MARZO 1950 Pubblicazione trimestrale Anno IX - N. 1 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV
RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO
E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E
(e
RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)
D I R E Z I O N E : L U I G I E I N A U D I
Membro onorario
ACHILLE D. GIANNINI BENVENUTO GRIZIOTTI
Pubblicazione sotto gli auspici
della Came r a di C o mme r c i o di Pav i a
La Direzione - Redazione è a I’avia, Istituto di Finanza presso l'Università e la Camera (li Commercio, Corso dei Partigiani 03, presso il Prof. Benvenuto Grillotti, al quale devono essere inviati manoscritti, bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia, eco.
Redazione corrispondente in Roma presso Prof. Cesare Cosciali!, Via Cesare
Battisti 121, p. I li, Roma e presso Prof. Gian Antonio Micheli, Via del Ba- buino 89, Roma.
L’ Amministrazione è in Milano, corso Italia, 1, presso l’editore A. Giuffrè. Ad essa vanDo indirizzate le richieste di abbonamento le.e. postale 3/17988), le comunicazioni per mutamenti di indirizzo e gli eventuali reclami per man eato ricevimento di fascicoli.
Condizioni di abbonamento
Abbonamento annuo L, 1800
Estero . . . . » 3000
Fascicoli separati . » 700
L'abbonamento decorre dal 1” gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri dell’annata, compresi quelli già pubblicati.
Il pagamento può effettuarsi direttamente all’editore, anche con versamento sul conto corrente postale 3/17980, indicando a tergo del modulo, in modo leggi bile, nome, cognome e indirizzo dell’abbonato; oppure presso i suoi agenti a ciò autorizzati. Esso deve essere effettuato entro il 15 marzo di ogni anno. Tra scorso tale termine l’amministrazione provvede direttamente all’incasso nella ma niera pili conveniente, addebitando le spese relative.
Le richieste di cambiamento di indirizzo devono essere accompagnate dal l’Importo di L. 40 in francobolli.
I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro 10 giorni dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine, non si spediscono che contro rimessa dell’ importo.
Gli abbonamenti che non saranno disdetti entro il 10 dicembre di ciascun anno si intenderanno tacitamente rinnovati per l’anno successivo. L’abbonamento però non può essere disdetto se l’abbonato non è al corrente con i pagamenti.
Per ogni effetto l’abbonato elegge domicilio presso l’amministrazione della rivista.
P A R T E P R I M A
I L P O T E R E F I N A N Z I A R I O
Ai principi di questo secolo un eminente giuspubblicista tedesco Otto Mayer fu invitato da giuristi francesi, A. Bertlielémy, G. Jèze e altri, a scrivere in francese un volume sul diritto amministrativo te desco, per rilevare le derivazioni e le divergenze dal diritto francese. Mi piace oggi di riprendere, la lettura delle due pagine scritte da Mayer per caratterizzare il potere finanziario e mettere in rilievo come esse contrastino con il mio sistema d’idee e con quelle tradizionali dèi pensiero latino. Il rilievo è importante perchè dall’insegnamento del Mayer trae origine la teoria, tedesca e svizzera e parte di quella fraìncese ed italiana nel diritto tributario che a quella si sono accostate.
Scrive infatti Otto Mayer al § 26 : « Les finances sont les revenus de l’E tat; l’administration des finances est l’activité de l’Etat concer nant ses revenus. Le pouvoir financier, c’est la puissance publique di rigée vers les reyenus de l’Etat.
Ce pouvoir n’apparaît pas dans les activités d’économie privée par lesquelles l’Etat peut se créer des revenus, dans les dispositions de droit civil sur les biens de l’Etat et leurs produits, contrats de bail à ferme et de bail à loyer, etc.
Mais nous ne le reconnaissons pas non plus dans tous les rapports de droit public, d’où résulte, pour l’Etat, un avantage pécuniaire. Les amendes et les confiscations, les rétributions pour les jouissances con cédées et les droits à la restitution de derniers publics confiés aux comptables appartiennent à l’ensemble de leurs institutions juridiques spéciales, comme moyens ou comme résultats de rapports préexistants.
Nous n’appelons la puissance publique pouvoir financier que dans les cas où elle agit sur le sujet pour le besoin des revenus de l’Etat^ spontanément et en dehors de rapports spéciaux.
Ainsi limité, le pouvoir financier forme la notion supérieure qui réunit toute une série d’institutions juridiques qui la placent à côté du pouvoir de police comme un principe d’une nature essentiellement analogue et ayant avec elle une grande affinité.
Dans l’un et l’autre cas, la puissance publique se manifeste par des effets strictement unilatéraux. Elle se borne à commander, à im poser, à contraindre; lorsqu’elle semble accorder au sujet quelque chose, c’est tout au plus un relâchement de cette force dominatrice.
Mais, d’un autre côté, les deux pouvoirs présentent, dès le début, une importante différence.
po-— 4
lice: c’est le devoir général de ne pas troubler le bon ordre. L ’exer cice du pouvoir financier n’a pas ce fondement de droit naturel; le devoir général du sujet de payer des impôts est une formule dénuée de sens et de valeur juridique.
En revanche, dans l’organisation de l’Etat constitutionnel, on a placé au-dessus de tout le mouvement des finances et spécialement au-dessus de la manifestation la plus importante du pouvoir financier __ la perception des impôts — un autre régulateur suprème, C’est le budget de l’E tat; il est déterminé, à son tour, par le droit budgétaire de la représentation nationale; il apparaît dans la loi du budget ».
Tutto quanto osserva Otto Mayer è ricco d’interesse scientifico- giuridico e meritevole di larga meditazione.
Innanzitutto si può osservare che la definizione del Mayer è ri stretta e fondata su osservazioni che meritano la critica :
A) La legge del bilancio e, secondo la Costituzione italiana, l’art. 23 — per cui « nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge » — hanno per compito di garantire i contribuenti contro l’arbitrarietà delle imposizioni e stanno quindi ad indicare le fonti legislative ma non il fondamento dei tributi, la loro legittimità, ma non la loro giustificazione.
B) L’art. 53 della Costituzione — per cui « Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contri butiva » — sta ad indicare per noi Italiani che il potere finanziario non è formula priva di senso e di valore giuridico.
C) Senza ricorrere alle ricerche di diritto naturale, al quale il Mayer riconosce valore a proposito del potere di polizia e non già ri spetto al potere finanziario, si può per questo ultimo dimostrare in base alla ricerca delle funzioni, che esso adempie, come il potere finan ziario non sia collegato soltanto alla legge del bilancio, ma a un pre supposto sostanziale, che lo spiega e lo giustifica.
Il presupposto è che le entrate siano destinate alle spese pubbli che e che esse siano giustificate moralmente prima ancora che giuri dicamente. Le spese pubbliche sono fertili di servigi, che assicurano le condizioni generali della vita sociale e della prosperità economica nazionale e che anche possono recare diretto e particolare beneficio ai singoli membri della collettività.
Sintesi delle entrate pubbliche in rapporto alle spese pubbliche
Entrate derivanti da
I) — occupazione originaria
— liberalità (inter vivos o causa mortis) — assegnazione da ente ad ente pubblico
II) — commutazione diretta fra servigi (o spese) ed entrate per
а) controprestazione, per es. corrispettivi da entrate patrimo
niali, imprese pubbliche, istituti pubblici
б) controprestazione + capacità contributiva, per es. regalie di monopoli fiscali, tasse ed imposte di registro
c) beneficio, per es. contributi e imposte speciali
I I I ) - commutazione indiretta fra servigi (o spese) ed entrate per
d) capacità contributiva + controprestazione, per es. imposte di
rette e imposte indirette.
Se non si può stabilire tale relazione fra servigi (o spese) ed en trate, si esce dal settore delle entrate fiscali, che sono commutative, ad eccezione del primo gruppo, per entrare nel grande gruppo delle
entrate coattive. Queste peraltro si suddividono in due categorie.
La prima riguarda le entrate extrafiscali, per le quali è ancora riconoscibile il fondamento di presunta utilità dello scopo che esse hanno per funzione di raggiungere, ma non a favore dei contribuenti bensì di altre categorie o della collettività o dello Stato.
La seconda comprende le entrate irrazionali o arbitrarie, le estor sioni, così dette dai giuristi e dai teologi medievali, che si fanno spe-> cialmente in tempo di guerra o presso popoli selvaggi.
A queste due ultime categorie di entrate si addice la nozione di potere finanziario di Otto Mayer, ma non alle imposte e alle altre entrate fiscali.
I) Entrate extra-fiscali:
— per il principio della protezione, dazi protettivi
— per il principio àe\V indennizzo, entrate penali e di polizia — per il principio della redistribuzione, imposte redistributive. II ) Entrate irrazionali o estorsioni (fiscali ed extra-fiscali):
— per il principio della capacità contributiva in senso assoluto, taglie, razzie
— per il principio della capacità contributiva; artificiosamente rappresentato, angherie
— per il principio della bancarotta, per es. bancarotta, inflazio ne, ecc.
D) Nel diritto finanziario la dottrina funzionale o causale è da
fondare in termini autonomi rispetto alla dottrina della causa nel di ritto privato, come una specie è autonoma rispetto a un’altra specie nell’unità del genere comune. In altri termini la causa nel diritto
finanziario ha un carattere specifico e si differenzia per ogni entrata in modo da caratterizzarla, distinguerla e dare ad essa un contenuto specifico.
E) Data la funzione extra-fiscale accanto a q u e l l a fiscale delle
entrate, la ricerca della funzione del potere finanziario si estende sia rispetto alle entrate e alle spese, sia al complesso dell’attività dello Stato per il conseguimento dei suoi fini. Il potere finanziario pertanto non è da limitare, come nella teoria del Mayer, solo all’esercizio del diritto tributario.
F) Infatti le manifestazioni del potere finanziario (p.f.) sono mol teplici :
1) si ha un p.f. autonomo e diretto come ad es. rispetto all impo sta fondiaria. Ma esso si manifesta anche nei prestiti perpetui, in
quanto questi non possono essere concepibili solo nella finanza P u b
blica, mentre nell’economia privata non si può parlare che di prestiti a tempo limitato, appunto perchè nell’economia privata manca ciò che caratterizza l’economia pubblica, cioè l’esercizio del potere finanziario in virtù del anale possono essere sempre prelevati dei tributi in tutti i tempi per il servizio (interessi e ammortamento) dei prestiti con tratti in antecedenza, onde anche nei prestiti sta a fondamento il p-f-,
2) p.f. complementare, allorché il p.f. è sussidiario di un altro po tere per il conseguimento dei di lui fini, come il potere penale, che si vale della cooperazione del p.f. per il conseguimento delle entrate penali, che sono pur sempre entrate finanziarie, le quali soddisfano innanzitutto a compiti del potere penale;
3) p.f. riflesso, come nel caso dèlia confisca compiuta con lesei- cizio del potere di polizia, con il risultato però di ’procurare un en trata pubblica che sta ad indicare l’avvenuto esercizio del p.f. ;
41 p.f. sostituito, che si ha nel caso in cui un altro potere, come nnello di polizia, si esercita per costringere i cittadini alla sottoscri zione dei prestiti pubblici (prestiti politici) sostituendosi così esso alle funzioni proprie del p.f. nel caso di prestiti forzosi.
5) p.f. occulto, che è speficato nel caso di spese pubbliche imposte ai privati o per la pulizia o per la riparazione o costruzione delle strade ecc., nei quali casi la spesa pubblica abbrevia la via finanzia ria dell’imposizione di un’entrata pecuniaria con la quale provvedere alla spesa pubblica, accollando ai privati l’onere di questa,
6) p.f. apparente, è dato dalle leggi finanziarie extrafiscali, le quali, come un dazio protettivo, non hanno lo scopo di procurare una entrata, ma di ottenere direttamente un fine dello Stato, come nel caso del dazio, la protezione di una categoria economica, e non già una entrata finanziaria, che può anche mancare nel caso di massima pro tezione ;
— 7 —
rebus sic stantibus, mediante una variazione delle clausole contrat
tuali di locazione o concessione per ciò che riguarda i prezzi oppure con una sostituzione di un prestito forzoso a basso interesse o a lungo termine a un prestito portante più alto interesse e una breve scadenza.
Bastano, io credo, questi rapidi appunti per dimostrare tutta la infondatezza della teoria del Mayer sul potere fiscale e come la conce zione sua del potere fiscale sia molto ristretta rispetto a quella del potere finanziario, di cui abbiamo misurato tutta l’estensione con le distinzioni di esso appena fatte più sopra.
Rimane, invece, da quanto ho scritto sopra le applicazioni del p.f. di tutta evidenza la proprietà della definizione del Mayer (le pou voir financier c’est la puissance publique dirigée vers les revenus de l’Etat) a caratterizzare il p.f. da me esaminato.
Si può, dunque, con piena convinzione affermare che non è una formula priva di senso e di valore giuridico il dovere generale dei cit tadini di fronte ai tributi e come esso sia stato bene inciso nell’art. 53 della Costituzione, sicché anche sotto questo aspetto esso ha integrato l’art. 23 della Costituzione, per completare le norme costituzionali del potere finanziario e dei diritti e doveri dei contribuenti.
Resta poi pienamente giustificata la prevalenza da darsi alla dot trina classica e tradizionale italiana, che insegna che in materia di tributi si debba sempre, per il giusto orientamento, fare ricorso alla ricerca della causa dei singoli tributi per trovare in essa spiegata la funzione che esercita il potere finanziario e controllare se essa sia o non sia lecita secondo l’insieme dei principi giuridici e politici, che caratterizzano l’attuale ordinamento statale.
A questo proposito è particolarmente meritevole di segnalazione il De Regimine Reipuhlìcae Tractatus F ertilis di Agostino Caputo, Napoli, 1621) che nei paragrafi 27 e 28 del cap. V II detta i principi generali del diritto finanziario ad istruzione dei deputati che debbono imporre tributi e dei professori universitari che debbono spiegarli. Con espressione incisiva il Caputo osserva che bisogna esaminare l’ori gine dei regni, per conoscere i limiti dei tributi che vi si possono im porre. Se i regni vennero ottenuti con la guerra e sono tenuti col di ritto di guerra, allora è lecito imporre qualsiasi tributo ai sudditi ; altrimenti bisogna attenersi alla ricerca della causa dei tributi e di stinguere se la causa del diritto d’imporre (causa condictionis) sia l’utilità che lo Stato reca alle cose o alle persone per consentire o l’im posta reale o quella personale. « Sempre è da riferirsi alla causa, per la quale s’impone il tributo, non potendo il re imporre un tributo senza causa, e la causa sia quella, che limita e distingue i tributi e dà ad essi il contenuto specifico ( causa sit illa, quae limitât et distin
gu a munera et dat eis esse specificum) ».
LA TE O E IA DELL’IM POSTA ECONOMICA (1)
Sento il dovere di manifestare la mia più viva gratitudine alla fa coltà giuridica di questa Università per avermi concesso l’altissimo onore di chiamarmi ad impartire il corso della scienza delle finanze. Onore tanto più grande, non solo perchè mi permette di continuare quei vincoli di affetto che mi legano a questa Università, dalla quale appresi studente i principi della scienza e nella quale mossi i primi passi nell’insegna mento universitario, ma sopratutto perchè mi consente di adempiere il mio elevato ufficio in una delle cattedre economiche, le quali, al pari delle altre, hanno tradizioni gloriose. Agli insigni maestri, i quali mi istradarono nelle discipline giuridiche ed economiche, invio il mio com mosso e reverente saluto; tra gli scomparsi ricordo il Chironi, il Pa- tetta, il Castellari, il Brondi, il Pacchioni, il Ruffini, il Mosca, il Car rara ed il Loria, e tra i viventi il Solari, lo Jannaccone e l’Einaudi.
Luigi Einaudi mi ha, in modo particolare, educato all’amore della scienza ed ha illuminato i miei studi economico-finanziari.
Dopo i corsi universitari, essergli stato vicino, per lunghi anni, quasi ininterrottamente, anche direi per esigenze di ufficio, è stata per me fortuna insperata e grandissima; egli perciò, per chi vi parla, è stato ed è non solo maestro di scienza, ma anche di opere e di vita. Continua re il suo insegnamento, l’insegnamento che rappresenta la missione più cara e più preziosa del suo vivere, è per me onore e, nello stesso tempo, orgoglio grandissimi, perchè realizza la mia suprema aspirazione.
Permettete che, in questo momento solenne, in cui ho il privilegio della parola che esprima pubblicamente la mia profonda ed affettuosa riconoscenza al venerato Maestro.
D’altra parte un senso di profondo smarrimento assale l’animo mio quando penso alle menti eccelse che illustrarono questo Ateneo, quando penso all’opera compiuta dal Maestro nei suoi lunghi anni d’insegna mento e consideri la esiguità delle mie forze, impari alle esigenze della dignità dell’ufficio che sono chiamato ad assolvere.
Umilmente con tutte le mie energie tenterò di seguire la via segnata dai Maestri, nella speranza e nella ferma convinzione che il culto sin cero e profondo che porto alla scienza e con esso alla verità mi sorreg gerà ad assolvere l’arduo compito.
— 9
mettete che rivolga ancora un saluto alle Università eli Bari, Modena e Padova, dove ho insegnato per tanti anni.
1. — Caratteristica dello stato moderno è quella di estendere sempre
più la sua attività nel campo economico e sociale; alle principali e fon damentali sue funzioni, della difesa interna ed esterna, della gmstizia ecc. che l’esperienza aveva dimostrato meglio possono essere adempiute dallo stato nell’interesse della collettività, altre se ne sono aggiunte in conseguenza dello sviluppo economico e del progresso della civiltà.
Timidamente affermatosi l’intervento dello stato verso la fine del se colo XIX e nei primi anni del secolo XX, si è dilatato nella prima guerra mondiale; il tentativo di riduzione operatosi negli anni successivi fu reso vano dalla seconda guerra mondiale la quale accentuando enormemente il fenomeno, ha moltiplicato le nazionalizzazioni, le statizzazioni di intra prese economiche e commerciali, le pianificazioni. Lo stato non deve più limitare la sua attività alle sue funzioni fondamentali ed a creare l’am biente giuridico, entro i cui limiti posti possono gli uomini agire libera mente, ma deve anche regolare il contenuto, le modalità e gli scopi del l’azione dell’uomo.
Le diverse politiche economiche degli stati possono essere distinte in due tipi:
A) il primo comprende quelle che sono compatibili con un mercato di concorrenza (dazi protettivi, regolamento di borse, leggi sulle ore di la voro, sui minimi di salario, sulle assicurazioni sociali, ecc.; leggi intese a regolare o limitare i monopoli dei produttori e le leghe dei lavoratori che tendono a costituirsi sul mercato), compatibili perchè è affidata alla volontà dei produttori manifestata liberamente, attraverso il mercato, la soluzione del produrre o meno ed operano dentro i ben definiti limiti di un’organizzazione coercitiva regolata dalla legge.
B) Il secondo tipo comprende quelle politiche che sostituiscono all’ini ziativa privata dei consumatori e dei produttori la volontà dello stato e sono incompatibili con 1’esistenza di un mercato di concorrenza, nel quale consumatori e produttori si incontrano liberamente (contingentamento delle merci straniere da importare, controllo dei cambi e dei prezzi delle divise estere, ecc.). Questo secondo tipo di politica economica perchè possa funzionare perfettamente tende fatalmente alla collettivizzazione inte grale, in cui la produzione dei beni e dei servizi ed il regolamento del consumo e dei prezzi è affidata allo stato.
Prevalente, fino alla vigilia della prima guerra mondiale era il tipo di politica economica di tipo A, cioè di concorrenza o di limitata con correnza ; oggi è quella di tipo B, che per distinguerla da quella di tipo A) si può dire della economia regolata dall’alto.
2. — D ate queste nuove tendenze delle politich e economiche si so stiene che l ’ attività finanziaria statale, dilatan dosi, deve assumere a ltri orientam enti, deve ba sa rsi su a ltri p rin cip i, abbandonando quelli seguiti in precedenza. C osì l ’ im posta deve assumere altre fu n zio n i; non p iù b i lan cio annuale, ma b ila n ci p lu rien n a li; il p rin cip io dell’equ ilibrio finan zia rio deve essere sostitu ito da quello del disavan zo; laddove il debito pu b b lico non sia sufficiente a colm are i disavanzi dei b ila n ci si ric o rra senz’a ltro alla inflazione.
F erm iam oci al p rim o punto dei n uovi orientam enti che la finanza statale dovrebbe og g i seguire, quello d ell’ im posta.
L ’im posta non deve lim ita rsi ad essere strum ento per p rocu rare i mezzi p er raggiungere i fini dello stato, ma contem poraneam ente deve essere congegnata in modo da raggiungere gli a ltri fini che sono sugge riti dalla p olitica econom ica prescelta.
P oich é è urgente in tutti g li stati coin v olti nella guerra procedere alla restaurazione econom ica (ricostru zion e opere pu bblich e, im pianti indu striali, case, ecc., distrutti d a lla guerra) ci deve essere un’im posta che m iri a raggiungere questo fine (fine di carattere econ om ico); volendosi assicurare il pieno im piego, un’ a ltra im posta o le vecchie im poste dilatate devono avere il com pito di raggiungere questo a ltro fine; ed un a ltro tip o di im posta deve essere istitu ito a llo scopo di ottenere una m igliore d i stribuzione della ricch ezza; ed un’ a ltra ancora per in coraggiare la n a ta lità, ecc. D i fronte a ll’ im posta fiscale, se così si chiam a quella che serve a forn ire i mezzi per raggiungere i fini fon dam en tali dello stato, d o vrebbero essere istitu ite altre im poste od in grossa rsi quelle preesistenti allo scopo di raggiungere fini specifici di carattere econom ico, p olitico, sociale, ecc.
G li assertori della teoria non si lim ita n o a mere enunciazioni di p rin cip io, ma delineano anche in qual m odo dovrebbero essere d isti i- buite le im poste a seconda dei d iversi fini che lo stato si è prefisso di raggiungere. E ’ ch iara la incoerenza del sistema e la im p ossibilità di a ttu a rlo : norme trib u ta rie in trodotte per in cora ggia re l ’in iziativa p r i vata sono in aperta contraddizione con altre norme, le quali, fa cen d o ne cessariam ente parte di un sistema di im poste che m ira ad attuare una diversa distribuzione della ricchezza, scoraggian o quella in iziativa me desima.
I l problem a m erita di essere discusso, in questa sede, sovratutto dal punto di vista della n atura della scienza che e m io u fficio insegnate, la scienza delle finanze. Si afferm a, in verità, essere vano o incom pleto esa m inare il problem a dal punto di v ista econom ico, perchè la scienza delle finanze è per sua n atu ra scienza p o litica , dato che i suoi fenom eni non si prod u con o e non si spiegano se non in considerazione del fa tto p o li tico. L ’ attività econom ica statale essendo a sua v olta p olitica , il tutto si riduce o si confonde con la scienza p olitica . E ’ questo progresso o una inyoluzione, un regresso nella in dagin e scientifica, la quale progredisce anzitutto lim itando il cam po delle in dagin i, specializzando i cam pi di
— 11 —
studio e procedendo per gradi, per non cadere nella fallacia della confu sione fra elementi eterogenei?
3. — L’attività finanziaria, di cui il fenomeno tributario è un parti
colare aspetto, è fenomeno complesso concorrendo fattori di carattere sociale, giuridico, politico od economico; si può studiare da qualunque punto di vista, partendo però da alcune ipotesi semplici per vedere quali ne siano le conseguenze, mediante un rigoroso ragionamento; e solo in seguito si possono complicare le ipotesi per indagare quali siano i risul tati delle nuove premesse. Studiato il problema, per esempio, dal punto di vista politico ed arrivati a conclusioni che appaiono finali sotto tale aspetto, lo si può studiare in seguito dal punto di vista giuridico e via dicendo. Una mente superiore potrà trarre la sintesi delle diverse con clusioni; ma condizione sine qua non, perchè possano accogliersi le con clusioni dello studio di un problema da un punto di vista particolare è che l’esame e il ragionamento siano condotti con strumenti propri della scienza particolare cui il problema è studiato.
Errato è il ragionamento di chi partendo da premesse storiche o giu ridiche vuole arrivare a conclusioni di carattere economico o viceversa o addirittura di carattere generale. Le opinioni dei sostenitori di erigere a sistema la imposta extrafiscale hanno questo vizio d’origine: non sa rebbe difficile la loro confutazione per mettere in evidenza, fra l’altro, le contraddizioni, tra le quali quella fondamentale e di pura logica e cioè il voler trasformare un mezzo (imposta) in un fine, anzi procedendo per frazionamenti di questo mezzo, in tanti fini. Nello stesso tempo il mezzo deve conservare parzialmente la sua natura, quella di provvedere al fab bisogno dello stato per perseguire i suoi fini fondamentali (difesa, giu stizia, ecc.) e per il residuo, senza precisarne la misura, deve trasformarsi in tanti fini.
Seguo perciò altra via per dimostrare la bontà della imposta fiscale. Il pensiero, qualunque sia il suo contenuto per essere vero nella sua forma, cioè nella relazione puramente logica che pone tra i suoi termini, deve uniformarsi a determinate leggi o principi fondamentali. Un ragio namento logico presuppone che i concetti, i giudizi, il sillogismo siano rigorosamente formulati con determinate regole e così dicasi delle defini zioni, delle ipotesi, dei postulati, degli assiomi che sono le premesse fon damentali per la soluzione di qualsiasi problema. Data una tesi di cui si vuol dimostrare la verità, date le premesse, la dimostrazione della tesi stessa è inoppugnabile se si sono adottati procedimenti logici per cui dalla verità delle premesse derivi necessariamente la verità della tesi stessa. Tutto ciò implica che le promesse siano vere, e che l’ipotesi ac colta per spiegare un dato fenomeno, sia scientificamente accoglibile, che non sia in contraddizione con altri principi o leggi; che l’assioma sia effettivamente tale e non sia una semplice proposizione.
4. — Poiché i problemi della finanza pubblica sono problemi econo
Nell’ordinamento economico attuale abbiamo individui e stato che collaborano al raggiungimento del benessere collettivo, il quale si con segue producendo beni e servizi che si scambiano per conseguire il mas simo appagamento degli uni e dell’altro; operano quindi gli individui per il conseguimento dei propri fini che sono innumerevoli e che crescono collo sviluppo della civiltà e sono indefiniti. Sono Ani individuali quelli che l’individuo si propone di perseguire per la propria conservazione e per il proprio sviluppo; sono collettivi quelli che lo stato reputa di per seguire per la propria conservazione e per il proprio progresso; mentre i primi non eccedono la durata della vita fisica degli individui stessi, quelli dello stato si protendono nel tempo. La ripartizione tra fini indi viduali e fini collettivi muta attraverso il tempo a seconda della organiz zazione statale e l’intensità della vita economica in un continuo avvicen darsi di espansione dei fini individuali e la riduzione dei fini statali e viceversa.
La scienza economica è una scienza di mezzi, non dice agli individui devi o non devi fare questo o quest’altro, ma si limita a dire agli indi vidui quali siano le conseguenze del loro modo di agire. Data la limita zione dei mezzi, non tutti i fini si possono raggiungere, epperciò biso gna scegliere tra diversi fini; oppure quei dati fini si possono raggiun gere solo in parte e bisogna scegliere quella parte che del tutto è conse guibile. Ogni scelta si risolve in definitiva nell’applicare dati mezzi ad alcuni fini escludendone altri oppure nella ripartizione di una data en tità di mezzi a determinati fini in modo che ciascuno sia raggiunto sino a un certo punto.
Lo stesso ragionamento si applica all’attività dello stato; non tutti i fini voluti dallo stato si possono raggiungere; o se si vogliono raggiun gere alcuni fini bisogna rinunciare ad altri, oppure perseguirne in parte tutti o alcuni. Tanti i fini individuali quanto quelli collettivi sono diretti a raggiungere il massimo benessere della collettività, nel più ampio senso significato dalla parola non solo materiale ma morale; individui e stato agiscono congiuntamente per conseguire i fini individuali e collettivi.
Il fatto primo è il reddito che si produce annualmente nell’ambito dello stato stesso ed è questo reddito il quale deve essere ripartito tra stato e individui: se la nuova ricchezza prodotta nell’anno è cento, o mille o diecimila miliardi e si reputa di destinarne un quarto, e cioè su cento miliardi 25 miliardi ai fini collettivi, restano 75 miliardi per i fini privati; se si vuole aumentare la quota destinata ai fini collettivi di al trettanto decresce la quota destinata ai privati. L’arte del politico finan ziere è di operare quelja distribuzione che giovi a rendere massimo il to tale ; ma in ogni dato momento il reddito disponibile, ad esempio, 100 miliardi è un dato di fatto; come pure i 25 miliardi, fabbisogno dello stato per coprire le spese atte a raggiungere i suoi fini, è, in quello stato del reddito nazionale, un altro dato di fatto; i 75 miliardi residui, che sono lasciati ai privati per raggiungere i propri fini è un altro dato di fatto.
— l ‘ò —
tra stato e individui, si presenta l’altro problema: come ripartire il fab bisogno dei 25 miliardi che rappresenta la massa delle imposte fra i con tribuenti? Si può operare una ripartizione tale per cui si possa raggiun gere un equilibrio stabile, il che, in altre parole significa, ottenere il massimo benessere collettivo, dati i mezzi disponibili?
5. — Nei primi trattati di economia politica dopo lo studio della pro
duzione, della distribuzione e della circolazione della ricchezza, ve ne era uno dedicato al consumo, cioè alla distruzione della ricchezza, di cui una notevole parte era effettuata dallo stato mediante il prelevamento delle imposte.
Questo concetto dell’imposta attraverso il tempo, e in relazione al concetto e alle funzioni dello stato, ha subito una radicale trasforma zione, sicché oggi la dottrina più autorevole nega l’esistenza dell’imposta, quale strumento di distruzione da parte dello stato di quel reddito che esso preleva sul reddito che altri, il contribuente, avrebbe prodotto. L’af fermazione può sembrare a prima vista paradossale, ma risponde al vero ove si esamini in profondità l’intima essenza della imposta.
Se lo stato esiste, nè è possibile il suo disconoscimento, perchè altri menti si avrebbe l’anarchia, la vita della jungla, e sarebbe impossibile quindi la convivenza civile; se lo stato partecipa alla produzione della ricchezza per il raggiungimento del benessere collettivo, la quota parte della ricchezza annualmente prodotta e attribuita allo stato stesso non rappresenta altro che il compenso, la rimunerazione dell’apporto dell’ope ra sua. Diamo ad esso il nome di imposta solo per distinguerla dalle rimunerazioni degli altri coefficienti che concorrono al processo produt tivo, quali la natura, il lavoro umano, il capitale e l’organizzazione pri vata (impresa), rimunerazioni che rispettivamente sono denominate ren dita, salario, interesse e profitto.
Se le diverse e tutte le rimunerazioni debbono essere commisurate all’apporto concreto alla produzione per ognuna di esse; quella spettan te allo stato non grava su nessuno, non distrugge nulla, come nulla di struggono il salario, l’interesse ecc. per il lavoro ed il capitale ecc. impie gati nella produzione. Questo è il contenuto vero della quota del reddito nazionale, che continua a chiamarsi col nome antico di imposta, nono stante il connotato errato di prelievo che continua ad essere connesso con quel nome, solo per distinguerla dalle altre rimunerazioni. L’imposta si può qualificare con l’aggiunta di qualche appellativo, come per es. economica, per distinguerla da tipi di imposta esistiti attraverso il tempo e che continuano ad esistere attualmente.
L’imposta concepita e distribuita con criteri economici ha per scopo, unico ed esclusivo, di fornire allo stato i mezzi necessari per raggiun gere i suoi fini.
— u —
'
1
tempo, invariato rimanendo il giudizio di ogni uomo stilla destinazione di ogni unità di reddito.
La imposta generale ed uniforme non vuol dire imposta ad aliquota costante. Può essere anche ad aliquota progressiva, quando la progressi vità sia una esigenza tecnica del ridurre i redditi ad un comune denomi natore e cioè alla omogeneità. Cento lire di reddito derivanti dal lavoro non sono uguali a cento lire provenienti dall’impiego di capitale, essendo differente la loro disponibilità e quindi diversa la loro natura. Altri re quisiti delPimposta economica o neutra o fiscale sono la certezza, la og gettività, la ordinarietà che non è il caso di esaminare.
Agli economisti italiani dell’800 spetta il merito della scoperta del l'imposta economica, perfezionata in seguito dal Sax, dal Pantaleoni, dal De Viti de Marco e dall’Einaudi.
Yi è una ripartizione della ricchezza fra i diversi fattori produttivi che è ritenuta la più conveniente in quanto si rende massima la fecon dità della ricchezza stessa. L’imposta economica è quella che, costituendo un fattore dell’equilibrio totale ottimo in ogni dato momento, tende a rendere massimo il proprio rendimento per lo stato e contemporaneamente ad incrementare al massimo il reddito dei privati ed in definitiva a raggiungere meglio sia i fini dello stato sia quelli degli individui.
6. _ Applicando alla finanza pubblica il teorema della migliore di
stribuzione della ricchezza all’uso più fecondo, la distribuzione della ric chezza tra i diversi usi pubblici e privati, dovrebbe essere fatta in guisa che la fecondità marginale sia uguale per tutti gli usi. Ecco formulato il principio che permette di operare il prelievo ottimo dell’imposta. Diffi coltà non lievi sorgono quando se ne deve dare pratica applicazione.
Come determinare il prezzo dei beni pubblici? Per i prezzi privati serve di guida la tabella del Menger, secondo la quale l’individuo avente una certa quantità di reddito disponibile in una unità di tempo si decide ad acquistare, dati i prezzi vigenti sul mercato, quella determinata quan tità di beni, la quale, a norma dei suoi gusti, desideri ecc. gli procuri il massimo soddisfacimento o appagamento dei suoi bisogni.
Il principio è denominato della uguaglianza dei gradi finali di uti lità. Si potrebbe raggiungere un analogo risultato in finanza pubblica costruendo una tabella nella quale si inseriscano, accanto ai beni privati, i beni pubblici. In altri termini, ogni individuo dovrebbe distribuire il proprio reddito secondo il grado d’urgenza dei bisogni individuali alter nati con quelli pubblici. I bisogni privati reputati più intensi, ad esem pio quello del pane, avrebbero la precedenza sui beni pubblici meno in tensi, e questi a loro volta la precedenza sui bisogni privati di minore intensità. L’individuo distribuirebbe la ricchezza disponibile acquistando beni pubblici e privati in modo da uguagliare le rispettive utilità mai- ginali. In tal modo sarebbe determinato l’ammontare di ricchezza desti nato ai fini collettivi.
— 15 —
dalla tabella mengheriana per i bisogni privati o di quell’altra in cui si fossero inseriti i bisogni pubblici, non si può applicare alla finanza pub blica ed in modo particolare alla imposta. La tabella mengheriana regi stra fatti accaduti in conformità dell’esperienza volontaria -dei cittadini. Ma i beni pubblici non sono scelti in seguito ad un atto volontario: lo stato oltre a sostituire il proprio giudizio a quello degli interessati sulla convenienza dei beni pubblici, dà giudizi positivi di importanza anche per i beni pubblici che taluni cittadini giudicano non desiderati o con trastanti con i loro bisogni o persino ad essi dannosi.
In secondo luogo, i beni o servizi pubblici sono forniti dallo stato, se è bene organizzato prima che nasca la sensazione del relativo biso gno (servizio della difesa, della giustizia, ecc.). Tali servizi sono indivisi bili, non è possibile determinare in quale misura concreta giovino ovvero siano utili ai singoli individui, ai quali persino mancano gli elementi di valutazione. Ancora, essi sono forniti a tutti i cittadini indistintamente, anche a coloro che ne farebbero a meno. In essi perciò vi è assenza di domanda. In definitiva lo stato unico produttore di beni pubblici, ne sta bilisce, di autorità, la quantità e il prezzo (e cioè l’ammontare dell’im posta).
7. — Poiché la tabella mengheriana non è idonea, giuocoforza è ri
correre ad altri espedienti per trovare uno strumento che sia idoneo a determinare sia pure lontanamente la formazione di quel prezzo (impo sta) che presenta la caratteristica accennata. Prima di elencare diversi tipi teorici più importanti, è doveroso accennare alla peculiare teoria del Wicksell. L’insigne economista svedese fa un tentativo di mettere in evidenza quali condizioni dovrebbero essere soddisfatte perchè la doman da dei servizi pubblici possa essere assimilata a quella dei beni privati. Avremmo una tabella politica che si avvicina a quella mengheriana.
Partendo dalla premessa che vi è consenso unanime dei componenti la collettività di tutti gli stati riguardo alla convenienza di fornire il nucleo sostanziale dei servizi pubblici (difesa, polizia, ordinamento legi slativo, ecc.), egli dice che dubbi e discussioni sorgono quando si tratta di estendere o di limitare la esistente attività statale. Le discussioni sor gono cioè non sull’attività statale in genere, ma sulla variazione di quella attività in rapporto alla attività preesistente.
Il cittadino teoricamente si decide a favore o contro quella varia zione a seconda che ritenga che l’utilità per lui della piccola variazione in più dell’attività statale (utilità marginale dei beni pubblici) sia al meno uguale per lui all’ammontare corrispondente d’imposta all’uopo ri chiestagli, misurata dall’uso alternativo a cui egli potrebbe dedicare l’importo dell’imposta.
Fa d’uopo, dice il Wicksell, che vi siano la unanimità e la contempo raneità della decisione della nuova spesa e del tributo con il quale si propone fare fronte a quella spesa (1).
legisla-■
— 16
Lo schema ivickselliano non è tuttavia praticamente applicabile per chè nelle costituzioni moderne vi ostano l’impossibilità in cui i cittadini si trovano di deliberare direttamente sulla cosa pubblica e l’impossibi- lità delle deliberazioni unanimi, anche se interpretate da una maggio ranza speciale da parte dei delegati radunati in parlamento; d’altra parte esso, non essendosi mai verificato storicamente, è da collocarsi tra gli schemi utopistici.
Tra gli schemi teorici o storici ve ne è qualcuno che possa appli carsi allo stato moderno?
8 __Ho insistito ad aggiungere alla concezione di stato, la qualifica di moderno. Che cos’è questo stato moderno in confronto degli stati che si sono avuti storicamente e degli altri tipi di stato che si possono teo ricamente concepire? Tralasciando di esaminare lo stato parlamentare del Pantaleoni, il De Viti de Marco e poi il Pasiani, per spiegare i pro blemi che si presentano nella pubblica finanza, hanno fatto 1 ipotesi di tre tipi di stato: lo -stato monopolistico; lo stato cooperativo; lo stato moderno; lo stato monopolistico è quello in cui la classe eletta diri gente esercita il potere nel proprio esclusivo interesse senza preoccuparsi degli interessi dei dominati; lo stato cooperativo perseguirebbe fini dei singoli che lo compongono o della maggioranza di essi e quello moderno perseguirebbe fini esclusivamente della collettività considerata come gruppo.
Le ipotesi, utili come strumento di indagini, non sono idonee a spie gare e ad interpretare la realtà perchè ad essa non sono aderenti.
Lo stato cooperativo non può limitarsi a perseguire fini che tul liano a vantaggio dei singoli o della maggioranza di essi; sarebbe uno stato acefalo, perchè presupporrebbe la esistenza d'un altro stato, quello moderno che persegua fini propri della collettività assunta nel suo in sieme (difesa interna ed esterna, sicurezza, istruzione pubblica, ecc.). Esso perciò potrebbe solo aver vita complementare a quella dello stato
moderno. , „ .
D’altra parte, lo stato moderno, concepito dal Fasiani come perse- . guente fini propri esclusivamente della collettività, considerata nella sua unità, senza preoccuparsi degli interessi particolari di tutti gli ap partenenti al gruppo considerato, non corrisponde alla realta, ¡smatto tipo di stato storicamente non è mai esistito, e se esistesse sarebbe un tipo di stato incompatibile con la libertà umana.-Che cosa e uno stato il quale afferma di perseguire solo fini propri della collettività. Cli interpreta la volontà della collettività?
tiva della finanza piemontese, la quale disponeva che dopo approvato il bi lancio di previsione ogni proposta di nuova spesa doveva indicare i mezzi per farvi fronte; e la motivazione, nelle discussioni parlamentari era^appuntc. quella addotta dal Wicksell, di mettere il parlamento in condizioni di giudica l’onere della nuova spesa era compensato a meno dalla utilità che recava alla collettività. Questa norma riprodotta in tutti i testi della legislazione
— 17 —
Non esiste uno stato concepito come distinto dai cittadini compo nenti lo stato medesimo. Gli uomini viventi insieme costituiscono lo stato e perciò non esistono fini dello stato, i quali siano distinti da quegli uomini viventi, che nella società organizzata acquistano la con sapevolezza del legame inscindibile che li avvince alle generazioni pas sate e a quelle future. « Lo stato moderno perciò — osserva a questo proposito l’Einaudi — è quello il quale persegue fini di elevazione mo- « rale e spirituale e perciò e solo perciò anche di benessere economico « degli uomini nei quali lo stato medesimo si sostanzia e si compone. « Elevazione non di ipotetici uomini selvaggi viventi isolati nelle fo- « reste, ma di uomini viventi nella società dei loro simili ». Questo per quanto riguarda il contenuto dei fini; in quanto alla forma, lo stato moderno è quello rappresentativo, che si asside cioè sulla delegazione temporanea dell’autorità, da parte dei cittadini, delegazione manife stata liberamente e pubblicamente; è lo stato che rappresenta l’univer salità dei cittadini, la perpetuità della vita sociale, le generazioni pre senti, passate e future.
In quanto allo stato monopolistico — se tale e se abbia caratteri stiche differenziali, le quali lo distinguano dagli stati a tipo coopera tivo o moderno — può essere definito quello in cui i governanti incon sapevolmente (per vie non logiche) sfruttano i dominati in modo da preparare e determinare la propria rovina. Ma un tipo simile di stato in realtà non è mai esistito; non è congruo alla sua natura; non si può concepire uno stato che si vota al suicidio. Esso tutt’al più può rappresentare l’antitesi dello stato, il non stato, nella quale espres sione si possono riassumere quelle forze di dissoluzione che in dati mo menti storici minano 1’esistenza dello stato e lo conducono alla rovina in quanto prevalgono gli egoismi individuali o di determinate classi sul bene comune.
Vi sono imposte che consolidano e fanno progredire lo stato mo derno, come sopra definito, e sono quelle che si ispirano a criteri eco nomici e vi sono imposte che ostacolano tale progresso o peggio ancora favoriscono la formazione delle forze disgregatrici della vita sociale, n
Solo questa è distinzione scientifica delle imposte. Non le loro eti chette hanno importanza; ma la loro natura. Si chiamano desse imposte a fini etici o sociali, esse saranno imposte economiche se conducono alla persistenza dello stato; extra-economiche se conducono al fine opposto.
9. — Risponde al criterio dell'imposta economica quella la quale
sia ripartita in base ai principi utilitaristici derivati dalla dottrina filosofica del Bentham, la quale afferma che anche nel campo dell’im posta sia da applicarsi il principio della massima felicità del maggior numero possibile dei componenti la collettività? Quel principio che lo Stuart Mill formulò : « qualunque siano i sacrifici che lo stato chiede « ai contribuenti, si deve far sì che, per quanto sia possibile, questi «sacrifici pesino egualmente su tutti; col quale metodo si cagiona il «minimo sacrificio collettivo»?
\
— 18 —
Fondamento quindi dell’imposta dovrebbe essere non un criterio ob biettivo ma subbiettivo e cioè il sacrificio, la pena, il dolore cbe ognuno sopporta. Di qui sono scaturiti tre principi che, dopo il Mill, menti elette, come Edgeworth, Coen Stuart ed altri perfezionarono e l’Einaudi volgarizzò. Essi affermano :
1) Ogni cittadino deve pagare un’imposta, una somma di denaro la quale cagioni un sacrificio uguale a quello sofferto da ogni altro; principio del sacrificio uguale.
2) Ogni cittadino deve pagare una somma di denaro equivalente ad un sacrificio il quale sia l’identica proporzione della felicità che i contribuenti prima traevano dal possesso della ricchezza; principio del sacrificio proporzionale.
3) Ogni cittadino deve pagare una somma di denaro, qualunque essa sia, che cagioni a tutti gli altri contribuenti, cioè alla collettività, il minimo sacrificio; principio del sacrificio minimo.
Quest’ultimo è stato ritenuto il più affascinante tipo di distribu zione delle imposte anche perchè applica uno dei canoni fondamentali dell’economia politica, quello di raggiungere, con un dato mezzo, il mas simo risultato.
La posizione di ogni singolo contribuente deriva dalla soddisfa zione di una condizione la quale riguarda la collettività nel suo insieme. Nel più semplice schema si può raffigurare una collettività com posta di due contribuenti, di cui il primo goda di una ricchezza che gli dà la felicità 10 ed il secondo 15. Se il fabbisogno dello stato è una somma di denaro equivalente alla utilità tre, essa e pagata soltanto dal secondo contribuente, e ciò fino a quando il fabbisogno dello stato sia equivalente a 5 unità di felicità. Si può dimostrare che con qual siasi altra distribuzione -la collettività sopporterebbe un sacrificio mag giore. Nella sua applicazione integrale la distribuzione dell’imposta, basata sul principio del sacrificio minimo, tende a portare allo stesso livello le ricchezze dei contribuenti.
I tre principi ricordati si fondano su un principio accolto nella scienza economica, quello della decrescenza delle utilità delle successive dosi della ricchezza ; togliere una lira al contribuente che ne possiede 10 vuol dire fargli sopportare un sacrificio maggiore in confronto di un altro che ne possiede 100 oppure 1000. Se ciò e incontestabile, si obbietta, cOn fondamento, che il punto, in cui la utilità della ricchezza a pai ita di reddito comincia a decrescere non è identico per tutti ; non solo ma la curva di decrescenza e varia tra i diversi contribuenti. Quindi im possibilità di misurare e di confrontare i dolori, le pene che i conti i- buenti sopportano per il pagamento dell imposta. Qualsiasi operazione aritmetica che si tentasse al riguardo sarebbe priva di senso, perchè si sommerebbero o si sottrarrebbero unità eterogenee.
— 19 —
15 °/c della sua felicità. Il che suppone che il contribuente, confessandosi dinanzi al rappresentante del fisco dichiari quale sia la felicità che gli procura la ricchezza posseduta e ceda una somma di denaro com misurata alla frazione voluta dallo stato. A parte il fatto ricordato che non si possono confrontare i dolori ed i piaceri sentiti da un uomo in confronto di quelli di un altro, se ognuno dichiara e cede a titolo d’imposta quel che crede, il sistema d’imposta si trasforma in una somma di oblazioni volontarie. Ma non potendo lo stato vivere di obla zioni volontarie stabilirà esso d’autorità la quota da pagare per ogni contribuente, basandosi su che cosa? su una ipotesi, da esso scelta: che la ricchezza, in media, per tutti i contribuenti frutti, a seconda del- l’ammontare, un tanto di felicità, sul quale — non più felicità, ma numerario — lo stato esiga una certa aliquota. L’ipotesi è fondata sem plicemente sull’arbitrio, il quale può risultare buono o cattivo; e, se cattivo, provocherà le conseguenze delle cattive o pessime imposte.
L’adozione infine del principio del sacrificio minimo tecnicamente genera l’aliquota progressiva, spinta sino al punto da significare re distribuzione e livellamento della ricchezza, con la conseguenza inelut tabile di scoraggiare la produzione, deprimere lo spirito d’iniziativa. A che prò lavorare quando, arrivati ad un certo punto, il reddito è confiscato dallo stato con l’imposta? Il fenomeno si verifica in tutte le forme che può assumere la produzione del reddito. Esempi eloquenti potrebbero essere addotti a suffragare l’asserto. In Inghilterra, dove la tassazione fortemente progressiva si attua con rigore, non solo gli industriali ma anche i professionisti e buona parte di coloro che rica vano i loro redditi dal lavoro, tendono a limitare la loro attività pro duttiva.
Altra conseguenza di tale tipo d’imposta, riducendo la produzione lo stato concorre con la imposta a ridurre e a distruggere la base imponibile dalla quale trae alimento la finanza.
Un sistema di tassazione il quale redistribuisce la ricchezza dalla classe più abbiente a quella meno abbiente e livelli poi in definitiva tutte le fortune, non conduce, come Bentham riteneva, alla massima felicità del massimo numero possibile.
pe-« ricolo divenuto certo (della confisca). L’annichilimento della vita sa- « rebbe il risultato della certezza di non godere i frutti del proprio la- « voro e della conseguente estinzione di ogni spinta a lavorare ».
Quali principii sostituiremo a quelli derivati dalla dottrina utili taristica, che sono quelli ai quali ancora si fa appello in tanta parte della dottrina moderna?
10. — Riassumendo, porre a base della scienza della finanza e nel
caso specifico della imposta e della sua distribuzione, principi etici è dunque irto di pericoli. Il momento essenziale della disputa è quello di evitare la contaminazione dei fini e dei mezzi. Lo stato moderno può volere raggiungere fini aventi l’importanza 100, mentre lo stato di ieri si contentava di ottenere fini come 20 o 30. Rimane ferma, in ambo i casi, l’esigenza che l’imposta 100 sia, al pari dell’imposta 30, conge gnata in modo da non distruggere o diminuire la fonte dell'imposta. Ieri la fonte poteva essere il reddito nazionale 300, da cui si prelevava 30; oggi la fonte sarà il reddito nazionale 400 da cui si preleva 100. Deve rimanere ferma la condizione che nel primo caso il prelievo 30 non riduca il reddito al disotto di 300; e nel secondo al disotto di 400; ed anzi ambedue i prelievi siano così congegnati da spingere il reddito appunto a 300 e 400. L’imposta deve avere il compito esclusivo di for nire i mezzi allo stato per raggiungere i suoi fini, e la migliore imposta è quella che abbiamo denominata economica, neutra o imposta se si vuole senza alcuna qualificazione. Per imposta economica s’intende — insisto su questo punto — non quella che voglia raggiungere uno spe cifico fine economico dello stato, ma quella che è congruo mezzo tecnico per perseguire i fini dello stato moderno, quei fini che i parlamenti determinano e l’esperienza dimostra essere atti a conseguire allo stato un massimo di stabilità.
Se lo stato ritiene nell’interesse della collettività di perseguire spe cifici determinati fini, ricorra a provvedimenti adeguati al fine ma non all’imposta; come, per esempio, quelli della migliore distribuzione delle terre; della piena occupazione e anche quello di Enrico IV che voleva garantire ogni settimana nella pentola dei suoi sudditi un pollo.
A questo punto, come ammoniva l’Einaudi nella sua ultima lezione, entra in scena lo schiavo economista, il quale ricorderà agli uomini di stato: non è mio compito di plaudire o condannare i fini che vi pro ponete di raggiungere, ma tenete presenti i mezzi disponibili: se il reddito totale disponibile è di 100 unità, se gli individui componenti la collettività necessitano per il minimum della loro esistenza fisica e so ciale di almeno 50 unità o di qualsiasi altra frazione di questo reddito, se per perseguire tutti i voluti fini collettivi, sia pure altissimi, sono necessarie altre 100 o 150 o più unità di reddito; a che prò fare fanta stici programmi di fini ineseguibili? Tra i tanti fini, scegliere bisogna!
— 20 —
11. — Se dalle sfere della teoria pura passiamo a dare uno sguardo
— 21 —
cui si inspira il nostro sistema tributario, si rimane assai turbati a dare una risposta.
La scienza delle finanze, come corpo di dottrine, ba fatto grandi progressi negli ultimi 50 anni; la legislazione tributaria sta percor rendo un cammino all’inverso. La causa principale è dovuta alla ten denza a deformare la natura dell’imposta; e gli sconvolgimenti eco nomici e sociali derivanti dalle guerre hanno accentuato il fenomeno lamentato.
Nell’affannosa ricerca di nuovi mezzi per far fronte alle preesi stenti e alle nuove esigenze dello stato, si moltiplicano i tributi, spe cialmente quelli a carattere straordinario, dando loro nuovi nomi ma colpendo sempre la stessa materia imponibile. La pretesa di perseguire a mezzo dell’imposta anche fini sociali, economici, demografici, ecc., scon volgendo la tecnica tributaria, fa allargare sempre più il vasto campo delle esenzioni, riducendo di conseguenza la materia imponibile; esen zioni che in definitiva si traducono in privilegi per questa o quella classe sociale; per questo o quel gruppo di attività economiche.
Il principio ormai acquisito e pacifico che i redditi siano tassati al netto delle spese di produzione, in parte è violato con l’introdurre altra imposta, la quale colpisce, con nome diverso, i redditi lordi di quelle stesse attività, il cui reddito netto era già stato colpito (imposta di ricchezza mobile e imposta dell’entrata per abbonamento).
Accanto alla tassazione a carattere personale s’introduce la tassa zione a carattere reale; occorre colpire il reddito complessivo del cit tadino in quanto esso costituisce l’indice della cosiddetta sua capacità contributiva, ma ecco che un tipo di imposta costruita per colpire le persone fisiche, si estende alle persone giuridiche, agli enti collettivi; non solo, ma quello che è più grave è che quella tale capacità contribu tiva è colpita due volte, dallo stato e dai comuni, con criteri di accer tamenti diversi, eseguiti da persone a cui all’uopo difetta la necessaria preparazione tecnica.
Altre contraddizioni di logica e di tecnica tributaria si potrebbero passare in rassegna, ma una non può essere taciuta, quella che si rife risce alle aliquote, che è flagrante ed urta e turba profondamente la coscienza dei cittadini.
Che i cittadini debbano concorrere ai carichi dello stato è prin cipio indiscusso; ma applicare questo principio fino a pretendere che quasi tutto il reddito o la ricchezza prodotta dai cittadini debba essere devoluta allo stato con l’aggiunta di qualche altra cosa, ossia di altra ricchezza, è volere l’assurdo, il mostruoso. Per quanto essi possano es sere consci degli altissimi fini che lo stato vuol perseguire, è necessario che i cittadini siano posti in condizione di vivere. Altrimenti è persino inutile che esista lo stato; anzi nemmeno può esistere.
— 22 —
I redditi modesti dovrebbero sopportare un’aliquota variabile dal 40 % al 65 % ; i redditi medi dal 60 % al 90 % ; i redditi elevati dal 90% al 100%, al 150% ed oltre ove si aggiungano le imposte straor dinarie.
Le aliquote nominali legali, si sostiene, si riducono, si attenuano in realtà per effetto dei mancati accertamenti e delle evasioni.
A parte il fatto che non tutti i redditi possono essere occultati in parte o totalmente, giustificare l’altezza dell’aliquota con il fenomeno della evasione vuol dire legalizzare quest’ultima; legalizzare cioè un’im moralità.
Presunta o non l’evasione, agli agenti accertatovi repugnando di applicare aliquote ultra confiscatoci, si sottovalutano i redditi.
Ma con quali criteri? L’arbitrio regna sovrano, con evidenti pos sibilità di angherie, soprusi, collusioni, patteggiamenti poco edificanti tra agenti del fisco e contribuenti. L’imposta in definitiva sarà quella ritenuta giusta, equa dagli agenti accertatovi, i quali manovrano ad
libitum il terribile strumento delle aliquote,
II contribuente onesto, appena si accorge che se dichiara al fisco la verità sicuramente andrà alla rovina, è costretto a trovare scampo, se lo può, entrando nella schiera dei contribuenti disonesti o degli evasori.
Lo stato così incita alla disonestà i contribuenti, che poi ulterior mente incoraggia con le periodiche amnistie finanziarie, indulti, condoni. E che cosa dire dell’altra prassi, della retroattività delle leggi finanziarie?
Il dramma dell’imposta non si esaurisce nei fenomeni ricordati. Il contribuente, dopo aver assolto in tutto o in parte il suo dovere verso lo stato e gli enti locali, è tenuto ad assolvere altri tributi.
Lo stato, nella ipertrofica dilatazione delle sue attività, delega a enti diversi l’esercizio di alcuni servizi pubblici, concedendo nello stesso tempo la potestà di prelevare somme per contributi, diritti, licenze, nulla osta, permessi, ecc. i quali non sono altro che vere e proprie im poste, palesi o larvate a favore degli enti stessi, il cui numero è difficile determinare, come pure l’entità delle somme riscosse per i titoli ri cordati.
Un istituto di credito piemontese, che gestisce un ufficio di esattoria delle imposte, per evitare la trascrizione integrale nelle apposite co lonne delle varie voci dei tributi, ha compilato una cartella di paga mento, elencando in calce i diversi tributi possibilmente dovuti dal con tribuente e contrassegnandoli con un numero progressivo. Tra stato, enti locali e enti vari, si contano circa 140 tributi diversi, comprendenti soltanto quelli che si debbono pagare all’esattoria; sono esclusi quindi gli altri tributi il cui pagamento avviene in altra forma; esclusi quindi quelli che si pagano agli uffici del registro e gli altri sui trasferimenti, sui consumi, ecc. Non tutti i contribuenti sono tenuti al pagamento dei 140 tributi elencati, ma non è escluso il caso che, concorrendo deter minate circostanze, non impossibili a verificarsi, alcuni contribuenti deb
— 23 —
Un sistema d’imposte caratterizzato dalla moltiplicazione degli enti impositori da una parte, e dei tributi dall’altra; da alte aliquote a ten denza conflscatrice ; da vaste esenzioni (privilegi), rendendo al massimo l’imposta incerta ed arbitraria, non può dare nella sua applicazione che pessimi risultati.
12. — Concludiamo: l’ipotesi dell’imposta economica è effettiva
mente tale che, in base allo stato delle conoscenze attuali, permetta di costruire un sistema tributario il quale aderendo alla realtà, non con trastando cioè con l’esperienza, sia anche razionalmente logico?
L’indagine al riguardo è stata esaurientemente condotta o vi e qualche punto che richiede un ulteriore approfondimento?
Questo ed altri problemi collaterali esamineremo, quest’anno, nel corso dei nostri studi.
Questa è l’esigenza del Maestro che, per tanti anni, da questa cat tedra ha profuso l’illuminato suo sapere nell’insegnamento, che per tanti anni ha tormentato costantemente il suo spirito nella affannosa ricerca del vero.
Più che un’esigenza è per me un imperativo categorico. 45 anni oi sono, nel 1902-03, allorché iniziò qui l’insegnamento finanziario, egli am moniva di non accettare nessun principio e nessuna legge senza prima provare la sua resistenza alla cote della logica scientifica. La tesi do veva essere senz’altro abbandonata quando la prova venisse meno. « Que « sto è un canone, egli proseguiva, di onestà scientifica al quale si in- « chinano le scienze più antiche e mature; e tanto più deve inchinarsi « una scienza, la quale come la nostra, si trova tuttora in un periodo « di trasformazione. La scienza delle finanze ha già da tempo superato « il periodo in cui era un semplice complesso di nozioni unite fra loro « dall’unico legame da riferirsi alle entrate ed alle spese dello stato; «ed è già entrata nel cammino che la deve condurre a costituire un «edificio armonico e cristallino di leggi coordinate tra loro. Essa si «trova, per usare un parallelo con la scienza, sorella dell’economia po- « litica, nel periodo ricardiano, posteriore all’epoca da pioniere di Adamo « Smith ma anteriore alle, sistemazioni di Stuart Mill, Cairnes, per non «ricordare gli altri che vennero molto appresso. Guai se essa m co- « desto periodo di formazione si cristallizzasse nella accettazione di ìpo- « tesi non dimostrate o non dimostrabili ».
Oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, la scienza delle finanze, ad opera del contributo altissimo dei Wicksell, dei Pantalconi, dei De Viti de Marco e degli Einaudi, dei quali ho tentato, per sommi capi, deli ncare il contenuto di un particolare aspetto della dottrina, ha fatto passi da gigante. Ma restano sempre problemi imponenti da riesami nare e da risolvere. Questa è la esigenza sempre rinnovantesi della
scienza. . ,
24 —
« Ricercare con animo intento alla conquista del vero ed essere ani mati unicamente dallo spirito di verità: ecco la divisa che ci renderà possibile di non arrestarci sulla via del progresso scientìfico e di ele vare la mente nostra al di sopra del confuso e furioso battagliare degli interessi di parte e di classe! »