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In particolare: i Codici di comportamento.

La trasparenza come mezzo di anticorruzione

7. In particolare: i Codici di comportamento.

Un altro importante strumento per combattere l'inefficienza e la corruzione e, quindi, per perseguire l'integrità e la trasparenza è costituito dai Codici di comportamento. Questi contengono misure rivolte ai dipendenti pubblici ed ispirate alla buona amministrazione, intesa come nozione tale da “comprendere la stabilità dell'impiegato, la sua indipendenza da ogni flusso politico, le sue promozioni regolari per anzianità o per merito”74. Tali codici esistono anche a livello internazionale: ne sono un esempio quello dell'ONU del 1996 o quello elaborato dal Consiglio d'Europa nel 2000 nell'ambito del GRECO. Questi due codici sono collegati all'attuazione di programmi anticorruzione. A livello nazionale, invece, gli Stati che hanno adottato un codice presentano caratteristiche peculiari a seconda della loro realtà. Nel nostro ordinamento già alla fine dell'Ottocento si avvertivano le disfunzioni, generate dal pubblico impiego, ma si riteneva che non si potessero dettare regole alle coscienze. “Con l'avvento dello Stato pluriclasse, i poteri hanno allargato le porte degli uffici e delle cariche pubbliche a tutte le persone, indipendentemente dal loro ceto, dalla loro formazione, dal

73 F. Ferraro e S. Gambacurta, op. cit. , p. 236, 243-245, 251-256, 259-264, 277- 281.

74 M. Minghetti, I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e

nell'amministrazione, p. 168, citato da B.G. Mattarella e M. Pelissero, La legge anticorruzione, Giappichelli editore, 2013, p. 212.

grado di istruzione”75 e, a metà del Novecento, “si è preferito tradurre in norme ciò che invece dovrebbe essere dettato principalmente dalla coscienza, dalla formazione e dalla cultura di ciascuno”76. Si è sentita, dunque, l'esigenza di elaborare una normativa in cui fossero specificati i doveri del personale pubblico.77

Bisogna tener conto, però, che i doveri dei pubblici dipendenti presentano alcune peculiarità: i dipendenti, infatti, come i politici, devono soddisfare gli interessi dei cittadini e, per questo, secondo l'articolo 54 della Costituzione, devono svolgere le loro funzioni con disciplina e onore, ma, come i dipendenti privati, forniscono una prestazione lavorativa in cambio di una retribuzione secondo un rapporto lavorativo. A differenza dei privati, però, non hanno un interesse economico, ma gli obblighi di cortesia nei confronti degli utenti e di risposta rapida ai reclami derivano dai principi della Costituzione. Nel complesso, comunque, riuscire a trasmettere i valori etici appare un obiettivo molto ambizioso e incerto nei risultati. La formazione dei dipendenti, dunque, deve essere costante e periodica: non deve avvenire solo prima della loro assunzione, ma anche successivamente, attraverso appositi corsi.

Il primo codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni fu emanato nel 1994. Prima, i doveri dei pubblici dipendenti erano indeterminati, astratti e frammentari: le uniche norme sulla condotta erano contenute nel testo unico sullo statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957, secondo cui prevaleva l'interesse pubblico su quello privato ed erano previsti doveri generici di fedeltà, diligenza, efficienza, collaborazione con i cittadini, parità di trattamento, rispetto dell'orario di lavoro e del segreto d'ufficio. Le norme dettagliate, poi, sarebbero state superflue visto che le regole di

75 S. Cassese, L'etica pubblica, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, 10, p. 1097.

76 S. Cassese, op. cit. , p. 1097.

comportamento erano radicate a livello culturale. Inoltre, il rispetto dei doveri veniva garantito dall'autorità amministrativa che esercitava discrezionalmente il potere disciplinare. Con il tempo, però, la burocrazia amministrativa ha perso la sua omogeneità fino ad arrivare alla situazione descritta da Severo Giannini nel 1983: “l'osservanza delle deontologie professionali è rimessa allo stato di compattezza delle pubbliche amministrazioni, compattezza che è assai scarsa”; ”parallelamente a quello che sono lo sfascio organizzativo della pubblica amministrazione e lo sfascio organizzativo dei pubblici uffici presi singolarmente, abbiamo un allentamento dei codici di deontologia professionale. Dei codici, meglio si direbbe dei microcodici di deontologia professionale, che una volta esistevano ed erano abbastanza rigorosamente osservati”; “si può dire che da parte del pubblico funzionario la deontologia professionale è in via di recessione”78. Era, però, difficile delineare la linea di confine tra i comportamenti leciti e illeciti e molti di essi rimanevano ambigui. Quindi, molte regole applicative venivano elaborate dalla giurisprudenza e, in particolare, dai giudici penali che realizzarono un eccesso di giurisdizione.

Ecco, allora, che nel 1994 Sabino Cassese, Ministro della funzione pubblica pro tempore, emanò, con un decreto, il Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Quest'ultimo cercò di tradurre i principi generici dell'articolo 54 della Costituzione in regole di condotta concrete: tipizzò le condotte lecite e illecite per valutare i comportamenti corretti e scorretti. Non fu chiamato né “codice etico” perché avrebbe rimandato ad una sorta di patto d'onore, né “codice disciplinare” visto che non aveva ad oggetto le responsabilità a seguito di violazione e né “codice deontologico” dato che questo di solito si utilizza per alcune categorie professionali. Tale Codice voleva risolvere le situazioni di

78 M.S. Giannini, La Deontologia del funzionario pubblico, 1983 citato da B.G. Mattarella, Le regole dell'onestà, Il Mulino, 2007, p. 136.

incertezza e voleva offrire degli strumenti per agire correttamente, ma non intendeva disciplinare le sanzioni a seguito di violazioni: infatti, le conseguenze della violazione del Codice non erano disciplinate ed era difficile ipotizzare l'irrogazione di sanzioni. La responsabilità disciplinare era lasciata ai contratti collettivi che dovevano, quindi, dare attuazione al Codice, ma tale attuazione si è rivelata poco convincente.

Nel 2000, poi, il Codice è stato emanato di nuovo e, stavolta, si è previsto un collegamento con la responsabilità disciplinare, ma si è mantenuta l'attuazione da parte dei contratti collettivi. Inoltre, il dovere del dipendente ha assunto una duplice natura: non è stato inteso più solo come valore etico, ma anche come corretto adempimento della prestazione lavorativa. L'impatto di tale Codice non è stato positivo: poche amministrazioni lo hanno adottato e spesso ci si è dimenticati della sua esistenza. Anche i dipendenti lo hanno accolto con scetticismo. Non è stato neanche reputato efficace visto che non conteneva sanzioni: infatti, non era uno strumento per reprimere, ma per indirizzare i comportamenti e per interpretare le leggi. A livello contenutistico, il Codice precisava i principi dell'onestà, della trasparenza, dell'efficienza e dell'imparzialità: per attuare quest'ultima, venivano disciplinati i casi di conflitto di interessi e veniva consentito ai dipendenti di accettare dai soggetti con cui aveva rapporti d'ufficio solo i regali di modico valore. I dipendenti dovevano, inoltre, comunicare ai dirigenti del proprio ufficio la propria adesione ad associazioni ed organizzazioni i cui interessi fossero coinvolti dallo svolgimento dell'attività dell'ufficio: la riservatezza, quindi, veniva sacrificata a favore della trasparenza. Per tutelare l'immagine dell'amministrazione, il dipendente doveva anche soddisfare il requisito della “buona condotta”: non doveva, cioè, trarre vantaggi indebiti dalla propria posizione né doveva assumere comportamenti sgradevoli perché ciò influisce sul rapporto

di fiducia che i cittadini nutrono nei confronti delle istituzioni. La stessa esigenza veniva sentita nei rapporti con la stampa: il dipendente si doveva astenere da dichiarazioni pubbliche che screditassero l'amministrazione. In servizio, poi, il dipendente doveva assicurare il corretto svolgimento della prestazione lavorativa: esistevano, a tal proposito, regole specifiche sulle responsabilità, sul rispetto dell'orario di lavoro e sull'uso dei beni e delle risorse dell'amministrazione. La prestazione, quindi, veniva valutata attraverso il controllo dei risultati conseguiti e della qualità dei servizi resi ai cittadini.79

Il decreto legislativo n. 165 del 2001, in seguito, non ha modificato il Codice del 2000, ma ha previsto l'adozione da parte delle singole amministrazioni di propri codici sulla base del modello generale. Anche il sistema disciplinare è rimasto fondato sulla contrattazione collettiva, ma in ogni amministrazione sono stati istituiti uffici competenti per i procedimenti disciplinari (UPD).

Successivamente, neanche la riforma Brunetta è intervenuta sulla disciplina dei codici di comportamento, ma ha attribuito all'etica pubblica una valenza organizzativa-gestionale: le regole sull'integrità hanno assunto la funzione di ridurre le disfunzioni amministrative per migliorare le performance e, quindi, l'efficienza del sistema amministrativo.

Infine, con la legge n. 190 del 2012, che ha rivisitato completamente l'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, si è ulteriormente sottolineato l'aspetto gestionale e i codici sono diventati strumenti di prevenzione della corruzione, la cui previsione deve essere regolata negli appositi Piani di prevenzione territoriali (PTPC). Tale prevenzione viene collegata al fine di assicurare la qualità dei servizi che le amministrazioni rendono ai cittadini. Quindi, i codici, oggi, sono legati ad un sistema di controllo molto più ferreo.

Riguardo al Codice governativo, la legge n. 190 ha modificato anche 79 B. G. Mattarella, op. cit. , p. 131-139, 141-148, 151-155, 159-163, 171-174.

l'iter di formazione: ora viene adottato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e previa intesa in sede di Conferenza unificata. Quindi, oggi l'iter è analogo a quello di un regolamento. Prima, invece, era rimesso ad un decreto del Ministro per la funzione pubblica.

I codici delle singole amministrazioni, invece, devono essere redatti con procedura aperta alla partecipazione e assumono un ruolo importante gli OIV e l'ANAC: i primi rilasciano un parere obbligatorio e la seconda definisce le linee guida.

Tra le principali novità, emerge anche la riduzione del ruolo della contrattazione collettiva.

Tornando al Codice governativo, questo è stato adottato con il D.P.R. n. 62 del 2013. Una delle sue innovazioni è costituita dalla specifica sezione, dedicata ai doveri dei dirigenti a seconda delle loro funzioni: vengono formulate regole ad hoc da cui derivano le loro responsabilità. Si continuano a trascurare, però, i soggetti politici. Un altro aspetto nuovo, inoltre, consiste nell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione disciplinare in tutti i casi di violazione delle regole dei codici. Prima, invece, il dipendente era sottoposto al potere disciplinare solo in relazione alle norme contenute nei contratti collettivi. Oggi, quindi, determinate infrazioni prevedono una specifica sanzione, sottratta alla contrattazione collettiva. Quest'ultima si occupa comunque degli altri casi di violazione. Tale responsabilità disciplinare, collegata alle violazioni dei codici, assume effettività solo con un rigoroso sistema di controllo: infatti, dirigenti, OIV, UPD e uffici per il controllo di gestione devono monitorare l'attuazione dei codici. In particolare, assumono un ruolo fondamentale il Responsabile per la prevenzione della corruzione e l'Autorità nazionale anticorruzione. Sarebbero, poi, auspicabili anche attività di promozione dell'integrità. Emerge, dunque, che la legge n.

190 non ha il fine di offrire maggiori garanzie ai dipendenti pubblici, ma di tutelare cittadini e utenti.80

In particolare, analizzando il contenuto del nuovo Codice, approvato nel 2013, tra le disposizioni generali sono previsti i “doveri minimi” di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta, che devono osservare i pubblici dipendenti. Gli obblighi di condotta, poi, sono estesi anche ai collaboratori o consulenti.

Una parte del Codice, in particolare l'articolo 3, è dedicata ai Principi e ciò potrebbe apparire superfluo, ma, come ha sottolineato la dottrina, anche in relazione al Codice del 2000, questi costituiscono un importante richiamo per indirizzare le condotte e non vanno dati per scontato. Tra tali Principi, innanzitutto è previsto un richiamo alla Costituzione: il dipendente pubblico deve osservarla servendo la Nazione con disciplina ed onore. Lo stesso dipendente deve anche assumere una condotta che rispetti il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa. Si specifica, poi, che non deve abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare. Vengono indicati, inoltre, i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza. Il dipendente pubblico si deve astenere in caso di conflitto di interessi, non deve usare, per fini privati, le informazioni di cui dispone per ragioni d'ufficio e deve evitare situazioni che ostacolino il corretto adempimento dei compiti o che ledano l'immagine della pubblica amministrazione. Nei rapporti con i destinatari non deve compiere azioni arbitrarie o discriminatorie. Riguardo all'uso delle risorse, sempre nei “Principi”, si prevede il raggiungimento dell'economicità, dell'efficienza e dell'efficacia attraverso il contenimento dei costi. Entrando nel merito delle regole specifiche, come previsto nel Codice precedente, secondo l'articolo 4, il dipendente non può chiedere né accettare regali a seguito degli atti compiuti in base al

80 B. G. Mattarella e M. Pelissero, op. cit. , p. 219-221, 223-225, 227, 229-230, 232.

proprio ufficio. L'unica eccezione è prevista per i doni di modico valore, rientranti nei rapporti di normale cortesia. Se, poi, riceve comunque regali, li deve mettere a disposizione della pubblica amministrazione per la restituzione. In riferimento al conflitto di interessi, si riprende il testo del 2000 secondo cui il dipendente si deve astenere dall'azione e deve, quindi, realizzare il principio di trasparenza. Il Codice del 2013, però, estende il conflitto di interessi a quello di qualsiasi natura, anche non patrimoniale, come le pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici. Il dipendente, poi, non deve sfruttare la posizione che ricopre né deve menzionarla nelle situazioni extralavorative.

Un'innovazione è costituita, invece, dal richiamo al Piano della prevenzione che il dipendente deve rispettare. Questo deve anche segnalare le eventuali situazioni di illecito nell'amministrazione. Sempre in rapporto alla prevenzione della corruzione, si afferma la pubblicità dei processi decisionali.

Rispetto al Codice del 2000, inoltre, i rapporti con il pubblico sono molto più dettagliati: l'impiegato pubblico deve porre una particolare attenzione all'utente, ma deve anche garantire la sua riservatezza. Un'altra innovazione, come anticipato, riguarda i compiti dei dirigenti: questi ultimi devono garantire il buon funzionamento degli uffici creando un clima di benessere nella propria struttura. Devono, quindi, occuparsi del corretto riparto dei compiti, del rispetto del Codice, delle azioni disciplinari, della difesa dell'immagine dell'amministrazione e della convocazione delle riunioni.

Al fine di prevenire la corruzione, il Codice del 2013 disciplina anche la formazione dei dipendenti pubblici in materia di trasparenza e integrità. Tale formazione riguarda sia una preparazione che miri al rispetto rigoroso delle norme, attraverso un aggiornamento annuale, sia la trasmissione di valori che infondano un senso etico.

configura il Codice del 2013, non più solo come uno strumento di prevenzione, ma anche come mezzo di repressione e, quindi, lo stesso risulta più efficace dei precedenti Codici.81

8. La tutela del whistleblower, cioè del dipendente pubblico che