità e di inconferibilità.

La trasparenza come mezzo di anticorruzione

6. Le cause di incompatibilità e di inconferibilità.

All'interno dei suddetti PTPC devono essere inseriti anche gli adempimenti in materia di incompatibilità e di inconferibilità: il fenomeno della corruzione è strettamente correlato all'integrità del dipendente pubblico e la normativa che regola le incompatibilità e le inconferibilità vuole proprio evitare che la stessa integrità venga indebolita. Tale normativa trova fondamento anche all'interno della Costituzione: secondo l'articolo 54, le funzioni pubbliche devono essere adempiute con disciplina e onore. L'articolo 98, invece, enuncia il principio in base a cui i pubblici impiegati sono al servizio 72 F. Ferraro e S. Gambacurta, op. cit. , 79-91.

esclusivo della Nazione. Questo significa che il dipendente deve dedicare le proprie energie lavorative esclusivamente all'amministrazione presso cui svolge le proprie prestazioni. Si sono ispirati a questa lettura sia gli articoli 60-64 del Testo Unico degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3/1957), ormai rimasto in vigore per il pubblico impiego non contrattualizzato, sia l'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, invece, si occupa dei rapporti contrattualizzati: in entrambe le normative al dipendente pubblico sono vietate le attività industriali, commerciali, agricole e professionali, svolte in modo continuativo, intenso e professionale. L'articolo 53 comprende sia le cause di incompatibilità assolute sia quelle relative. Queste ultime riguardano attività non configgenti con i doveri d'ufficio, ma devono essere autorizzate dall'amministrazione di appartenenza secondo criteri definiti dal Dipartimento della funzione pubblica. La legge n. 190 del 2012 ha modificato l'articolo in questione. Riguardo alle incompatibilità assolute, per ogni amministrazione deve essere definito un catalogo analitico delle attività che sono vietate ai rispettivi dipendenti. In riferimento alle incompatibilità relative, invece, il nuovo articolo 53 prevede che, per il rilascio dell'autorizzazione, le amministrazioni verifichino l'assenza di conflitti di interessi anche potenziali. Tale verifica viene, poi, inserita nella relazione che annualmente le amministrazioni devono presentare entro il 30 giugno al Dipartimento della funzione pubblica. Quest'ultima trasmette, poi, alla Corte dei conti, entro il 31 dicembre di ogni anno, l'elenco delle amministrazioni che non hanno comunicato tali dati. Se, invece, l'incarico viene accettato senza autorizzazione, il soggetto erogatore e il pubblico dipendente devono versare il compenso nel conto di entrata dell'amministrazione di appartenenza. In più, la legge del 2012 ha aggiunto che l'omissione del versamento costituisce causa di responsabilità erariale. La legge anticorruzione rafforza anche gli obblighi di pubblicità: secondo il

nuova comma 11 dell'articolo 53, i soggetti che hanno attribuito incarichi devono comunicarlo all'amministrazione di appartenenza del dipendente entro 15 giorni. Sempre entro 15 giorni, le amministrazioni che conferiscono o autorizzano incarichi esterni devono comunicarlo al Dipartimento della funzione pubblica. Prima questo obbligo veniva adempiuto entro il 30 giugno di ogni anno, ora, invece, la comunicazione deve avvenire via via che gli incarichi vengono conferiti o autorizzati.

Il conflitto di interessi, poi, può riguardare, oltre al momento in cui il pubblico funzionario presta servizio nell'amministrazione, anche il momento in cui lo stesso cessa dal servizio. Finora questo tipo di incompatibilità operava soltanto per i membri del Governo. Per la prima volta, grazie alla legge n. 190, si preclude, allora, per un certo periodo, al dipendente di svolgere attività nel settore che lo ha visto coinvolto presso i soggetti privati, destinatari della pubblica amministrazione. Tale fenomeno viene denominato con il termine francese pantouflage: in Francia, infatti, questo problema è particolarmente diffuso. Con il divieto si vuole evitare che il dipendente, una volta assunto da un soggetto privato, usi le conoscenze e le esperienze, acquisite precedentemente nella struttura pubblica, per conseguire vantaggi nel settore privato. La legge n. 190, quindi, ha introdotto il nuovo comma 16-ter all'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001: il dipendente pubblico, che negli ultimi tre anni ha esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, nei tre anni successivi alla cessazione dell'incarico, non può svolgere attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati, destinatari dell'attività della pubblica amministrazione. La nozione di dipendente pubblico si riferisce anche ai titolari degli incarichi di vertice o dirigenziali, compresi i soggetti esterni. Inoltre, il conflitto di interessi potrebbe emergere come potenziale visto che la causa di incompatibilità si

configura anche nel caso in cui il dipendente non abbia adottato atti autoritativi o negoziali a favore del soggetto privato. Infine, a differenza dei membri del Governo, sono previste delle sanzioni nel caso in cui il divieto, previsto dal comma 16-ter, venga violato: i contratti stipulati tra dipendente e soggetto privato sono nulli, i soggetti privati non possono contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni e devono essere restituiti gli eventuali compensi percepiti.

La legge n. 190, poi, ai commi 49 e 50 dell'articolo 1 conferisce una delega al Governo attraverso cui intende rivisitare le situazioni in cui non è consentita l'assunzione di incarichi dirigenziali e di vertice amministrativo. Tale delega ha il fine di contrastare la corruzione attraverso gli istituti dell'inconferibilità e dell'incompatibilità. Quest'ultima consiste nell'impossibilità di conservare un incarico amministrativo perché risulta inconciliabile con lo svolgimento di determinate attività, ma è un'impossibilità temporanea e il soggetto interessato può esercitare il diritto di opzione. L'inconferibilità, invece, è molto simile all'incandidabilità: le situazioni non possono essere rimosse dall'interessato, ma comportano un'incapacità (che potrebbe essere anche temporanea) a ricoprire determinati incarichi amministrativi. Nello specifico, l'inconferibilità riguarda, oltre agli incarichi di vertice e dirigenziali, compresi i soggetti estranei alle pubbliche amministrazioni, anche gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti sottoposti a controllo pubblico. L'istituto opera nei confronti di coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i delitti contro la pubblica amministrazione: si vuole conservare, quindi, non solo la posizione di imparzialità del soggetto interessato, ma anche quella della pubblica amministrazione. L'inconferibilità si applica, poi, a coloro che per un periodo di tempo, non inferiore ad un anno, abbiano svolto incarichi in enti di diritto privato sottoposti al controllo

dell'amministrazione pubblica: anche in questo caso l'imparzialità dell'amministrazione rischia di essere minata dal rapporto tra quest'ultima e l'ente controllato. Infine, gli incarichi di dirigenza esterna non possono essere conferiti a coloro che abbiano ricoperto ruoli di indirizzo politico o cariche pubbliche elettive presso le stesse amministrazioni nel periodo, non inferiore ad un anno, precedente. Tale disciplina vuole ridurre il ricorso alla dirigenza esterna ai soli casi necessari e vuole evitare che le funzioni di amministrazione e gestione si basino sui rapporti fiduciari. Ha, inoltre, il fine di non compromettere la posizione di indipendenza del funzionario, che potrebbe essere influenzato dalle sue precedenti esperienze negli organi di indirizzo politico.

L'incompatibilità, invece, si presenta tra gli incarichi pubblici già conferiti e le attività presso gli enti di diritto privato sottoposti al finanziamento, regolazione o controllo dell'amministrazione che ha conferito l'incarico. In questo caso, vengono perseguiti gli scopi tipici dell'incompatibilità: garantire il pieno adempimento della prestazione lavorativa ed evitare che, a causa del conflitto di interessi, venga pregiudicata l'indipendenza del titolare di un incarico dirigenziale e, quindi, dell'amministrazione. Un altro caso di incompatibilità si verifica tra gli incarichi già conferiti e l'esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico. Anche in quest'ultima ipotesi, si vuole assicurare l'imparzialità che potrebbe essere minata dalla provenienza del soggetto interessato da un organo di indirizzo politico.

La delega esposta è stata attuata dal decreto legislativo n. 39 del 2013: questo è costituito da 23 articoli. L'articolo 22 specifica che tali norme sono di diretta attuazione dei principi costituzionali, previsti dagli articoli 54 e 97 della Costituzione e, quindi, prevalgono sulle norme di fonte statale, regionale e locale. Tale decreto prevede anche un sistema di vigilanza e di sanzioni. Infatti, nel caso in cui

vengano violate le norme dello stesso decreto, gli atti di conferimento degli incarichi sono nulli e coloro che li hanno adottati sono responsabili anche per il danno erariale patito dall'amministrazione. Pare, invece, che il soggetto, a cui è stato conferito l'incarico senza rispettare le cause di incompatibilità e di inconferibilità, operi come funzionario di fatto, cioè con legittimazione. Secondo l'articolo 20 del decreto legislativo, poi, affinché l'atto di conferimento dell'incarico sia efficace, il titolare deve presentare la dichiarazione riguardante l'assenza delle cause di inconferibilità, altrimenti si verifica ancora il fenomeno del c.d. funzionario di fatto. Inoltre, coloro che hanno conferito l'incarico in violazione delle norme del decreto sono colpiti dall'ulteriore sanzione consistente nel divieto di conferire incarichi di propria competenza per un periodo di tre mesi.

In seguito, gli atti di accertamento delle violazioni del decreto legislativo devono essere pubblicate sul sito istituzionale dell'amministrazione che conferisce l'incarico. I controlli iniziano dalle dichiarazioni, che devono presentare i destinatari dell'incarico, all'atto del conferimento, sull'assenza delle cause di inconferibilità e, annualmente, sull'insussistenza delle cause di incompatibilità. Anche tali dichiarazioni vengono pubblicate sui siti istituzionali. Gli eventuali casi di mendacio, poi, devono essere accertati dall'amministrazione che conferisce l'incarico e ne deriva l'inconferibilità per cinque anni. In particolare, pare che l'accertamento spetti al Responsabile per il Piano anticorruzione dell'amministrazione stessa. Quest'ultimo, infatti, svolge una funzione di vigilanza sul rispetto delle norme del decreto in questione e contesta le situazioni di incompatibilità o di inconferibilità all'interessato. Segnala, inoltre, le violazioni all'Autorità nazionale anticorruzione e alla Corte dei conti. Se, poi, il Responsabile decide di revocare l'incarico di vertice o dirigenziale, è

necessaria una motivazione e una comunicazione all'Autorità nazionale anticorruzione. Tale comunicazione è una condizione di efficacia della revoca e consente all'Autorità di valutare se esercitare il potere di richiedere il riesame della revoca. Questo potere rientra nella funzione di vigilanza, esercitata dall'Autorità.73