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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1950, Anno 9, N.4, dicembre

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DICEMBRE 1950 P u b b licazion e trim estrale Anno ÌX - N. 4 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

(e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D IR E ZIO N E : L U I G I E I N A U D I

Membro onorario

ACHILLE D. GIANNINI BENVENUTO GRIZIOTTI

S A L V A T O R E S C O C A E Z I O V A N O N I

MILANO

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Pubblicazione sotto gli auspici

della Came r a di Co mme r c i o di Pav i a

La Direzione - Redazione è a Pavia, Istituto di Finanza presso l’Università e la Camera di Commercio, Strada Nuova n. G5, presso il Prof. Benvenuto Griziotti, al quale devono essere inviati manoscritti, bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia, ecc.

Redazione corrispondente in Roma presso Prof. Cesare Cosciani, Via Cesare

Battisti 121, p. I l i, Roma e presso Prof. Gian Antonio Micheli, Via del Ba- buino 89, Roma.

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DI UNA INTRODUZIONE ALLO STUDIO TEORICO DELL’ECONOMIA FINANZIARIA

1. — Uno dei punti di vista da cui può prospettarsi l’esigenza della specializzazione scientifica, atta a spiegare la genesi della scien­

za delle finanze — considerata, per i fondamentali suoi aspetti e per tutti i problemi quantitativi, esclusivamente come economia teorica, basata su ipotesi e fatti tipici gravitanti nell’orbita della attività degli enti pubblici o su fatti dell’economia di mercato influenzati dalla attività finanziaria — è questo che richiama gli studi della teoria economica, vista come teoria dell’equilìbrio economico.

In particolare, faccio riferimento alla visione del Pareto, per allargarla, spero senza arbitrio, ai fini della tesi che vado prospet­ tando.

Di questo Autore sono stati visti gli « apporti » alla scienza delle finanze anche di recente, nell’occasione del centenario della nascita (si veda l’articolo brillante di M. Fasiani: I contributi di Pareto

alla scienza delle finanze, sul G.d.E., n. 3/4, 1949). Di fronte a quella

che, ai suoi tempi, veniva trattata come scienza delle finanze, il Pareto assunse posizione di critico scettico, sia perchè confusa con l'arte di governare o di amministrare, quindi come precettistica; sia perchè molti tentativi teorici gli sembravano atti a ricoprire di ap­ parente logica formulazione, veri e propri interessi di parte, nella manovra delle entrate e delle spese, o logicamente insufficienti.

Nel 1932 (nello scritto: Intorno al concetto di costo della atti­

vità finanziaria, in Annali di Economia dell’Università Bocconi, Mi­

lano), avevo illustrato una sintetica impostazione razionale dell’in­ tero calcolo finanziario, avvalendomi dello schema sociologico del Pareto, per la configurazione della genesi di un massimo di utilità

per la collettività.

Ma quanto qui intendo esporre, può imperniarsi su una visione del Pareto, che ho già richiamato nella edizione 1944 delle mie

Lezioni.

Ciò potrebbe provare, oltre a quanto e soprattutto a differenza di quanto ha desunto il Fasiani — coerentemente, peraltro, dalle

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opere del Pareto considerate — (che cioè, egli, Pareto, non potesse concepire una scienza delle finanze se non come una branca della sociologia), ben altra origine della stessa disciplina.

Cioè la scienza delle finanze, come « economia finanziaria » o ramo di economia applicata, ritengo possa individuarsi nel pensiero del Pareto, solo proseguendo nel suo ragionamento, in cui non si fa riferimento formale alla scienza suddetta.

Tanto più che lo scetticismo che egli provava per il contenuto

<• composito » della scienza delle finanze e il disprezzo per le pretese

scientifiche di molti cultori di essa, doveva necessariamente venir meno nel quadro della visione logica e metodologica che qui si inter­ preta, per dar corpo alla parte di contenuto veramente scientifico che può trovarsi nella scienza delle finanze, in quanto economia fi­ nanziaria.

2. — Mi riferisco al saggio su l’ Economia matematica (ripro­ dotto nel voi. IV della « Nuova Collana di Economisti ») in cui il Pareto, fra l’altro, tratta delle relazioni fra le quantità che entrano in un sistema economico di cui si determini l’equilibrio (relazioni che denomina vincoli). Un caso, ad esempio, è dato dai vincoli che stabiliscono rapporti fra i coefficienti di fabbricazione o di produzione e le quantità prodotte.

« Vi è infine un gran numero di vincoli che derivano dalle leggi

fiscali, dalle cosiddette leggi sociali, dalle misure imposte dai sin­

dacati ecc...» (il rilievo in corsivo è mio).

« L’economia applicata deve studiarli tutti ; l’economia pura trae da questo studio soltanto la nozione dei tipi che le conviene ana­ lizzare ».

(Prima di procedere oltre nella contrapposizione distintiva, in­ cidentalmente è bene notare che, addirittura, Walras, l’ideatore del­ l’equilibrio economico generale come schema interpretativo dei fatti, faceva « astrazione dalle funzioni dello Stato, dai servizi che rende e dai bisogni che ha »).

In questa affermazione ovvero in questa contrapposizione Pare tiana crediamo di individuare un fundamenturn divisionis che spieghi la specializzazione della scienza delle finanze, come economia finan ziaria. Lo studio specifico dei vincoli, contrapposto a quello dei tipi

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dello studio, ad es., dei vincoli fiscali. Studio che è condotto in via ipotetica ed è di teoria astratta.

Il processo di specificazione dei vincoli corrisponde anche a quel­ lo di estensione numerica dei vincoli, con l’approssimarsi al fenomeno concreto. In certo senso si può dire anche che la « specificazione » dei vincoli (rispetto al « genere » tipico considerato in economia pura) implica per se stessa la considerazione di un maggior numero di vincoli (grado di astrazione).

E’ proprio dei casi concreti (paragrafo 25 del saggio Paretiano) il presentare « un gran numero di altri vincoli dei quali bisogna tener conto». Testualmente il Pareto aggiunge: « V i sono innanzi tutto i prelevamenti a mezzo dell’imposta » (come si vede generica­ mente individuata) « e le spese dell’amministrazione pubblica ». « Le funzioni indici per questi incassi e per queste spese (se esistono) sono evidentemente di genere del tutto diverso da quello delle funzioni in­ dici per gli individui », si limita ad asserire il Pareto.

Così che, quando conclude il paragrafo dicendo che l’economia applicata deve studiarli tutti — s’intende come tendenza — eviden­ temente fa questione di approssimazione teorica al concreto (numero e specie di vincoli). Così la visione di Pareto non si discosta da quella di De Viti de Marco, quale venne illustrata nella monografia dal titolo : Carattere teorico dell’economia finanziaria (Roma, 1888). Nella concezione Devitiana l’economia è scienza astratta, in quanto pone i problemi astraendo dalle altre circostanze che lo complicano. La economia finanziaria « cerca di avvicinarsi più che sia possibile alla realtà, e quindi si sforza di studiare il fenomeno reale tenendo conto di tutti gli elementi di fatto che lo compongono ». Così conferma nei

Principii (1934, pag. 7).

Con ciò ammette che si tratta, come commento in nota a propo­ sizione parallela del Pareto, di tendenza a studiare « tutti » gli elementi che compongono il fenomeno reale, al quale l’indagine « cer­ ca » di avvicinarsi.

Da ciò deriva che il concetto di scienza « concreta » per la finan­ za (che può corrispondere a quello di economia « applicata » di Pare­ to) è basato su gradi di astrazione logica (in contrapposto con quello di scienza « astratta » o economia pura). L’economia finanziaria astrae in minor misura che non l’economia teorica o pura o astratta. E ciò perchè considera, appunto, altre circostanze che trascura quest’ultima posizione scientifica.

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plicata », non solo non sembra arbitrario nel farne derivare il campo

specifico delta economia finanziaria, ma si basa su una differenziazione

metodologica, in generale ammessa da altri. Vi fa, ad es., riferimento, nel passare in rassegna le « posizioni degli scienziati rispetto all eco­ nomia politica », C. Gini. Egli contraddistingue l’economia politica, quale « scienza pura », come quella che studia la condotta umana in base a certe « ipotesi schematiche ». « Interviene poi l’economia applicata a tener conto delle circostanze per cui la realtà concreta si diparte da tali schemi ». E continua : « L’economia applicata, dun­ que, non rappresenterebbe solo l’applicazione al caso concreto delle conclusioni generali dell’economia pura, ma porterebbe anche alla ret­ tifica di tali conclusioni, tenendo conto di fattori che l’economia pura

trascura, Perchè l’economia applicata avesse Valore scientifico, con­

verrebbe però che della azione di tali fattori, si conoscessero le leg­ gi », ecc. (Vedi Alle basi della scienza economica).

Si traducano nel linguaggio Paretiano che qui si accoglie, le espressioni che ho sottolineato (in corsivo) e si troveranno, mutatis

mutandis, equivalenze di criteri differenziatori, che sono anche sulla

scia dei concetti qui richiamati del De Viti de Marco, nell’aspetto logico e anche nell’espressione formale, e che legittimano logicamente la mia deduzione dell’oggetto dell’economia finanziaria dalla visione dell’equilibrio economico generale.

Questa mia interpretazione, esposta in sintesi nelle Lezioni pub­ blicate nel 1944, sembra rafforzata dalla seguente visione, pure da me ricordata nelle medesime Lezioni citando il Manuel, dello stesso Pareto, in merito alla suddivisione del compito delle scienze per il loro oggetto (pagg. 28-29 e 248, edizione 1944 del mio Corso).

Trattando dell’equilibrio economico in generale (Manuale, n. 27, pag. 335) scrive, fra l’altro, Pareto : « Nel concreto, le entrate degli individui sono lungi dall’avere solo per origine i beni che cedono per la produzione. Il debito pubblico degli stati civili è enorme; una parte solo minima dei denari di quel debito ha servito per la produ­ zione e spesso malamente. Gli individui che godono i frutti di quel debito non si possono dunque in alcun modo considerare come persone che abbiano ceduto beni economici per la produzione. Simili conside­ razioni si debbono fare per gli stipendi della burocrazia, ognora cre­ scente, degli Stati moderni ; per le spese per la guerra, la marina e per molte spese di lavori pubblici. Qui non si ricerca menomamente se

e come quelle spese sono giovevoli alla società, ed in qual caso ad essa

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— (n. 28) « D ’altra parte, le spese degli individui sono lungi dal­ l’essere ristrette ai beni economici che comperano. Le imposte ne sono una parte notevole. Col calcolo assai grossolano, ma che non si disco­ sta forse molto dal vero, si stima che in parecchi Paesi d’Europa, circa il 25 % dell’entrata degli individui sia preso dall’imposta. La teoria esposta or ora non avrebbe dunque valore che per 3/4 al mas­ simo delle somme che costituiscono l’entrata totale di una nazione ». — (n. 29) « E’ facile modificarla in modo da tener conto dei feno­

meni di cui abbiamo fatto cenno. Basta perciò separare nell’entrata

degli individui la parte che ha origine da fenomeni economici, da quella che vi è estranea, e così pure per le spese ».

— (n. 30) « La parte dell’entrata lasciata agli individui, viene spesa da essi secondo i propri gusti; e, per la sua ripartizione fra le varie spese, vale la teoria già esposta per l’equilibrio individuale dei gusti. La parte prelevata dall’autorità pubblica viene spesa con

altri criteri, che non spetta alla scienza economica di indagare. Questa

deve dunque supporre che figurino tra i dati del problema da risolve­ re. Le leggi della domanda e dell’offerta seguiranno dalla considera­ zione di quelle due categorie delle spese. Se se ne considerasse una sola, la divergenza col fenomeno concreto potrebbe essere considere­ vole. Per esempio, pel ferro e per l’acciaio, le domande dei governi investono una parte notevole della produzione ».

— (n. 31) « Riguardo all’equilibrio degli ostacoli, occorre tener conto che la spesa delle imprese non è eguale, come precedentemente, all’entrata totale degli individui, ma ne è solo una parte, poiché il rimanente ha altre origini (debito pubblico, stipendi, ecc.). La ripar­ tizione della parte volta a comperare i beni trasformati dalla produ­ zione è determinata dalla teoria dell’equilibrio riguardo agli ostacoli. La ripartizione dell’altra parte delle entrate è determinata da criteri che, come nel caso analogo precedente, sfuggono alle indagini della scienza economica, e che perciò debbono aversi da altre scienze e figurare qui fra i dati del problema ». (Cito dall’edizione del 1909).

Ho sottolineato, in corsivo, le espressioni che interessano dal punto di vista assunto. Si fermi l’attenzione anzitutto sui riferimenti che ho fatto al saggio su l’Economia matematica, che riflette il pen­ siero Paretiano in tema di divisione del lavoro fra le varie discipline, e senza dubbio alcuno si ha prova della ragione logica, che spiega la costituzione di una specializzazione della economia teorica, fra l’altro, con il compito di studiare l’influenza dei vincoli introdotti dalle « leggi fiscali » nell’equilibrio economico.

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La contrapposizione fra « economia pura » ed « economia appli­ cata » è necessariamente legata, come si è visto, alla distinzione fra tipo (genus) di vincoli e caratteristiche particolari (species) e numeio dei vincoli medesimi che la teoria, sempre in senso ipotetico-scientiflco e non in senso descrittivo, studia, in omaggio alla specializzazione che giustamente il Pareto individua con le sue razionali visioni.

Anche nei passi citati del Manuale si ha una forte probabilità di avere individuato l’oggetto che il Pareto assegnava alla scienza delle finanze, pur se non formalmente qualificata fra le « altre scienze » a cui demandava il compito, come si è visto, di studiare : a) se e come le spese pubbliche siano giovevoli o indispensabili alla società ; b) il modo indiretto in cui le spese pubbliche sono utili alla produzione, con utilità di genere diverso da quella dei beni economici che entrano nella produzione. Diversità che spiegherebbe la necessità di altra disciplina, che ne faccia oggetto proprio di indagine ; c) le leggi o uni­ formità che riguardano il 25 % dell’entrata degli individui assorbita dalle imposte, dato che, esplicitamente ammette il Pareto, nel modo più inequivocabile segnando i limiti della economia politica, la teoria esposta (da lui) non avrebbe valore che per i 3/4 delle somme che costituiscono l’entrata di una nazione; d) i criteri con cui viene spesa la parte che non spetta alla scienza economica di indagare; e) i cri­ teri con cui è ripartita l’altra parte delle entrate degli individui, che non è eguale alla spesa delle imprese e che ha altre origini (fra cui il debito pubblico), ripartizione di entrate che segue criteri che debbono aversi da « altre scienze ».

Da taluno potrebbe pensarsi che il Pareto abbia voluto escludere le proposizioni a) -e), come oggetto di studio teorico, dal campo della economia, pensando alla sociologia o alla politica, nell individuare la competenza di «altre scienze». Ma occorre considerare in qual senso il Pareto adottava l’espressione « scienza economica ». Lo stesso

Manuale prova che egli non ne discorreva nel senso esclusivo di altre

scienze gravitanti nel campo dell’economia, ovvero per contrapporre all’economica discipline diverse come ordine logico.

Ma della scienza economica delimita il concetto nel Proemio ricco di significato metodologico, con cui si apre il Manuale di economia

politica, allorché dichiara esplicitamente: « I l presente manuale ha

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Altrimenti occorrerebbe escludere (coordinando le citazioni) (1) 1’ « economia applicata » dall’ambito della scienza economica, proprio quando ad essa ha egli affidato il compito di analizzare le relazioni o vincoli, anche, « che derivano dalle leggi fiscali », contraddizione che non è nel pensiero del rigoroso pensatore, che, ciò affermando nel 1911 non intendeva rivedere e modificare, su questo punto, il con­ tenuto del Manuale (1906).

Ma quel che è più, avendo egli escluso dalla competenza della scienza economica, i criteri con cui viene spesa la parte delle entrate degli individui prelevata dalla autorità pubblica, se non si pensasse al concetto di economia politica pura (contrapposta a quella appli- ta), occorrerebbe escludere dal campo della logica economica, di cui, appunto, è intessuta l’economia della finanza pubblica, proprio un mirabile e fondamentale saggio di teoria finanziaria. Alludo a quello che, sotto il titolo Contributo al riparto delle spese pubbliche, ha inserito nella storia della teoria economica della finanza Maffeo Pan- taleoni, che proprio il Pareto riconosceva come suo maestro nell’orien­ tamento verso questa scienza, e che spiegava quanto di razionale potesse trovarsi nei giudizi, in proposito, della « media intelligenza dei parlamenti ».

Del pari, il Pareto rinuncia a cercare (n. 27 succitato del capi­ tolo VI del Manuale) se e come le spese pubbliche (per gli stipendi della burocrazia, la marina, i lavori pubblici ecc.), « sono giovevoli alla società », pur facendo intravedere una utilità indiretta di genere diverso rispetto a quella che direttamente segue dalla produzione economica. Ebbene, fin dal 1887, Pantaleoni, (per insistere su questa spiccata figura di economista, dati i suoi rapporti con il Pareto), come ho rilevato nell’edizione del 1944 delle mie Lezioni, in altro non meno celebrato saggio (Teoria della pressione tributaria) poneva in logica relazione, non soltanto i tributi globalmente considerati o, per dirla con il Pareto, la quota (nell’esempio suo 25 % ) delle entra­ te degli individui presa dall’imposta; ma istituiva una relazione ra­ gionata tra le entrate pubbliche, in quanto prelevate dai contribuenti, e « l’importanza delle restituzioni che i medesimi ricevono dalla atti­ vità dello Stato ». Nell’affrontare codesto problema di valutazione della utilità sociale della funzione statale, il Pantaleoni si sarebbe meravigliato di sapere la propria opera non classificata tra gli studi

(1) Che qui ho esposto richiamandomi all’Economia matematica (1911)

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che vertono nel campo della scienza economica, con gradi di specia­ lizzazione relativi ad approssimazioni al concreto od a specificazioni di ipotesi che la teoria generale economica rinunci ad analizzare per ragioni di divisione del lavoro scientifico.

E ciò tanto più quando si ricordi che, proprio nelle Lezioni di

economia politica, di poco anteriori alla pubblicazione del Manuale

del Pareto (cioè del 1905-1906), generalizzando in tema di utilità dei servizi pubblici, il Pantaleoni avanzava argomentazioni che auto­ rizzavano a far considerare i servizi resi dalla organizzazione sociale, addirittura, fra i « fattori » della produzione.

Si pensi anche alla impostazione data dal Pantaleoni agli effetti della imposizione nella celebrata Teoria della traslazione dei tributi, (1882), cioè delle variazioni delle curve di domanda e di offerta deter­ minate dalla legislazione tributaria con i prelievi di una parte delle entrate o redditi; o di altre quantità economiche. Visione, allora, atomistica ovvero riferita soprattutto a singoli rapporti di scambio influenzati dal fatto fiscale, e che ora, in termini di macrodinamica, abbraccia la manovra di notevoli quantità o quote di potere d’aquisto sull’intero mercato, ponendo la scienza delle finanze in linea con le considerazioni di fenomeni di massa, studiati dall’odierna teorica economica.

Dopo questi accostamenti logici che mirano ad illustrare e pre­ cisare il vero pensiero del Pareto su quello che egli avrebbe visto implicitamente come oggetto di uno studio del « vincolo » costituito dalle leggi fiscali o dai problemi indicati nei passi del Manuale sopra riportati, è da negare assolutamente che egli abbia inteso sottrarre ad una scienza delle finanze, se razionalmente intesa, il compito di affrontare indagini quantitative, condotte con il metodo dell’economia politica (generale).

Una siffatta intenzione esclusiva del Pareto, per la qui dimostrata « contraddizione che noi consente », deve essere del tutto respinta, alla luce della interpretazione che dò del suo pensiero, in merito alla specializzazione scientifica, nel riferirsi, in sede di scienza economica (e non di sociologia o di politica) allo studio dei problemi fonda- mentali della finanza pubblica, dallo stesso enunciati e da me tradotti in proposizioni equivalenti, sotto le lettere a), b), c), d), e), di questo paragrafo.

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studio della scienza delle finanze, si sia fermato alla parte polemica, in sede soprattutto di sociologia, in cui il grande economista espri­ meva giudizi, del resto in gran parte meritati, su quella che veniva allora presentata come scienza delle finanze, nei trattati, dalla mag­ gioranza degli scrittori. E non abbia penetrato il vero pensiero che, in sede di economia teorica, in modo inequivocabile deve dedursi da proposizioni come quelle razionali da me analizzate, lasciandosi pren­ dere, il Fasiani, dal fascino della dialettica in cui formalmente ricor­ reva la denominazione letteraria di « scienza delle finanze ». Questa

sostanzialmente, in base ad affermazioni rigorose di metodo, in modo

implicito Pareto considerava scienza economica applicata nel senso da me chiarito nelle precedenti pagine.

3. — Tornando alla citata visione Paretiana che concerne la contrapposizione fra nozione di tipi di vincoli e specie di essi, si può dire che il passo avanti che compie il cultore di economia finanziaria nello « specificare », può essere messo in evidenza simbolicamente, anche ammettendo che il concorso delle iniziative e spese statali, con l’offerta di servizi pubblici, sia paragonabile, come oltre ricordo, alle « economie esterne » in senso Marshalliano. Invero, per astrazione o per convenzione, come avviene per l’imputazione dell’apporto dei ser­ vizi di cui si avvale la singola impresa e che fronteggia con le spese generali, si potrebbe dire che, indirettamente, come ammette il Pareto su citato, i servizi pubblici entrano nelle combinazioni delle aziende o imprese singole, determinando i limiti quantitativi della produzione e il livello dei costi medii.

Si è discusso se si possa usare il termine di fattore per indicare la funzione dello Stato nei confronti dei processi produttivi. Si è trovato pili plausibile considerarla come « presupposto » della pro­ duzione, istituendo una relazione indiretta fra servizi pubblici e volu­ me (e costo) della produzione. Per convenzione basata sulla ricordata concezione del Pantaleoni si è tentato di esprimere, tuttavia, con la dizione « fattore della produzione », la funzione che lo Stato assolve nei confronti dei processi produttivi con la produzione cioè dei pub­ blici servizi. Ciò che interessa considerare comunque, al di sopra delle questioni di parole, è :

a) che le imprese, (anche se facenti parte di una industria come complesso) a cui lo Stato offra oppure imponga servizi stru­

mentali per il successo o il rendimento dei processi di trasformazione

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proda-zione fisica di beni di cui si avvantaggi il mercato (per ipotesi) tenga­

no conto, nel combinare i restanti fattori, dell’esistenza e della stru-

mentalità del fattore statale (offerta di servizi pubblici);

b) che specialmente una parte di detti servizi, ipoteticamente,

possa essere richiesta e proporzionata, nelle combinazioni, per « scel­ ta » degli imprenditori che determinino quantum utilizzabile e spesa che si intenda compiere ai prezzi noti « a priori» (prezzi pubblici, tasse), commisurati, in certo modo, al quantum di consumo diffe­ renziale di servizi pubblici;

c) che tendenzialmente, in sede di rimborso del costo di servi­

zi « indivisibili », la somma versata allo Stato, pro-rata, dalle imprese a titolo tributario corrisponda alle spese generali di cui una quota, almeno, costituisca l’equivalente di spesa o corrispettivo per il fattore o il presupposto costituito dai servizi pubblici utilizzati, per presun­ zione della loro strumentalità, nella attività produttiva delle imprese medesime.

Nei limiti di validità di queste avvertenze, si faccia riferimento alla cosiddetta « equazione della tecnica », in cui T sia la quantità prodotta, funzione dei fattori che concorrono a determinarla : x, y,

s, dove x indichi o misuri materie prime da trasformare, y lavoro

manuale, « servizi di capitali ; nulla impedisce (nell’ambito delle av­ vertenze fatte e pur sapendo che le « economie esterne » influenzano

indirettamente le combinazioni produttive), che si faccia figurare, per equivalenza, il fattore convenzionale s, come quantità di servizi

pubblici che entri nella combinazione, per decisione delle singole im­ prese o per corrispondente interpretazione di esigenze della produ­ zione per iniziativa e con giudizio statale. Purché si ipotizzi che ne tenga conto l’impresa, regolando la combinazione delle rimanenti quantità di fattori, in funzione della quantità utilizzabile di servizi pubblici strumentali.

Così, sia lecito scrivere l’equazione:

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vie, telegrafo, stampa, sicurezza di rifornimenti di materie prime, prevenendo guerre, ecc. (Principi, pagg. 346/47, ediz. Bibl. Eeon.).

(Vedremo più oltre i limiti dell’arbitrio che qui si compie con la assimilazione del fattore finanziario a quelli economici che entrano nelle combinazioni della tecnica o della produzione. E in qual senso più propriamente possa parlarsi di riflessi del fattore Stato o della quantità s nei valori che figurano nella equazione testé indicata) [ l j.

Intanto rilevo che, anche senza fare riferimento esplicito alle « economie esterne », il De Viti de Marco tiene conto del « momento » in cui i beni pubblici, « dopo che sono stati prodotti, tornano ad influenzare la produzione, lo scambio e il consumo dei beni privati e fanno parte, per questa via, dell’equilibrio economico generale ». Infatti, egli scrive, « diverso è l’equilibrio della produzione e degli scambi privati, a seconda che si ha una buona o cattiva viabilità, una efficace o non efficace difesa della proprietà, una politica economica protettiva o liberista e via dicendo ». Naturalmente l’influenza rela­ tiva dei beni pubblici è economicamente rilevante da questo punto di vista, se si fa l’ipotesi che le imprese « diversamente utilizzino i servizi pubblici », ipotesi atta a spiegare gran parte di fenomenica concreta (Principi, ediz. 1934, pag. 22).

Questo mio riferimento, quindi, alle « economie esterne » rispetto alla organizzazione interna delle imprese, ovvero dovuta alla organiz­ zazione del mercato (per es. ad intervento dello Stato), oltreché alla concentrazione della produzione ed all’aumento di questa su vasta scala, non è privo di contenuto storico e, comunque, in via ipotetica è considerato normale. Infatti il Marshall, non soltanto ammette che l'azienda tipo di cui tratta (« rappresentativa ») debba poter otte­ nere in misura normale le economie interne ed esterne (pag. 347) ; ma aggiunge (pag. 435) che « sovente le economie interne che ogni azienda può procurarsi con la propria organizzazione sono ben piccola cosa in confronto con le economie esterne risultanti dal progresso generale dell’ambiente industriale ». E fra gli esempi di fonti di sif­ fatte economie, ricorda ancora l’apertura di ferrovie od altri mezzi di comunicazione con mercati esistenti, in codesto nuovo richiamo al concetto, che non riguarda, quindi, ipotesi marginali o trascurabili.

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concreto e nella spiegazione teorica, della condizione tipica, colletti­ va, di massima occupazione di fattori produttivi e di massima pro­ duzione di reddito. I concetti che seguono chiariscono anche l’ipotesi dello Stato come fattore di produzione.

« Spesso parliamo lungamente di spesa statale in astratto, come se essa fosse semplicemente una sottrazione dalla produzione nazio­ nale. Effettivamente la definizione statistica del prodotto nazionale è formulata in modo che la spesa statale in beni e servizi, diviene un modo di usare e produrre le quantità economiche. Non è sempre (una via) un modo ideale più di quanto sia la produzione ad opera del settore privato deH’economia. Ma è una via di cui non potremmo fare a meno, e che probabilmente continuerà a svilupparsi e tutti speriamo — a migliorare in futuro » (Economies, N. Y., Me Graw- Hill, 1948, pag. 158).

Una individuazione esplicita dei servizi pubblici per l’apporto di « economie esterne », come circostanza che fa diminuire il costo della produzione complessiva di un ramo d’industria composta da piu im­ prese, è stata di recente compiuta dal Bresciani Turroni, con riferi­ mento al contributo della funzione dello Stato. Questo « vedendo sorgere con essa (industria) un interesse nazionale, ne curerà e faci­ literà lo sviluppo, con speciali provvedimenti (nuove strade, ferrovie, ampliamento di porti ecc.), la cui spesa è sopportata dall’intera.nazio­ ne » (Corso di economia politica. Giuffrè, 1949, pag. 239). Un tale modo di ripartizione della spesa sostenuta dallo Stato (specialmente dati gli esempi fatti, che danno luogo ad integrazioni di costi statali anche con prezzi pubblici, tasse e contributi, oltre che imposte speciali e generali) può ammettersi in prima approssimazione nella visione del Bresciani, che è di massima.

Con ciò l’economista inquadra nello schema economico generale, concezioni che erano state esposte da cultori di economia finanziaria, quale, ad esempio, l’Einaudi, quando afferma: a) merce l’imposta lo Stato crea l’ambiente giuridico e politico nel quale gli uomini possono lavorare, organizzare, inventare, produrre; b) uomo e Stato produ­ cono insieme, attraverso un complicato meccanismo, un flusso perenne di nuovi beni: quel flusso diminuirebbe se facesse difetto la maniera di umano operare individuale, quella collettiva volontaria o quella collettiva coattiva.

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De Viti de Marco, Borgatta ed altri, in Italia, circa la strumentalità della funzione statale per la produzione privata (2).

Il simbolo 8, che in via convenzionale provvisoria individua nella formula [1] (la quale esprime l’equazione della produzione o della tecnica) servizi pubblici che entrano in combinazione con i privati servizi del lavoro, dei capitali e con le merci da trasformare, in questo schema è generico. Per contrapporlo alla specificazione che può farne in via di ipotesi il cultore di finanza, figura nella [1 ].

Spetta a chi analizzi ulteriormente gli effetti della funzione degli enti pubblici, resa possibile attraverso le spese pubbliche alimentate da corrispettivi (controprestazioni) e da prezzi imposti (tributi) lo studio delle relazioni fra interferenza strumentale di servizi di pub­ blica iniziativa ed efficienza e modificazione in particolare di processi produttivi.

Ad esempio, sono problemi specifici di economia finanziaria: a) l’analisi dei rapporti fra distribuzione dei vantaggi e misura relativa in cui singoli, gruppi sociali, categorie economiche reintegra­ no il costo dei servizi pubblici;

b) la disamina degli effetti economici indiretti delle spese che si traducono in redditi immediati di gruppi, e degli effetti di servizi

(2) Dello Stato come « fattore economico » tratta, ad es., un tecnologo ed economista ad un tempo, significativo preparatore di imprenditori (V. Zi-

g n o l i, Tecnica della produzione, Iloepli, 1950) allorché Illustra ed enumera

esempi di intervento statale, attingendo all’esperienza, e quando elenca casi di : prestiti statali con contributo in tema di interessi passivi ; indennità di disoc­ cupazione ; lavori pubblici ; rivalutazione di prodotti agricoli ; sovvenzioni ad agricoltori ; garanzie di interessi a creditori ipotecari ; assistenza o difesa dei consumatori o del loro potere d’acquisto «aumentando anche le possibilità economiche della produzione ». Sono forme nuove, in parte, di economie esterne. In questi termini, addirittura vengono denominati altrove (R. Weinmantst, 1900- 1950 - Evolution des problèmes de l’entroprise, in Travati et Méthodes, aprile

1950, Parigi, tradotto nelle Note di economia aziendale, a cura della Associa­ zione fra le Società per azioni, settembre 1950) i riflessi del dirigismo statale e i poteri illimitati dello Stato, il quale viene considerato anche per il fatto, immediatamente negativo per l’impresa, dei prelievi fiscali. « In ogni istante un avvenimento al quale l’imprenditore non ha preso alcuna parte, al quale non può fare nulla, nè quando minaccia nè quando è compiuto, rischia di so­ pravvenire per sconvolgere il suo compito o distruggere la sua opera ». A questa visione pessimistica, diciamo così, del rischio che con entrate e spese, determina lo Stato, modificando le combinazioni produttive e i calcoli della gestione, in termini piti obbiettivi fa precedere altra affermazione, codesto autore. Infatti il comando dell’ impresa moderna e l’efficacia degli atti di dire­ zione esplicano la loro funzione con intervento più delicato, « a causa delle molteplici articolazioni interne ed esterne all’impresa, che procurano ad ogni azione una eco ed un rimbalzo spesso Imprevisti ».

(16)

— 314

con utilità economica (oggettiva) immediata e determinabile nei con­ fronti di singoli (utenti) e gruppi di membri della collettività (lavori pubblici, difesa militare, ecc.);

c) la considerazione di servizi che non si traducono necessaria­ mente in spese statali e, come la funzione monetaria (svalutazione, rivalutazione) o doganale (protezioni), determinano combinazioni pro­ duttive e vantaggi differenziali, che 1 imposta incide per la ugua­ glianza di fronte allo Stato o per non farli consolidare presso coloro che siano immediatamente e strumentalmente avvantaggiati;

d) l’analisi degli effetti della spesa pubblica sul tasso di inte­ resse, sui costi di produzione, sul reddito nazionale e sulla sua ripar­ tizione ;

e) l’analisi degli effetti della spesa ' pubblica sulle curve di domande private preesistenti, con conseguente sostituzione di produ­ zioni stimolate dallo Stato a quelle che, in assenza della funzione statale, si sarebbero avute sul mercato;

f) la visione delle ipotesi di sostituzioni di beni e servizi pub­ blici di consumo diretto, che presentano una ofelimità superiore ai beni e servizi privati che sarebbero stati dai contribuenti goduti in assenza dell’imposta ;

g) la valutazione ai Ani anche della spiegazione della localiz­ zazione delle imprese, della pressione comparata degli oneri globali vigenti in via ipotetica e storica in contrapposti mercati nazionali ; h) il confronto fra utilità obbiettiva di spese per la collettività a lunga scadenza e costi attuali (generazione presente), per la stessa ; i) la modificazione del rischio dell’impresa, anche in termini di aspettative di oneri e di vantaggi dell’azione statale (prelievi e spese) ;

1) lo studio degli effetti, in generale, del fatto finanziario sul­ l’equilibrio economico particolare (singoli mercati, settori, gruppi di imprese) e sull’equilibrio economico generale in funzione del quantum

e della specie delle spese e dei servizi statali.

Tutto questo spiega come dalla generica individuazione del fatto­ re fiscale nell’equazione della tecnica, si debba passare alla specifi­ cazione che si impone, sia che si vogliano analizzare i problemi in ipotesi statica, sia, in particolare, con l’orientarsi dell economia \erso la considerazione della strumentalità della finanza pubblica pei la determinazione dell’equilibrio in rapporto alle oscillazioni cicliche.

(17)

— 315 —

concezione dell’economia pura in cui del vincolo fiscale si lia l’indi­ cazione del tipo o del genere, si potrebbe così prospettare l’influenza generica del fatto fiscale. Ad esempio, dalla

Pa = C'a Pc + K Pi [*]

dove pa è il prezzo del prodotto, (7a ed L.à sono gli apporti dei servizi produttivi del capitale (nella terminologia del Barone) e del lavoro, e pe, pl i prezzi di questi ultimi, con l’intervento generico del vincolo tributario, si perviene alla seguente modificazione dei valori della [*]

Pa + A Pa = T + Ca (Pc + A Pc) + IJa, (Pi + A Pi)

dove T rappresenta genericamente il prelievo tributario e A pa, A pe, A />, le variazioni intervenute, per causa fiscale, nel prezzo del prodot­ to, del capitale e del lavoro, rispettivamente.

Il fattore finanziario, del pari, nel campo della produzione po­ trebbe figurare, ad esempio, nell’equazione che esprime il livellamen­ to delle produttività marginali (ad es. P, N, M, Q, ... corrispondenti a quantità di x, y, z, s , ... fattori su considerati nella [1] ed i prezzi

r, n, m, t, ... relativi).

Se, cioè, fosse possibile conoscere « a priori » il prezzo di tutti i servizi e il problema finanziario non consistesse, appunto, nel cer­ care di individuare i criteri di ripartizione del costo dei servizi pub­ blici indivisibili, si potrebbe far figurare nella seguente equazione anche il rapporto fra produttività marginale dei servizi pubblici (§ ) e prezzo del quantum di essi che entri in combinazione strumentale nella produzione. Per contro, figura per assurdo detto rapporto ac­ canto a quelli che riguardano altri beni è servizi nell’equazione che esprime il livellamento delle produttività marginali ponderate ovvero l’eguaglianza dei rapporti fra prodotti marginali dei vari fattori e i prezzi di questi ultimi, con il rapporto in cui p è il prezzo del

V

prodotto :

1 p N M Q

V ~ r n m — ~ t [ I I ]

(18)

strumen-— 316 strumen-—

talità dei servizi pubblici di cui si occupa l’economia della finanza pubblica, oltre che in una variazione di p :

I) in una variazione di r, n, m, in funzione di incrementi di im­ poste che siano state commisurate al prezzo di merci o materie prime (*), del lavoro (salari) (y), di interessi sui capitali impiegati (z) e, per traslazione, siano stati riversati sui produttori che orientino la propria condotta secondo la logica del livellamento delle produttività marginali ;

II) considerando l’effetto sia dei servizi pubblici, sia, parimenti, di imposte prelevate a carico dell’imprenditore che proceda alle combinazioni produttive, nel senso di somma algebrica di incrementi di produttività (utilizzazione di servizi pubblici) e di diminuzioni di prodotto (prelievi di tributi) a carico dei risultati delle combinazioni produttive. In definitiva nel senso di variazioni dei numeratori dei rapporti che figurano nella }[II], cioè di P, N, M.

Detta modificazione di produttività che sostanzialmente ha luogo in funzione del fatto finanziario, attraverso variazioni di numeratori e denominatori dei rapporti da cui solo formalmente esula l’influenza, come si è visto, nella equazione tradizionale [1 ], può essere arrecata da imposte ipotizzate come segue, specificando il vincolo fiscale, per ciò che riguarda il prelievo tributario:

a) k, ovvero come una costante, qualunque sia la quantità pro­

dotta (come nel caso ipotetico di una imposta sulle concessioni gover­

native, ad es., per l’autorizzazione ad iniziare un processo economico produttivo, o come tassazione di brevetto da utilizzare, per l’apertura di un negozio di vendita di merci, ecc.);

b) ovvero del tipo leu, come imposta sulle singole quantità pro­ dotte (un tanto le fisso per u, ad es. per quintale, ettolitro, ecc.);

c) come imposta di tipo tp, cioè di imposta t commisurata percentualmente al prezzo (p) della produzione. E’ il caso dell’imposta sui consumi o sulle vendite, in termini monetari, percentuali, ad

valorem.

(19)

— 317 —

5. — Se si lascia lo schema della produzione, quale è considerato in economia pura, e si ferma l’attenzione su una delle equazioni che essa ha pure elaborato e da cui risulta determinato l’equilibrio del

consumatore, si trova, ad es., che un’imposta può essere ipotizzata:

1) come riduzione del reddito spendibile monetario;

2) come riduzione di potere d’acquisto del reddito monetario dato.

1) Sia

Ro = Pi xi + ÌY*V + ih X3 + ...+ Pn *n [IH ] l’equazione con la quale (nel determinare, con simultanee altre equa­ zioni, l’equilibrio del bilancio del consumatore), si esprime che il soggetto spenda tutto il suo reddito. Rispettando la condizione posta da detta eguaglianza [I I I ] , il cultore di economia generale determi­ na i valori di x v x2, x2.... xn, che attribuiscono valore massimo alla funzione-indice di ofelimità:

U = (p K , x2, x3 ...*„).

Supponiamo che il reddito del soggetto subisca una diminuzione nella misura della quantità monetaria T (che simboleggia, nell’ipotesi che io avanzo per i fini di questo paragrafo, un tributo direttamente prelevato dal reddito R0), di modo che sia R, — R0 — T. Il problema di economia pura consiste nel determinare le variazioni non uniformi, di regola, di xv xv x3, .... x„, in funzione della elasticità delle curve di utilità marginale rispettiva, che soddisfino l’eguaglianza del tipo

[I I I ] , quando ad R0 sia stato sostituito R „ in conseguenza del qui ipotizzato prelievo tributario direttamente dal reddito a disposizione del soggetto.

[Si ragiona nell’ipotesi che detta diminuzione di reddito, nella misura di T, non venga simultaneamente compensata da effetti o vantaggi monetariamente equivalenti (a T), imputabili alla spesa pubblica ed ai servizi pubblici — problema, questo, che tratta l’eco­ nomia finanziaria soprattutto — o ad altre fonti di entrata per il soggetto].

2) Ma una riduzione, in via di tendenza, equivalente (negli effetti complessivi sul bilancio del consumatore) nella espressione mo­ netaria, da R0 a R „ può aversi in termini di diminuzione del potere

d’acquisto a disposizione del soggetto, allorché faccia domanda di x v x2, x3, .... xu.

Tale riduzione di potere d’acquisto, equivalente almeno tenden­

(20)

— 318 —

zialmente a quella diretta monetaria su ipotizzata nella misura T, può risultare da una variazione di p „ p.¿, p3, ..../>,„ dovuta ad aggiun­ ta, ad essi, di un tributo, ad es., non uniforme quantitativamente, del tipo ku (quale si è visto in precedenza come simbolo di imposta speci­ fica, pari ad un tanto per unità di misura fisica : quintale, ettolitro ecc.).

Talché sia :

R0 = (k1 + p,) x’ 1 + (fc2 + p2) - f ... + (K + Pn) x’n [ I V ]

in cui gli adattamenti della spesa e le variazioni dei valori delle

x v x\, xw ... xD, rispetto ai valori che esse avevano nella [III], siano

tali da corrispondere, globalmente, per ipotesi, a quelle che erano compatibili con le modificazioni della [I I I ] , quando da R0 si era ridotto ad R0 — T — R, il reddito monetario a disposizione del soggetto.

Anche la logica di codeste variazioni di quantità domandate in funzione di una variazione dei prezzi (fermo rimanendo monetaria­

mente R0) viene spiegata dalla teoria che va sotto la denominazione

di economia politica (pura).

3) Ma la « scelta », di iniziativa statale, di un tipo di vincolo tributario rispondente, rispettivamente, a T ed a leu, cioè a tributo direttamente prelevato dal reddito oppure prelevato sotto forma indi­ retta di maggiorazione dei prezzi dei beni alle cui unità fisiche sia commisurato e fra cui si ripartisca il reddito all’atto del consumo.

non è indifferente per lo Stato e per il soggetto ipotizzato come

edonista.

Mi richiamo, infatti, al problema che sorge nel campo delle ri­ cerche vertenti, a guisa di approssimazione ulteriore, nella specializ­ zazione scientifica, nel campo della economia della finanza pubblica (o della parte più rigorosa, anche perchè quantitativa, della scienza delle finanze), cioè a dire, al tanto discusso e tuttora aperto teorema della pressione comparata dell’imposta diretta e indiretta. Il pro­ blema, come è ben noto, può qui impostarsi nei seguenti termini: se, cioè, a parità di prelievo per lo Stato, ovvero nelPipotesi dell’im­ posta diretta sul reddito monetario per l’importo T = k, + fc2 -|- k . - f .... + kn imposte rispettivamentè commisurate alle quantità fisiche (x „ x 2, x3 ....xn) il diverso atteggiarsi, qui proposto, del mncolo tribu­

tario (imposta diretta o indiretta) sia compatibile con eguale ofeli­

mità totale del soggetto.

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espressa con i simboli t1 pv t2 p2, ... tn pn e può ipotizzarsi eguale, globalmente, a T, come prelievo. Anche da questo punto di vista, la specificazione del vincolo fiscale fa impostare il problema della identità (o meno) di sacrificio di natura psicologica e di riflessi nel campo dell’ofelimità, del prelievo di pari quantità di provento mone­ tario, rispettivamente, attraverso imposta diretta T ovvero imposta indiretta ad valorem, ripartita mediante commisurazione al prezzo delle quantità x „ x2, x.À .... xn consumate. Talché sarebbe

R0 = (1 + h) Pl + ( 1 + t2) p2 x” 2 + ...+ (1 + #„) pn a/ ’n [V ] ovvero, nel caso di aliquota ad valorem unica per tutte le merci,

R, = (1 + t) (P1 x” \ + p2 x” \ + x” \ + ...+ Pn [V I ] Anche questo è, ovviamente, problema di economia della finanza pubblica, condotto ad opera di cultori, metodologicamente, di eco­ nomia pura, che vogliano procedere ad approssimazioni al concreto attraverso la specificazione del vincolo fiscale, che, in prima ipotesi, si era considerato come determinante (T) la riduzione diretta del reddito monetario da R0 a Rt.

4) A sua volta T, nell’eguaglianza che può porre il teorico del­ l’economia politica e che abbiamo, genericamente, considerato come prelievo diretto di tributo dal reddito a disposizione del soggetto, può ipotizzarsi come:

d) tr ovvero come percentuale fissa per ogni ammontare di reddito

netto, percepito dal soggetto contribuente (proporzionalità) ; e) atT cioè come quantità crescente con il crescere del reddito netto

(22)

320 —

6. — Questi, per grandi linee, sono modi di impostare il logico passaggio per gradi di specializzazione scientifica, dalla economia pura come teorica generale del fenomeno economico, alla economia della finanza pubblica, condotta bensì con il metodo e la logica della teoria pura, ma che sorge dalla specificazione dei vincoli fiscali e

tributari, di cui si è posta in evidenza, a titolo di esemplificazione,

una casistica ipotetica.

E la specificazione dei vincoli, in campo strettamente tributario, non risponde a semplice suddivisione concettuale ed a classificazione formale, ma determina altri problemi o teoremi quantitativi, razio­ nalmente dimostrati. Essi vanno visti alla luce della specializzazione che qui si è prospettata, stando nel solco della suesposta ed interpre­ tata visione del Pareto. La quale mi è sembrata atta a dar conto dell’introduzione alla economia finanziaria dalla economia politica come teoria dell’equilibrio economico (e dalla « economica » in genere, come dicono gli anglosassoni), nello spirito della specializzazione scientifica a cui risponde l’autonomo insieme di ipotesi, in rapporto a modificazioni dell’equilibrio economico stesso.

(23)

INAUGURANDOSI IL CORSO DI PREPARAZIONE PER

I NUOVI IMPIEGATI DELLE TASSE ED IMPOSTE

INDIRETTE SUGLI AFFARI (*)

IL DISCORSO DEL DIRETTORE GENERALE

Poche parole debbo dire nel porgere il benvenuto ai giovani funzionari che entrano a far parte delTAmministrazione delle Tasse e delle II.II. sugli Affari e sono parole di ringraziamento. Parole di ringraziamento per le personalità che hanno onorato con la loro presenza questa cerimonia, sottraendo un tempo prezioso ai loro im­ pegni, parole di ringraziamento per il Prof. Griziotti, che ha avuto la bontà di onorare la nostra cerimonia con la sua lezione inaugu­ rale, per il Prof. Cosciani e per i docenti che cureranno la forma­ zione dei funzionari. Ma in particolare, se me lo permette, desidero ringraziare Lei, Signor Ministro, per l ’iniziativa di questo corso di preparazione e addestramento per i funzionari dell’Amministrazione delle Tasse. L’ Amministrazione delle Tasse ha molti e gravi problemi da risolvere, ma fra i più sentiti è stato sempre .quello di formare una categoria di giovani funzionari che potesse affiancare i vecchi, più anziani e più esperti funzionari della nostra Amministrazione.

(*) In corrispondenza agli antichi voti, che trovarono piena eco in questa

Rivista (1942), per merito del Ministro delle Finanze, prof. Ezio Vanoni, quanto

del neo Direttore generale delle Tasse e Imposte indirette sugli Affari, prof. Gae­ tano Stammati, ITI ottobre si inaugurarono solennemente al Ministero delle Finanze i corsi di preparazione finanziaria per i 90 vincitori dell’ultimo concorso al posto di volontari nella detta Amministrazione.

li corso, teorico e pratico, ha la durata di un semestre e si svolge, sotto la direzione del prof. Cesare Cosciani, da valorosi docenti, secondo adatto pro­ gramma, die riguarda economia e tecnica finanziaria (Cosciani), Nozioni generali sull’ordinamento giuridico italiano (Orestano), Istituzioni di diritto tributario (A. D. Giannini), Stato giuridico degli impiegati e ordinamento dell'Ammini­ strazione finanziaria (Cristaldi), Contenzioso tributario (Cutugno e I>i Maio), Disposizioni sulle violazioni delle leggi finanziarie (Borrello), Diritto privato (Nicolò), Imposta di registro (Lintas, Ravagli, Berliri e Galamini). Imposte di successione e di manomorta (Battaglia e Virgilio), Imposte di bollo, con­ cessioni governative e in surrogazione del bollo e del registro (Colarusso e Cutugno), Imposta generale sull’entrata (Di Fiore e Cesareo), Norme sul pro­ cedimento esecutivo per la riscossione delle entrate patrimoniali e delle im­ poste indirette (Virgilio), Leggi sulla contabilità generale dello Stato e norme di contabilità demaniale (Di Maio).

Per l’inaugurazione pronunziarono i discorsi, che riteniamo opportuno di pubblicare testualmente, il prof. Gaetano Stammati, neo direttore generale delle Tasse e I.I. sugli Affari, l’on. Ezio Vanoni, ministro delle Finanze, e il prof. Griziotti.

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L’esperimento è coraggioso e forse anche audace, ina noi tutti quanti, Signor Ministro, docenti, discenti e funzionari tutti dell’Ammini­ strazione Finanziaria ci impegnamo perchè il Corso possa avere quei risultati che Lei spera. E oggi possiamo essere contenti non solo perchè iniziamo l’addestramento di un gruppo di funzionari, che potrà fare onore all’Amministrazione e rendere servigi allo Stato, ma anche perchè in questa Sala della Maggioranza, restituita «u- l’antica dignità e in parte all’antica funzione, forse oggi noi get­ tiamo il seme di quella Accademia dei funzionari dell’Amministra­ zione, che è nei voti di quanti sono pensosi di una burocrazia piu pronta, più preparata, più dotta.

Gaetano St a m m a t i

IL DISCORSO DEL MINISTRO

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— 323 —

mato l’attenzione sulla importanza di questo proposito ed è veramente eon soddisfazione che io, che ho sentito fin da allora dalle mie umili funzioni di studioso di scienza della finanza, l’importanza di questa indicazione, oggi saluto la prima realizzazione importante dell’indi­ rizzo segnato dalla relazione Montemurri. Ma è anche vanto dei fun­ zionari dell’Amministrazione delle Tasse e delle II. II. sugli Affari, di aver raccolto prima d’ora l’invito di quella relazione.

(26)

324 —

moralmente sana composta (li individui che sentono la funzione che lo Stato affida ad essi è il primo elemento perchè il Paese possa co­ struire il proprio destino, possa migliorare continuamente la propria posizione nel mondo e realizzare quella elevazione morale e sociale che certamente è nel cuore di tutti voi.

Io mi permetto di concludere queste mie brevi parole con questo monito ai giovani che entrane nell’Amministrazione : con lo stesso spirito, con lo stesso sentimento di sacrificio col quale avete com­ battuto sui campi di battaglia iniziate oggi questa nuova vita nel­ l’Amministrazione Finanziaria. Siate dei funzionari preparati, ma soprattutto siate dei funzionari coscienti del compito grave ed alto che lo Stato affida nelle vostre mani. Siate dei buoni funzionari, degli onesti cittadini e costruiremo così l’avvenire del nostro Paese.

Ezio Vanoni

LA PROLUSIONE AL CORSO

Il corso di preparazione per i volontari nell’Amministrazione delle Tasse e delle Imposte Indirette sugli Affari soddisfa a un antico voto di funzionari del Ministero delle Finanze e alle esigenze espresse più volte negli scritti del Ministro, prof. Ezio Vanoni, nei miei e di altri, come una condizione essenziale per la riforma della burocrazia e degli ordinamenti finanziari e per lo stesso progresso degli studi sulle finanze pubbliche.

Sono pertanto assai lieto di leggere il discorso inaugurale di questo corso, per illustrarne tutta l’importanza e la necessità, poiché con la nuova istituzione ci si propone di immettere progressivamente nell’amministrazione funzionari meglio preparati a comprendere il significato e l’esigenza della riforma delle tasse e delle imposte sugli affari che si sta preparando insieme a quella di altri rami delle finanze.

11 corso potrebbe avviare i funzionari ad applicare meglio le leggi con vantaggio dell’economia e dei contribuenti e in pari tempo contribuirà ad avviare fisco e contribuenti a migliori rapporti per mutua fiducia e cooperazione.

Invero la burocrazia è rimasta ligia alla prassi, informata a criteri ben diversi da quelli, che sarebbero utili ora per le esigenze della vita economica, e nell’applicazione delle tasse e delle imposte indirette sugli affari ne peggiora i vizi, inseguendo fantastiche pre­ sunzioni di ricchezze e di atti imponibili.

Queste presunzioni, anche se non aderenti alla realtà, portavano a un’imposizione non preoccupante, quando le aliquote erano basse da servire piuttosto all’esigenza di tasse anziché di imposte.

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rette sugli affari tenga conto non tanto delle presunzioni, quanto degli effettivi lucri differenziali o incrementi di valori realizzati dal venditore con un prezzo maggiore di quello da lui pagato nell’acqui­ sto della stessa cosa. Nei casi invece che la trasmissione a titolo oneroso non faccia realizzare nessun guadagno, ma persino una per­ dita, l’imposta dovrebbe colpire con un’aliquota molto vicina a quella di una tassa.

Ma l’anacronismo dell’applicazione delle leggi del registro e di altre imposte indirette sugli affari deriva dallo stesso ordinamento legislativo uniformato alle dottrine francesi, che risalgono a 150 anni addietro, quando il diritto finanziario non era ancora oggetto di studi scientifici. Perciò tali dottrine non tengono conto dei principi gene­ rali dei tributi e dell’autonomia del diritto tributario, per attenersi a criteri desunti esclusivamente dal diritto civile e interpretati con rigidezza per ragioni di fiscalismo, anziché derivati dalla realtà eco­ nomica, che forma l’oggetto dell’imposizione.

Sicché la prassi non corrisponde abbastanza alle esigenze proprie del diritto finanziario in vista dei caratteristici rapporti che deve regolare in modo differente dai rapporti civilistici.

Essa d’altra parte si attiene a considerare, per l’art. 8 della legge di registro, la natura e gli effetti (giuridici) degli atti, perchè oggetto del registro sono reputati gli atti della vita civile nel loro aspetto giuridico, quale risulta dal diritto civile.

Onde avviene che la prassi considera come presupposti iuris et

de iure tutte le norme di diritto civile, senza concedere la prova con­

traria necessaria per ricercare la realtà economica che sottosta all’atto designato dalla legge del registro, anche quando lo stesso diritto civile ammette tale prova contraria per regolare con esattezza i rap­ porti giuridici privati. Questa rigidezza è certamente ispirata anche da diffidenza verso il contribuente, quando non si spieghi (senza essere giustificata) per la preoccupazione di aumentare ad ogni costo le entrate dell’amministrazione delle tasse e delle imposte indirette sugli affari. Non occorre dire quanto dolorosi siano i sacrifici dei con­ tribuenti, costretti a pagare tributi altissimi quanto ingiustificabili. Basta pensare all’intrico delle disposizioni inique sugl atti nulli, an­ nullati e annullabili e i differenti casi, in cui il contribuente non sa come sottrarsi a ingiusta doppia, triplice o quadruplice imposizione di una sola effettiva compravendita.

Anche a questo proposito viene opportuna l’osservazione che l’eti­ ca fiscale non deve scostarsi troppo dall’etica sociale e individuale.

(28)

— 826 —

tassa di retribuzione dell’ufficio per la registrazione avvenuta dell’atto nullo, ma per il resto tutto è da rimborsare, perchè l’imposta manca di causa.

Occorre quindi che la riforma tributaria e 1 insegnamento che si sta per iniziare tengano conto dell’autonomia del diritto finan­ ziario e della realtà economica, come criteri generali dell’or dina mento e dell’applicazione delle imposte indirette sugli affari.

Autonomia del diritto finanziario non significa che gli istituti, le norme, i criteri del diritto civile o di altri rami del diritto o invece dell’economia cambino sempre il significato nella finanza. Ma si vuole affermare che il senso non è sempre identico, poiché può avvenire che un atto, nel diritto civile destinato a regolare rapporti della vita privata, si presenti con esigenze diverse per i particolari fini delle finanze pubbliche, onde merita un ordinamento finanziano ap­ propriato.

È la funzione della finanza che la caratterizza e sempre allo studio di tale funzione ci si deve rivolgere per distinguere l’atto o la norma della finanza da quelli similari del diritto civile aventi a loro volta una funzione propria.

L’imposta in conformità alla sua funzione regola un rapporto economico-sociale in vista di prelevare per la spesa pubblica una parte della ricchezza privata. Così l’imposta per la legge di registro incide la ricchezza risultante dall’atto di compra-vendita e non il rap­ porto giuridico espresso dall’atto. Se l’atto è simulato, ciò avviene perchè si vuole sottrarre la ricchezza dell’atto dissimulato all’impo- sizione che le spetta.

Quindi nell’interpretare l’art. 8 della legge di registro si deve intendere l’intrinseca natura economica e gli effetti economici delle imposte, salvo che esse, come le mere tasse fisse, o anche in taluni casi le imposte, colpiscano invece gli istituti giuridici in ragione della loro mera natura civilistica.

Si è detto che, per quanto l’imposta di registro colpisca la ric­ chezza, in virtù dell’art. 8, all’atto simulato si sostituisce per l’im­ posizione l'atto dissimulato, quindi il punto di partenza quanto quello d’arrivo si riferiscono sempre a un atto di natura giuridica. Ma è da osservare contro questa considerazione, che il momento cri­ tico per la scoperta della simulazione, è quello in cui si riconosce l’effettivo e intrinseco rapporto economico. Quindi l’intrinseca natura e l’effetto dell’atto sono di carattere economico, poiché l’indicazione dell’atto giuridico dissimulato avviene per il precedente riconosci­ mento del sottostante e reale rapporto economico.

(29)

timento metodologico di portata più vasta, anche se pare mortificante per il cultore del diritto privato, in relazione alla fecondità e appli­ cabilità dei suoi concetti e delle sue categorie nel campo del diritto tributario. La conclusione è questa: che le categorie e i concetti, che il privatista elabora, hanno una portata limitata, circoscritta cioè all’applicazione delle norme di diritto privato sostantivo : nel campo del diritto tributario, non è solo la natura o l’essenza privatistica delle cose e dei rapporti che viene in considerazione, ma anche, e ben più, il finalismo della norma tributaria, per effetto del quale non la natura o la struttura giuridica privatistica delle cose e dei rapporti è decisiva, ma un particolare aspetto economico del rapporto o della

cosa — l’entità del trasferimento, il reddito, l’arricchimento, ecc. se­

condo i casi — quell’aspetto, cioè, al quale, per una valutazione di natura essenzialmente politica, si commisura, caso per caso, a secon­ da dei diversi tributi, la capacità contributiva del soggetto, e cioè la gravabilità fiscale del rapporto: quella che solo della obbligazione tributaria può dirsi la causa ».

Passando, dunque, al principio generale è sempre alla realtà economica che si deve rivolgere lo sguardo sia nella dottrina sia nell’applicazione della legge, a meno che l’imposizione o la tassazione riguardi meri istituti giuridici.

Occorre che questo principio generale emerga nella legislazione quanto per l’amministrazione della legge di registro.

Oggi invece la realtà economica non è considerata dall’ammini­ strazione finanziaria. Se ne ha la prova a proposito dell’art. 21 (in attesa della sua riforma), nonostante che l’inflazione ne abbia reso impossibile la sua attuazione (1).

Un tale pagò l’imposta di registro sul valore della piena pro­ prietà al momento della separazione della nuda proprietà dall’usu­ frutto, come gli uffici suggerivano di fare allora. Ma, cinque anni dopo, un ispettore superiore considerò i i)/10 dell’imposta pagata' per il valore della proprietà nuda, lasciando che l’usufrutto fosse colpito alla riunione. Il decimo d’imposta però non venne rimborsato al contribuente. Sicché questi giustamente chiede al Ministero di es­ sere liberato dalla richiesta di un’enorme, perchè sfasata, imposta sulla decima parte del valore, avendo già pagato l’imposta sul valore totale della proprietà. Invece il Ministero risponde al contribuente di muovere istanza alle commissioni tributarie. Eppure il caso è evi­ dente: l’imposta era già stata riscossa integralmente e le scritture dell’ispettore superiore non hanno modificato lo stato di fatto.

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