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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1433, 20 ottobre

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L’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno X X V III - V oi. X X II I

F irenze, 20 OttoDre 1901

N . 1433

ERRORI ECONOMICI

Da quanto si legge nei giornali, in un pros­ simo Congresso di viticoltori che si terrà a N o­ vara, si domanderanno al Governo dei prov­ vedimenti per la crise che, si dice, colpisce i produttori di uva e di vino in causa della grande abbondanza del raccolto. Fra le propo­ ste che saranno presentate vi saranno quelle di una modificazione della legge sugli alcools per facilitarne la produzione, e della soppressione o riduzione del dazio di consumo sul vino per facilitarne il consumo.

Crediamo che ogni occasione che miri a modificare il nostro sistema tributario debba essere accolta con favore, specialmente se si tratta del dazio di consumo, contro il quale troppi motivi finanziari, igienici, e di giustizia si erigono. Da questo punto di vista quindi noi non possiamo salutare se non con piacere una agita­ zione, la quale, qualunque ne sia il movente, ri­ chiama 1! attenzione del pubblico sul cattivo sistema tributario a cui sono soggetti gli ita­ liani, e ne chiede la riforma.

Ma questo premesso, non possiamo a meno di fare delle riflessioni sul concetto che sembra ispirare i congressisti, i quali pretendono di di­ fendere la agricoltura con questi mezzi artificiosi ed illogici.

Alcuni anni or sono perchè l’agricoltura ita­ liana non sapeva o non poteva produrre il grano

ad un prezzo eguale a quello di lontani paesi, si è ottenuto prima, inasprito poi il dazio sul grano estero, sino al punto di creare un rin­ caro circa del 35 0[0 sul valore del pane. E gli apostoli di questo provvedimento sostennero la tesi che il bene della nazione stesse nell'avere

il pane più caro; o, il che torna lo stesso, che la

immensa maggioranza della nazione pagasse il pane più caro, perchè non sentissero danno i proprietari che rappresentano un decimo della popolazione.

Per quanto assurda fosse la tesi essa trionfò, come trionfano sempre, p<.r qualche tempo al­ meno, i pregiudizi a confronto della verità ; ed anche oggi che ha fatto maggior strada il con­ vincimento che si tratti di un errore, uomini istruiti, ma di vista unilaterale, difendono l’ er­ rore e le conseguenze sue.

In questo momento la stessa agricoltura so­ stiene un’ altra tesi : — noi abbiamo una enorme

produzione di vino e non sappiamo che farcene, bisogna che lo Stato intervenga a facilitarcene lo spaccio.

E se si comprende benissimo quale interesse abbiano i produttori, come tali, a sostenere una simile tesi, non si può a meno però, nella con­ siderazione dell’ interesse generale e dell’ equi­ librio stesso degli interessi di tutti, di chiedersi : — ma è proprio funzione dello Stato quella di guarentire all’ agricoltura una media di pro­ fitto? — Con queste strane pretese non si dà ragione a coloro che sostengono che le leggi, e le tributarie specialmente, rivestono il carattere della classe dominante e di questa costantemente dipendono gli interessi ?

A buon conto vi è un motivo di giuttizia in queste agitazioni ed in queste ispirazioni?

Può esser vero che il grano arrivi dal­ l’estero più a buon mercato di quello che non

si produca (non è dimostrato che si possa dire :

che non si possa produrre') in Italia ; ma che cosa hanno fatto i proprietari degli enormi gua­ dagni che nel periodo 1872-1879 hanno potuto realizzare quando cioè il prezzo del grano era tanto superiore al costo di produzione ?

Può esser vero oggi che il raccolto della uva sia così abbondante da non permettere lo smercio del vino se non a bassissimo prezzo; ma si può anche domandare perchè i proprie­ tari, negli anni in cui così larga era la esporta­ zione all’estero e così cospicui i loro guadagni, non abbiano provveduto a quei mezzi che per­ mettono di conservare il vino per molti anni, ampliando le cantine, accrescendo il numero di fusti, ecc. ecc.

Siamo adunque arrivati a questo punto che lo Stato deve garantire col suo intervento la agricoltura da ogni vicenda e che gli agricoltori empiano di lamenti il paese, tanto quando è troppo scarso, quanto quando è troppo abbon­ dante il loro prodotto ?

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6 44 L ’ E C O N O M IS T A 20 ottobre 1901 Badiamo bene però : anche solo discutendo

la possibilità di simili errori economici si va costituendo sempre più effettivo il privilegio di alcune (“lassi, che tentano di vivere parassite sulla nazione e di coprirsi, col sacrifizio di questa, da ogni alea.

Noi abbiamo già detto più volte che la proprietà fondiaria italiana ha bisogno di una evoluzione radicale, la quale, mediante i neces­ sari trapassi riduca il valore patrimoniale delle terre così da accrescerne il reddito percentuale.

Coi palliativi che si sono attuati o si pro­ pongono ora, non si fa che puntellare uno stato di equilibrio effimero, e intanto si crea una situazione che diventerà insostenibile e renderà il crollo più gravido di dolorose conseguenze.

Dopo la formula che la felicità del paese stesse nel rincaro del pane, non mancava, per rendere ancora meno serio il concetto econo­ mico, che quella di proclamare essere la di­ sgrazia della agricoltura un copioso raccolto.

Così il Ministro del Tesoro farà voti che le vicende atmosferiche diano uno scarso raccolto di grano, per accrescere le entrate del bilancio ; e che diano pure uno scarso raccolto di vino, perchè non si provochino degli sgravi a danno del bilancio.

Abyssus abyssum invocai.

LE STATISTICHE DELLE SOCIETÀ PER AZIONI

È stato più volte dimostrato come i risultati di una statistica delle.Società per azioni possono essere ingannevoli, se non si ha cura di stabilire le sue basi con criterio esatto. Il Körösy, diret­ tore dell’ ufficio di statistica di Budapest, ha fatto intorno ai principi generali che devono regolare questa materia, una comunicazione interessante al- T ultimo congresso delle società per azioni e ha intrapreso inoltre uno studio sui risultati finan­ ziari delle Società di Budapest dal 1874 al 1898,

studio del quale abbiamo sott’ occhio la prima parte *). Nel suo rapporto al Congresso di Parigi il Körösy ha esaminato i metodi seguiti finora e ha formulato un programma che, se fosse adottato, darebbe cifre esatte e permetterebbe, mercè l’ uni­ formità dei sistemi, di confrontare tra loro le statistiche dei vari paesi. Egli indica come istruttivo e utile uno studio sui risultati com­ parati dell’ attività dei privati e di quella delle società anonime che si applicano agli stessi og­ getti, ad esempio a un dato genere di industria, di negozio, di impresa, ma riconosce che tale studio presenta difficoltà quasi insormontabili.

La sola ricerca che permettono i materiali attualmente a nostra disposizione è quella dei risultati finanziari della Società per azioni. Essa consiste anzitutto a stabilire l’ utile o la perdita di ogni Società nel corso dell’esercizio : la pro­ duzione dell’insieme delle società sarà la

diffe-() Die finanziellen Ergebnisse der Actiengesellsehaf-

ten während des ersten Vierteljahrhundert (1874-1898),

von Dr. Joseph von Körösy. Ersten Heft. Berlin, Puttkammer und Muhlbrecht, 1901, pag. 92 (m. 1,50).

renza tra il totale degli utili e il totale delle perdite. Questa prima operazione è insufficiente; il saldo di un conto profitti e perdite non com­ prende in generale il solo risultato dell’ anno al quale corrisponde, ma un riporto del o degli eser­ cizi precedenti ; conviene dunque di dedurre, dal saldo apparante del conto profitti e perdite del­ l’anno che si esamina, la perdita o l’utile ottenuto anteriormente. Nel 1896, ad esempio, le banche viennesi accusavano un utile di 22.2 milioni, nel quale figurava un saldo riportato di 2.5 milioni, ossia dell’ 11 0[0 ; nel 1874 i bilanci di queste banche si chiudevano con 13.2 milioni di per­

dite, di cui quasi la metà, 6.1 milioni, proveni­ vano dai riporti dell’ esercizio 1873. I riporti delle perdite danno luogo a errori notevoli, se non si ha cura di tener distinto ciò che riguarda ciascun esercizio.

Una società che perde un milione 1’ anno per cinque anni sarà impoverita di 5 milioni che figureranno al passivo del bilancio del quinto anno ; ma queste perdite sono state inscritte per una somma crescente ad ogni esercizio, sicché se si addizionassero i saldi debitori di questo periodo si troverebbe che la società ha perduto 1 -+- 2 -+- 3 -f- 4 -{- 5 = lo milioni. Il riporto degli utili non porrebbe in generale dar luogo a simili errori, perchè la maggior parte degli utili annuali è distribuita o messa a riserva, cioè cessa di figu­ rare al conto profitti e perdite.

Si intende che pel calcolo del reddito del capitale il saldo di utili o di perdite dev’ es­ sere confrontato alla totalità dei capitali delle Società, siano esse state in perdita o no. Si giunge infatti a risultati del tutto falsi, se ci si accontenta di calcolare il dividendo delle so­ cietà che ne distribuiscono, paragonandolo col loro capitale, senza far entrare nel computo quelle che non hanno guadagnato nulla o che hanno subito delle perdite. Si legge in qualche libro che le banche d’ un paese, nell’ anno del grande crac austro-tedesco, 1873, hanno dato in media 6.20 0]0 di reddito, ed è vero che su un capitale di 169 milioni sono stati pagati divi­ dendi per 10 milioni e mezzo, ma d’altra parte, banche aventi un capitale complessivo di 190 milioni hanno avuto una perdita di 162 milioni sicché il capitale globale di 359 milioni lunge dal produrre un utile ha subito in media una perdita del 42 0[0.

La media dei dividendi dev’ essere stabilita secondo la importanza dei capitali ai quali que­ sti dividendi sono distribuiti e non soltanto fa­ cendo la media aritmetica dei dividendi ; quan­ tunque ciò sembri di evidenza incontestabile, il Koròsy cita degli esempi che provano come più d’ una volta il calcolo sia stato fatto secondo quella formula erronea.

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avevano ricuperato più del quinto dal fondo so­ ciale.

Quanto agli utili essi comprenderanno : 1° il dividendo distribuito alle azioni; 2° il dividendo pagato alle azioni di godimento delle Società che ammortizzano successivamente il loro capi­ tale e consegnano dei titoli di godimento, in cambio delle azioni di capitale rimborsate ; 3° gli ammortamenti delle perdite anteriori ; queste en trando nel calcolo degli esercizi precedenti, è giusto considerare come redditi dell’azionista gli utili non distribuiti e adoperati a cancellare delle perdite ; 4° le distribuzioni di riserve, a condi­ zione che queste riserve non siano comprese nel conto del reddito dell’ azionista al momento in cui esse sono state costituite con prelevamenti sui benefizi sociali ; 5° i vantaggi di qualsiasi na­ tura accordati all’ azionista, come ad esempio il diritto di sottoscrivere nuove azioni, a un prezzo di favore, i premi pagati al momento in cui le azioni sono rimborsate, quando il rimborso si fa al disopra del pari ; le somme riscosse in caso di liquidazione al di là del capitale nominale del­ l’azione.

Riguardo a quest’ ultima categoria di van­ taggi il Lévy ha considerato particolarmente la questione delle azioni che una Società nel corso della sua esistenza può essere condotta a emet­ tere con un premio.

Il fatto che una Società di cui le azioni di 500 franchi, ad esempio, sono quotate 1000 fran­ chi, raddoppia il suo capitale e dà ai suoi azio­ nisti il privilegio di sottoscrivere a 700 franchi dei nuovi titoli, in ragione di una azione nuova per ogni azione vecchia non significa eh’ essa conceda un vantaggio di 300 franchi per titolo ; anzitutto il titolo unificato non dovrà valere lo­ gicamente che un prezzo inferiore a quello del vecchio, uguale forse alla media fra il saggio di

,700 + 1000 ^ di emissione e l’antico corso

(-modo che il vantaggio reale accordato all’ azio­ nista non è che di 150 franchi per titolo e non di 300. Ricordiamoci anche che questo vantaggio non è, del resto, effettivo che quando l’azionista vende il suo titolo, al momento in cui quel corso è praticato ; nel caso contrario può scomparire in seguito a un ulteriore ribasso. Questo ribasso eventuale cagionerebbe una perdita al nuovo azionista che avrebbe acquistato il titolo a un corso più alto. Quest’ ultima ipotesi ci indica che è meglio di far astrazione dai corsi e di conside rare soltanto i dividendi distribuiti, il capitale le riserve che l’azionista ritrova all’ espiro della vita sociale.

Nelle statistiche delle quali il Korosy ha cominciato la. pubblicazione egli si propone di esaminare le varie Società per azioni di Buda­ pest nel corso dell’ ultimo quarto di secolo. Egli le classifica in quattro categorie: stabili- menti finanziari, imprese industriali, assicurazioni, imprese di trasporti. La prima categoria si sud­

divide in banche e in casse di risparmio, queste ultime sono organizzate, in Austria-Ungheria, a differenza di altri paesi sotto forma di Società per azioni.

Ecco gli elementi analizzati per ciascuna ca­ tegoria : l.° numero e capitale delle Società esi­

stenti ogni anno, cronologia delle Società create e scomparse ; 2.° quadro delle Società secondo la loro durata ; 3.° utile netto ; 4.° dividendi an­ nuali ; 5.° corso delle azioni (ultimo dell’ anno) ; 6.° valore mercantile (costo moltiplicato pel nu­ mero delle azioni) ; 7.° fondi di riserva; 8.° red­ dito dei titoli secondo il corso al 31 dicembre ; 9.° rendita dell’ azionista, cioè differenza tra la somma dei vantaggi che egli ha ricevuti e delle perdite che ha subite il detto azionista, essendo considerato come un ente che possederebbe tutte le azioni di un gruppo di Società ; IO.0 percen­ tuali attribuite agli amministratori e direttori ; 11.0 utili e perdite risultanti dalle fluttuazioni dei corsi.

Il Korosy ricorda gli effetti della crise del 1873 che fece cadere a Budapest il valore delle azioni di banca per 100 fiorini nominali a 53 nel 1873 e 40 nel 1877. Nel 1879 questo valore era ricondotto a 118; è vero che parecchie ban­ che sono allora completamente scomparse. In se­ guito alla crise Bontoux (1881-82) il corso delle azioni cede nuovamente e il capitale monetario si rivolge alle rendite. L ’anno 1887 segnato da crisi politiche vede un ribasso considerevole. Dal 1879 al 1887 il corso delle azioni di banche scende da 118 a 110. Sino al 1895 la ripresa è continua, nel 1894 il corso delle banche è 200 per cento, ma la fine del 1895 è contraddistinta da un ribasso profondo provocato dal crac delle miniere d’oro.

Nel corso di questi 25 anni le banche hanno guadagnato 1’ 8.3 per cento del loro capitale no­ minale (cifra che è ottenuta addizionando tutti i profitti realizzati e dividendo questa cifra per la somma dei capitali delle banche quali erano co­ stituiti alla fine di ogni anno); ma perchè il cal­ colo fosse esatto bisognerebbe aumentare quel capitale dei premi pagati e tenendone conto il reddito si riduce al 7.3 per cento. Inoltre, se si aggiungono al capitale le riservo che, in realtà, concorrono a costituire il fondo col quale operano le Società, il reddito appare più debole : così pei molini di Budapest, scende da 4.8 a 2.7 per cento. I risultati dei tre primi anni (1874, 1875 e 1876) erano stati negativi, le banche avendo allora per­ duto 4.8, 0.8, e 15 per cento.

I dividendi medi distribuiti dalle banche sono stati del 7.3 per cento o del 6.5 per cento, secondo che si tiene conto, oppure no, dei premi pagati.

II valore quotato delle azioni delle banche di Budapest si è elevato dal 53 per cento nel 1873 al 168 per cento nel 1899, dopo aver rag­ giunto il maximum di 200 per cento nel 1894. Dal 1873 al 1898 vi sono stati 93 milioni di utili e 77 milioni di perdite sui prezzi dei titoli; ma questa differenza di 16 milioni in utili è scomparsa nel 1899 così che dopo 27 anni la perdita ha compensato l’ utile. Nel 1899 le riserve sono del 28 per cento e il reddito calcolato per base al corso delle azioni del 5.3 per cento. In riassunto pel periodo 1874- lh98 la rendita delle azioni di banche di Buda­ pest, comprendendo nel calcolo tutti gli utili e le perdite e calcolandola sul capitale effettivamente versato dagli azionisti è stata del 4.8 per cento, ossia poco più del reddito del titolo di Stato.

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646 L’ ECONOMISTA 20 ottobre 1901 ricevuti dall’azionista e specialmente i diritti di

sottoscrizione, il cui valore è stato calcolato se­ condo la differenza tra il prezzo di emissione ed il corso del 31 dicembre successivo. Il Kòrosy conclude che le azioni di banche non costitui­ scono nell’ insieme un collocamento desiderabile, poiché il reddito medio è presso a poco eguale a quello dei valori a reddito fisso, quali le rendite, obbligazioni ipotecarie, depositi alle casse di ri­ sparmio, eco., di cui la sicurezza è molto maggiore. E non ci sarebbe da sorprendersi che una statistica analoga desse risultati quasi simili in altri paesi, specie in Erancia e in Germania ; in­ vece non si avrebbero forse in Inghilterra, dove le banche si limitano più strettamente al com­ mercio dei capitali e corrono meno rischi.

La statistica delle casse di risparmio unghe­ resi il cui capitale nel 1898 ammontava a 25 mi­ lioni di fiorini più 14 milioni di premi pagati da­ gli azionisti, ossia in totale 39 milioni, dà risultati assai differenti. Il reddito dal 1874 al 1898 è stato del 23.6 per cento sul capitale nominale, di 18.6 per cento sul capitale effettivo. I dividendi pa­ gati nello stesso periodo corrispondono a 18.3 per cento sul nominale, 14.4 per cento sul capi­ tale effettivamente versato. I corsi quotati delle azioni di casse di risparmio rappresentavano 156 per cento del pari nel 1873, 500 per cento nel 1892, 335 per cento nel 1899. La proporzione delle riserve al capitale che era nel 1874 del 4 per cento è salita nel 1898 a quasi il 106 per cento. Ai corsi attuali le azioni di casse di ri­ sparmio rendono un po’ più del 5 per cento. I redditi percepiti dagli azionisti sotto forma di dividendi sorpassano 45 milioni di fiorini e gli utili ohe hanno realizzato in seguito a sottoscri­ zione, a corsi di favore, di azioni nuove, calcolati come sopra si è detto, sorpassano 16 milioni, os­ sia insieme 61 milioni, dai quali non va dedotto che un milione di perdite per la scomparsa di alcune casse di risparmio. Questo reddito di 10 milioni rappresenta una media annua di circa il 24 per cento sul capitale nominale e 19 per cento su quello effettivamente pagato. L ’ investimento in azioni di casse di risparmio è stato, dunque, molto rimuneratore.

Tali sono i risultati ai quali il Kòròsy è con dotto dallo studio delle banche e delle casse di risparmio dell’ Ungheria. Il seguito dei suoi studi riescirà certo interessante; intanto si é potuto vedere ohe numerosi sono gli elementi di cui con­ viene tener conto nella ricerca di un modo razio­ nale di stabilire le statistiche delle società per azioni e dei risultati che ottengono i capitali che vi sono investiti.

I PROBLEMI

D E LL ’ O R G AN IZZAZIO NE DEL LAVORO

I.

Vi sono delle parole che assumono in certe epoche una importanza eccezionale, repentina e in qualche modo misteriosa, cosi che diventa quasi impossibile di pronunziarle senza passione. Tale fu il destino nel secolo passato della parola

associazione. Mormorata dapprima nell’ombra di

una propaganda occulta, vociferata in seguito nel tumulto della più ardente polemica, accla­ mata dagli uni come la promessa di una rigene­ razione integrale della umanità, maledetta dagli altri come la minaccia di una rovina assoluta, sfigurata ora dalla illusione, ora dal timore, la parola associazione ha dato origine a lunghe, confuse e violenti discussioni, specialmente in Francia nella prima metà del secolo scorso. In Francia essa è stata a un punto di diventare più d’ una volta lo stendardo della guerra civile e si è potuto credere un momento che dalla ado­ zione o dal rigetto di una formula, alla quale ben pochi davano un significato preciso, dipendesse la prosperità o la miseria, la salvezza o la per­ dita della società.

E precisamente perchè il senso della parola associazione era vago, perchè nessuno fra i par­ tigiani e gli avversari della associazione si ren­ deva un conto esatto di ciò eh’ essa è e di ciò che può essere, che la lotta era così viva e l’ac­ cordo tanto difficile. L ’ oscurità, è noto, fa sor­ gere i fantasmi, la luce li fa svanire. La luce, anche nelle questioni sociali, è la scienza la quale esaminando freddamente e spassionatamente i fatti che la passione e la ignoranza sfigurano, di­ stinguendo ciò che la prevenzione confonde, ri­ schiarando quello ohe la passione oscura, può conciliare nella verità le menti che l ’ errore di­ vide. E la scienza ci dimostra, diciamolo subito, che l’associazione è un fatto necessario, un fatto benefico quando è libera esplicazione della vo­ lontà umana, un fatto antico come T umanità e imperfetto com’ essa, infine il resultato lento e progressivo di una legge naturale e non i l . pro­ dotto improvvisato di un sistema artificiale e di una riforma legislativa.

Oggi, giorno di Venerdì santo, ho trovato il se­ greto della Associazione universale : così scriveva

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Questo nome di Falanstero è quasi la sola cosa che il pubblico conosca dell’ opera di Fou- rier ed esso è stato sufficiente per imprimere al suo sistema un non so che di strano e di miste­ rioso, che in realtà non ha, perchè il falanstero è, possiamo dire, un grande albergo o un grande convento, ed ha questo solo di interessante, che presenta in modo concreto l’idea che della asso­ ciazione si sono formati, in generale, gli scrittori appartenenti alla scuola del socialismo detto utopistico. Se cerchiamo nei socialisti antichi e in quelli moderni, il principio fondamentale che dovrebbe essere applicato nello stato socialista troviamo che l’ idea dell’ associazione è comune a tutti quei piani utopistici. L ’ associazione è anzi la formula magica che a loro dire rac­ chiude la salvezza del mondo. I san-simoniani gli diedero un senso mistico pel quale si per­ dettero nei meandri di un nuovo sistema sociale e religioso ; Proudhon e i suoi seguaci cambiano il nome alla cosa e si fanno a divulgare il mu­

tualismo, ma la cosa rimane la stessa. Leroux

ci parla della solidarietà e propende per l ’uma­ nitarismo, ossia pel sistema san-simoniano mo­ dificato, non senza una lieve tinta di filosofia egheliana, Luigi Blanc, che trova un po’ troppo usata la formula dell’associazione, vi sostituisce quella della organizzazione del lavoro e infine Lassalle, ispirandosi a Blanc, vede il rimedio pratico e immediato, per dir così, nelle asso­ ciazioni cooperative di produzione.

Potrebbe dunque parere, a primo aspetto, che il principio di assoc azione fosse la pana­ cea per guarire i mali sociali proposta dalle varie scuole socialiste. E invero nel movimento intellettuale e nelle discussioni pubbliche della prima metà del secolo passato l’idea dell’associa­ zione ha una parte assai importante, perchè si è veduto in essa un mezzo efficace per la so­ gnata ricostruzione completa della società e un mezzo di produzione e di organizzazione econo­ mica superiore a qualsiasi altra.

Quando le questioni sollevate dalle scuole socialiste s’ imposero, coll’ aiuto non lieve dato dai romanzieri e dai poeti, all’ attenzione delle masse, i parliti sociali videro nelle formule messe in circolazione dalle varie scuole delle leve potenti per muovere e trascinare gl’ incerti, i timidi, i dubbiosi, sui quali la semplicità della formula ha sempre esercitato un fascino irresi­ stibile. Fra quelle formule due sono state prin­ cipalmente in favore : quella dell’ associazione e 1’ altra della organizzazione del lavoro. Ma que­ st’ ultima si confondeva con la prima, perchè in sostanza si domandava e si voleva 1’ organizza­ zione del lavoro mediante l’ associazione. E l’as­ sociazione, dicevano Roberto Owen e i promotori delle Società cooperative al principio del secolo, e ripeterono i San-simoniani verso il 1830, è l’as­ sociazione che farà cessare lo sfruttamento del­ l ’uomo per opera dell’uomo, che procurerà il mi­ glioramento fisico, intellettua.e e morale delle classi più numerose e più povere, che sopprimerà la concorrenza industriale e le altre cause di mi­ seria sulla terra ; è 1’ associazione, essi aggiun­ gevano, che emanciperà la donna e la farà uscire dallo stato di semi-servitù in cui la tiene la ci­ viltà dei popoli anche più progrediti.

L ’ idea dell’ associazione era tanto nell’ aria, per così dire, che il Fourier e i falansteriani sono costretti inconsciamente a continuare la propa­ ganda dell’Owen in favore dell’associazione. Essi fanno risaltare, coll’ aiuto della immaginazione, certo originale, del loro maestro, da una parte i vizi della società attuale, della società civiliz­

zata, dall’ altra i vantaggi del sistema dell’ asso­

ciazione domestica agricola, applicabile ai co­ muni trasformati in falansteri e costituenti ai loro occhi la scienza sanitaria, la scienza sociale per eccellenza, per mezzo della quale 1’ umanità poteva passare in alcuni anni dal periodo della

civiltà a quello dell’ armonia.

L ’associazione era ed è la conclusione di tutte le scuole comuniste, da quella del Cabet che sognava la trasformazione delle varie na­ zioni in grandi famiglie patriarcali alla più re­ cente del Kropotkine del Reclus, del Grave, in breve degli anarchici, che vogliono (dato che sia possibile stabilire quello che vogliono) la società divisa in gruppi e confederazioni di gruppi, in piccole comunità di villaggio, unite tra loro da vincoli assai tenui. L ’associazione insomma era in Francia nella prima metà del secolo X I X , la con­ clusione di tutti gli organizzatori del lavoro, di quelli che avevano immaginato il ritorno al si­ stema delle corporazioni chiuse, come di quelli che miravano all’ assorbimento delle imprese private da parte dello Stato e la trasformazione dei vari rami dell’attività sociale in uffici ammi­ nistrativi, in opifici sociali o qualsiasi altra or­ ganizzazione più o meno bene definita. L’ asso­ ciazione era non solo la conclusione delle varie sette socialiste, ma anche quella dei romanzieri più popolari, come Eugenio Sue, madama George Sand e di una folla di pubblicisti che facevano il processo alla società e in pari tempo vanta­ vano l’associazione, formula magica, panacea po­ litica e sociale che doveva far cessare l’antago­ nismo delle classi e produrre l’abbondanza nella produzione, la giustizia nella ripartizione, il be­ nessere, la felicità in questo mondo, e anche nell’altro, al dire di Fourier.

Questo invasamento per l’ associazione si spiega forse con questo, che una corrente di mi­ sticismo attraversava l’ opinione pubblica e parti­ colarmente lo spirito delle masse, alle quali si era detto su tutti i toni che era possibile organizzare il lavoro per mezzo dell’associazione, in modo da far passare l’operaio dallo stato di salariato a quello di associato, dallo stato di proletario a quello di intraprenditore, cosi il salariato si tra­ sformava in capitalista, il lavoratore in bor­ ghese ozioso, col benessere, l’agiatezza, i godi­ menti, l’ influenza di cui!|;godono le classi supe­ riori. La voce del buon senso era coperta dal clamore generale dei pubblicisti, dei romanzieri e degli uomini politici ; l’ associazione era in­ somma nel programma di tutti i partiti, di quelli avanzati, come di quelli conservatori.

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648' L ’ E C O N O M IS T A 20 ottobre 1901 come, a vero dire, non può meravigliarsi del­

l’insuccesso completo che quella idea ha avuto e dello scoppiare di una nuova rivoluzione, e que­ sta volta sanguinosa, nel giugno dello stesso anno.

Ebbene, qual’ è il concetto che dell’ asso­ ciazione si sono formate le scuole socialiste francesi e inglesi della prima metà del secolo X I X ? Esso può riassumersi in poche parole. Osservando taluni effetti cattivi della concor­ renza, e specialmente quelli che riguardano gli operai, come il basso saggio dei salari, e le lun­ ghe giornate di lavoro, videro nell’ associazione il rimedio della condizione d’ inferiorità nella quale pareva loro si dovesse trovare inesorabil- meute l’operaio nel sistema della libera concor­ renza. E poiché si credeva che se il mondo fosse coperto di associazioni la concorrenza scompa­ rirebbe totalmente, così la ricerca principale alla quale si abbandonarono i metafisici del sociali­ smo fu appunto quella della formula generale della migliore associazione, di quella cioè che meglio potesse giovare alla vita economica e morale dell’uomo. Ma l’associazione, nel concetto socialista di quel periodo, è in realtà la sogge­ zione completa dell’ individuo al gruppo del quale fa parte, la sua abdicazione al falansteri), all’ opificio, 1’ estensione del regime famigliare, infantile, agli uomini di tutte le età, di tutte le condizioni, insomma a tutti i gruppi d’ uomini. E cotesto concetto da alcuni era applicato solo parzialmente, cioè nella sola sfera degli inte­ ressi economici, da altri invece a tutta la vita dell’uomo; i primi volevano la produzione e la distribuzione della ricchezza ordinate non se­ condo il principio della libera concorrenza, ma secondo quello della comunanza degli interessi, regolati poi in base a principi di giustizia di­ stributiva assolutamente arbitraria, i secondi generalizzando un principio in sè giusto doman­ darono l’associazione universale, togliendo così all’ individuo qualunque vita propria cosciente e indipendente.

Ma tutto ciò appartiene a un movimento sociale e a un complesso di dottrine ormai di mero interesse storico. Nella seconda metà del secolo trascorso il concetto dell’ associazione e della organizzazione del lavoro, parallelamente alla evoluzione del socialismo, subisce modifi­ cazioni profonde : l’ associazione è considerata non più come un mezzo di ricostruzione sociale, ma di difesa professionale e di progresso eco­

nomico. {Continua).

I L C O N G R E S S O

delle Cooperative agrarie germaniche.

Diciassette anni fa, un anno dopo la sua fon­ dazione, la Federazione generale delle coopera­ tive agrarie tedesche teneva il suo primo Con­ gresso nellacapitale della Baviera. Poche centinaia di cooperative la componevano, e pochissime v’ erano rappresentate : nessuno - e meno i Go­ verni - parve accorgersi di quella eh’ era pure alta promessa di splendido avvenire.

Ora al X V III Congresso della medesima Federazione, 1’ Erede al trono di Baviera assume la presidenza onoraria ; vari Governi mandano i loro rappresentanti ; la stampa amica o avversa­ ria se ne occupa ; si ha quasi l’ impressione di trovarsi dinanzi ad un avvenimento di importanza nazionale.

Gli è che il piccolo nucleo è cresciuto a forte legione. Le poche centinaia sono divenute 8 mi­ gliaia, con quasi 700,000 soci : più che metà della cooperazione agraria è concentrata in questa Fe­ derazione. Ma non basta : la seconda grande Federazione che deriva direttamente da Raiffei- sen, e che fu della prima non sempre pacifica rivale, ha smesso i rancori ; le due sorelle si sono strette la mano, ed al Congresso attuale vogliono solennemente attestare, che fia breve non saran più neanche formalmente divise. Sem­ brava adunque tale Congresso una rivista gene­ rale di tutta la cooperazione agraria germanica.

Nella bella, severa, gotica sala dell’ antico Municipio si raccolsero i 400 e più congressisti ; tra i quali si vedeano mescolate le marsine deco­ rate dei rappresentanti ufficiali, e gli eleganti abiti di grandi proprietari, con le semplici giac­ che dei numtrosi contadini, e con le sottane dei non numerosi sacerdoti comparsi. Di tutta la Germania erano convenuti i cooperatori, dai confini russi al Reno, dal mare alle Alpi ; nè po­ teva agevolmente dirsi qual parte predominasse, scarseggiando i Bavaresi, occupati nei gravi la­ vori della stagione.

Alle 9 e un quarto entrò, acclamato il Prin­ cipe Luigi di Baviera, ed assunta, dopo le for­ malità d’ uso, la Presidenza d’ onore, disse i coo­ peratori benvenuti, ed in forma semplice parlò dei vantaggi materiali e morali della coopera­ zione, di cui pure egli è seguace, come appar­ tenente ad una latteria sociale.

Espresso dai Congressisti il loro omaggio alle parole di 8. A., il direttore signor Haas espose rapidamente alcune cose sull’ andamento generale della cooperazione e sull’ attività spe­ ciale della Federazione, invitando a prender no­ tizia del resto dal Rendiconto stampato, distri­ buito ad ognuno dei convenuti. Nell’anno trascorso il numero delle cooperative agrarie s’ accrebbe di 1397 ; sì che attualmente quelle iscritte am­ montano a 15,034, di cui 10,447 sono Casse ru­ rali; 1298 Società per la compra di scorte agrarie; 2047 latterie sociali : 198 vendono cooperativa- mente il latte ; e 1008 sono cooperative di altre specie, di produzione, e di vendita. Il numero totale delle cooperative germaniche, è di 19,600 ; bene 77 per cento di esse sono perciò rurali. Ascoltate queste ed altre cifre, ed impartito con plauso 1’ assolutorio alla direzione, il Congresso entrò nell’ ordine del giorno. Questo venne già pubblicato nel n. 15 del Credito e Cooperazione ; ma, essendo vastissimo, non venne per intero trat­ tato ; solo alcuni punti principali si poterono di­ scutere, e di essi rapidamente diciamo.

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Del credito si parlò a tre riprese. Nella prima si discussero i principi cui le casse rurali dovrebbero informarsi nel fissare il saggio del- l’ interesse. Su relazione del signor Johannszen, il Congresso dichiarò non dover premere tanto alle casse di prestare a interesse mitissimo, quanto invece a un saggio costante, da commisu­ rarsi, secondo quello corrente nel paese. Con particolare insistenza venne mossa alle coope­ rative di credito la raccomandazione di accumu­ lar forti riserve, e di attirare a sè il risparmio locale per poter agire indipendentemente dalla Banca centrale ; la quale deve essere non già la base, ma il coronamento dell’ edifizio.

Un altro relatore magnificò i vantaggi del libretto a risparmio adottato largamente dalle casse rurali dello Schleswig, e ne raccomandò, in una risoluzione unanimemente accettata, la maggior possibile diffusione.

Il signor Heintze di Bordesholm trattò in terzo luogo la questione dei prestiti sull’ onore. Poggiandosi sopra non tristi esperienze fatte nello Schleswig, il relatore voleva che il Con­ gresso, pur dichiarandosi in massima contrario ai prestiti sull’ onore, ne riconoscesse in certi casi la legittimità, quando, ad esempio, si trattasse di piccole somme, e ristretta fosse la circoscri­ zione della cooperativa. Ma nella discussione che seguì, la grande maggioranza si mostrò contraria a suffragare, come che fosse, con un suo voto, un principio ritenuto deleterio, e condannabile per ragioni, che negli organi della cooperazione ven­ nero ripetutamente e bellamente esposte ; e il relatore ritirò per questo motivo la risolu­ zione.

Il maggior posto nei lavori del Congresso 1’ occuparono le discussioni sulle coopei'ative di vendita. Incominciandosi con quelle per la ven­ dita del grano, si udì una bella relazione del signor di Brockhausen, il quale risiedendo a Stet­ tino, ha particolar cognizione dell’ organizzazione pommerana, ch’ è la più sviluppata. Esposti an­ zitutto i principali sistemi vigenti, trovò di ap­ provarne la varietà come quella che asseconda meravigl osamente le particolarità sezionali. Rias­ sumendo poi i vantaggi praticamente apportati da quelle istituzioni, dimostrò, che, ovuDque sono state introdotte, i prezzi del mercato locale dei grani rialzarono ; la dipendenza dell’ agri­ coltore dall’ intermediario diminuì, potendo il primo attendere un’ occasione favorevole per la vendita, e ricevere frattanto una sovvenzione sul pegno del suo prodotto ; l’ offerta tumultuosa dell’ autunno scomparve; ed il grano pulito, me­ scolato, ed assortito convenientemente, diventò una merce profittevolmente commerciale. Il mag­ gior utile dai granai cooperativi, e dalla vendita cooperativa del grano lo traggono, a dir del re­ latore, i piccoli ed i medi proprietari, ai quali manca la sicura conoscenza del mercato, come pure la possibilità di regolare l’offerta, o di pre­ sentare una merce per pulite -za e giusta mesco­ lanza atta a pronta rivendita ; nonché quelli tra i grandi proprietari che siano finanziariamente dipendenti dagl’ intermediari. Esortò di poi di collegare la vendita cooperativa con la compera di scorte agrarie per i soci, solo in tal modo po­ tendo questi emanciparsi dall’ intermediario, e

diminuire alla Società le spese unitarie di am­ ministrazione.

Passando quindi ad esporre i propositi per il futuro, tendenti ad influire direttamente sul mercato locale, concluse non potersi quei fini raggiungere, se non diffondendo ampiamente coo­ perative di vendita, che costruiscano, in punti commercialmente idonei, acconci granai, a spese proprie, o con crediti invocati dallo Stato ; e finì (non per nulla ci troviamo in piena guerra doga­ nale interna) reclamando altri dazi che proteg­ gano i cereali tedeschi dalla concorrenza straniera accennante ad acuirsi sempre più per la pros­ sima apertura della Siberia e dell’Asia minore.

Il Congresso accolse a voce unanime una ri­ soluzione esprimente le idee ora esposte.

Non meno interessante fu la relazione del sig. Ring sulla vendita cooperativa degli animali da macello. Accennati i mali del commercio in­ termedio del bestiame descrive 1’ organizzazione ed il funzionamento della Cooperativa centrale per la vendita del bestiame,risiedente a Berlino; alla quale in soli due anni di esistenza si sono ascritti 1600 soci, fra cui 140 cooperative, con una somma totale garantita di circa un milione di marchi ; ed esortò a sostenerla, ed a condurla al trionfo, fondando nelle campagne cooperative subordinate, tendenti al medesimo scopo di eli­ minare gl’ intermediari, o per lo meno d’ influire sullo usanze del mercato unilateralmente fissate dai commercianti.

Tutti fin qui furono d’ accordo ; ma nacque opposizione ad un punto della risoluzione pre­ sentata, che perciò venne modificata, dal quale si temeva una subordinazione del commercio d'ani­ mali della Germania meridionale, a quello della Germania settentrionale, nonché una soverchia concentrazione.

Seguì il signor Barone di Puttlitz, che de­ scrisse 1’ organizzazione del cartell dell’ alcool, e raccomandò alle cooperative, che producono o vendono spirito greggio, di sostenere quel ring sia associandovisi, quando già non lo fossero, sia contribuendo, per quello che potessero, a diffon­ dere il consumo di spirito denaturato ; dalla cui vendita è da ripromettersi grande vantaggio alla coltura delle patate, ed allontanamento del pe­ ricolo di soverchia produzione di alcool puro, la quale precipitando i prezzi, distruggerebbe il

cariceli.

Dopo di lui, il maestro Zollikofer di Han­ nover parlò delle cooperative per la vendita delle ova, sorte anni fa in quella provincia, ed allar­ gatesi con meraviglioso successo in parecchie parti della Germania.

Secondo le asserzioni documentate dal rela­ tore, la vendita del pollame è cresciuta per esse del 15 e fin del 30 0[q; 1© razze del pollame ven­ nero migliorate ; le donne interessate alla coo­ perazione. Non più si riscontrano nello Hannover i compratori ambulanti che raccoglievano le ova di masseria in masseria pagando poco una merce, che essendo poco retribuita era cattiva; oggi le ova per opera della cooperativa vanno direttamente ai consumatori' od ai grandi commercianti della città.

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650 L ’ E C O N O M IS T A 20 ottobre 1901 stente, il loro oggetto specifico essendo troppo

limitato per meritare un’ amministrazione spe­ ciale. La loro fondazione noD è consigliabile nei dintorni immediati d’ una grande città, poiché la domanda colà è tanto viva, che l’opera della coo­ perazione è inutile.

La risoluzione, tenendo conto di tutto ciò, raccomandava di avviare un’ intesa comune fra tali cooperative, sia per scambiare la espe­ rienza, fatta da ciascheduna, che per evitare la concorrenza, molte volte fra loro deplorata.

Le difficoltà ed i pericoli delle cooperative per la vendita o per la elaborazione delle frutta in conserva o vini, vennero bellamente illustrati dal signor Siegert. Egli dissuase dalla fabbrica­ zione di conserve, ed ammise solo come ramo secondario la fabbricazione del vino di frutta : 1’ oggetto principale dovrebbe rimanere la ven­ dita di frutta secche. L ’ esperienza dimostrò che riescono bene solo le Società di quegli agricol­ tori, che alla coltura delle frutta diano grande attenzione, e che s’ accordino in un tipo medio. E necessaria la massima cautela, e però non sono consigliabili che là ove fiorisca la frutticoltura, ma deficiente sia il commercio intermedio, ed ove assieme a forti capitali vi sia rassicurante spirito cooperativo. Volle raccomandata la causa di questo difficile ramo della cooperazione allo Stato, ai Comuni ed ai medici, dai quali si aspetta efficace propaganda in favore delle frutta; ed esortò le cooperative di consumo cittadine a provvedere in prima linea presso le cooperative agrarie.

Il Congresso s’ occupò, infine, di questioni d’ organizzazione interna, fra cui dei doveri dei sindaci in tutte le cooperative, e dei sindaci e della direzione celle latterie sociali, nelle quali si lamenta il soverchio potere lasciato agli im­ piegati, mentre la direzione fidente trascura gli affari sociali ; situazione gravida di moleste sor­ prese.

As-ai importante fu la discussione sul punto delle relazioni delle cooperative di consumo e di vendita coi non soci. Quanto alle prime è noto, che la legge tedesca fa un’ eccezione in loro fa­ vore non estendendo ad esse la proibizione da cui son colpite le cooperative cittadine, di ven­ dere ai non soci. Di tale facoltà, fecero però le cooperative agrarie, in moltissimi casi, come di­ mostrò il relatore v. Endell, soverchio abuso. Egli citò una cooperativa centrale, che vendette ai propri soci meno di due milioni, e più di due milioni ai non soci. Il Congresso fu quasi unanime nel condannare questa pratica; e volle in una ri­ soluzione esprimere il consiglio di limitare quel- 1’ uso a casi eccezionali, in cui si trattasse, p. es., di completare un carico. Tale consiglio, ma con minor insistenza, perchè minore è il bisogno, venne pure dato alle cooperative di vendita dei prodotti agrari : le quali raccolgono in qualche caso anche merci di non soci. La discussione di tali risoluzioni fornì il destro di condannare (non so con quale profitto) la concorrenza sul mer­ cato tra le varie cooperative che pare sia tut- t’ altro che rara.

Il signor Biernatzki trattò poi delle rela­ zioni fra le cooperative ed il Tribunale di regi­ stro ; e stese sur una parete numerosi estratti

dell’ ufficioso Heichsanzeiger, contenenti pubbli­ cazioni imposte alle cooperative da quei Tribu­ nali, gran parte delle quali, da lui segnata in vano, sarebbe stata secondo la legge inutile. Calcolò a cifra elevatissima il dispendio causato da tali erronee interpretazioni della legge ; ed esortò il direttore della Federazione ad interporsi vali­ damente perchè ciò avesse a cessare, raccogliendo e presentando ai Governi il materiale spedito dalle cooperative, o spigolato man mano dal

Heichsanzeiger.

Questi furono i punti principali trattati. A sede del prossimo Congresso si scelse Kiel ; e salutata tre volte la gran patria germanica (onde infinita nostalgia allo straniero), la parte ufficiale del Congresso si chiuse.

Nella parte non ufficiale del Congresso gli ospiti bavaresi ebbero campo di mostrare la lor signorile larghezza : giacché, oltre i soliti ban­ chetti, condussero i congressisti sull’ameno lago di Starnberg (dal vapore il Principe Luigi, che accompagnava la comitiva, si scoprì riverente di­ nanzi alla cappella commemorante la tragica fine del suo real cugino) ed il giorno 23 nei castelli alpini di re Luigi.

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vero che questi sono nella massima parte molto istruiti. Eccellenti le scuole popolari, e buonis­ sime e sempre più spesse le scuole d’agricoltura,, nè rari sono quei giovani che sostengono l’esame per il volontariato d’ un anno, e poi ritornano alla masseria paterna. Nel ritorno in treno io se­ devo dinanzi a un contadino che aveva assolto il ginnasio, - cosa egli mi assicurava non affatto eccezionale !

In codesto mondo cooperativo non mancano le lotte ; poiché ove è vita lì è lotta : ma quelle Società che talvolta si fanno la concorrenza, e quelle varie classi di proprietari che in altri campi pur sono in opposizione fra loro, hanno la coscienza d’ esser animati da un’ idea comune : un solo legame li unisce contro i pericoli esterni : e in questo e per questo vanno d' accordo.

E poiché lì non v’ è superiorità di gerarchia o di tutela ; ma ognuno è figlio delle proprie azioni, spira su tutta quella compagine multi­ forme di aristocratici e di contadini, di alti im­ piegati e di umili sacerdoti o maestri, una vera aria di democrazia che chiamerei interna : la quale mi faceva rappresentare il Principe Luigi, trincante la birra nella cantina di Tutzing fra la moltitudine dei coopiratori, piuttosto come socio della sua latteria, che come erede del trono di Baviera.

Grandioso è lo spettacolo della coopera­ zione agraria tedesca, e degno d’ invidia. Ma l’ invidia è sterile cosa; giova invece trar par­ tito dall’ esempio ed emulare. Perchè dovremo noi Italiani disperare di noi stessi ? In cel ti punti non siamo addietro, ma superiamo gli stra­ nieri. Si continui animosamente l ’azione mirabile di qualche Provincia della vallata del Po ; la­ vorino gli uomini di buona volontà con fede, con disinteresse, con entusiasmo, e non sarà lontano il giorno in cui saluteremo il trionfo dell’ idea cooperativa nella campagna d’ Italia.

Monaco, settembre 1901.

Do t t. Gio v a n n i Lo r e n z o n i.

--- m

«---(§ivista (Bibliografica

Dr. Alfred Zimmermann. — Die Handelspolitik des

Deutschen Reichs vom Frankfurter Frieden bis zur Gegenwart. — I I a edizione. — Berlin, E. S. Mittler u. Sohn, pag. VIII-320 (m. 6).

Idem. Die Kolonialpolitik Frankreichs. Von den

Anfängen bis zur Gegenwart. — Berlin, Mittler, 1901. pag. XIV-488 (in. 9,50).

Le pubblicazioni sulla politica commerciale vanno continuamente crescendo di numero e il momento vi è particolarmente favorevole. La Ger­ mania si distingue in modo speciale per questa produzione letteraria e può dirsi che tutti i pat­ titi, dai conservatori e dagli agrari ai socialisti, prendano parte alla lotta. La pubblicazione che ora annunziamo sulla politica commerciale della

Germania dalla pace di Erancoforte sino ad oggi dovuta al dottor Zimmermann ha un carattere prettamente obiettivo, si può dire anzi che è una pubblicazione quasi ufficiale ed è appunto per questo suo carattere che in breve tempo se ne sono fatte due edizioni. L ’Autore narra sempli­ cemente le vicende della politica doganale ger­ manica, cominciando in una introduzione dal- 1’ esporre il contenuto dell’ articolo 11 del trat­ tato di Erancoforte, le sue cause e com’ esso sia stato combinato, passa poi a trattare della for­ mazione e dello sviluppo dello Zollverein e del- l’ impero tedesco. Per meglio chiarire l’ anda­ mento della politica tedesca il dott. Zimmer­ mann a questo punto si occupa anche di alcuni altri Stati e cioè dell’Austria, della Russia, della Francia, dell’ Inghilterra, degli Stati Uniti e da ultimo esamina largamente, nelle sue varie fasi, la politica commerciale tedesca in generale. Il libro, ricco di indicazioni bibliografiche, riesce singolarmente utile per lo studio di tutta la que­ stione doganale internazionale.

Proseguendo le sue pubblicazioni, già da noi annunziate, sulla politica coloniale dei principali Stati, lo stesso dottor Zimmermann ha trattato ora della Francia dai primi inizi fino ai nostri giorni. E un sommario di storia coloniale fran­ cese che ha i pregi riscontrati anche nei prece­ denti volumi sulla Spagna e sull’ Inghilterra, quelli cioè della precisione e chiarezza e può servire come introduzione a studi maggiori. Una ricca bibliografia sulle colonie francesi chiude il volume, che continua bene la utilissima pubbli­ cazione sulle colonie europee.

Rivista (Economica

Ufficio del lavoro in Danimarca. — La produzione mondiale del petrolio. — I debiti pubblici. — Il ri­ poso domenicale in Germania. — Inuovi dazi cinesi.

Ufficio del lavoro in Danimarca. — Da una relazione del ministro della repubblica francese a Copenaghen, di cui un sunto è stato pubblicato nel

Bulletin de l'office du travai/ francese, del mese di

agosto anno 1901, risulta che il comune di Copena­ ghen ha aperto il 5 luglio 1901 un ufficio municipale gratuito di collocamento. Tale ufficio è ordinato a somiglianza di quelli che sono istituiti in Germania. I padroni indirizzano le loro offerte o con lettere, o per telefono, od anche in altri modi al detto ufficio. La lista dei posti offerti è affissa nei locali dell’ uffi­ cio stesso, dove trovasi un impiegato per dare i chia­ rimenti che possono essere richiesti. L’ ufficio è aperto a tutti i lavoratori, sindacati o no, dell’ industria, dell’ agricoltura, del commercio, per i domestici, gli artisti, i musici, ecc. In soli 15 giorni, questo ufficio ha procurato impiego a più di 500 persone.

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652 L ’ E C O N O M IS T A 20 ottobre 1901 I campì petroliferi del Giappone cominciano ad

attirare l’attenzione degli speculatori, in ragione del- 1’ avvenire cui sono riserbati; ma pel momento la loro produzione non supera un milione di barili.

Nell’ America del Nord, gli Stati dell’ Ohio, West Virginia, Pensilvania, Indiana e Nuova York produ­ cono 58 milioni di barili, ossia il 92 % della totale produzione americana; la California fornisce 4 mi­ lioni di barili, il Texas un milione; il rimanente è prodotto nel Colorado, Kansas, Kentuchy e Wioming.

Dal 1859 in poi, da quando fu forato il primo pozzo petrolifero, la produzione totale degli Stati Uniti ha raggiunto piu di 1 miliardo di barili, del valore di 1200 milioni di dollari. La produzione è andata crescendo costantemente. Nel 1860 essa non era che di 500,0C0 barili; nel 1870 era già salita a 5,260,745 barili ; nel 1880 ascendeva a 26,586,128 ba­ rili ; nel 1890 a 45,823,572 e nel 1900 a 58,000,000 di barili.

Delle quantità raccolte nell’ Ovest, il paese stesso consuma 31 milioni di barili e ne esporta 22. La fa­ mosa Standard OH Comjiany prende giornalmente 60,000 barili della produzione totale o 22 milioni al- l’ anno, il cui valore ascende a 24 milioni dollari, contando il barile al prezzo medio di dollari 1.10. La Compagnia compra dalle Società indipendenti più dell’ 85 °/0 della loro produzione, di modo che essa dispone di più che 48 milioni di barili all’ anno, con che si capisce come riesca a dominare il mercato mondiale.

I debiti pubblici. — 11 signor Austin, capo dell’ ufficio di statistica degli Stati Uniti, lia teste pubblicato un importante studio sui debiti delle nazioni di tutto il mondo dal 1801 al 1901.

Risulta dallo studio medesimo che nell’anno 1801 il debito mondiale era, m'cifra rotonda, di 15 miliardi ; nel 1848 era di 42 miliardi e nel 1901 è esattamente di 159 miliardi, cifra che comprende i tre ultimi pre­ stiti, inglese, russo e tedesco del principio di questo anno.

II debito mondiale è dunque aumentato, nello spazio di un secolo, di ben 144 miliardi!

Due soli popoli fanno eccezione a questo mag­ gior carico di impegni: l’ Inghilterra, la quale in quarant’anni ha ridotto il proprio debito di cinque miliardi e gli Stati Uniti che hanno ridotto il loro di più che sette miliardi. Non è la stessa cosa per le altre potenze. Il debito austriaco che nel 1850 era di soli 8 miliardi, è salito in oggi a 8 miliardi e mezzo. Il debito della Germania, che era di soli 580 milioni, è in oggi di milioni 2795. Quello dell’ Italia nel 1869 di 7 miliardi, ò in oggi di 12,915 milioni. Quello della Russia che nel 1853 ora di 3 miliardi, nel 1900 raggiunse 15 miliardi. Quanto alla Francia, debitrice nel 1852 di poco più di 5 miliardi, lo è at­ tualmente di 29 miliardi, di modo che da sola co­ stituisce la quinta parte del debito mondiale.

Il riposo domenicale in Germania. — La legislazione sociale è in piena fioritura •— scrive un reputato cultore degli studi di diritto industriale, 1’ avv. Abramo Levi. — Qua e là germogliano leggi intese a regolare i contratti di lavoro, a disciplinare l’ impiego delle donne, delle fanciulle e dei ragazzi negli opifici industriali ; a dettare le tolleranze in materia di lavoro domenicale o festivo ; a prevenire gli infortnnii sul lavoro e a normalizzarne i criteri di indennizzo.

Questo materiale, sparso in molte leggine, in de creti od ordinanze, suggerito da giuristi e da medi i, imposto dalle necessità febbrili del lavoro odierno, argine utile contro la impetuosa onda della concor­ renza industriale, verrà in Italia raccolto meglio che altrove ?

Verrà ordinato, sistemato in un codice, destinato a segnare ad un tempo in quest’ alba di secolo il trionfo di dottrine umanitarie (nella parte che non sono utopista) ed il progresso innegabile di quel movimento per il quale una grande nazione può conservare fiducia nel presente e speranza nell’ av­ venire ?

Ogni italiano deve augurarselo e sentire il biso­ gno di concorrervi con tutte le sue forze fisiche, in­ tellettuali e moiali.

Ai sociologi additare i bisogni, ai giuristi sta- diarò le leggi delle altre nazioni come fonti di espe­ rienza a cui attingere e quasi stimolo di opera

migliore; agli industriali, ai commercianti spetta contribuire, nella massima parte, al lavoro degli uni e degli altri. Essi vivono ia vita pratica; ad essi in­ combono particolarmente quelle leggi, come spetta ad essi di riflettere che l’ eccesso di 326 milioni di importazioni sulle esportazioni (segnalato dal Com­

mercio di sabato) vuol dire che nel nostro paese vi

sono ancora degli orizzonti nuovi da aprire al la­ voro industriale utile e proficuo. Agli operai spetta

oi di tener conto dei progressi fatti come speranza i tempi migliori, non dimenticando mai la parabola di Menenio Agrippa, per non remorare la marcia in avanti.

In Germania, un’ ordinanza del 3 aprile 1901 re­ gola la tolleranza in materia di lavoro domenicale.

Ispirata a criteri religiosi (e forse, più che tutto suggerita da viste politiche), non ha l’impronta della modernità.

Riescirà ugualmente, forse, allo scopo ; ma l’ i- giene e non la religione avrebbe dovuto ispirarla.

Per lavorare nei giorni festivi occorre l’autoriz­ zazione delle autorità amministrative superiori. Que­ ste 3ono arbitre, e le ragioni della tolleranza le cer­ cano, non già nel bisogno di riposo che abbia l’uomo che lavora, bensì nella misura richiesta dalle neces­ sità locali e dagli usi vigenti per lo innanzi nella località dove avrebbesi da lavorare.

Nei giorni di Natale, Pasqua e Pentecoste non devepi accordare tolleranza o solamente nel limite il più ristretto.

Negli opifici dove si lavora giorno e notte, l’ or­ dinanza non si preoccupa che di questo : tenere conto delle irregolarità della forza motrice. Dove la forza è data dal vento e dell’ acqua, si può tolle­ rare qualche ora di lavoro domenicale; dove si può disporre di un’ altra forza motrice, oltre la suindi­ cate, la tolleranza non deve essere accordata in nes­ suna guisa.

Riassunta così l’ ordinanza, non occorrono nu­ merosi commenti.

L’uomo ha il dovere di lavorare ; il lavoro è il compito più alto che gli riservi il destino, quello per il quale raggiunge le vette della scienza e le finalità di ogni progresso. Ma non è lecito che si domandi a lui più di quello che può dare.

In tempi barbari, quando gli uomini non erano considerati tutti alla stessa stregua, l’ audace inu­ mana prepotenza di pochi avrebbe costretto i molti ad un costante lavoro, se le religioni non vi aves­ sero posto un limite, agitando ciascuna il loro Iddio e domandando tregua in nome di esso. Oggi il ri­ poso da accordarsi all’ operaio dovrebbe avere una diversa ragione di essere. Non già la fatalilà musul­ mana che ristagni ogni lavoro e raffreddi l’acqua in ogni caldaia nel sabato degli uni o nella domenica degli altri, ma la necessità pietosa di accordare al­ l’ uomo che fatica il tempo necessario a ritemprarsi le forze e prepararsi, Sisifo più fortunato, al nuovo lavoro.

Più razionale e corretta trovo invece l’ ordinanza 13 luglio 1900 dello stesso Consiglio federale germa­ nico intorno all’ impiego delle donne e dei ragazzi negli opifici industriali ove si fa uso di motori. Ma c’ è materia per un altro articolo, conclude il Levi, e noi non mancheremo di tener conto di ciò ch’ egli scriverà.

I nuovi dazi Cinesi. — Per effetto del pro­ tocollo annesso al trattato delle Potenze europee colla Cina, firmato il 7 ottobre, le prime concessero a questa di riscuotere sulle merci importate per mare i dazi attualmente, nel complesso, mitissimi, portandoli al 5 per cento sul valore, salvo la cover- sione in dazi specifici sopra tale base. Dalla conces­ sione sono esclusi il riso, i cereali e le farine (queste tutte nord-americane) ohe dovranno entrare in esen­ zione.

II dazio del 5 per cento è, come abbiamo detto, mite dal punto di vista di noi popoli civili europei ed americani, che non ci meravigliamo più oramai anche di dazi del 100 per cento. Ma per la Cina la concessione non è piccola.

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Ora (o per meglio dire il 7 novembre prossimo, epoca della entrata in vigore della nuova conven­ zione), portando i dazi al 5 per cento la Cina do­ vrebbe incassare, per una importazione che si man­ tenesse pari a quella del 1900, taels 8,750,000, ossia quasi un 50 per cento di aumento. Anche per questa via quindi le potenze europee si assicureranno la possibilità pratica di ottenere il pagamento delle in­ dennità pattuite.

LA PRODUZIONE DEL CAFFÈ

L’aromatica pianta, un dì conosciuta, secondo la leggenda, da Maometto, tu effettivamente trapian­ tata dall’ Etiopia in Arabia, gli uni dicono nel X III secolo, gli altri nel XV. E così essa discese dal Kaffa in Abissinia a Moka nell’ Yemen, per diffondersi poi irresistibilmente in tutto il mondo, malgrado tutti gli editti ostili, malgrado le imposte schiaccianti e le rigorose proibizioni dei sultani mussulmani e dei principi cristiani. Diffusasi da principio in Asia Mi­ nore e in Turchia, si guadagnò le popolazioni cri­ stiane che la Sublime Porta tentava di sottomettere ed arrivò quindi a Venezia al principio del X V I se- colo.

Conosciuta a Londra cento anni dopo, la bevanda conquistò Parigi, la Trancia, il mondo, diventando così per le popolazioni un alimento di prima neces­ sità.

Un facile confronto permette di abbracciare a colpo d’ occhio la progressione del movimento com­ merciale del caffè, la cui produzione s’ accrebbe, da tre quarti di secolo in qua. di circa cento milioni di

chilogrammi ogni dieci anni :

100.000. 000 kg. nel 1830 300.000. 000 » 1850 6110.000. 000 » 1880 900,000,000 » 1900

Evidentemente questa progressione, che tende ad accelerare sensibilmente, è il risultato degli im­ mensi progressi raggiunti nei mezzi di comunica­ zione e di trasporto durante il secolo XIX, e uno articolo di grande importazione come il caffè mette particolarmente in luce le conseguenze economiche venute da così considerevole modificazione dei mezzi di circolazione delle merci.

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In rapporto alla situazione geografica dell’ Eu­ ropa, che smaltisce grandissima parte della produ­ zione del caffè, la produzione si divide in due centri: uno ad ovest, nell’ America centrale e meridionale, l’altro ad est negli altri continenti, compresa l’ Africa. Quest’ ultimo gruppo, quantunque il più numeroso ed antico produttore di caffè, perde ogni giorno la sua antica importanza, a causa dello straordinario sviluppo preso dalla cultura del caffè al Brasile,

Per avere una' idea della produzione dei due gruppi, e dello spostamento d’ influenza commerciale che risulta dal crescere e dal diminuire dell’ una o dell’ altra produzione confrontiamo le cifre relative a due campagne. Le cifre dei due quadri seguenti sono in sacchi di 60 chilogrammi:

Gruppo occidentale. 1897-98 1880 81 B r a s i l e ... A m e r i c a C e n t r a l e ---» M e r i d i o n a l e . A n t i l l e ... 11,392,000 1.685.000 1.273.000 594,000 5.679,700 767.000 647.000 746.000 14,944,000 7,839,700 L’ attività di questo gruppo è assai rimarchevole giacché nel suo insieme ha potuto quasi raddoppiare la sua produzione in 17 anni.

Vediamo ora il Gruppo Orientale. tìiava... Pedang... Celebes... Ce j lan... Indie inglesi e Manilla Africa, Moka ecc...

1897-98 1880-81 772,600 1,027,600 52,000 132,000 25,000 87,000 13,000 371,000 204,000 308,000 224,000 89,000 1,290,600 2,015,700 Al contrario del suo concorrente, il gruppo oriente è in decrescenza sensibile, in seguito al re­ gresso della produzione di Giava e di Ceylan causato da poca vigilanza dei produttori e dalle malattie delle foglie del caffè. Riunendo i dati dei due capi, si ot­ tiene questo'risultato :

1897-98 1880-81

Gruppo orientale... 14,914,000 7,839,700 » occidentale. 1,290,600 2,015,700 16,234,600 9,855,400 Il primo dei gruppi arriva dunque a fornire i 9[10 della produzione del mondo. Ed entrando nei particolari del movimento, si riconosce che il Bra­ sile figura per 3p4 nel rendimento globale dell’ arti­ colo, grazie specialmente alla produzione dello Stato di San Paulo che è tanto in aumento da far valutare l’ importazione della campagna attuale 1900-1901 a 7 o 7 lp2 milioni di sacelli da 60 chlogrammi !

★ ★

È interessante considerar la forza relativa di consumo media dei varii popoli che si distribui­ scono la produzione del caffè.

Il quadro seguente dà i risultati ufficiali del 1898 e 1899, in tacchi da 50 chilogrammi :

Capo, La Piata, Australia... 500,000 Ganadà e Pacifico... 240,000 Stati Uniti... 7,378,800 Germania... 3,076,800 Francia... 1,614,200 Austria-Ungheria... 860,000 Olanda... 750,000 Belgio... 644,000 Svezia... ' ... 548,920 Russia... 300,000 Italia... 267,790 Gran Brettagna... 265,400 Norvegia... 233,730 Svizzera... 200,000 Turchia d’ Europa e d’ Asia... 230,000 Danimarca... 166,880 Spagna e Portogallo... . 185,000 Grecia, Kumania, Bulgaria, Serbia 98,425 Egitto, Nord dell’ A frica... 100,000 17,659,945 Questo quadro dimostra chiaramente l’ influenza proporzionale, regolatrice del consumo americano ed europeo.

Lo relazioni com m erciali tra l’ Italia e la Bolivia

Il cav. Pirrone, r. ministro in Lima, In un suo rapporto del luglio scorso, osserva che nel movi­ mento commerciale della Bolivia, che è complessi­ vamente di 89,353,920 bolivars, V Italia figura al nono posto per 660 mila.

E soggiunge : Dai dati statistici generali non ò possibile formarsi un particolare concetto relativa­ mente al commercio italiano con la repubblica di Bolivia, sia per quanto riguarda i diversi articoli di importazione, sia relativamente all’ammontare del va’ ore di ciascuno di essi.

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