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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1419, 14 luglio

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Aiuto X X V I I I -V o i . X X X II

Firenze, 14 L i g i o 1901

N . 1419

Radicali e conservatori

Due anni or sono rispondendo ad un pe­ riodico che, pur in forma cortese, ci giudicava conservatori, abbiamo creduto di respingere quel giudizio, affermando che eravamo così poco con­ servatori che, guardandoci intorno, nulla, o ben poco, del grande edificio che ci regge credevamo degno di esser conservato.

Si intende che affermando ciò non intende­ vamo di parlare di alcuni istituti sociali, come la proprietà, la famiglia, la libertà individuale, ecc. Siamo troppo positivi per discutere di queste questioni, le quali possono sentire nei secoli qualche evoluzione, ma per ora non possono for­ nir tema di nessun programma pratico.

Ma, invece, siamo convinti che una grande ' parte del vecchio congegno, che costituisce lo Stato nelle sue diverse funzioni, abbia bisogno di es­ sere sollecitamente rinnovato, perchè svoltosi quando la Società era governata da pochi, e lo Stato non incarnava che una piccolissima fra­ zione della popolazione, non risponde più alla situazione moderna, in cui allargatosi il voto, la istruzione e la stessa base dello Stato, il Governo ha perduto il suo carattere di azione

paterna di una classe su tutte le altre e tende

a diventare Governo di tutti e p er tutti. E se poteva non piacere a molti di ascri­ versi tra i radicali, i quali si confondevano con coloro che ponevano in testa del loro pro­ gramma la necessità, non davvero dimostrata, di cambiare la forma di Governo, è certo che molti degli antichi liberali e molti dei vecchi progressisti, potevano considerarsi radicali po­ tenzialmente; solo essi rifuggivano dal dichiararsi tali, perchè non ammettevano nè utile nè conve­ niente discutere sulla repubblica o sulla mo­ narchia.

Ciò premesso, senza dire che abbracciamo fin d’ora i concetti esposti a Cremona dall’on. Saechi, non nascondiamo di aver visto con pia­ cere formarsi un gruppo di radicali, al quale sono ascritti carissimi amici nostri, che già col- laborarono nell’ Economista, ed il quale astrae da ogni discussione di forma di Governo, am­ mette che anche colla Monarchia e forse più colla Monarchia che colla repubblica, si pos­ sano conseguire tutte le riforme necessarie, e si propone appunto di propugnare 1 rinnovamento della Amministrazione italiana.

E ve ne è veramente bisogno, poiché da qualunque parte si sollevi il velo, spesso fittis­ simo, che la copre, si vedono tali cose ed appari­ scono tali fatti da far comprendere che vi è urgente necessità di procedere ad ampie e radi­ cali riforme.

Certo non si può aspettarsi un improvviso rinnovamento di ogni parte della gran macchina, ma è coi! imperioso il bisogno di migliorarla che poco importa da qual parte si cominci.

Non esageriamo al punto da credere che tutta la amministrazione italiana sia corrotta od incapace ; anzi crediamo che qua e là vi sieno dei buoni elementi, e non manchi nemmeno il de­ siderio del bene; — ma ciò che mauca invece af­ fatto, sono i criteri coi quali la amministrazione deve prestare l ’ opera propria. I frequenti cam­ biamenti di Ministri hanno reso scettici gli ese­ cutori dei loro ordini, perchè, quasi sempre im­ provvisati e deficienti quindi della necessaria ponderazione, il buon senso consigliava a rallen­ tarne la applicazione nella attesa della inevitabile prossima crise. E cosi si è formato il corpo bu­ rocratico che è l’ effettivo padrone della ammini­ strazione; e, per inevitabile conseguenza, diventò una specie di funzione di per sè stante, mentre dovrebbe agire soltanto al servizio dei cittadini. Qualcuno con frase incisiva afferma che sono i cittadini fatti per gli impiegati e non già questi per i cittadini.

Governo e Parlamento sono nella evidente impotenza di imprimere alla complessa macchina dello Stato un buono e sano movimento che ne renda più sollecita, più efficace, più intelligente la azione. La burocrazia, quasi sempre in lotta coi Ministri, maltrattata spesso da essi, ha per­ duto ogni iniziativa e si è circondata da leggi, da regolamenti, da istruzioni, da circolari faraggi- nose, che annullano ogni intelligente iniziativa dell’ impiegato che voglia applicare i principii della legge ai casi singoli che gli si presentano.

Perchè non vi sia responsabilità, si è cercato che tutto proceda quasi automaticamente, e si è quindi perduta nella azione dello Stato e nei suoi contatti coi cittadini quella utile pieghevolezza che si incontra tra due persone che dispongono della loro ragione. Il cittadino può ragionare fin che vuole, l’ impiegato non ha davanti a sè che il regolamento, la circolare, la istruzione; riconosce anche che avete ragione, ma al dirvelo ufficial­ mente gli urta 1’ articolo, il paragrafo, la cir­ colare.

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passa alla sostanza delle cose: leggi confuse; legislatori che non sanno, legiferando, quale altra legge esista e sia abrogata o modificata dalle nuove disposizioni ; — regolamenti in contraddi­ zione colle leggi; istruzioni in opposizione alle leggi ed ai regolamenti. E tutto ciò si traduce in torture continue pei cittadini che non sanuo più dove sia il loro diritto ed in qual modo pos­ sano farlo valere. E da qui anche sperpero del denaro pubblico in doppio modo : per la confu­ sione che regna nelle amministrazioni e per i sin­ dacati o controlli che si moltiplicano onde far cessare la confusione.

E a poco a poco siamo giunti a pervertire talmente l’ opinione pubblica che non solo essa diffida di poter avere giustizia nelle piccole cose, ma rimane indifferente davanti ai più grandi abusi del potere ed agli strappi che si fanno allo stesso statuto.

Ora, a nostro avviso, un partito radicale do­ vrebbe avere per primo suo ufficio quello di far rifiorire nel paese il concetto, che era cosi vivo venti anni or sono, della inestimabile efficacia della libertà, cioè del rispetto alla legge da parte di tutti, ma sopratutto da parte del Governo.

In quanto alle riforme, a cominciare da quella tributaria ed a terminare da quella delle forze militari, vi è abbastanza per occupare delle die­ cine d’ anni negli studi e nella lotta per conse­ guirle.

E, ripetiamo, attendendo il nuovo partito ai fatti, senza ascriverci a esso, lo salutiamo con simpatia e con augurio.

Gli azionisti della Banca d'Italia

Con apparenze e pretesti diversi si sono co­ stituiti gruppi di azionisti della Banca d’ Italia, i quali prima sembravano propugnare questa o quella questione di secondaria importanza, ma poi, a quanto pare, abbandonate le apparenze e smessi i pretesti, si trovano, ora concordi nel pensiero di ottenere dividendi maggiori di quelli che fino ad ora furono distribuiti.

Tale movimento per più ragioni ci sembra meritevole di attenzione e tanto più volentieri crediamo utile di occuparcene, in quanto avendo già in altre occasioni manifestato il nostro pen­ siero sull’ argomento, non abbiamo oggi che a sviluppare quei concetti che abbiamo già so­ stenuti.

Gli azionisti della Banca d’ Italia, come gli azionisti di ogni altra Società, hanno dei diritti che sono regolati dagli statuti che reggono la Banca e dalla legge e dagli statuti gli azionisti hanno anche il modo di far valere questi loro diritti; non dividiamo la opinione, che vediamo espressa da qualche periodico, che gli azionisti della Banca d’ Italia debbano posporre il loro particolare in­ teresse a quello generale del paese e della econo­ mia nazionale. Se cosi fosse, si potrebbe credere che vi è incompatibilità tra gli interessi degli azionisti e quello del paese, la qualcosa a noi

non sembra esatta in nessun modo; anzi siamo convinti che tra i due interessi, quando sieno bene intesi, vi 3ia una perfetta e costante ar­ monia.

Potremmo osservare che sono appena pochi mesi che il comm. Stringher ha assunto la dire­ zione della Banca e che non è ancora possibile vedere gli effetti della sua azione e della attua­ zione del suo programma, che deve essere certo diverso del suo predecessore: e potremmo quindi dedurre che è per lo meno prematura una agi­ tazione degli azionisti, la quale mirerebbe in certo,modo a forzare la mano alla Direzione ge­ nerale, della quale ancora non si possono cono­ scere che appena sbozzati i propositi e gli inten­ dimenti.

Ma invece di seguire un simile ragionamento, che non mirerebbe a discutere la questione in sè, amiamo meglio affrontarla recisamente e discu­ tere in modo concreto su quel punto che più e meno esplicitamente forma il nodo della agita­ zione attuale, quello c io è :'— se si abbiano ad aumentare i dividendi della Banca d’ Italia.

Ed è chiaro che tale proposizione va di­ stinta in due possibili ipotesi:

1° se i dividendi abbiano ad essere au­ mentati, anche se non aumentano gli utili;

2° se i dividendi si debbono aumentare quando gli utili aumentassero.

Noi abbiamo già detto che la Banca d’ Italia ha distribuiti negli anni scorsi degli utili che effettivamente non esistevano. Ragioni di oppor­ tunità, un erroneo concetto di giustizia, il timore di vedere quotato troppe basse le azioni, in­ fluenze di consiglieri poco illuminati, un certo senso politico che non era disgiunto dalla Dire­ zione della Banca, spinsero ad assegnare agli azionisti un dividendo anche quando — si noti bene — le condizioni complesse della azienda non permettevano di vedere quale fosse veramente la consistenza patrimoniale, e le rendite dell’ eser­ cizio non lasciavano margine per assicurare la esistenza di utili distribuibili.

Ed è per questo che salutando l’ avvento del nuovo Direttore generale, del quale conoscevamo, non solo la grande esperienza amministrativa e la conoscenza delle condizioni della Banca, ma anche la specchiata rettitudine, ci rammaricammo che da lui non si potesse esigere un diverso in­ dirizzo in una questione che era già stata pre­ giudicata dal suo predecessore: quella dai divi­ dendi; se per motivi evidenti di convenienza egli era costretto a mantenere lo statu quo, facevamo voti però perchè non facesse ulteriori passi su una via che giudicavamo erronea, finché l’Istituto non si fosse trovato in condizioni migliori.

Ed ora viene appunto l’ occasione, di fronte alla agitazione di alcuni azionisti, di dir chiaro il nostro pensiero.

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14 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 421 della moneta metallica del paese contro la quale

emette biglietti; l’altro, quasi secondario, di emet­ tere biglietti, cioè titoli a vista, contro un porta­ foglio di primo ordine e di brevissima scadenza. Invece la Banca d’ Italia compie malamente questi due uffici, che dovrebbero essere esclusivi per un Istituto di emissione, in ,causa di tre pia­ ghe che ne intralciano il movimento e ne dena­ turano la funzione: la liquidazione della Banca Romana; — la liquidazione del Credito fondiario; — le immobilizzazioni.

Contro ciascuno di questi enti, che rappre­ sentano diecine di milioni in parte irrealizzabili perchè sono perdita sicura, in parte, lentamente realizzabili per la natura loro, stanno delle die­ cine di milioni di biglietti che dovrebbero essere barattabili a vista, ma non lo possono essere per­ chè rappresentano un portafoglio che non è, nè di primo ordine, nè di brevissima scadenza.

Oggi è inutile domandarsi: — ha fatto bene lo Stato ad addossare alla Banca d’ Italia il fo r ­

fait della liquidazione della Banca Romana?

ha fatto bene lo Stato a concedere alla Banca Nazionale l’esercizio del Credito fondia­ rio, nella supposizione, che oggi tutti riconoscono erronea, ma che a suo tempo pochi con noi com­ batterono, che la Banca fosse responsabile solo per i trenta milioni conferiti ?

ha fatto bene lo Stato a chiudere gli occhi, quando la Banca faceva operazioni che erano agli antipodi colla sana funzione di una Banca di emissione ?

Gli azionisti, anno per anno, a grande mag­ gioranza, se non alla unanimità, hanno approvato i bilanci ; quando occorse hanno approvate le singole convenzioni, ed hanno accettati gli sta­ tuti della Banca d ’ Italia.

Oggi la situazione è quella che è, e forse noi soli sull’ Economista abbiamo tempestiva­ mente protestato contro la convenzione per la liquidazione della Banca Romana.

Ma data appunto la situazione quale essa è, noi crediamo che l’ interesse vero e reale degli azionisti sia quello di far uscire la Banca

al più presto possibile dalla situazione nella

quale si trova, a cercare che al più presto pos­ sibile possa epurare il proprio bilancio e ridurlo a quelle semplici linee che deve avere una Banca di emissione.

Se non che l’ attuale agitazione degli azioni­ sti mostra che vi sono alcuni, i quali credono possibile un’ altra via: quella di prolungare la malattia della Banca distribuendone i danni su un grande numero di esercizi anche al di là del- 1’ attuale concessione.

Avere cioè un maggiore dividendo, a costo di mantenere la Banca nello stato di perenne anemia.

Francamente, non crediamo che sia possi­ bile accettare un simile concetto, e non crediamo nemmeno che nessun uomo di coscienza si ac­ concierebbe ad attuarlo.

Se fosse possibile, e ripetiamo pur troppo la questione è già pregiudicata, sospendere la distribuzione dei dividendi agli azionisti ed ap­ plicare quei milioni a svalutare valori che figu­ rano solamente nel bilancio, sarebbe la migliore fortuna della Banca, che in più breve tempo

rie-scirebbe a liberarsi di tutto ciò che la denatura; — ma se ciò, per le ragioni di convenienza suac­ cennate non è possibile, noi crediamo che nello interesse degli azionisti e del paese ogni mag­ gior utile che si possa ricavare dalla attività della Banca, si debba impiegare fino all’ ultimo centesimo nell’ effrettare la depurazione delle immobilizzazioni e la liquidazione delle due aziende Banca Romana e Credito Fondiario.

Non dimentichino gli azionisti che per dare le L. 18 per azione occorrono L. 5,400,000 e che tra i profitti vi sono queste tre partite : 1. Proventi ed interessi di fondi pubblici di

proprietà della Banca . . L. 4,563,113.60 2. Interessi sul fondo di 30 mi- • .

lioni assegnati al Credito

f o n d i a r i o ...» 1,200,000.10 3. Interessi e proventi sulle

operazioni non consentite

dalla legge... » 4,978,891.53 L. 10,742,005.13 Di fronte a questi 10.7 milioni stanno gli 8 milioni di spesa per gli accantonamenti, e circa un mezzo milione per maggiore spesa di tassa di circolazione.

Vogliamo dire con ciò, che allo stato at­ tuale delle cose, cedendo, se si potesse, Banca Romana, Immobilizzazioni e Credito fondiario, il conto profitti e perdite della Banca d’ Italia non avvantaggerebbe gran che, anzi, forse per molti anni, finché non si potessero fare grandi economie nel personale, le quali economie non sono possibili che lentamente, molto lentamente, il conto profitti e perdite avrebbe sull’ attuale un disavanzo; giacché non è presumibile che si permetterebbe alla Banca di continuare ad avere impieghi diretti in titoli e sparirebbero quindi quattro milioni e mezzo di utili.

Lo scopo principale quindi di chi amministra l’ Istituto deve essere quello di svalutare e sem- plicizzare talmente le tre aziende estranee diremo così alla Banca, cioè Credito Fondiario, Immobi­ lizzazioni e Banca Romana, in modo da potersene disfare con facilità, ed anche con utile.

Ma chi mai può comprare 245 milioni di immobilizzazioni che non rendono se non 4,9 mi­ lioni ? E a che varrebbe costituirne una sezione autonoma, so la Banca deve rimanere responsa­ bile dell’ esito finale ?

Gli azionisti possono facilmente fare il conto del valore d’oggi, delle immobilizzazioni capitaliz­ zando il reddito di L. 4,971,891.53 al saggio anche del solo 4 "/0 e trovano appena 125 mi­ lioni ; non vogliamo dire che gli altri cento mi­ lioni sieno tutta perdita, ma possiamo ben dire che è capitale che non rende e non si può realiz­ zare, almeno per ora.

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milioni di scadenze ? E ancora, che gli incassi non bastano ai pagamenti, cosi che il conto cor­ rente colla Banca aumenta?

Chi potrebbe comperare alla pari un’azienda in quelle condizioni ? E come si deve giudicare che si distribuiscano agli azionisti della Banca d’Italia gli interessi 4 % su un capitale di 30 mi­ lioni, del quale si può legittimamente dubitare della completa esistenza ?

Vi è qualcuno il quale crede che i 30 mi­ lioni assegnati al Credito Fondiario non baste­ ranno a coprirne le perdite alla fine della liqui­ dazione ; vi può essere della esagerazione in tutto ciò ; ma, stando le cose come sono oggi, non sarebbe prudente che ad una azienda, la quale non è in caso di fare i pagamenti neces­ sari alla sua esistenza, si concedesse l’esonero di pagare gli interessi al capitale almeno fino a che potesse vivere da sè ?

E la Banca Romana in liquidazione? Quanti milioni di deficit lascierà oltre gli accantona­ menti? Non si hanno elementi per giudicarlo, ma appunto per questo è da ritenersi che la somma non sia piccola quando si vede che il conto corrente a credito della Banca d’ Italia è già salito a 97 milioni.

Scriviamo in modo forse troppo rude, rivol­ gendo la nostra parola ad azionisti che hanno molto sofferto ed a cui si fanno balenare tante speranze. Ma crediamo che sia nostro dovere il farlo, perchè l’agitazione parte da un mercato, quello di Genova, dove in questi ultimi anni si sono compiute delle speculazioni su alcuni ti­ toli, che dobbiamo giudicare delle follie finanzia­ rie. Alcune sono già state liquidate nelle piccole crisi di due anni or sono, ma altre sono sempre in sospeso.

L’economia del paese non ha bisogno di grandi dividendi, ma di grandi ammortamenti ; tutto- il tecnicismo delle industrie si rinnuova con troppa rapidità, perchè non vi sia bisogno urgente di svalutare altrettanto rapidamente gli impianti. I grossi dividendi sono permessi senza insania, soltanto quando il capitale d’impianto è quasi totalmente ammortizzato.

Le prudenti e solide aziende estere hanno fatto così ; altrimenti vi è sempre pericolo di crisi violenta.

Così per la Banca d’ Italia ; se gli azionisti vogliono vivere tranquilli dell’avvenire, obbli­ ghino la amministrazione a curare le economie e ad impiegare ogni possibile risorsa a svalu- lutare gli enti amministrati, così da potersene di­ sfare senza perdita.

Questo deve essere il programma sano da seguirsi; non solamente fare gli accantonamenti prescritti dalla legge, ma, se è possibile, farne anche di spontanei ; e quando la Banca d’Italia abbia potuto sollecitamente epurare la sua azienda da quelle tre piaghe, allora potrà pren­ dere il suo vero posto nella economia del paese esserne la efficace moderatrice e ricavarne quei legittimi lucri, di cui godono gli azionisti delle principali banche estere di emissione.

E noi abbiamo fede che il Comm. Stringher, non solo resisterà fermamente ad ogni pressione

che gli fosse fatta per un diverso indirizzo, ma, se altro fosse il parere degli azionisti, lascerà ad altri il compito di seguirlo.

I TR A TTA TI INTERNAZIONALI DEL LAVORO

L ’ on. Luigi Luzzatti, con quella originalità di idee e quell’ interessamento sempre vivo per chi lavora, che lo distinguono, ha esposto alla Camera il concetto che convenga al nostro paese di stipulare dei trattati con gli altri Stati, per regolare le questioni che riguardano i nostri la­ voratori che si trovano all’ estero. E anche in questi ultimi giorni, in una intervista avuta col corrispondente romano della Stampa, ha insistito nella sua idea della necessità di simili trattati internazionali e ne ha illustrato il carattere e lo scopo.

Il trattato del lavoro dovrebbe specificare e garantire reciprocamente i diritti e gli obblighi degli operai stranieri nelle Casse nazionali per assicurazioni sociali (malattie, infortuni, vec­ chiaia), la libertà individuale del lavorante stra­ niero e le guarentigie per assicurarlo costitui­ rebbero uno dei capisaldi di siffatte negoziazioni. Per noi italiani, che abbiamo tanti operai fuori di casa, è penoso il pensiero che in Francia, in Germania, i nostri giovanetti si adoperino in lavori ai quali nessuna madre francese o tedesca vorrebbe assoggettare i propri figli. Ebbene, il trattato di lavoro spiegherebbe le ali materne della protezione anche per questi infelici, perchè gli Stati si presterebbero mutuamente gli organi della tutela politica e giudiziaria, a presidio della incolumità della vita umana.

Negoziando con un paese, dove l’ Italia mandi di consueto, ogni anno, migliaia dei suoi emigranti, in compenso di favori chiari e sicuri concessi contrattualmente ai nostri operai che vanno a lavorare in quel paese si potrebbero dare alcuni favori specifici a talune merci che quel paese manda in Italia. E cioè : il diritto do­ ganale del nostro paese si diminuirebbe con ac­ corta prudenza, per proteggere, con definite tu­ tele e garanzie, i lavoratori d’ Italia nell’ altro paese con noi contraente.

L ’ on. Luzzatti fece pure notare che il Pe-

ster TJoyd, giornale ufficioso di Budapest, accolse

senza restrizione la sua idea sui trattati del la­ voro. Però l’ on. deputato aggiunse che non po­ trebbe accettare come propone il giornale un­ gherese, che in cambio dei vantaggi accordati agli italiani, che lavorano in Ungheria, l’ Italia accettasse i dazi attuali pel vino italiano che va in Austria; ma dalle parole del Pester Lloyd egli deduce che l’ idea sostanziale del trattato di la­ voro fu bene accolta all’ estero.

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14 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 423 occorra vincolare gli Stati, mediante la stipula­

zione di clausole, da inserire nei trattati di com­ mercio, all’ osservanza di certe norme di equità, o di protezione dei lavoratori. Una prima que­ stione, che si potrebbe qualificare di pregiudi- ciale, sorge quindi a questo proposito. Se con­ venga, cioè, di riunire le due materie, quella delle tariffe e in genere del regime doganale e quella delle norme regolatrici dei rapporti tra operai nostri che lavorano all’ estero e gl’ imprenditori o gli enti pubblici per la protezione, la assistenza, la assicurazione e via dicendo. Noi non crediamo utile e nemmeno necessaria quella congiunzione e ne diremo, anzitutto e brevemente, la ragione.

Non utile, perchè per noi il problema doga­ nale, già arduo, verrebbe ad esserlo in misura

maggiore, quando nei negoziati relativi a dazi,

j

volessimo far entrare le questioni di tutela e assistenza agli emigranti. Per quanto si voglia giudicare con ottimismo la situazione presente non v’ ha dubbio che quando sarà il momento di concretare i nuovi patti con l’ Austria-Unghe­ ria, con la Svizzera e con la Germania ci trove­ remo di fronte a ripulse le quali dovremo affati­ care non poco per vincere. E le condizioni diffe­ renti del Nord e del Sud d’ Italia, impongono ai nostri negoziatori riguardi, temperamenti e domande, che per sè medesime formano un pro blema i cui termini sono numerosi e talvolta quasi si direbbero inconciliabili. Ora noi an­ dremmo ad aumentare le nostre domande, a ren­ derle più complesse e a dare ai nostri contraenti nuovi elementi a lor favore, quando riunissimo le domande dei dazi con quelle attinenti al la­ voro. Nè sarebbe impossibile che per non cedere su un dato punto in materia di dazi, il nostro contraente si facesse torte di vantaggi concessi o da concedere sul terreno dei diritti o dei benefici estesi ai lavoranti italiani per le assicurazioni e simili. È evidente che noi stessi verremmo a met­ terci, con ciò, sempre più in condizioni difficili, riguardo alle questioni doganali coll’ estero. E si noti che gli Stati d’ Europa, dai quali cerchia­ mo di ottenere il trattamento doganale più fa­ vorevole alle nostre esportazioni, cioè Austria- Ungheria, Svizzera, Germania e Francia sono anche quelli dove accorrono in maggior numero gli operai nostri. Sicché i trattati da stipulare con quelle potenze, trattati di commercio e in­ sieme di lavoro, sarebbero resi più difficili pro­ prio per noi; i nostri contraenti, e l’ osserva­ zione del Pestar TAoyd più sopra riferita lo dimostra, avrebbero maggiori argomenti per re­ spingere quelle concessioni doganali che mentre interessano maggiormente la nostra economia sono più combattute nei paesi contraenti. Non neghiamo che l’ idea dell’ on. Luzzatti possa in qualche caso speciale riuscire di pratica utilità; ma considerando la questione in generale non vediamo, per noi, una vera utilità a collegare le due materie dei dazi doganali e del lavoro; e questo diciamo senza intendere menomamente di disconoscere la importanza delle questioni di carattere internazionale attinenti al lavoro che vanno sorgendo in seguito alla emigrazione dei nostri lavoratori. Ma di ciò diremo fra poco.

Quanto alla necessità di icgolare cumulati­ vamente i due ordini di relazione noi non la ve­

diamo perchè vi è, a nostro parere, una profonda differenza tra esse. In materia di dazi di confine ciascuno Stato può andare sino ai limiti del più gretto egoismo, potrebbe insomma applicare la politica più apertamente proibitiva, senza ledere alcun principio di diritto internazionale pubblico e privato; sbaglierà nella tutela dei propri inte­ ressi, ma quello Stato non offenderebbe alcun canone della civile convivenza fra gli Stati se alzasse le barriere doganali ad altezze inacces­ sibili o se si abbandonasse a rappresaglie doga­ nali. Invece sarebbe certo biasimevole, e peggio, offenderebbe i principii del diritto delle genti e i canoni umanitari più elementari, se creasse stri­ denti disparità fra operai nazionali e operai d’al­ tri Stati, se, per ipotesi, impedisse lo sfruttamento dei fanciulli del proprio paese e lo tollerasse, per contro, quando si tratta di fanciulli d’ altro Stato immigrati nel proprio. Vi sono adunque delle forme di protezione, di tutele, di assistenza che s’ impongono a qualunque Stato civile, anche nei riguardi degli stranieri, quando siano esercitate a vantaggio dei nazionali e per questo motivo, in mas­ sima, non vediamo la necessità di accordi contrat­ tuali da mettere allo stesso livello, da coordinare e riunire a quelli concernenti il regime doganale.

Ma è bensì vero che oggidì lo sviluppo che ha preso in alcuni paesi la legislazione sociale ed operaia, la importanza assunta dalla emigrazione italiana, sia temporanea che permanente, la isti­ tuzione di casse di assicurazioni operaie, sollevano vari problemi nei riguardi degli stranieri, a risol­ vere i quali problemi non sempre si è seguito un cri­ terio equitativo. Taluni casi di tal genere si sono presentati di recente appunto per le assicurazioni operaie in Germania. Ebbene niente impedisce che si facciano convenzioni speciali per questa materia delle assicurazioni, come pure se ne sono fatte tante altre per materie amministrative, giu­ risdizionali, sanitarie, eco. eco.

Già alcune leggi nel regolare i diritti degli stranieri hanno delle disposizioni sulle quali certo ci sarebbe molto da dire, ma non dovrebb’essere diffìcile a questo proposito di venire ad equi a c­ cordi od anche senza un vero accordo di ottenere con opportuni reclami che lo straniero o i suoi aventi causa non siano trattati peggio dei nazio­ nali in argomento che non hanno nulla a che ve­ dere con la nazionalità.

È giusta, ad esempio, la disposizione della legge francese 9 aprile 1898 sugli infortuni del lavoro (art. 3) secondo la quale i rappresen­ tanti di un operaio straniero non riceveranno alcuna indennità, se al momento dell’ infortunio seguito da morte essi non risiederanno sul terri­ torio francese. Non ci permettiamo di non tenerla per giusta. l)

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Niun dubbio, ripetiamo, che specie in mate- r,a di assicurazioni abbligatorie per gli operai, occorra regolare con maggiore precisione ed equità le ragioni degli operai esteri e niun dub­ bio che questo argomento sia del maggior inte­ resse per noi, che abbiamo così numerosa emi­ grazione. Ma non si tratta di scambiare una concessione doganale con un migliore, ossia più giusto, trattamento fatto ai nostri operai per le assicurazioni cui fosse astretto o contro una protezione più efficace nell’ esercizio del lavoro, si tratta bensì di ottenere che penetri nella legi­ slazione degli Stati un concetto più umano ed equo dello straniero, per modo che questi abbia quel trattamento cui, secondo giustizia ed equità, può aspirare. Si comprende che se lo Stato crede di largire delle pensioni agli operai e di aumen­ tare coi mezzi propri quelle a cui avessero di­ ritto, limiti tale beneficio ai suoi nazionali, ma non si comprende che riconosciuto un diritto nell’ operaio di contro a chi lo impiega, si faccia poi distinzione tra nazionale e straniero, oppure si obblighino nazionali e stranieri a pagare certi contributi agli istituti assicuratori e poscia si privi lo straniero del diritto all’ indennità o gli si menomi il suo diritto.

La utilità e la necessità, in dati casi, di ac­ cordo fra gli Stati per coteste questioni non in­ tendiamo di disconoscere, ma dubitiamo forte che convenga dare a quegli accordi lo stesso carattere che si dà alle stipulazioni relative alle tariffe doganali.

L ’on. Luzzatti ha sollevato una questione che merita di occupare gli uomini di Stato, sol­ leciti del bene dei propri connazionali che vanno a cercare un pane all’ estero. E noi confidiamo che, in un modo o nell’altro, gli Stati compren­ deranno quali sono i loro doveri e impediranno che nel nobile e fecondo campo del lavoro vi siano disparità di trattamento e lesioni di diritti, la cui origine debba attribuirsi unicamente alla differente nazionalità.

Ancora una difesa del dazio sul grano

La più recente difesa del dazio sul grano la dobbiamo all’onorevole Napoleone Colajanni ed è documento non solo della sua sincerità e lealtà, ma anche della sua varia ed estesa coltura.

Noi che, or è quasi un auno, scrivemmo appunto sulle tendenze protezioniste dell’ on. Colajanni e rilevammo com’ egli, socialista o

socialistoide, che si voglia chiamarlo, si facesse

difensore del protezionismo agrario, non esi­ tiamo a riconoscere che la conversione del­ l’egregio deputato non è frutto di quel dilet­ tantismo politico ed economico che preferisce talvolta le tesi meno simpatiche per far rumore attorno a se, ma è un risultato degli studi e delle osservazioni eh’ egli ebbe modo di fare in­ torno alla questione agraria italiana. Il libro eh’ egli ha pubblicato poche settimane or sono *) q Per la economia nazionale e pel dazio sul grano; Roma, presso la Rivista Popolare; 1 voi. di pàsr. 293 (lire 8).

non è una delle solite difese del dazio protet­ tore suggerite da vedute interessate, ma è una battaglia combattuta con vivacità e ardore da un uomo politico che è a un tempo uno stu­ dioso infaticabile nell’ interesse od almeno in quello ch’egli crede tale del paese intiero cioè della economia nazionale.

E dopo tanti discorsi, dopo tanti articoli di giornali, dopo una colluvie di difese che sono ispirate quasi unicamente da concetti uni­ laterali e dal pericolo di vedersi tolto un mezzo di guadagni più o meno copiosi, ma sicuri, la piacere di trovare una discussione larga se non abbastanza profonda, sostanziosa se non sem­ pre decisiva, e garbata, sebbene eccessivamente polemica, di un problema così complesso e in­ teressante.

Certo il libro dell’on. Co ajanni, per chi ha seguito le polemiche che si sono svolte su que­ ste stesse colonne, in altre riviste come il Gior­

nale degli Economisti, e alla Camera dei depu­

tati, non offre molto di nuovo, ma tutti gli argomenti in favore del dazio che si possono escogitare ed esporre con qualche serietà si trovano indubbiamente in questo libro; così pure sono esaminate od almeno accennate le obbie­ zioni degli avversari del dazio sul grano. Per quanto contrari alla tesi sostenuta dall’ on. Co­ lajanni, consigliamo agli amici e agli avversari la lettura del suo libro, gli uni e gli altri vi troveranno oltre molti elementi di fatto e ra­ gionamenti da confutare o da adoperare, una trattazione di vari argomenti attinenti più che al dazio, all’economia nazionale in generale.

In sostanza la tesi dell’on. Colajanni si ri­ duce a questo ; il dazio sul grano è necessario a tutta l’ Italia agricola nelle condizioni attuali della cerealicoltura, riesce anzi più benefico nel settentrione mentre i danni delia sua abolizione sarebbero maggiori nel mezzogiorno ; i rimedi proposti o accennati per attenuare od eliminare gli effetti della crisi agraria non sono attuabili o se lo sono non possono dare effetti immediati e pertanto non tolgono che per ora il dazio sul grano sia necessario. Infatti, scrive l’on. Cola­ janni (pag. 164), in Italia: 1° non si può spe­ rare per ora in una maggiore industrializza­ zione, 2° non è rimunerativa la sostituzione della coltura, 3° è possibile, desiderabile e bene avviata la intensificazione della cerealicoltura, la quale però, per fatali ragioni di clima e per altri motivi d’ indole sociale rimovibili, darà resultati diversi nel Mezzogiorno e nelle isole da un lato e nel centro e nell’alta Italia dall’altro; 4° per fare progredire rapidamente la intensifica­ zione occorrono capitali ingenti che mancano specialmente dove maggiore n’ è il bisogno : nel Mezzogiorno e nelle Isole ; 5° il dazio protettivo serve all’accumulo dei capitali che successiva­ mente potranno, applicati all’agricoltura, con­ durre in ultimo alla sua totale abolizione o alla sua riduzione. Col processo di eliminazione, per così dire, egli aggiunge, si riesce in questa guisa alla giustificazione del dazio protettivo, che ri­ mane come il solo ed unico rimedio contro uno dei lati della crisi agraria.

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14 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 425 in Italia circa tre quarti della produzione della

terra. Ridotta o abbandonata la coltura dei ce­ reali, sarebbero tentate tutte le colture sostitu­ tive, che sono state consigliate, con aggrava­ mento o creazione di crisi nelle singole colture, e con particolarità in quello della vite. Nega l’on. Colajanni che l’ abolizione del dazio sul grano possa attuarsi senza che ne rimangano colpiti i salari ; diminuzione di prezzo dei pro­ dotti agricoli, ossia crisi agraria, vuol dire dimi­ nuzione dei salari ; la disoccupazione e la emi­ grazione assumerebbero proporzioni maggiori qualora tosse tolto all’agricoltura il valido aiuto della produzione doganale. Perì « il mante­ nimento del dazio sui cereali impone doveri alle classi dirigenti, che ne ritraggono i maggiori benefizi diretti, e riafferma i diritti dei lavoratori ad una migliore, più umana esistenza. »

Non intendiamo in verità di riprendere in esame tutta la questione trattata dall’on. Cola­ janni nel suo nuovo libro, che dovremmo ripe­ tere ciò che altra volta gli abbiamo osservato. Per noi la esistenza di una crisi agraria, sulla cui misura non è il caso di discutere ora, non è un buon argomento per invocare la tassazione di un prodotto di consumo così necessario e ge­ nerale, qual’ è il grano, e per di più la tassazione a quasi esclusivo benefìcio di una classe ristret­ tissima di cittadini. Per quanti sforzi abbia fatto l’ on. Colajanni non ci pare sia riuscito a dimo­ strare in modo sicuro che al dazio sono inte­ ressati tutti coloro che sono addetti all’industria agricola, od anche soltanto quelli che producono grano. E un punto che meriterebbe d’essere chia­ rito con qualche ricerca positiva e la Società degli Agricoltori italiani potrebbe e forse do­ vrebbe occuparsene.

Nè per dimostrare i benefici del dazio sul grano riguardo alla piccola proprietà basta pren­ dere i dati delle vendite giudiziarie ; _ bisogna tener l’occhio attento anche alle modificazioni tributarie, cora’è il caso della Francia per la im­ posta fondiaria.

Persistiamo a credere che la maggioranza dei produttori di grano in Italia, stante la pro­ tezione di cui godono, non hanno alcuno stimolo veramente efficace a far progredire la granicol­ tura. Non ci sono ignoti i miglioramenti avve­ nuti in alcune località dell’Alta Italia e l'aumento di prodotto per ettaro, che conseguentemente si è avuto ; ma considerando la produzione di grano nel suo complesso, è una illusione, a no­ stro avviso, il credere che anche col regime do­ ganale presente, si potrà avere un progresso sen­ sibile. Dobbiamo riconoscere che ciò è già dif­ fìcile ad ottenersi per la riluttanza a impiegare capitali nell’ agricoltura e che la riluttanza è ancor più intensa, quando non agisce efficace­ mente il timore di perdere le rendite fondiarie oggidì assicurate, entro certi limiti, dal dazio protettore. E se miglioramenti culturali si sono fatti in alcune zone, se altri se ne faranno, li dovremo alla necessità di accrescere il prodotto per fronteggiare le maggiori richieste di mer­ cede, che si sono manifestate e si avranno certo ancora da parte dei lavoratori della terra. Si dice che è tornaconto del produttore di accre­ scere il prodotto e che quindi anche col dazio i

essi non possono non farlo ; ma si dimentica il lato psicologico della questione. Il produttore è forse sicuro che il regime doganale durerà a lungo ? No di certo, ed egli non è portato ad arrischiare capitali che per di più gli costano ancora troppo. Tolto il dazio la necessità s’ im­ porrebbe inesorabilmente e sarebbe giustificato l’appoggio dello Stato, che può esplicarsi con agevolezze fiscali, a superare le difficoltà che certo non mancherebbero nel nuovo adattamento alle condizioni economiche formatesi con la sop presione del dazio.

L ’on. Colajanni nella sua difesa del dazio sul grano non ha tenuto conto che si tratta an­ che di una questione di giustizia e che, volere o no, fino a tanto che la protezione doganale as­ sicurerà ai proprietari della terra un reddito che diversamente, cae.terìs paribtis, non avreb­ bero, saranno giustificati molti altri provvedi­ menti di Stato non conformi a giustizia. Ora se è questa che dobbiamo cercare di instaurare in ogni ordine di relazioni è chiaro che bisogna pur cominciare a sopprimere quelle ingiustizie che hanno maggiore ripercussione. Questo sarà forse un ragionare da idealisti, ma noi abbiamo sempre avuto per norma che gli istituti finanziari, am­ ministrativi, economici, d’ogni sorta in breve, vanno anzitutto esaminati alla stregua della loro uniformità o meno, alla giustizia, e quand’anche vi fossero argomenti utilitari di qualche peso che li legittimassero, e tale non è il caso pel dazio sul grano, siamo inclinati a non tenerne conto se il criterio del giusto condanna un de­ terminato istituto o provvedimento di Stato.

Questo diciamo, perchè ci pare che l’ on. Co- lajanni col suo silenzio su tale aspetto della que­ stione abbia trascurato un lato importante della discussione. Del resto, molto ci sarebbe da os­ servare quasi per ogni pagina del suo libro e bisognerebbe scriverne un altro, se non sempre di confutazione, spesso di rettificazione. Ma que­ sta non è l’ora più opportuna. Pel momento, li­ mitiamoci adunque a segnalare ai lettori questa nuova difesa del dazio sul grano, certo superiore a molte altre.

(Rivista (Bibliografica

Verein fttr Socialpolitik. — Beitrilge zur neuesten

Handelspolitik Oesterreich. — Leipzig, Duncker e

Humblot, pag. VIII-814.

TJ Associazione per la politica sociale, ha

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legnam e in riguardo ai dazi sul legname, degli interessi politico-commerciali dell’industria delle terrecotte, delle convenzioni veterinarie interna­ zionali, dell’amministrazione e della procedura doganale.

Sono tutti argomenti che interessano lo stu­ dioso della politica commerciale nell’ora presente; specialmente interessanti sono i primi due e quello relativo all’agricoltura austriaca. Manca però in questo volume uno studio sulle relazioni tra l ’Italia e l ’Austria-Ungheria, e la cosa è ve­ ramente deplorevole per noi, perchè esso avrebbe servito a chiarire, dal punto di vista austriaco, le condizioni dei rapporti italo-austriaci e a ren­ dere più interessante una pubblicazione che me­ rita, d el resto, d’essere consultata.

P. M ilioukov. — Essais sur l'histoire de la civilisa-

tion russe. — Tradu.it du russe par MAI. Dramas et Soskice, avec nne preface de Lucien Herr. —

Paris, Giard et Brière, 1901, pag. V1II-295 (6 franchi).

I l prof. Milioukov è in Russia uno dei maestri della ricerca storica e del pensiero critico. Questa traduzione di una delle sue prin­ cipali opere lo farà conoscere a tutti coloro che non possono leggere il russo. I suoi studi sul­ l’epoca moscovita, sulla Russia del X V I I secolo gli avevano dato sin dall’ inizio della sua car­ riera, 1’ autorità di un erudito perfettamente al corrente delle fonti documentarie della Russia;)’ suoi studi sul progresso del metodo di storico in Russia attestarono la forza critica e la por­ tata filosofica del suo pensiero; finalmente i suoi studi sullo sviluppo della civiltà, di cui ora si possiede la traduzione, mostrano in lui non solo un teorico e un filosofo, ma anche un uomo, di azione preoccupato di comprendere le cause m olteplici che hanno condotto la Russia dalla semplicè barbarie primitiva alla Russia d’ oggi giorno.

L a prima parte del libro è consacrata al territorio e alla popolazione, la seconda alla evoluzione economica, la terza alla storia del­ l’ amministrazione, l ’ ultima infine alla struttura sociale.

lin a prefazione vigorosa del sig. Luciano Herr segnala il valore scientifico e la portata sociale del libro del Milioukov.

A bbé M illot. — Que faut-il fdire pour le peuple?

Esquisse d’ un progranime d ’études sociales. —

P a r is , Victor riLecoffre, 1901, pag. XI-518 (4 franchi).

Questo libro non ha la pretesa d’ insegnare l’economia politica, nè di far trionfare una de­ terminata dottrina. Esso riassume semplicemente l’inchiesta d’un osservatore.

OoaJ scrive l’abate Millot nella, prefazione e aggiunge eh’ esso può interessare tutti coloro che si danno pensiero della crisi attuale del lavoro; esso li aiuterà a farsene un’ idea più chiara. In ogni caso mostrerà loro ciò che può il cat- tolicismo p e r risolverla od almeno per attenuarla. Questo spiega la tendenza, del resto naturale nelPautOj-e, di trattare le questioni economiche e sociali, da un punto di vista morale e religioso.

Ma è un libro coscienzioso, scritto da persona che ha letto molto e che si è formato idee proprie.

L ’ autore comincia del porre la questione e dall’esaminarne le soluzioni proposte, passa poi a stabilire qual’ è la meta da raggiungere e gli ostacoli che si oppongono e da ultimo considera gli agenti della riforma sociale e cioè l’iniziativa individuale, l’ associazione, l’ intervento dello Stato e la (Jhiesa. Il programma sociale d’ un cattolico francese, che l’ abate Millot svolge nella conclusione, comprende: la vita a buon mercato, la soppressione della disoccupazione, l ’operaio proprietario, l’assicurazione, la rappre­ sentanza proporzionale. Non possiamo certo sot­ toscrivere a tutto quanto l’ autore ha scritto, ma non esitiamo a segnalare il suo libro, perchè contiene molte utili indicazioni e si stacca per certi aspetti dai lavori di simil genere pub­ blicati dagli scrittori appartenenti alla demo­ crazia cristiana.

Dr. J osef Grunzel. — System der Handelspolitik. — Leipzig, Duncker e Humblot, 1901, pag. IX, 514. L ’autore, già noto per altri lavori, specie per quello sulla bilancia internazionale, ha fatto in questo nuovo volume un esame particola­ reggiato e completo della politica commerciale, che renderà certamente utili servizi a tutti co­ loro che si occupano di questo ramo della po­ litica economica. In una introduzione l’ autore tratta del commercio e del suo svolgimento e in seguito si occupa del commercio interno, ossia delle forme di esercizio, dei mercati e delle fiere, delle borse, della concorrenza e dei suoi limiti, delle società commerciali, della rappre­ sentanza degli interessi commerciali, della istru­ zione mercantile, della questione sociale nella classe commerciante.

L ’ altra metà del libro è consacrata alla po­ litica del commercio coll’ estero; così i sistemi doganali, i dazi, le tariffe, i trattati, le imposte e i premi, le concessioni doganali, gl’ istituti a favore degli scambi, la statistica commerciale, le istituzioni per promuovere le esportazioni, ecc., sono argomenti svolti con molta cura e compe­ tenza, con precisione e abbondanza di notizie. In appendice sono indicati, in quadri sinottici, i trattati di commercio dei paesi europei, ameri­ cani, asiatici ed affricani.

In conclusione, un eccellente trattalo, che sarebbe utilissimo anche per le nostre scuole commerciali.

Dott. A roldo Norienghi. — Violazioni di legge. Studi

sociali. — Torino, Sacerdote, t9C0, pag. 1S2

(lire 2,50).

L’ autore intende dimostrare «com e in ogni e più disparato ramo di pubblica legislazione, vi sia uno sfregio continuo della legge, che la invade e corrode come lento e mortifero veleno e annienta ogni vantaggio che, pure da alcune sue parti buone e sane, potrebbero venirne al pubblico ».

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14 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 427 cosi grandiosa da occupare parecchi volumi, ma

egli non si è proposto un lavoro di tanta mole e il suo più che altro vuol essere una trama di lavoro, che altri con più vasti mezzi e intendi­ menti potrà riprendere e condurre a fine.

Guidato da questo intendimento, l’ Autore si occupa di molte questioni, come tra le altre d’ igiene, del lavoro dei fanciulli, di banche, di giustizia, di carità, di probiviri, di istruzione, di refezione scolastica, di ferrovie, ecc. ecc.

Sostenere come fa il Norleughi che le fer­ rovie e le banche debbano passare allo Stato non è dar prova di conoscere e apprezzare esat­ tamente simili questioni, ma bisogna considerare che 1’ autore è socialista e quindi è perfettamente coerente alle tendenze del partito al quale ap­ partiene. Prescindendo da queste tendenze, il li­ bro del Norlenghi non è privo di significato e di interesse: esso dimostra che non è rara la viola­ zione della legge, fatto che quasi non ha bisogno dimostrazione, e spiega pure le conseguenze delle frequenti e deplorevoli violazioni della legge. Ohe l’ Italia sia stata spesso e in questi ultimi anni specialmente, il paese dell’ arbitrio, l’ abbiamo scritto noi pure, e se ora è un socialista che ce ne oifre la dimostrazione, dobbiamo ascoltarlo e meditare seriamente su ciò ch’ egli dice, perchè è evidente che la prima condizione di stabilità per un regime politico è quello della sua legalità e della sua osservanza della legge in ogni con­

tingenza. ____________

Rivista (Economica

II Credito agrario. — L’ ultima fase del Socialismo. — La crisi bancaria in Germania. — Produzione del vino e dell' olio in Italia. — Casse postali di Ri­ sparmio in Italia. — La questione dei « corrieri ». La Trebertrocknung. — Riforma radicale nei bi­ glietti ferroviari in Germania.

Il credito agrario. — Avanti di prorogarsi, dopo un’interessante discussione, alla quale parte­ ciparono gli onorevoli Pisa, Parpaglia, Lampertico, Serena ed altri, il Senato ha approvato, nei termini nei quali 1’ aveva votata la Camera, la proposta di legge d’ iniziativa dell’ onorevole Luzzatti pel credito agrario del Mezzogiorno.

La Cassa di .risparmio del Banco di Napoli è ormai autorizzata ad impiegare, nel Mezzogiorno continentale ed in Sardegna, un quinto de’ suoi de­ positi, che superano i 50 milioni, in anticipazioni a Consorzi aorari e ad altri Istituti del genere.

L ’ Ufficio centrale del Senato, per mezzo del re­ latore on. Guarneri, aveva proposto di ridurre la cifra da impiegare a sei soli milioni. Ciò, forse, non sarebbe stato di grave danno dal punto di vista economico e finanziario; giacché, più che nel credito sussidiario aperto presso la Cassa di Risparmio, bisogna sperare in quello che i Consorzi sapranno inspirare e nei be­ nefìci effetti della cooperazione agraria, cui la prov­ vida legge Luzzatti darà un impulso efficace.

La riduzione della cifra, proposta dall’ Ufficio centrale, sarebbe stata, però, perniciosa dal punto di vista morale. In essa gli avversari, non sempre benevoli, dell’ ottima iniziativa a-vrebbero trovato qualche argomento con cui screditare una propa­ ganda già iniziata nel Mezzodì per la costituzione di nuovi organismi cooperatori. Avrebbero potuto, per esempio, divertirsi a dividere i sei milioni per gli ettari di terra napoletana e sarda ai quali avreb­ bero detto che si trattava di provvedere.

Fortunatamente le difficoltà furono superate e il Senato con una splendida votazione, 76 contro 14, lasciato da parte il progetto dell’ Ufficio centrale, approvò quello che la Camera aveva già votato.

Così è anche evitato 1’ inconveniente di dover nuovamente tornare alla Camera; il che non si sa rebbe potuto fare che a novembre.

La legge è stata sottoposta alla sanzione reale ed è sperabile che la direzione del Banco di Napoli e d il Ministero d’ agricoltura preparino, al più pre­ sto possibile, il regolamento necessario per l ’attua­ zione della legge.

Con un po’ di sollecitudine si potrebbe forse ar­ rivare in tempo per porgere aiuto alle colture au­ tunnali.

In ogni modo, giova che i Consorzi già esistenti intensifichino la loro azione e che dove gli organi­ smi intermedi mancano si abbia cura di costituirli al più presto possibile.

Per siffatta costituzione non è necessario aspet­ tare il regolamento, giacche questo sarà, senza dubbio, informato a criterii liberali, che lascieranno la possibilità di adottare forme svariate alle diverse condizioni delle varie località.

Alle classi dirigenti del Mezzogiorno tocca ora di iniziare o a proseguire la benefica opera della organizzazione cooperativa operaia.

L'ultim a fase del socialismo. — P. Leroy - Beaulieu, che segue con la più grande attenzione il movimento socialista, tratta in un suo recente arti­ colo dei pericoli derivanti dall’ ultima fase in cui è entrato il socialismo, divenuto in Francia un partito di governo e negli altri paesi un partito parla­ mentare.

L’ eminente oratore dopo di avere minutamente spiegato l’ evoluzione del partito rivoluzionano in opportunista, conclude : una volta impegnato nel- 1’ azione elettorale, il socialismo aveva messo il dito in un ingranaggio che doveva fatalmente trascinarlo e alterare la rigidezza della sua dottrina.

Non è-che un partito politico debba relegare in seconda linea i principi, ma non è men vero che qualunque azione politica importa di necessità una larga parte di opportunismo e che l’ intransigenza e le teorie assolute se possono essere buone nei libri, non resistono alla prova dei fatti e al contatto della realtà.

Una volta entrati nelle assemblee, era assurdo credere che i socialisti avrebbero persistito a man­ tenersi in un’ attitudine rivoluzionaria di fronte alla borghesia.

È naturale che quando si discutevano questioni interessanti per gli operai, essi dovevano intervenire nel dibattito : senza di che gli elettori non avrebbero compreso che cosa stessero a fare alla Camera.

Malgrado dunque la tesi catastrofica contenuta nell’ affermazione dottrinale di Marx che il bene non può nascere che dall’ eccesso del male, che qualunque palliativo portato alle sofferenze del proletariato, non fa ehe peggiorare la situazione, ritardando la rivo­ luzione. bisogna una volta entrati alla Camera far qualche cosa e non limitarsi a incrociare le braccia aspettando la catastrofe sociale.

E così in attesa della realizzazione dell’ ideale lontano, si è cercato di ottenere qualche risultato immediato e tangibile, sebbene talora in contradi- zione fra la teoria e la pratica.

Certo non tutti i socialisti hanno ammesso con eguale facilità codeste concessioni alle necessità con­ tingenti, questo oppor tunismo. Da ciò sono sorte, in gran parte, le loro divisioni: da una parte i possibi­

listi, dall’ altra i rivoluzionari: le due branche del

marxismo francese.

Rimane fra di loro, isolato, un terzo gruppo meno dottrinario ma più radicalmente rivoluzionario (del quale abbiamo parlato altra volta ai nostri lettori) quello dei blanquisti, composto degli ultimi super­ stiti della Comune.

Gli anarchici in Francia sono fuori di causa e vengono esclusi da tutti i gruppi socialisti e comu­ nardi.

E così le scissure si moltiplicano a seconda delle varie questioni che si affacciano giorno per giorno.

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scio-« peri soffrono della loro inferiorità economica. « L’ espropriazione politica deve dunque precedere « 1’ espropriazione economica. »

La conquista dei pubblici poteri, ecco la parola d’ ordine dei guesdisti, di quasi tutti i socialistifran­ cesi. Lo stesso Alternane che nel Parti ouvrier, or­ gano intransigente dei partito, lanciava qualche anno fa P anatema contro il parlamentarismo, si è fatto eleggere teste deputato a Parigi e prende attual­ mente una parte attiva alla discussione sulle pensioni operaie.

Cosi un po’ per volta tutte le frazioni del partito socialista scivolano nel campo dell’ azione elettorale, parlamentare, legislativa : e la loro attività^ politica arriva fino ad aspirare ad un seggio ministeriale.

La rivoluziono, la catastrofe, una volta sogno e ideale dei socialisti svanisce nelle nuvole. Questo sogno del resto non è mai stato temibile ; ciò che in­ vece può essere moltissimo pericoloso e funesto alla prosperità nazionale, sono appunto oodeste applica­ zioni parziali del sociialismo, queste sedicenti riforme che ora si tenta di attuare e di strappare alla incuria e alia indifferenza della borghesia.

Raddolcendo la forma delle sue rivendicazioni, il socialismo viene guardato meno di mal’ occhio da parecchi che l’ avrebbero respinto nella sua primitiva brutalità.

Eppure questi risultati parziali, ove fossero rag­ giunti tutti, non sarebbero meno disastrosi sotto quest’ ultima forma addolcita che sotto 1’ altra. Vi è in ciò un grave pericolo che non bisogna dimenti­ care, ptr guardarcene finché si è in tempo.

JLa crisi bancaria in Germania. — La

National '/.eit.ung si occupa delle condizioni econo­

miche della Germania, e ne traccia un quadro molto esatto, che riassumiamo.

« Bisogna — scrive il giornale berlinese — con­ siderare gli avvenimenti e le evoluzioni che si sono compiute nei tre ultimi decenni, dalla fondazione dell’ Impero tedesco, in tutta la vita economica, per poter comprendere ed apprezzare adeguatamente in tutta la sua importanza, la presente crisi che è una conseguenza inevitabile di uno slancio straordinario dello sviluppo economico.

Bisogna considerare che 1’ Impero tedesco si è ti asformato in bieve tempo in uno Stato industriale di primo rango ed è diventato un potente anello e riconosciuto come tale da tutte le Nazioni, nella ca ­ tena delle relazioni commerciali mondiali.

Le navi mercantili tedesche aumentarono consi­ derevolmente ed esse percorrono ora tutti i mari, con­ tribuendo efficacemente allo sviluppo degli scambi.

I negozianti tedeschi istituirono dappertutto sta­ bilimenti coloniali ed i prodotti delle fabbriche tede­ sche hanno acquistata una fama, che è oggetto di j invidia pei grandi Stati industriali dell’ Occidente d’ Europa.

Le forze produttrici del paese si ridestarono, il capitale tedesco trovò buon collocamento e grandi vantaggi in imprese lucrose e quest’ ultime aumen­ tarono straordinariamente.

I compiti che si imponevano allo spiiito di intra­ prendenza, si accrebbero nel periodo degli ultimi cinque anni, e la loro soluzione rese necessaria una fusione di singole forze, in grandi intraprese collet­ tive ohe naturalmente schiacciavano sempre più i piccoli esercizi.

Le Società per azioni fondete sia a scopo indu­ striale sia a scopo finanziario, sono organismi sorti dal rigoglio della nuova vita economica, da un’ atti­ vità completamente mutata, da una potente energia che cercava di prevalere.

L sono principalmente de Banche che diventa­ rono la molla più importante della forza produttrice della nazione, cosi all’ interno e forse ancor più nelle re'azioni deLa Germania, colle piazze più lontane oltre i mari. L’ energia del mondo finanziario tede­ sco è riuscita a fondare dappertutto dei punti di appoggio per il commercio tedesco e ciò che più monta ad ispirare fiducia nel nome tedesco.

Come era possibile evitare che in tale slancio del lavoro ed in tale successo dell’ attività tedesca si commettessero da singole persone cui erano affi­ date le sorti di una Società leggerezze ed errori?

Fatti simili a quelli testé avvenuti presso alcune banche ipotecarie, ed in singoli istituti di credito in Sassonia, sono indizi ed avvertimenti che si è giunti

ad un punto in cui lo spirito eccessivo di intrapren­ denza deve annestarsi.

La macchina incessantemente in moto dell’eser­ cizio economico si è guastata, ed il movimento delia ruota si è rallentato, subentra la necessità di una riparazioni e, come si dice nel linguaggio degli eco­ nomisti, di « una reazione » per sopprimere ciò che vi è di guasto, affinchè le parti sane dell’ organismo economico non ne restino infette, ed esso riacquista, salute e vigore.

In tale stato si trovano momentaneamente gli istituti bancari tedeschi ed in generale le Società tedesche per azioni, le cui sorti sono collegate con quelle. »

Produzione del vino e dell’ olio in Ita­ lia. — Da una statistica della Direzione generale delle Gabelle desumiamo la produzione del vino e dell’ olio di oliva nell’ ultimo triennio, divisa a se­ conda delle varie regioni agrarie del Regno.

Produzione del vino.

Ettoi.itri. Regioni Piemonte Lombardia Veneto Liguria Emilia Marche-Umbria Toscana Lazio Mer. Adriatica Mer. Mediterranea Sicilia Sardegna Regno 1898 1899 3.800.000 3,250,000 1.450.000 1,181,000 1.300.000 1,290,000 260,000 300,000 2.530.000 2,010,000 2.690.000 2,300,000 3.100.000 3,730,000 1.200.000 1,100,000 6.600.000 7,800,000 4.090.000 3,780,000 4.500.000 4,460,000 1.450.000 1,3011.000 32.940.000 32,500,000 1900 5.730.000 2,400,0.0 1.970.000 330.000 3.290.000 2.280.000 3.240.000 900.000 3.600.000 2.380.000 2

.

880.000 900.000 29,900,000

Produzione dell’ olio

Ettolitri. d’ oliva. Regioni 1898-99 1899-900 Lombardia 4,600 3,100 Veneto 4,400 4,500 Liguria 128,000 38,000 Emilia 5,400 1,200 Marche ed Umbria 185,000 68,300 Toscana 345.000 87,900 Lazio 125,000 56,000 Merid. Adriatica 910,000 207,000 Merid Mediterranea 339,000 275,000 Sicilia 400,000 91,000 Sardegna 53,600 38,000 Regno 2,500,000 870,000 1900-901 2,500 4,0(0 105,500 4,200 120,300 193.000 67,000 331.000 306.000 325.000 34,500 1,493,000

Casse postali di risparmio in I t a lia .— Situazione alla fine di marzo 1901. ,

Libretti in corso al fine di febbraio N. 4,066,603 Libretti emessi nel mese di marzo » 42,678 Libretti estinti nel marzo

N. 4,109,281 » 10,274 Erano accesi al 1° marzo libretti N. 4,099,067 Depositi in fine di febbraio

Depositi del marzo Rimborsi del marzo

L. 700,975,340.05 » 30,229,107.27 L. 731,204,447.32

. 30,111,873.79 Rimanenza depositi fine gennaio L. 701,092,573.53

La questione dei « corrieri ». — Il Moni­

tore delle strade ferrate informa che la questione ab­

bastanza importante, cosidetta dei Corrieri, è stata, mercè l’ intromissione del R. Ispettorato generale delle Strade Ferrate e l’ arrendevolezza e il buon vo­ lere delle Società ferroviarie del Mediterraneo e dell’ Adriatico, risolta in modo assai soddisfacente.

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14 luglio 1901 L ’ E C O N O M IS T A 429 delle condizioni e norme per i biglietti di abbona­

mento speciale ed in via di esperimento ed affatto temporanea, sia concesso agli abbonati i quali sotto il nome generico di Corrieri, esercitano il traffico dei piccoli colli contemplato degli accennati articoli 11 e 13, di registrare e spedire a tariffa generale come bagaglio casse, bauli e simili, contenenti piccoli colli di morci appartenenti a classi diverse e diretti a più destinatari, non tenendo così conto dell’ agglomera­ zione risultante.

Tale concessione però non si estende al trasporto di detti piccoli colli nella carrozza nella quale viag­ gia l’ abbonato, per il quale trasporto resta quindi fermo e confermato in modo assoluto il divieto di cui i già ripetuti art. 14 e 13.

Fu stabilito infine che per la concessione, della quale si tratta, valgono, a tutti gli effetti, le condi­ zioni della tariffa speciale A, bagagli.

L a « T r e lb e r t r o c k n u n g ». — Su questa Com­ pagnia, il crollo della quale costrinse in fallimento la Banca di Lipsia, furono date molte notizie così che ne è avvenuta non poca confusione. Fu detto fra al­ tro die la Compagnia non distribuì mai dividendi; al contrario essa ne ha distribuiti dei cospicui sino al penultimo esercizio. Ecco, del resto, come procedette l’ aumento del capitale della « Trebertrocbnung » e quali gli utili, che, reali o fittizi, vennero annun­ ziati dal 1890 al 99 (in marchi) :

Capitale Utili 1890-91 . . . 350,000 32,350 1891-92 . . . 51»,000 55,007 1892-93 . . . 650,000 65.218 1893-94 . . . 650,000 81,858 1894-95 . . . 1,000,000 125,700 1895 -96 . . . 3,100,000 695,395 1896-97 . . . 6,000,000 3,320,087 1897-98 . . . 12,000,000 3,267,226 1898-99 . . . 12,000,000 4,202,999 1899-1900. . . 12,000,000 3,460,238 1900-1901. . . 21,000,000 —

Come si vede fu un crescendo di capitale e quasi ogni anno un crescendo di utili. Il dividendo fu del 50 Ojo nel 1896-97, del 400|0 negli esercizi 1897-98 e 1898-99, del 25 O^o nel 1899-900.

Oltre al brevetto Bergman, di cui si è già par­ lato e di altro brevetto per l’ essicamento delle vi- naccie, la Compagnia possedeva e cercava sfruttare altri brevetti quali pel trattamento dei cascami di le ­ gno, delle carcasse d’animali, dei cascami di carne. A fine del 1899 essa aveva creato le seguenti Società:

1“ Società anonima di Bosnia pel trattamento ilei legno, a Vienna:

2° Prima Società anonima di Galizia per la di- stillazione del legno, a Lemberg;

8° Società italiana per l ’ industria chimica, e Genova;

4° Società anonima per la distillazione del' le­ gno e per l’ industria chimica in Russia (Mosca);

5° Società anonima Razza per la distillazione del legno (Illava, Ungheria) ;

6° Società anonima per 1’ industria del legno a Nantes ;

7° Società anonima di Slesia per l’ industria chimica, a Weiswasser;

8° Società delle fabbriche chimiche riunite « Gluekstadt» ad Amburgo ;

9° Società delle fabbriche chimiche -riunite, a Schweinfurt;

L’ ultimo aumento di capitale per 9 milioni di marchi aveva per oggetto il riscatto di sei filiali.

Le azioni della « Trebertrocknung » diedero oc­ casione a grandi movimenti speculali vi. Su di esse furono guadagnate e perdute somme enormi.

Riforma radicale nei biglietti ferro­ viari in Germania. — Dal quattro luglio tutti i biglietti di andata-ritorno ai prezzi attuali — che corr.sponde no ad una volta e mezzo il biglietto sem­ plice — avra uno sulle ferrovie prusso-assiane ed an­ che in Sassonia la validità non più di tre giorni, come adesso, ma d ben quarantacinque. Il ministro delle ferrovie ha st bilito pero, in pari tenipo, che d’ ora in poi non .si rilasc eranno p'ù i biglietti spe­ ciali sinora in uso nell i stagione estiva, dalle città ai luoghi di cura e di ilìeggiatura, e che in

generale saranno assolutamente abolite tutte le ri­ duzioni in occasione di esposizioni, congressi, fe­ ste, eco.

Questa radicale riforma , oltre che facilitare i viaggi lungo tutte le linee ferroviarie appartenenti ai Governi della Prussia e dell’ Assia, semplificherà di molto il servizio agli sportelli delle stazioni; e non se ne lagneranno neppure i villeggianti, perchè an­ che i loro biglietti estivi, della durata pure di 45 giorni costano qualche cosa di più degli andata-ri­ torno ; per esempio : in terzaclasse da Berlino a Swinomiinde il biglietto estivo è di marchi 13.80, l’ andata e ritorno di marchi 12.20.

La. riforma sarebbe stata accolta con soddisfa­ zione ancora maggiore dal pubblico viaggiante, se essa si fosse estesa a tutta la Germania. Ma un ac­ cordo in proposito non è stato sinora possibile. E gli Stati meridionali si sono limitati a portare la du­ rabilità deil’ andata-ritorno da cinque a dieci giorni. Con questa riforma improvvisa il ministro delle ferrovie, signor de Thielen, ha voluto egli celebrai e il giubileo decennale del suo portafoglio, e mostr i e che, contrariamente alle voci corse, egli è anco a saldo in sella? Quest’ ultimo scopo non pare rag­ giunto. Molti chiamano la riforma «il canto del ci­ g n o» dei signor do Thielen; altri fanno già anche il nome del suo successore, che sarebbe un militare, il generale de Scnubert, comandante la divisione ferro­ viaria, e cognato del defunto onnipotente Stumm. Potremo vedere anche questa! Ma quel che importa è che i viaggiatori provenienti dall’ estero, poniamo dall’ Italia, sanno quel che devono fare, d’ora in­ nanzi, per risparmiare nella spesa senza obbligo di « circolare »: semplicemente prendere un’ andata-ri- torno alla prima stazione prussiana che incontrano, per es mpio : Franeoforte.

IL PROBLEMA PORTUARIO E FERROVIÀRIO

D I G E N O V A

E’ pervenuto al Governo un memoriale della Provincia, del Municipio e della Camera di commer­ cio di Genova, nel quale questi enti, preoccupati della scarsità di spazio del porto, della deficienza di impianti ferroviari colleganti il porto ai mercati di produzione e di consumo, e sicuri che il commercio soffre molto da queste cattive condizioni in cui è posto, espongono lo loro idee in proposito e ne in­ dicano i provvedimenti.

11 memoriale può scomporsi in quattro parti. La prima è destinata alla statistica, e con questa si di­ mostra come il movimento sia andato sempre au­ mentando coll’ allargarsi del commercio, dell’ indu­ stria e col crescere della popolazione di tutte le re­ gioni che lo stesso porto è costretto ad alimentare e ad essere alimento, regioni che si estendono sino al lago di Costanza, all’ Alsazia-Lorena, al Wùrtem- berg. Questo movimento andrà poi sempre più allar­ gandosi coll’ apertura del traforo del Sempione; è chiaro tanto che non possono bastare i rimedi san­ zionati colla legge 2 aprile 1897, coll’ attuazione della quale si giungerebbe ad avere imo sviluppo lineare di metri 8000 di banchina, appena sufficiente per una metà dei lavoro prevedibile futuro.

Ecco dunque che con la seconda parte del me­ moriale si tratta appunto di riesaminare i progetti in corso per Aedere se non si possano trovare nuove aree su cui estendervi il movimento che già oggi esorbita e trabocca.

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