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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1420, 21 luglio

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(1)

L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

A

mo

IITIII - Voi. l i n i

Firenze, 21

IL PARTITO SOCIALISTA

Ben a ragione l’ on. Turati, in un breve scritto vivace ed appassionato, avverte che il momento politico attuale può avere una grande importanza per il partito socialista. E vera­ mente crediamo che l’ avvenire del partito stesso dipenda dalla attitudine che saprà prendere nelle prossime discussioni sulla politica interna, ed alle quali è necessario che i capi lo apparec­ chino con sagacia e con la visione intelligente, non solamente del futuro prossimo ma anche di quello più lontano, e non solamente degli inte­ ressi esclusivi al partito stesso, ma anche di quelli di tutto il paese.

Alcuni degli uomini che sono a capo dei so­ cialisti italiani sono senza dubbio intelligenti e dotti così da comprendere le esigenze dei tempi e le condizioni della nazione ; ma il pericolo sta che invece di guidare le masse dalle quali è co­ stituito il socialismo, essi si lascino da esse gui­ dare; cioè, pur vedendo quale sia la migliore via da seguire, la abbandonino solo perchè le moltitu­ dini non sono in grado di comprendere la utilità di seguirla.

Noi non siamo certo socialisti, ma crediamo che nella situazione sonnolenta in coi i partiti fin qui dominanti hanno immersa la nazione, sia utile la esistenza di un partito, che, sebbene ab­ bia aspirazioni finali che a noi non sembrano ac­ cettabili, miri però infrattanto ad ottenere ra­ dicali riforme in tutti i rami dello Stato ed ado­ peri anche, per questo fine, mezzi che non sono consentiti agli altri partiti.

Ma se, come pure è sembrato dalle illustra­ zioni pubblicate dagli stessi socialisti quando compilarono il programma minimo, non solo le finali aspirazioni del partito non hanno che re­ motissima possibilità di essere raggiunte, ma io stesso programma minimo esige già un periodo di lunga preparazione per essere concretato e formulato in regolari disposizioni di leggi, è evidente che per ora e per molto tempo^ ancora gli stessi socialisti debbono accontentarsi di ciò che è possibile e trattenere con tutti i mezzi quegli impulsi passionali che mirerebbero ad ec­ cedere.

In altri termini, il partito socialista, se vuole trovare una azione efficace, sia pure prepai ato- ria, deve esplicarsi nell' ambito delle con-dizioni

reali del paese ed agire prudentemente tenen­

done conto.

Luglio 1901

N. 1420

E pare a noi, che l’ on. Turati non sia lon­ tano da questo concetto; egli analizza nel suo scritto con coraggiosa parola le condizioni del suo partito, e cerca di dimostrare che in esso si sono infiltrati individui che mirerebbero a de­ naturarne lo scopo e la azione, e che ha già adottati mezzi e forme che ne impaccierebbero il naturale svolgimento. Non ci occuperemo di ciò perchè sono cose che riguardano la organizza­ zione del partito e non la conosciamo abbastanza per darne un giudizio.

Ma piuttosto vogliamo fare qualche osser­ vazione di carattere più generale.

È inutile cercare ora se la esistenza del so­ cialismo ed il suo rapido propagarsi in Italia sia un bene od un male. Basta notare che il sociali­ smo esiste, che è un fatto; quindi conviene in tutte le manifestazioni della vita pubblica tener conto di questo fatto. Siamo anche persuasi che il notevole sviluppo ottenuto dal socialismo sia prodotto dalla manifesta impotenza delle classi dirigenti e dalla loro mala volontà verso qualun­ que riforma, mentre 1’ edificio nazionale fu co­ struito in fretta con vecchi materiali che avreb­ bero bisogno di sollecita rinnovazione. Ma in pari tempo non possiamo avere per l’esperienza fatta, nessuna fiducia che i diversi partiti, De­ stra, Centro, Sinistra, assumono una attitudine tale da affidare che vere, radicali e profonde riforme siano nel loro desiderio, così che il mag­ gior contingente ora dato al socialismo, quello dei malcontenti, si stacchi da esso.

E siccome d’ altra parte crediamo che al tranquillo svolgimento intellettuale ed econo­ mico della nazione occorra una azione rinnovata di tutte le diverse parti di cui si compone la grande macchina dello Stato, ne ricaviamo che e salutare per il paese la esistenza di un partito il quale, pure mirando a lontane aspirazioni verso le quali non possiamo seguirlo, tenda intanto ad ottenere, non solo promesse, ma fatti e pronti e continui, per migliorare tutti i rami delle Ammi­ nistrazioni, per svelare senza pietà e senza ri­ guardi gli errori e le colpe che vi si commet­ tono, per segnalare gli abusi, infine per rendere onesti -— sia pure soltanto per la paura delle ri­ velazioni — tutti i funzionari, dai ministri agli uscieri, dai deputati ai consiglieri dei comuni.

Sotto questo aspetto il socialismo lo credia­ mo tanto più benefico in Italia, in quanto prese attitudine battagliera poco dopo quella crise, che svelò quale putridume fosse stato tollerato e pur troppo anche incoraggiato.

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436 L ’ E C O N O M IS T A 21 luglio 1901 Ed è tanto largo ed esteso questo necessario

lavoro di epurazione che possiamo lasciare a quando sarà compiuto, cioè ai nostri nipoti, di­ scutere quei principi che formerebbero ancora le aspirazioni lontane e remote dei socialisti, collet­ tivisti o no. Allora si potrà vedere se il socia­ lismo sia compatibile colla libertà, e se no, quale dei due principi: quello della libera convivenza o quello della tirannia socialistica, debba prevalere.

Ciò premesso e sgombrato il terreno da ogni questione sul lontano avvenire, rimane importan­ tissimo il quesito messo innanzi dall’ on. Turati sulla attitudine che nel momento attuale deve prendere il socialismo.

E noi, che estranei alla politica siamo tut­ tavia, per necessità di cose, non soddisfatti spet­ tatori del come essa si svolge, esponiamo franca­ mente il nostro pensiero.

Sarà certo utile che il socialismo miri ad epurarsi da tutti quegli elementi anarcoidi o no da cui è oggi ingrossato ; l’on. Turati fieramente, confessando molte cose, importanti in bocca sua, così si esprime:

« Ciò che assume in taluni nostri circoli « l’ apparenza di un dissidio, ciò che divide e « paralizza, non da oggi, la Federazione mila- « nese, non è una questione del partito socialista; « è invece lo strascico — travestito e ammoder- « nato — del vecchio spirito anarcoide, che l’edu- « cazione socialista delle masse non è ancora riu- « scita del tutto, nè dappertutto, a domare. Non « si tratta di possibili scismi ; si tratta di epu- « rarci e di disciplinarci.

« Il congresso di Genova aveva — formal- « mente — bandita la separazione degli anarchici « dai socialisti. Ma in un paese come l’ Italia, « dove il livello della coltura è così basso, così « diffuso il malcontento, e quindi la proliferazione « anarcoide così rigogliosa ed incessante, è im- « possibile ad un partito come il nostro, a un « partito di diseredati, col reclutamento largo « di maniche che esso non potè non adottare (?) « salvarsi dall’infiltrazione;la persecuzione stessa, « che colpisce specialmente gli anarchici dichia- « rati ed aperti, ne caccia molti, come a rifugio, « verso la nostra bandiera.

« Si aggiunga — continuava incalzando l’ono- « revole Turati — l’ invasione crescente — pas- « sività inevitabile (?) di un partito che rapida- « mente ingrossa e che comincia ad offrire sodi- « sfazioni di vanità, cariche, medagliette, sti- « pendi — di quegli elementi spostati della ma- « gra borghesia, i quali nel partito, nel quale è « pletora di gregari e carestia di ufficiali, scor- « gono la possibilità di una qualsiasi carriera. È « spiegabile che parecchi di costoro pensino di « guadagnarsi più presto le spalline, carezzando « e lusingando — anziché contestarla e correg- « gerla — la materia impulsiva e rozzamente ri- « belle che si trovan d’ attorno. »

Parole franche e coraggiose, ripetiamo, che non possono uscire se non dalla penna di un uomo convinto e in buona fede ; e di per se stesse sono la prova che l’on. Turati sente di dover essere la guida del suo partito e non di­ ventare uomo dal partito ciecamente guidato.

Queste parole susciteranno certamente grosse polemiche nel campo stesso del socialismo e sarà

bene seguire la attitudine che prenderanno i di­ versi gruppi.

Ma ci sia concesso porre all’ on. Turati al­ cune questioni.

Entrato così energicamente in questa via di critica al suo stesso partito, così che alcuni po­ tranno anche vedere in qualche frase una specie di autocritica, perchè non fare un passo più in­ nanzi e non dichiarare addirittura che il partito socialista, il quale vuol raggiungere il suo fine per evoluzione, necessariamente lenta, e non per rivoluzione, che sarebbe vana, deve mettersi fran­ camente nella via reale della vita di ogni giorno e rimandare ad altro tempo tutte le questioni inu­ tili, almeno per ora, e vincendo così le diffidenze, essere efficace collaboratore del rinnovamento politico-amministrativo della nazione.

Forse per impeto di improvvisazione alcuno dei capi del partito socialista ha accennato al pensiero che « ai socialisti sia più utile l’aggra­ varsi dei mali da cui è afflitta la nazione, perchè così si facilita la propaganda e si ingrossano le file dal partito». — Abbiamo rilevato allora che questo modo di pensare aveva qualche cosa di ripugnante, non solo in sè, ma anche perchè co­ stituiva la tattica dei clericali e giustificava il sospetto di un accordo tra essi ed i socia­ listi.

A noi pare che un partito, quando abbia in­ tendimenti anche politicamente onesti, non solo deve procurare al paese il maggior bene, ma, quando lo possa, deve impedire colla propria azione il male, grande o piccolo che sia, dal quale sia minacciata la nazione.

Non diremo qui se i socialisti debbono o no prender parte al Governo, questa è questione che riguarda troppo la politica e la tattica parla­ mentare e quindi non può essere qui ora discussa. Ma diciamo che il partito socialista si può considerare diviso in due fasi, rispetto al tempo; sarà socialista nel lontano avvenire ; ma oggi è e deve essere semplicemente riformista.

Gome tale, cioè come riformista, ha il do­ vere non di impedire, ma di aiutare tutte quelle circostanze, anche piccole, che possono condurre alle riforme.

E siccome F ambiente parlamentare è am­ biente eminentemente umano, così è inevitabile che l’atteggiamento di un partito il quale si di­ chiara antimonarchico ; il quale non propone ri­ forme graduali all’esercito — che ne ha tanto bi­ sogno — ma' invece lo attacca violentemente come istituzione; il quale, pur confessando che non potrebbe, nemmeno se fosse in maggioranza, rovesciare o modificare radicalmente lo stato delle cose, si diletta con violenti esplosioni di frasi a spaventare anche i più arditi, — è inevitabile, di­ ciamo, che questo partito trovi sempre pronta una grossa schiera per respingere tutte le sue proposte, anche se riconosciute saggio.

E, se non erriamo fortemente, questi sono sistemi coi quali si impediscono non si agevolano le riforme.

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21 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 437 Ma se invece esso ritiene che sia necessa­

rio rinnovare a poco a poco la macchina anti­ quata dello Stato, allora bisogna che l’atteggia­ mento del partito sia diverso e non solamente per le questioni sue interne, ma anche per la sua azione di fronte al paese.

Quello stesso opportunismo che i socialisti seguono con tanta disciplina verso la questione religiosa, perchè non si può e non si deve se­ guire per tanti altri punti che si discutono inu­ tilmente e che arrestano i benefizi che un par­ tito nuovo può recare al paese, stimolando i più lenti?

E’ possibile mirare al bene immediato e collaborare anche cogli avversari per ottenerlo, lasciando all’ avvenire di decidere quale sarà il bene più lontano?

LA QUESTIONE DI NAPOLI

v m .

Le classi sociali più disagiate. (Nostra corrispondenza)

Abbiamo detto che il disagio economico ser­ peggia anche tra quelle classi di cittadini che pur sono le meno disagiate ’ ). Occupiamoci ora delle più disagiate.

Se ne può fare, salvo poi suddividere, una prima e sommaria divisione : gli operai e arti­ giani da una parte, i disoccupati dall’altra.

I primi percepiscono, generalmente parlando, salari piuttosto magri, sia perchè sono gracili per lo più, lasciando da parte le eccezioni, le imprese capitalistiche, individuali o associate, che li im­ piegano ; sia perchè 1’ offerta di mano d’ opera essendo qui sovrabbondante a petto alla richie­ sta, è naturale si mantenga basso il livello medio della sua retribuzione.

Intendo parlare delle industrie libere, per­ ciò trascuro gli opifici governativi, come l’ Ar­ senale di Marina e l’officina di artiglieria per la fabbricazione dei cannoni. La condizione di ope­ rai degli opifici governativi, qui in Napoli, è molto ambita e invidiata, per una certa suo re­ lativa stabilità. Dico relativa, perchè sapete bene

che la permanenza di tali opifici, specie nella loro qualità di governativi, è sempre più o meno lon­ tanamente minacciata. Ad ogni modo, oggi, per la non molta quantità di lavoro che vi si compie e stante i limiti di personale assegnati di recente agli organici di tutti gli arsenali del Regno, non vi si trovano occupati fuorché 2500 operai circa : non molto, in relazione alla massa imponente del proletariato napoletano.

Per eguale motivo, trascuro la fabbrica dei tabacchi. E troppo naturale, e sta in fatto, che nel Regno, fra tutti gli stabilimenti governativi congeneri, la rimunerazione della mano d’ opera resti approssimativamente equilibrata.

E lo stesso succede negli stabilimenti semi- pubblici, ancorché non proprio di Stato, sparsi

l) Vedi 1’ Economista del 7 luglio.

qua e là ma dipendenti da unica Direzione, come sarebbero le officine ferroviarie di costruzioni e di riparazioni.

Dalle tabelle pubblicate nell’Annuario Stati­ stico Italiano, del Ministero d’Agricoltura e Com­ mercio, anno 1900, rilevo infatti che presso le due grandi Società ferroviarie le retribuzioni nelle of­ ficine di Napoli sono un po’ minori per certe ca­ tegorie di operai, per certe altre no, sicché si tratta in complesso di lievi e trascurabili diffe­ renze.

Magrissima è la raccolta di dati statistici che si può ricavare dal citato Annuario riguardo alle imprese industriali private. Come dichiara la prefazione, molti capi d’ industrie non rispo­ sero ai quesiti, altri comunicarono notizie incom­ plete. Con quello scarso materiale, confronti utili sui salari non v’ è modo di farne. La sua povertà non ha consentito di ordinarlo in categorie. A che vi serve leggere nella pagina a sinistra le cifre concernenti un pastificio napoletano e nella pa­ gina a destra quelle di un lanificio biellese ?

* * *

Ho potuto nondimeno pescare alcune notizie qua e là, specie presso la Camera del Lavoro, che naturalmente è bene informata, piuttosto che presso gli industriali stessi, dei quali non tutti si prestano sempre a dare informazioni sulle aziende rispettive.

Per le industrie meccaniche, i salari oscil­ lano, secondo il valore degli operai e la qualità del lavoro, tra L. 1,20 e L. 1,50 il giorno, quando la giornata è di 10 ore.

Fin qui non c’ è tanto male ; ma badate che parlo delle grandi officine, presso le quali i sa­ lari, nell’industria meccanica, tendono più o meno a livellarsi in tutto il paese. Qui per altro esse si riducono a poche, senza poi ripetervi ciò che vi scrissi altra volta, che le più importanti si reg­ gono specialmente su ordinazioni del Governo, la cui entità è sempre variabile.

Molto mediocri sono i salari neh’ industria tipografica. Variano da L. 2,50 il giorno a L. 3.50 per gli operai propriamente detti. Vi sono poi quelli che qui si chiamano mezzi operai, i quali percepiscono soltanto la metà. La differenza colle altre principali città d’ Italia è notoria. A Roma la retribuzione degli operai tipografi è addirittura il doppio, a Milano anche qualcosa di più.

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438 L ’ E C O N O M IS T A 21 luglio 1901 La litografia è in progresso innegabile, non

però rapido nè generale. Prescindendo da qual­ che ottimo artefice litografo che merita la qua­ lifica di artista, la maggior parte della produ­ zione è tuttora piuttosto scadente, epperò anche i salari ne seguono il basso livello. In Napoli, così 1’ industria tipografica come quella litogra­ fica, che pur già occupano fra tutte e due oltre 3000 operai, sarebbero suscettibili di un perfe­ zionamento fruttuoso, ossia d ’ un grande incre­ mento tecnico insieme e economico.

Per la falegnameria, nelle molte e svariate sue forme, valga, riguardo ai salari, il seguente specchietto di confronto tra quattro grandi città italiane :

a Milano da L. 5 a 7

a Torino da L. 5 a 6, 80

a Roma da L. 4, 50 a 6

a Napoli da L. 2,25 a 3,40

E per ultimo, in quanto a confronti, vi ci­ terò l’industria delle pelli, che nella nostra città ha antica importanza e riputazione, comprenden­ dovi tanto l’arte del conciatore quanto quella del guantaio. Salari di Milano da L. 7 a L. 8, 50 » Torino da L. 5 a L. 7 » Napoli da L. 3 a L. 5 * * *

Coinè vedete, tutti questi confronti parlano a danno degli operai napoletani. Per guardare la cosa da tutti i lati, non bisogna tacere che questi ultimi vivono con poco, a paragone dei loro con­ fratelli d ’altre regioni. Ma non è già che qui la vita costi poco: le pigioni sono care e il vitto, che potrebbe, causa la feracità del territorio, es­ sere a buon prezzo, e così era molti anni fa, non è più a buon prezzo dopoché la tariffa daziaria municipale, imposta senza discernimento e senza discrezione, ha fatto rincarare tutti i generi di consumo. Gli è che il nostro popolo è oltre­ modo sobrio. « In generale, scrive l’ Ing. P i­ spoli in un suo recente e pregevolissimo studio,

quando l’operaio lavora permanentemente, si può

affermare che i salari rispondano ai bisogni della vita materiale, e ciò non per altezza di salari, ma perchè l’ operaio napoletano ha pochi bisogni, e se non fosse afflitto dal gioco del lotto e non volesse celebrare tutte le feste solenni o tradi­ zionali, potrebbe vivere in una relativa agia­ tezza. *) »

Stando le cose come ora stanno, l’ avere pochi bisogni sarà una fortuna ; ma di per sè stesso non è un buon segno. I bisogni di tutti gli uomini crescono col crescere del loro inci­ vilimento. I selvaggi ne hanno pochissimi. Il vi­ vere troppo ammucchiati non è elemento di ci­ viltà. La scarsa e mediocrissima nutrizione non giova allo sviluppo nè alla conservazione della forza muscolare che il lavoro richiede. Il non avere desiderio, o possibilità, o abitudine di

col-') La verità sulla città e provincia di Napoli, dei- fi Ing. Pispoli, memoria premiata dal E. Istituto d’ Incoraggiamento di Napoli, in corso di pubblica­ zione nella Rassegna Italiana.

tivare almeno un poco la mente, non rende atti al lavoro perfezionato, perchè lascia senza i ne­ cessari sussidi l’ innata svogliatezza.

E per innata svogliatezza e facilità d’ impa­ rare e attitudine a qualunque specie di lavoro, l’operaio napoletano, come attestano tutti coloro che hanno occasione di servirsene, non sarebbe secondo a nessuno. Ma troppo spesso, mancan­ dogli un tirocinio bene ordinato e razionale, le doti naturali rimangono sterili o si esplicano me­ diocremente in un lavoro imperfetto. E ciò perchè qui l’industria, fatte le debite eccezioni, non solo è arretrata nei procedimenti tecnici, ma manca di organizzazione.

Tolto un piccolo numero di grandi officine, dove è introdotta la divisione del lavoro, ognuno, in un dato mestiere, fa un po’ di tutto, cioè pra­ tica un poco tutti i lavori affini a quello che do­ vrebbe essere esclusivamente il suo.

Ecco perchè il più delle volte la produzione riesce imperfetta e, male resistendo alla concor­ renza di fuori, è poco rimuneratrice.

Delle parole del Rispoli poc’ anzi riferite ne ho sottolineate alcune : quando V operaio lavora

permanentemente. Infatti non sempre questa con­

dizione si verifica.

Lo stato precario delle meno progredite e meno solidamente impiantate fra le industrie napoletane, le rende sensibili a ogni leggiero soffio di crisi, come gli organismi fisici deboli sono sensibili a ogni mutar di stagione e di temperatura, le lascia fiacche dinanzi a ogni ca­ suale inciampo, epperò lascia spesso privi di la­ voro parecchi anche tra i buoni lavoratori. Qual­ che volta invece, poiché essi si piegano a ogni maggiore sacrifizio, li costringe a accettare una riduzione della già scarsa mercede.

* * *

Se per altro il ceto dei lavoratori, nella sua grande maggioranza, non sta molto bene, nè come entità nè come stabilità di guadagno, v’ è poi un altro ceto che si può classificare infimo tra tutti, e che più di tutti impensierisce i go­ vernanti, i moralisti, gli economisti. Non è omo­ geneo, è anzi multiforme e multicolore e pre­ senta non l’armonica e simpatica varietà di tinte dell’ arcobaleno, ma piuttosto quella confusa e ripugnante del mondezzaio. Proviamoci a sud­ dividerlo un poco. Comprende coloro che non esercitano assolutamente nessun mestiere tranne quello del mendicare, coloro che esercitano me­ stieri innominabili, cioè turpi o criminosi, coloro finalmente che esercitano mestieri leciti ma com­ passionevolmente meschini e, per necessità, quo­ tidianamente variabili.

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21 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 439 per approssimazione, in dugentomila, tra maschi

e femmine e loro rampolli. Invece il prelodato Ing. Rispoli reputa poter dichiarare il numero — un po’ curioso perchè stranamente fraziona­ rio — di 148,681. E come lo trova? Così: nel suo accuratissimo studio più sopra indicato egli passa in rassegna con ampli particolari tutte le forme dell’ attiviià napoletana e porge per ognuna il numero di persone che vi sono addette ; poi ne fa la somma e sottrae questa dal totale della popolazione ufficialmente accer­ tato. Il resto costituisce quella massa di gente di cui ora sto parlando.

La critica potrebbe esercitarsi sui diversi metodi di calcolo, ma mi sembra opera poco utile. Qualche migliaio di più o qualcuno di meno, restano certamente e disgraziatamente migliaia e migliaia di persone che sono ele­ mento di pericolo per la pubblica sicurezza e la pubblica moralità, elemento di debolezza dis- solvìtrice per la pubblica economia.

Analizziamo. Alla prima delle tre categorie che ho indicate appartengono i mendicanti, che si potrebbero dividere in veri e in finti biso­ gnosi. Non sarebbe difficilissimo soccorrere ef­ ficacemente i primi, se fosse sempre possibile distinguerli dai secondi; contro i quali frattanto l’ opera delle Autorità non è finora accorta e attiva quanto dovrebbe essere. Appartengono alla seconda categoria i ladri matricolati e i ladruncoli d’occasione, i bagarini o monopoliz­ zatoci delle derrate di consumo che dalla cam­ pagna vengono in città, i lenoni, gli sfruttatori di male femmine, mascherati da loro protettori, che vivono alle loro spalle, i camorristi che estorcono una specie di decima sui guadagni di alcuni minuscoli esercenti, o si ficcano in tutte le piccole vendite all’ incanto, allontanando i compratori e facendo crescere o non crescere i prezzi a modo proprio, i tenitori e gli interme­ diari del lotto clandestino.... e simili. Qui più che mai hanno compito arduo le guardie munici­ pali e quelle di pubblica sicurezza, che non posseg­ gono poi gli occhi d’Argo e le braccia di Briareo. Ma il compito resterebbe loro grandemente agevolato se le condizioni economiche epperò anche morali della plebe napoletana fossero mi­ gliori di quelle che sono. Si torna dunque sem­ pre li. Gli sfruttatori d’ ogni specie allignano e si moltiplicano dove e quando trovano terreno propizio nell’ ignoranza e nella miseria degli sfruttati.

E così si arriva alla terza categoria, che è davvero interessante. Annovera individui poco abili e poco fortunati, ma per lo più onesti e spesso anche intelligenti : poveri diavoli che la mattina trasportano pesi e la sera accendono i lumi alle carrozze, un giorno fanno da manovali avventizi e un altro da guida alle carovane di emigranti, ieri erano spazzini soprannumero per qualche occasione straordinaria, per oggi pos­ sono cantare e suonare sotto le finestre degli alberghi perchè c’ è passaggio di forestieri, do­ mani, se non si collocano come sottoportieri prov­ visori o guatteri in qualche osteria, cercheranno di fare da testimoni in qualche sezione di pre­ tura. Non sanno far nulla di spec.ale, ma si in­ gegnano a fare, se capita, un po’ di tutto.

O i venditori ambulanti ? Non vi sto a dire che se ne inciampa uno a ogni passo. Se siete stati a Napoli, avrete potuto osservare che, in qualunque altro luogo, a ogni passo è un modo di dire, ma qui è una espressione di evidente esattezza ; usciamo dalla stazione delle strade ferrate : sotto i porticati che la cingono da tre parti ve n’ è sempre una ventina. Una oc­ chiata ai viali intorno al giardinetto che ver­ deggia sotto la facciata principale i oh, siamo già alla trentina ! Percorriamo il lungo Corso Garibaldi : è sempre la stessa storia. Un giorno volli fare un abbozzo di statistica (è un gusto come un altro). Percorsi tutto il nuovo Retti- filo, che è un chilometro e mezzo scarso, e ba­ date, erano ore di fiaccona, anche i rivenduglioli sonnecchiavano, c’era molto sole sul marciapiede di destra, perciò mi contentai di perlustrare solo quello di sinistra. Così mi fu dato di contarne, non compresi i venditori di giornali, soltanto 78. Una mattina poi, ripetei la prova più accurata­ mente sui due marciapiedi di via Toledo e ne potei contare 143. E dove mettete gli scali marittimi la via della Marina, la via Eoria, la via del Duomo, le cento piazzette, i mille vicoli ? E si vende su trespoli, su baroccini, in ceste, in cassettini fissati al collo, un po’ d’ ogni cosa : pane, biscotti e ciambelle, dolci, frutta, fiori, frutti di mare, minuta chincaglieria, oggetti di cartoleria, libri, musica, cartoline illustrate, ce­ rini, pipe, bocchini, spazzole, cera da scarpe, giuocattoli, fondi di magazzino di tutte le specie, e chi sa quante ne dimentico.

Certi piccoli oggetti fa spesso comodo tro­ varseli offerti per la via senza entrare nei negozi, e per certi piccoli servigi è utile aver pronto chi ve lo può prestare da un momento all’altro. Per­ ciò la minuta vendita girovaga e l ’esercizio dei mestierucoli sussidiari e variabili è cosa che ha ragion d’essere, e si ritrova di fatto, in ogni grande città. Ma acqua non vuol dire tempesta! Qui, anche di questo c’ è troppo, c’ è pletora, c’è concorrenza sfrenata, offerta superiore alla do­ manda e quindi guadagno meschino e incerto. Incerto, specialmente.

Migliaia di persone, nello spazio compreso tra i Granili, Mergellina, il Vomero e il mare, s’alzano ogni mattina senza un soldo in tasca, pronti a ingegnarsi in un modo o nell’altro, ma senza sapere precisamente che cosa potranno fare, e se e a che ora e quanto potranno man­ giare. E non esagero.

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440 L ’ E C O N O M IS T A 21 luglio 1901 il vento e la pioggia, l’orario è lungo, il servizio

è faticoso ; ma trovatemene uno che quelle due lire, due e cinquanta, o tre, secondo l’anzianità é il grado, non le tenga care e sia propenso a barattarle con un lavoro più comodo ma più in­ certo, con un guadagno di quando in quando un po’maggiore, ma meno sicuro.

* * *

Concludiamo, che ne è tempo. — Come vi ho provato, il malessere economico non rispar­ mia nessuna classe sociale, ma naturalmente travaglia più di tutte le infime. Anche sulle altre si ripercuote la grande povertà di quest’ultime ; ma da queste, perchè meno difficile, deve comin­ ciare il risorgimento di tutte. Qui infatti la ma­ teria prima, si presta, perchè la mano d’opera, che sovrabbonda, è a buon prezzo e di buona qualità, mentre il capitale locale, che forse non abbonda, senza forse è finora inetto a esercitare la migliore sua funzione.

La maggioranza delle classi dette dirigenti sino ad oggi ha diretto poco, in ogni caso ha diretto poco bene. Sulla questione morale, che trattai a suo tempo, non torno più; ma riguardo a quella economica, credo a questo punto di po­ tere dichiarare che sulla azione del capitale in­ digeno per ora non ho fiducia di sorta. Si tratta dunque di additare al capitale di fuori la con­ venienza che può avere di accorrere qui a cer­ care impiego fruttuoso. Per condensare l ’ idea in poche parole, imitando un po’ la struttura della celebre frase lingua toscana in bocca ro­

mana, vorrei enunciare il programma così : ca­ pitale ligure-lombardo che metta in moto braccia napoletane.

Ma moto di che genere ? Industriale ? Com­ merciale ? Agricolo ? Industriale : non c’è altro da scegliere.

In una prossima lettera cercherò di dimo­ strarlo.

E. Z.

LE PENSIONI OPERAIE IN FRANCIA

Dopo una lunga discussione, il disegno di legge sulle retraites ouvriere che si trovava da­ vanti alla Camera francese, è stato rinviato al ministero perchè interpelli gl’ interessati sul pro­ getto medesimo; con altre parole, la Camera ha dichiarato di non sentirsi abbastanza illuminata sugli effetti del progetto che vorrebbe organiz­ zare le pensioni agli operai e ha chiesto nuovi lumi questa volta proprio a quelli che sono in grado di darli. La cosa pare ed è addirittura incredibile. 11 ministero fa gli studi per una nuova assicurazione obbligatoria, quella relativa alla vecchiaia e all’ invalidità e si astiene dal consultare quelle associazioni professionali, pa­ dronali e operaie, industriali, commerciali e agri­ cole legalmente costituite e le Camere di Com mercio, ossia gli enti che possono dire se l’indu­ stria è in grado di sopportare gli oneri che le si vogliono addossare.

De) resto la sorte avuta dal progetto rela­ tivo alle pensioni operaie non poteva essere dif­

ferente. Si pensi che si trattava di stabilire un nuovo onere per la industria, che viene calcolato a mezzo miliardo circa e si veda se sia possibile di discutere e approvare alla leggiera un progetto siffatto,

L ’ idea delle pensioni operaie non è certo nuova; il piano stesso ideato in Francia non è senza precedenti, qualche cosa dello stesso ge­ nere funziona in Germania, ma a dose quasi omeopatica e derisoria. Il progetto francese, se­ condo Leroy Beaulieu, sarebbe da cinque a sei volte più costoso del sistema tedesco. Agli anti­ podi, una colonia che è stata chiamata il labora­ torio delle riforme sociali, la Nuova Zelanda, ha creato una istituzione di questa natura e il bilan­ cio di questo piccolo paese popolato di 800,000 abitanti circa, era per questo titolo gravato di un onere di 153,970 sterline nel 1899-900, ossia circa 4 milioni di franchi e si calcolava che nel 1911 il carico di queste pensioni neo-zelandesi porterebbe il sacrificio di 10 milioni di franchi. La Francia avendo cinquanta volte la popola­ zione della Nuova Zelanda si avrebbe su quelle basi un onere di 500 milioni per il bilancio francese.

L ’ Inghilterra ha pure studiato la questione. La Commissione che era stata istituita per esa­ minarla negli anni 1899 e 1900 ha concluso che il dare agli operai brittannici una pensione mo­ desta a partire da 65 anni di età, costerebbe una annualità di 15,650,000 sterline (395 milioni di franchi) nell’ anno 1921 e che questa cifra an­ drebbe aumentando in seguito. Così l’ Inghilterra ha rinunciato a questo progetto. I calcoli inglesi confermano i pronostici e i primi risultati della esperienza neo-zelandese. Ma vediamo il sistema proposto al voto della Camera francese.

Lasciamo da parte il meccanismo di teso­ reria che farebbe acquistare dalla Cassa nazio­ nale di assicurazione contro la vecchiaia le va­ rie serie delle rendite francesi 3 1[2 per cento. Questo meccanismo, cioè l’ impiego dei fondi della Cassa, ha una importanza secondaria, quan­ tunque possa sollevare varie obbiezioni. Si tratta di sapere come sarà riempita quella Cassa, quali saranno i versamenti e a carico di chi andranno ; l’onere quindi che ne risulterà per gli operai da una parte, pei padroni dall’ altra, cioè gli agri­ coltori, gl’ industriali e i commercianti grandi, medi e piccoli e finalmente per lo Stato, ossia per tutti i contribuenti.

L ’operaio-che guadagna meno di 2 franchi e mezzo al giorno verserà alla Cassa-pensioni la somma quotidiana di un soldo per giorno di lavoro. L ’operaio che guadagna da 2 franchi e mezzo a 5 franchi verserà due soldi e finalmente l’operaio che guadagna 5 franchi o più verserà tre soldi. Il padrone dal canto suo verserà per conto di ciascuno dei suoi operai la stessa somma versata dall’ operaio.

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21 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A M I lo Stato completa nel caso in cui i versamenti

effettuati non bastassero a fornire quel mi­ nimo. Questo, se 1’ operaio ha fatto parte della Cassa per venti anni almeno, cioè se ha ver­ sato la sua quota durante 7300 giorni di lavoro è fissato in 360 franchi l’anno, è dunque lo Stato che completerà la pensione quando essa non sarà raggiunta col prodotto dei versamenti. La cifra di 360 franchi essendo un minimo, dovrà esser sorpassata in molti casi.

Tuttociò per la pensione di vecchiaia ; ma c’ è anche la pensione per la invalidità. L ’ope­ raio invalido, cioè colui che prima dei 65 anni non sarà per la sua condizione di salute in grado di guadagnare più del terzo del salario della sua professione, avrà diritto a una pen­ sione anticipata che sarà al minimodi 200fran­ chi, completata fino a questa cifra dallo Stato nel caso in cui i versamenti effettuati dall’ope­ raio e dai suoi padroni non bastassero a pro­ durla ; questa pensione di invalidità sarà pagata alla sola condizione che l’operaio abbia versato tanti contributi che rappresentino almeno 2000 giornate di lavoro, il che corrisponde a circa 7 anni.

Bisogna aggiungere che l’operaio per la sua pensione avrà la scelta tra due sistemi •. quello della semplice pensione a capitale alienato e quella del capitale riservato, vale a dire che va a vantaggio della sua famiglia quando muore; il saggio della pensione essendo naturalmente mi­ nore nel secondo caso.

Da ultimo viene promesso fin d’ora una pensione di 105 franchi a tutti coloro che at­ tualmente hanno 65 anni e proveranno di aver lavorato per un certo numero di anni, quantun­ que essi non abbiano fatto od altri non abbia fatto per essi alcun versamento.

Tali le grandi linee del progetto sulle pen­ sioni operaie por la vecchiaia e la invalidità ; ma ormai si può credere che cosi come era stato ideato non verrà più discusso.

Come potrebbero sostenere industria, com­ mercio e agricoltura un carico di mezzo miliardo, il quale del resto potrebbe anche aumentare col semplice mutamento di una cifra quella della età, alla quale si ha diritto alla pensione, o quella dell’ammontare della pensione e via di­ cendo. La famosa « soluzione elegante » esco­ gitata dal ministero, cioè di consolidare in per­ petuo le rendite acquistate per la costituzione delle pensioni operaie è stata dimostrata non vi tale, non attuabile.

Secondo il progetto di legge si tratta di lar in modo che fra una quarantina d’ anni venga pagata una pensione ai sopravviventi fra i milioni di operai, ai quali sarebbero imposte subito le ritenute sui salari. Per un beneficio così remoto il carico attuale non sarebbe vera­ mente eccessivo ? Di qui un emendamanto che portava a 60 anni l’età, alla quale si aveva di­ ritto alla pensione. Ma esso fu respinto con 279 voti contro 228. Si trattava però di un equivoco, perchè in realtà anche il progetto autorizza il pagamento anticipato della pensione all’età di 55 anni. Se gli interessati continuano i loro ver­ samenti oltre questa età, la cifra della pensione aumenta evidentemente, quindi la questione era

già risoluta, non all’ art. 1° del progetto sul quale soltanto la Camera ha discusso, ma in altro articolo.

Senouchè la Camera francese avendo ve­ duto, dopo non breve fatica, che i benefici delle pensioni operaie non si potrebbero avere se non trascorso un periodo abbastanza lungo, avendo anche potuto scorgere le conseguenze finanziarie alle quali il bilancio andava incontro, cominciò a titubare.

Così la Camera si è domandata se non era il caso di tenere nel debito conto una istituzione già esistente : la Cassa nazionale delle pensioni. Pare che i legislatori francesi se ne fossero di­ menticati: ma il fatto è che la Camera messa sul­ l’avviso da un deputato, ha accettato il principio che la Cassa nazionale delle pensioni fosse messa nel novero di quelle istituzioni che sono auto­ rizzate all’ art. 1° a provvedere le pensioni

operaie.

Poscia l’ora del tempo e la non dolce sta­ gione, la necessità anche di passare alla discus­ sione della legge sulle imposte dirette sulle quattro contribuzioni, come dicono in Francia imposero l’aggiornamento della discussione sulle pensioni operaie fino alla ripresa dei lavori par­ lamentari. Ma ciò che è notevole è il latto che la Camera comprese la necessità di far studiare nuovamente, come dicemmo in principio, que- st’ardua questione.

Il governo con 291 voti contro 221 fu invi­ tato a consultare le associazioni degli interes­ sati, operai e padroni, nonché la Camera di Com­ mercio sul progetto in discussione. E la vasta inchiesta così ordinata recherà certo nuova luce sui varii lati del problema.

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442 L* E C O N O M IS T A 21 luglio 1901

L E C O A L I Z I O N I I N D U S T R I A L I

IN G E R M A N IA <)

Per provare che non è il grado di concen­ trazione industriale, quello che distingue i rar-

tells dai trusis, suppongasi ad esempio, che tutte

le miniere di carbone dipendenti dal sindacato renano-westfagliano non formino più che una sola Società, eh’ esse costituiscano un vero trust proprietario dell’ insieme dei pozzi. Questo fatto produrrebbe forse risultati importanti dal punto di vista del loro esercizio? Non si vede quali potrebbero essere, perchè ogni miniera conser­ verebbe forzatamente il suo direttore, i suoi inge­ gneri distinti da quelli della miniera vicina. Essa non sfuggirebbe alle condizioni speciali nelle quali si trova i ¡spetto alla profondità dei pozzi, allo spessore dello strato di carbone, alla natura del sotto suolo, attraverso al quale si fanno le gallerie, al pericolo più o meno grande del gri-

sou alla facilità della ventilazione, ecc. La sua

personalità, in breve, sussisterebbe in modo com­ pleto. Il legame commerciale è press’ a poco il solo che si possa stabilire fra le imprese car­ bonifere forzatamente separate le une dalle al­ tre. Questo si vede bene del resto a Saarbriiek, o nella Slesia, dove le miniere che sono fiscali-

sch, cioè appartengono allo Stato, sono assai nu­

merose. La vendita dei loro carboni è nelle mani di una sola amministrazione che regola so­ vranamente la produzione di ciascuna di esse, che ha quindi la funzione del sindacato renano- westfagliano, ma il loro esercizio è affidato a dif­ ferenti direttori che hanno da risolvere problemi diversi secondo la natura degli elementi che in­ contrano.

Il fatto non si svolge in questo modo, quando si tratta non più di miniere, ma di industrie pro­ priamente dette di fabbricazione. E’ più facile aggruppare delle officine che delle miniere di carbone sotto una direzione industriale unica. Tuttavia, la separazione materiale si impone spesso, anche quando l’ impresa dipende da una sola Società, oppure da un solo uomo. Il Krupp, ad esempio, è l’ unico proprietario della sua im­ presa, e tuttavia lo sviluppo della sua indu­ stria, l’ ha condotto a creare, all’ infuori delle ac­ ciaierie e fonderie di Essen, una serie di officine metallurgiche a Duisburg, a Rheinhausen, a Mag- deburgo, a Kiel, senza parlare delle miniere del Lussemburgo, di Bilbao in Spagna, ecc. A ll’ in­ fuori del legame commerciale assoluto che uni­ sce questi stabilimenti gli uni agli altri, perchè sono la proprietà d’ una stessa persona, non si può vedere tra essi che un solo legame vera­ mente industriale ed è che tutti profittano in­ sieme della conoscenza di un nuovo processo. La proposta fatta in uno di essi può essere im­ mediatamente applicata in tutte le altre, almeno quando compiono gli stessi lavori.

Questo non succede tra officine aggruppate per la vendita in comune dei loro prodotti. Esse sono indipendenti dal punto di vista industriale; ciascuna di esse può dunque modificare come le

fi Vedi il numero 1418 dell’ Economista.

piace i suoi procedimenti di fabbricazione, pur­ ché la qualità delle merci consegnate all’ ufficio di vendita non sia alterata per questo fatto. Nes- ; suna è obbligata di far partecipare le altre ai

perfezionamenti eh’ essa scopra.

Ma si supponga che una di esse si trovi in possesso di un processo ancora segreto e che per­ metta di realizzare una economia sensibile nella fabbricazione, di un processo che le assicuri, per conseguenza, un certo vantaggio su tutte le al­ tre. Si può credere forse eh’ essa resterebbe le­ gata all’ ufficio di vendita? È chiaro che no. Essa si ritirerebbe dal sindacato anche a prezzo d’ un forte indennizzo e richiamerebbe a sè tutta la clientela col venderle a miglior mercato, quan­ tunque con utile, dei prodotti d’ un costo di pro­ duzione inferiore.

Nella pratica, le officine che fanno parte di uno stesso sindacato lavorano in condizioni ana­ loghe. E ’ perchè si sanno bene dirette, bene prov­ viste di macchine, sicure di una certa clientela eh’ esse sono ammesse a farne parte. Ed è per­ chè non posseggono alcun vantaggio decisivo sui loro concorrenti eh’ esse vi entrano. Si di­ strugga questo equilibrio e, per la forza stessa delle cose, il sindacato cessa di esistere. Nessuno si sottomette alle prescrizioni assai strette di un’ associazione di questo genere, nessuno spe­ cialmente consente a limitare la produzione pro­ pria quando può smaltire i suoi prodotti a detri­ mento dei suoi concorrenti.

Fino a tanto che esiste il sindacato, vuol dire che nessuna officina che ne fa parte ha ot­ tenuto nella fabbricazione un progresso notevole e rimasto segreto. Un trust può trovarsi raffor­ zato da una felice scoperta, grazie alla concen­ trazione industriale che ne fa godere tutte le of­ ficine del trust, sopratutto se può sottrarne la conoscenza al pubblico. Un cartell è distrutto da un fatto di tal genere, in seguito alla man­ canza di concentrazione industriale. Ma tra un | trust e un cartell esistenti la concentrazione in­

dustriale non produce differenze caratteristiche. Si ripresenta così la domanda dove risiede effettivamente la differenza di natura tra i trusts ed i cartells.

I primi monopolizzano o quasi una industria grazie al concorso di circostanze favorevoli ec­ cezionali, alle quali viene sempre ad aggiungersi un elemento artificiale. Il trust del petrolio ha dovuto la sua nascita alla rarità dei terreni pe­ troliferi, ai vantaggi considerevoli che offre la concentrazione industriale per l’ operazione della raffinazione, poscia alla complicità della ferrovia Pennsylvania, con l’ aiuto della quale ha vinto i concorrenti. L ’ assenza di controllo sulle strade ferrate agli Stati Uniti si è trovato fornire un elemento indispensabile del monopolio; per sta­ bilirlo occorse che i mezzi di trasporto pubblico fossero abusivamente ricusati al pubblico, che una compagnia privata avesse preventivamente preso possesso di questi mezzi di trasporto e eh’ essa si sostituisse allo Stato rendendosi pa­ drona della circolazione sulla via pubblica e in­ terdicendone l’ uso, per un interesse privato, ai concorrenti Iella Standard Oil Company. Altri

trusts, quello dello zucchero specialmente, hanno

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legisla-21 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 443 zione doganale energicamente protettiva degli

Stati Uniti. E il De Rousiers opina che ovunque si incontra un vero trust americano, monopoliz- zatore d’ una industria, si scopre pure una in­ fluenza artificiale del potere dello Stato, eserci­ tato 3Ìa dallo Stato stesso, sia da privati che si sono impadroniti di una funzione dello Stato.

Un carattere ben determinato dei trusts sa­ rebbe adunque questo, che una parte del loro po­ tere è sottratta al potere dello Stato. Può dirsi la stessa cosa dei cartells ?

Il citato autore dice di non essere in grado di affermare in modo assoluto che tale sia il caso per tutti i cartells tedeschi. Il loro numero è sì grande che un errore può facilmente verifi­ carsi; ma, ingenerale, la influenza dello Stato è fra le cause della loro creazione.

Ora essa si esercita a profitto del complesso dell’ industria per mezzo della protezione doga­ nale; ora essa agisce più direttamente e favorisce questo o quel cartell speciale. Ad esempio, il sin­ dacato dei fabbricanti di locomotive, quello dei fabbricanti di vagoni sono energicamente soste­ nuti dal ministero prussiano dei lavori pubblici, incaricato della direzione delle ferrovie. Il sinda­ cato westfagliano dei carboni tratta con quel mi­ nistero, il che gli dà una consacrazione ufficiale e gli assicura uno sbocco importante. Vi è adun­ que un elemento estraneo all’ industria che ha una parte importante. I cartells agiscono quasi tutti in un mercato artificialmente piotetto, talvolta anzi sono favoriti dallo Stato. La differenza ca­ ratteristica fra i trusts e i cartells non è adun­ que ancora nell’ intervento dell’ autorità pubblica. Sicché nè la forma giuridica, nè il grado di concentrazione commerciale, nè quello della con­ centrazione industriale, nè 1’ azione dello Stato rivelano l’abisso che separa i trusts dai cartells. Tutti quegli elementi sono utilizzati dal trust per un dominio sovrano, unico, spesso oppres­ sivo e dal cartell per la costituzione di una lega. Il trust è il trionfo della concorrenza vit­ toriosa con un solo sopravvivente dopo la lotta; il cartell è una tregua conclusa fra combattenti che si riconoscono semplicemente di forza eguale.

Al riparo dalle barriere doganali, in un’arena circoscritta, il primo atterra i suoi avversari, il secondo li aggruppa. Nei due casi si tratta di rendersi padroni di quell’ arena e spesso accade che i cartells come i trusts riescono al monopolio di fatto, monopolio collettivo è vero, ma pure monopolio.

Anche in tal caso essi differiscono profon­ damente. Il cartell abbastanza potente per eser­ citare un monopolio rimane aperto a nuovi mem­ bri; non è radicalmente esclusivo come il trust. Questo invece non conosce che una sola alterna­ tiva di fronte ai concorrenti che possono mani­ festarsi, di schiacciarli od assorbirli; esso li rovina o li acquista e per rovinarli, non esita a impiegare manovre anormali, spesso sleali. Forte della potenza dei suoi capitali, fiducioso nella sua borsa più lunga, thè longer purse, vende a perdita pel tempo che occorre, quando un con­ corrente sorge dinanzi a lui; esso sbarra la strada ai prodotti d’ una officino rivale agendo sulle compagnie ferroviarie, dissimula abilmente, sotto le apparenze di una disposizione generale,

la misura legislativa che gli assicurerà un van­ taggio particolare a detrimento di quelli che vuol rovesciare. A questo scopo ha i suoi legali per redigere i testi di legge e i suoi legislatori per approvarli. E sono noti gli scandali rumo­ rosi ai quali fu mischiato il Sugar trust al mo­ mento del voto della tariffa Dingley da parte del Senato americano.

Questo modo di agire è interdetto ai cartells. Cotesti enti collettivi, nati da un bisogno reci­ proco di sicurezza e di protezione mutua, non hanno nè 1’ ambizione nè 1’ ardire necessari per impegnare con un concorrente serio una guerra al coltello, per fare il giuoco pericoloso della borsa più lunga, più resistente. E per sottrarsi alle lotte fratricide, non per ricominciarle sotto altra forma, che i cartells si costituiscono. Quanto ad abusare, nel loro interesse particolare, contro un concorrente tedesco, dell autorità dello Stato, ciò è loro difficile, anche perchè la prote­ zione di cui godono è assicurata a tutti i loro compatriotti; i legislatori coi quali trattano non sono corrotti come quelli di Washington o delle legislature locali degli Stati Uniti e d’ altra parte, l’esercizio delle grandi linee ferroviarie da parte degli Stati sovrani, il controllo esatto degli altri Stati, taglia corto ai vantaggi fraudo­ lenti spesso concessi ai trusts dalle Compagnie ferroviarie.

Così, quando sorge in Germania, accanto a un sindacato potente, una impresa estranea a quel sindacato, ma che fa prova di vitalità, sicura di un avvenire serio, essa non viene col­ pita di ostracismo; al contrario, il sindacato le apre la porta. E anzi una eventualità prevista da certi statuti, ad esempio da quello del sinda­ cato renano westfagliano (art. 13, titolo A). Que­ sta linea di condotta è essenziale pel cartell, e non pel trust. I cartells non possono vivere che per la unione dei produttori nazionali e 1’ operazione preliminare alla loro costituzione in una data regione e in una industria determinata è l’ ade­ sione di una fortissima proporzione, almeno il 90 0[o in generale, degli esercenti dì quella in­ dustria e di quella regione.

Una volta stabilito il cartell, bisogna che quella proporzione si mantenga, perchè esso possa durare; bisogna per conseguenza che fun­ zioni in condizioni tali che gli estranei possano aderire al cartell senza danno per essi nè per lui, sicché la moderazione nelle esigenze è una necessità che s’impone ad ogni cartell.

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L ’ E C O N O M IS T A 21 luglio 1901 444

tedésco è lontano dallo stato economico, politico e sociale della Repubblica americana. Ma le differenze risulteranno meglio dallo studio delle cause della organizzazione e degli effetti dei

cartells tedeschi.

( Continua)

§ iv is ta (Bibliografica

J. A. Bùia. — A ten years’ war. An Account o f thè

hattle ioith thè slum in New York. — Boston,

Houghton, Mifflin and C., 1900, pag. 2*37. La guerra di dieci anni, della quale il Riis ci narra le vicende, riguarda gli slums, ossia le ca­ tapécchie di Nuova York; il libro è quindi un contributo alla letteratura sulla questione delle case pei poveri. I l benemerito scrittore, già noto per altre pubblicazioni relative alle classi più di­ sagiate, ha fatto qui una vivace pittura della condizione degli slums nella grande città ameri­ cana e dell’ opera indefessa compiuta per trasfor­ marli. E la lettura di queste pagine presenta l’ interesse d’ un romanzo, perchè l’ Autore illu­ stra assai bene il suo soggetto sotto tutti gli aspetti. Vi sono pagine che trattano degli italiani residenti a Nuova York che non si leggono senza tristezza. 11 Riis non dispera che la condizione di Nuova York nei riguardi degli slums non possa migliorare ; ¡ risultati già ottenuti gli danno qual­ che affidamento in proposito. E noi auguriamo che fra dieci anni al più, egli possa scrivere un altro libro per completare il quadro delle vittorie ottenute in questa lotta che non è davvero meno ardua e importante di tante altre meno feconde combattute dagli uomini.

Maurice Haurion. — Fréni» de Droit Administratif

et de Droit public général. — 4a edizione. — Pa­

ris, Larose 1901, pag. VI-896.

Era i trattati di Diritto amministrativo che possiede la letteratura giuridica francese, questo del prof. Haurion è uno dei più pregiati, perchè pur essendo un Sunto, come l’ autore lo intitola, contiene un esame accurato e chiaro di tutta la materia di quella disciplina giuridica. Non senza utilità per chi studia il diritto amministrativo il prof. Haurion ha premesso nelle prime duecento pagine una breve ma succosa trattazione del di­ ritto pubblico generale, il quale ha per oggetto lo Stato considerato in relazione ai suoi elementi interni, agli enti che si muovono dentro di lui. Le altre settecento pagine svolgono il diritto amministrativo francese e precisamente trattano oltre che della descrizione di esso, dell’ ammini- strazione pubblica e degli atti di amministra­ zione, dell’ organizzazione delle persone ammini­ strative, dei diritti delle persone amministrative e del contenzioso amministrativo.

Trattandosi di materia che ha pure relazione con le discipline economiche specie con la finanza, ma esce dall’ ambito degli studi dei quali ci oc­ cupiamo, ci limitiamo a un semplice annunzio del libro, non senza notare che l’ autore si pronuncia contro l’ imposta progressiva e contro l’ imposta pel reddito globale. Ma qualunque sia il giudizio

che si voglia dare delle dottrine predilette dal­ l ’ autore nessuno può disconoscere che il suo trattato è un ottimo mezzo di studio di una di­ sciplina giuridica la cui conoscenza s’ impone ai nostri giorni più che mai. La partecipazione del cittadino alla vita pubblica, le emergenze molte­ plici dell’ amministrazione pubblica rendono ne­ cessaria la conoscenza dei vari meccanismi e isti­ tuti amministrativi.

Rivista (Economica

Demografia e democrazia. — Oli Istituti di emissione nel 1900. — Popolazione e mestieri nel Madagascar.

— Le Casse di risparmio in Germania. — Le finanze

egiziane.

Demografia e democrazia. — Paolo Leroy-

Beaulieu nell’ ultimo fasoioolo dell 'Economiste Fran­

çais, tratta la questione della popolazione in Europa

ed in Francia.

Voltaire, egli rammenta, scriveva, nel 1760, che occorrono circostanze particolarmente favorevoli, perchè la popolazione di un paese, aumenti di un ventesimo durante il corso di un secolo. Quando egli scriveva così non aveva torto, e forse avrà ra­ gione ancora nel secolo X X I.

Ma il secolo X IX gli ha dato una solenne smen­ tita La popolazione dell’ Europa in questi cento anni è molto più che raddoppiata. Anche quella del la Fran­ cia, dove il movimento ascendente è stato più lento e dove da qualche tempo pare completamente fermato, è cresciuta di oltre il 40 per cento, partendo da 2i mi­ lioni nel 1801 per arrivare nel 1901 a 38,600,000.

Se si considera soltanto la seconda metà del se­ colo X IX , si calcola che le sei grandi potenze, In­ ghilterra, Germania, Francia, Austria-Ungheria, Rus­ sia e Italia, contassero prese insieme 219 milioni di abitanti nel 1850 e che oggi nel 1901 ne possiedano quasi 343 milioni.

Questo aumento è ripartito in modo molto ine­ guale, la popolazione della Kussia è quasi raddop­ piata, salendo da 66,714,000 a 129 milioni, ossia un aumento di 62 milioni. L’aumento è stato di 21 mi­ lioni in Germania, che oggi conta più di 56 milioni di abitanti; di 14 milioni in Austria-Ungheria e di circa altrettanti per la Gran Brettagna, che hanno oggi rispettivamente 45 milioni d’abitanti la prima e 42 milioni la seconda. L’ Italia è cresciuta di 9 mi­ lioni, con 32 milioni e mezzo d’ abitanti; l’ accresci­ mento della Francia è stato più moderato 3,340,000 abitanti, in un mezzo secolo ; salendo da 35 milioni nel 1850 a 38,600,000 nel 1901.

Questi fatti sono noti: le riflessioni che essi suggeriscono sono banali ; la popolazione di tutti i paesi d’ Europa, e può-dirsi del mondo, continua a crescere più o meno, contrariamente alla previsione fatta da Voltaire centoquaranta anni fa; mentre la popolazione della Francia è arrivata allo stato di stazionarietà assoluta.

Se infatti, la Francia si è moltiplicata di 3 mi­ lioni d’ anime, nell’ultima metà del secolo, oggi non aumenta più da parecchi anni.

L’ ultimo censimento, constata un aumento di 330,000 anime dopo quello del 1896 ; ma è probabile che si debba alla immigrazione estera. La natività francese diminuisce senza interruzione e la morta­ lità vi è ancora eccessiva.

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21 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 445 La Francia non ha che 72 abitanti per km. qua­

drato ; tutti i paesi della sua frontiera del nord e dell’ ovest, eccettuata la Svizzera alpestre, hanno una densità infinitamente maggiore ; il Belgio più di 200 abitanti per km. qu.; la Germania e l’ Italia oltre a 100.

La Francia è dunque popolata insufficientemente di un terzo meno in rapporto alla Germania e al- l’ Italia. Per ottenere una densità uguale od ana­ loga mancano alla Francia almeno 16 milioni di abi­ tanti.

Per ottenere il livellamento, cui le popolazioni tendono al pari dei liquidi fra vasi comunicanti, oc­ corre una graduale infiltrazione od immigrazione dal di fuori.

Quali lo cause della debole natività francese ? Esse non sono nè di ordine fisico, nè di ordine eco­ nomico. Nessuna popolazione del mondo, eccettuata quella degli Stati Uniti, gode di altrettanto benes­ sere quanto la francese. Non vi sono dunque di quelle cause economiche, che in certi tempi allon­ tanano dal matrimonio, deprimono la natività ed aumentano la mortalità.

La causa della debole natività della popolazione francese è quasi unica, e tutta di ordine morale : è l’ambizione democratica, un concetto della famiglia, il quale consiste nel desiderio di assicurare ai figli una posizione sociale più elevata di quella in cui sono nati ; è, quanto meno, il timore di vedere la famiglia decadere invece di salire.

Tutti i popoli democratici arrivano a questo ; la natività debole si riscontra nelle colonie anglo-sas soni del Pacifico, Nuova Zelanda e Australia; è an­ che debole negli Stati Uniti e va diventandolo fra gli operai inglesi. In Belgio ed in Svizzera, da trenta o quarant’ anni, si osserva un’ evoluzione dello stesso genere.

È facile quindi prevedere, ciò che ha preveduto lo stesso Leroy Beaulieu, in principio del suo scritto, che cioè nel secolo X X I tornerà ad essere vero il presagio di Voltaire, e che il prevalere delle demo­ crazie porrà un argine al dilagare del1 e popolazioni europee, le quali, se continuassero a crescere nella misura del secolo X IX , in meno di due secoli copri­ rebbero addirittura l’ intera superficie della terra.

Gli Istituti di emissione nel 1 9 0 0 . —

Dalla relazione intorno all’ andamento degli Istituti di emissione nell’ anno 1000 testé distribuita alla Ca­ mera, risulta che prelevati a termine di legge 2 milioni di lire da versare alla liquidazione della Banca R o­ mana e sei milioni da accantonare a copertura delle perdite derivanti dalla mobilizzazione delle attività incagliate, gli utili netti della Banca d’ Italia nel- 1’ anno 19u0 ascendono a L. 5,880,056.

La massa di rispetto, vincolata per trenta mi­ lioni come dotazione del Credito fondiario della ces­ sata Banca Nazionale nel Regno, ammonta al termine dello scorso esercizio a L. 41,480,282. 65. Alla stessa data, il fondo accantonato per le perdite della mo­ bilizzazione si adegua a L. 44,412,712,80. Sicché in tutto le riserve patrimoniali ascendono a L. 88,893,195.45 delle quali sono disponibili soltanto 58,893,195. 45.

Gli utili netti nel Banco di Napoli nel 1900 si elevano a L. 2,119,653.39, contro L. 625,090.19 nel 1899. La massa di rispetto dell’ Istituto, che al 31 di­ cembre 1899 ammontava a L. 1,836,235.33 e crebbe poi a L. 2,711,325. 52, con l’ aggiunta degli utili netti disponibili dell’ anno 1899, ammonta a L. 4,805,978,91.

I fondi accantonati a termini della legge del gen­ naio 1897 per la ricostituzione del patrimonio del Banco, che secondo le previsioni, verrà in gran parte assorbito dalle perdite derivanti dalla mobilizzazione delle attività incagliate, ascendono complessivamente a L. 12,083,147,96. Di questa somma, L. 4,608,468,91 riguardano il fondo che si vien costituendo coi pro­ venti erariali per imposta di ricchezza mobile sugli interessi delle cartelle fondiarie e per tassa di cir­ colazione delle medesime ; e L. 7,174,679,05 si riferi­ scono all’ altro fondo alimentato dagli interessi del noto impiego di 45 milioni in titoli emessi o garan­ titi dallo Stato.

Gli utili netti del Banco di Sicilia sono nel 1900 di L. 612,380,50 contro 705,863,13 nel 1899. La massa di rispetto dell’ Istituto sale al 3: dicembre 1900 a L. 7-358,598,11, compresi gli utili dello stesso anno ad essa devoluti.

Popolazione e mestieri nel Madaga­

scar. — Secondo l’ ultima statistica ufficiale pubbli­

cata dal Governo francese l’ isola di Madagascar contava nel dicembre del 1900,1941 abitanti europèi, di cui 1193 francesi, 374 inglesi, 33 tedeschi, 3 ame­ ricani e 338 di varie nazionalità.

Su questi 194L europei, 383 erano agricoltóri, 1558 commercianti ed industriali.

Sui 1193 francesi, 334 erano agricoltori, sui 374 inglesi, soli 42.

La popolazione indigena ammontava alla mede­ sima epoca a 2,242,443 individui, più 404 asiatici e 84 africani, i quali asiatici ed africani sono commer­ cianti, mentre fra gli indigeni si occupano di com­ mercio 3945 di essi.

Riassumendo, nel dicembre del 1900 vi erano al Madagascar 2,339,331 agricoltori e 5,591 commercianti e industriali sopra una popolazione totale di 2,243,872 abitanti.

Dal censimento del bestiame, fatto alla stessa epoca, risultano 974,928 buoi ; 172,830. vacche , 94,058 montoni, 230,055 maiali, 440 cavalli, 52. muli, pollame 148,022 capi; le quali cifre accusano un au­ mento di circa 100,000 capi dall’ anno preeedentè. '

Finalmente le superfici coltivate a cultura indi­ gena e la produzione danno le seguenti cifre :

Superfìcie in ettari Prod. in tonili

Riso 307,446 328,647

Manioc 57,293 303,782

Patate 24,201 88,437:

Altri prod. varii 23,690 68,778

Totali 412,600 783,689

Le casse di risparmio in Germania. —

Secondo una pubblicazione dello Sparkasse di Ber­ lino, la quale ha un interesse particolare pel fatto che finora non è stata mai pubblicata veruna stati­ stica officiale per l’ insieme delle Casse di risparmio esistenti nel territorio dell’ Impero, negli anni 1898- 99 vi erano in Germania 13,854,927 depositanti e l’ am­ montare complessivo dei depositi era di 8,106,488,665 marchi.

La più gran parte di questi depositi a risparmio riguarda la Prussa, che alla fine del 1898 aveva 8,049,599 depositanti, con un credito di 5,287,235,057

marchi.

Al riguardo appunto della Prussia, aggiungiamo dei dati ancora più circostanziati pel 1899-900.

Il numero dei nuovi libretti aperti in detto anno fu di 400,766, ciò che ne eleva il totale a 8,450,690. Le diverse categorie di libretti concorrono a questo aumento nelle proporzioni seguenti:

proporzione dell* aumento Libretti inferiori a 60 marchi

annuale 4,49 0^0 » da 61 a 150 » 4,43 » » » 151 a 300 » 4,88 » » » 301 a 600 » 5,46 » » • » 601 a 8000 » 5,69 » » » 3001 a 10.000 » 5,57 » » al di là di 10^000 » 6,24 » I depositi sono egualmente in progresso. Alla fine dell’ esercizio 18a9-900 ascendevano a 5,578 mi­ lioni di marchi, ciò che rappresenta 660 marchi per libretto, contro 657 alla fine dello esercizio prece­ dente.

Questi depositi a risparmio in Prussia sono prin­ cipalmente consacrati a dei prestiti ipotecari e agli acquisti di titoli al portatore e sussidiariamente ad altri prestiti e operazioni diverse.

Le finanze egiziane. — Dal rapporto an­

nuale distribuito ultimamente da Lord Cr liner sulla situazione finanziaria in Egitto, rileviamo le seguenti cifre.

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