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DALLO SHOCK AFFETTIVO AL DANNO PSICHICO: DELIMITAZIONI CONCETTUALI E PROVA DEL DANNO

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DALLO SHOCK AFFETTIVO AL DANNO PSICHICO: DELIMITAZIONI

CONCETTUALI E PROVA DEL DANNO

Dr. Anna Rosa Cavicchi

1. Premessa

La frantumazione del danno non patrimoniale per il decesso di un congiunto è indubbiamente uno dei temi più nevralgici e dibattuti nell’ambito della responsabilità civile. In particolare, la nebulosa distinzione tra danno morale e danno psichico se da un lato moltiplica le pretese risarcitorie dei patrocinanti, dall’altro stimola non argomentati rigetti, rendendo troppo spesso inevitabile il ricorso all’Autorità giudiziaria.

Per evitare la fibrillazione del sistema si impone l’esigenza di una chiarificazione concettuale e di una adeguata impostazione metodologica.

Punto di partenza è l’individuazione dell’ambito e dei limiti di configurabilità delle due tipologie di danno. Solo così potrà trovare piena attuazione il principio cardine alla base del sistema risarcitorio: ogni danno alla persona va risarcito, ma vanno evitate duplicazioni risarcitorie.

2. Danno morale e danno psichico: presupposti concettuali e linea di confine

Nel panorama delineato dalla Consulta con la sentenza n. 372/94 il danno psichico rientra nell’alveo del danno biologico. Sostanzialmente la Corte Costituzionale ha voluto limitare questa ipotesi di danno esclusivamente ai traumi fisici e psichici “permanenti”, che rappresentano il “momento terminale” di una alterazione patologica, solitamente “transeunte”, che, di per sé, inizialmente si identifica nel “medesimo turbamento dell’equilibrio psicofisico che sostanzia il danno morale soggettivo”.

Dalla dizione dei Giudici delle leggi emerge che i due danni, pur avendo un diverso inquadramento sistematico, hanno una omogeneità qualitativa di base:

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entrambi trovano la loro origine da uno shock psichico ed entrambi hanno riflessi sull’organismo. Non solo, ma l’uno è il continuum dell’altro.

Il danno morale, il dolore per la perdita della persona amata, non si esaurisce nella pura sfera dello spirito, ma invade anche quella fisica.

E’ infatti di comune esperienza che la tensione emotiva dolorosa si riversa, tramite il sistema nervoso periferico, sull'organismo, che, a seconda dell’intensità degli impulsi, risponde con il pianto, con crisi d’ansia, con disturbi gastrointestinali (inappetenza, gastriti, coliti), respiratori (asma bronchiale) cardiovascolari (tachicardia, angina), con disturbi alla sfera sessuale e alla vita di relazione (marcato disinteresse nei confronti di attività in precedenza ritenute piacevoli, calo del rendimento lavorativo o scolastico) e quindi il danno morale, soprattutto nei primi tempi dopo l’evento quando è più intenso, si riverbera sull’intero modo di essere della persona, comportando un peggioramento delle sue condizioni di vita, da intendersi come perdita di qualità personali.

Nell’unità dell’individuo, la reciproca compenetrazione tra soma e psiche è una realtà universalmente ammessa (“C’è molto di fisico nei disturbi psichici e molto di mentale nei disturbi fisici”, così De Fazio, Danno da “morte” di un congiunto o, meglio, danno da “lutto”? in Riv. It. Med. Leg. 1997, 1151).

Basti pensare come il dolore psichico, l’angoscia per un evento mortale, al pari di quello fisico, si attenui e ceda, anche se temporaneamente, di fronte a forti analgesici come la morfina.

Questo progressivo scoloramento si verifica anche, normalmente, con il passare del tempo: si assiste al fenomeno per cui l’idea del dolore perde gradualmente il proprio contenuto doloroso e si attenuano, fino a scomparire, gli effetti sull’organismo e sul modo di essere della persona, pervenuta a una posizione di nuovo equilibrio grazie alle capacità di recupero della psiche e di adattamento alla nuova realtà.

Quando, invece, le caratteristiche personali rendono più difficoltosa l’elaborazione del lutto, il disequilibrio psichico, che è la normale reazione al decesso di un congiunto, tende a cronicizzarsi e ad assumere i caratteri di un vero e proprio stato patologico permanente.

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E’ dunque la “durata” della reazione al lutto l’elemento pregnante che discrimina le due fattispecie: mentre il fisiologico patema d’animo è “transeunte”

ovvero tende ad affievolirsi, quello psichico non è che la degenerazione patologica e quindi duratura dello shock affettivo.

E’ notorio che occorre un periodo sufficientemente lungo (almeno due anni) per questo assestamento, e cioè per poter verificare, con i crismi del rigore tecnico, se le forme di stress psicopatologico sono regredite o se, invece, si sono stabilizzate ed è ragionevolmente prevedibile che limitino in modo durevole l'efficienza del soggetto.

In altri termini, la categoria del danno biologico presuppone un processo di obiettivazione dei disturbi psicopatologici, traducibili in una percentuale di invalidità permanente, da risarcire in via aggiuntiva ed autonoma rispetto al danno morale.

3. L’accertamento della menomazione psichica

Poiché la menomazione psichica è intangibile ed è caratterizzata da una sintomatologia soggettiva, che si manifesta attraverso il comportamento dei danneggiati e che dunque nasconde il germe della equivocità, occorre particolare prudenza nell’accertamento medico legale, avendo cura di escludere impressionismi e personalismi.

La principale difficoltà che incontra l’accertatore sta nel distinguere tra sintomi psichici realmente avvertiti dal periziato e sintomi che vengono simulati allo scopo di ottenere, in un contesto assicurativo, un vantaggio economico.

All’analisi clinica, che si basa sostanzialmente sulle intuizioni e sull’impressione globale dell’esaminatore, può essere fornito un notevole contributo dai test psicodiagnostici, che consentono di compiere meno errori – poiché in questo campo la certezza assoluta non esiste – nell’individuare sia il simulatore che cerca di “ripristinare” la sintomatologia vissuta all’inizio dell’esperienza dolorosa, sia il simulatore che tenta di “costruire” il quadro sintomatologico proprio di chi ha subito un danno psichico (Biron-Sartori La simulazione del danno da lutto in Riv. It. Med. Leg. 2002, 435).

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Nell’eziologia dei disturbi psichici permanenti va adeguatamente soppesato anche lo stato anteriore del soggetto e cioè eventuali preesistenti anomalie della personalità. Il lutto infatti può essersi sovrapposto ad esse, senza variarne in modo significativo le caratteristiche quali-quantitative o, viceversa, può essere stato il momento acceleratore della affezione psichica che, in mancanza dell’evento, sarebbe rimasta inespressa (Corte-Buzzi: Il danno biologico da lutto: metodologia psicodiagnostica medico legale in Riv. It. Med. Leg. 2000, 37).

Non posso fare a meno di evidenziare come stia dilagando il malcostume di chiedere il risarcimento del danno biologico di natura psichica quale integrazione aggiuntiva al danno morale e di demandarne l’accertamento al CTU, senza fornire alcuna prova documentale, oppure limitando l’allegazione a relazioni medico- legali palesemente compiacenti.

Il danno psichico, al pari di qualsiasi altro pregiudizio della salute, non può dar luogo ad una inversione dell’onere probatorio in relazione alla sua ontologica esistenza, posto che costituisce una circostanza eccezionale; nella normalità dei casi, infatti, la persona adulta, che ha maturato i meccanismi di difesa dell’Io, reagisce positivamente al nuovo contesto, ristabilendo a livello psicologico un nuovo equilibrio.

Correttamente i Giudici di merito tendono a respingere le pretese per un asserito danno psichico se il richiedente non prova che lo stato anteriore lo espone ad una conseguenza sul piano psichico maggiore delle altre persone che sono in grado di superare col tempo il dolore, seppure gravissimo, per il distacco violento dallo stretto congiunto (Corte Appello Venezia 30/4/98 n. 722 inedita, trib. Roma 7/8/00 n. 26729 inedita).

La difficoltà che incontra il Giudice nel valutare scientificamente l’esistenza della menomazione, ha indotto la Corte di legittimità ad attribuire alla CTU il valore non di mera valutazione

di fatti già provati, bensì di fonte oggettiva di prova (Cass. Civ. Sez. III, 25/1/2002 n. 881; Cass. Civ. Sez. III, 4/2/2002 n. 1442 in Danno e responsabilità, 7/2002, 747-748).

Naturalmente questa impostazione non esime la parte dal fornire tutte le allegazioni a sostegno della domanda, con particolare riguardo alla necessità del

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ricorso a trattamenti terapeutici, in modo che vengano soddisfatti i requisiti della causalità medico-legale, come quello cronologico e quello della continuità fenomenica.

Poiché gli specialisti in psichiatria hanno la tendenza ad enfatizzare le lesioni della psiche, in sede di accertamento del danno è indispensabile anche la presenza del medico-legale, che sa valutare complessivamente la persona, costituita di soma e psiche, e sa tradurre la lesione, se c’è, in un numero percentuale.

Permane inoltre il dovere del magistrato di ripercorrere l’iter logico seguito dai suoi ausiliari e di interpretarne le indicazioni, coordinandole con gli altri elementi probatori emersi nel corso dell’istruttoria, in particolare con le “prove contrarie”

acquisite a seguito delle attività indagatorie dei convenuti. Spigolando dalla casistica forense, porto l’esempio dell’operaio che pretendeva il danno psichico per il decesso della moglie, malgrado fossero già avviate le pratiche per la separazione (conseguenza di un menage familiare particolarmente turbolento) e che, con il denaro messo a disposizione dall’assicuratore, aveva acquistato una lussuosissima automobile sportiva, a conferma del popolare detto: “….chi è vivo si dà pace”.

4. Conclusioni

Il danno psichico è una creatura dell’era moderna, che ha così inteso dimostrare la sua accentuata sensibilità nei confronti delle vittime secondarie di fatti illeciti di particolare gravità.

Per il perseguimento della “giuridica certezza” è compito degli operatori del diritto dare a questo istituto, ancora in fieri, una fisionomia ben delineata e una funzione conforme ai fini della giustizia, sia sotto l’aspetto sociale che etico.

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