RIFLESSIONI DI COPERTINA
Le opere di Marco Salvetti hanno un legame indiretto e intenzio- nalmente affievolito con la realtà esterna: in tal senso azzardiamo la definizione di pittura intuitiva, frutto di un processo interiore che trova un’analogia letteraria nella formulazione offertaci da Italo Cal- vino per introdurre le sue Cosmicomiche: «Leggo per curiosità, a on- date […] e salto spesso da un argomento all’altro. […] I racconti vengono fuori per conto loro, obbediscono a una loro dinamica in- terna, sulla quale può capitare che s’innesti l’occasione delle solle- citazioni esteriori». In Salvetti infatti l’evidente denominatore comune che connota le sue opere non va ricondotto a un vero e proprio ragionare sistematico, quanto piuttosto alla coerenza delle sue molteplici fonti d’ispirazione.
Si tratta di pensieri nutriti, in primo luogo, da un costante contatto con la natura circostante: una natura fatta di boschi e laghi, di cave, rocce e pareti spaccate, costrette dall’uomo a esporre le proprie vi- scere. In secondo luogo, da quel grande reservoir di rappresenta- zioni circoscritto da Michel Foucault nell’Archeologia del sapere:
conoscenze pseudo-scientifiche in un certo senso già “scadute”, di- scipline scartate dal progresso di una scienza che avanza in senso li- neare e i cui risultati più recenti invalidano per sempre quelli precedenti. Un gesto, questo, insieme paternalistico e demolitore, che recide drasticamente quel legame originario e poetico tra artes e scientiae invalso fino al principio dell’epoca moderna e che an- cora consentiva al naturalista britannico Robert Plot (1640-1696) di considerare i fossili come ornamenti prodotti dalla terra stessa per abbellire le pareti nascoste del globo, così come i fiori sono l’or- namento di quelle visibili. In terzo luogo, la pittura intuitiva di Sal- vetti si alimenta delle innumerevoli e vivide immagini provenienti da mitologie antiche o esotiche, da leggende popolari, superstizioni e saghe nonché dallo sterminato universo di rappresentazioni etno- grafiche create da ciò che Claude Lévy-Strauss, con grande sensibi- lità lessicale, ha chiamato «pensiero selvaggio». Nei suoi lavori Salvetti pare aver assimilato le strutture di quella «mentalità primi- tiva» – secondo la bella, benché datata definizione di Lucien Lévy- Bruhl – che caratterizza il folklore delle genti e ne struttura il pensiero “religioso” e prelogico intorno a un sentimento quasi mi- stico di appartenenza al proprio habitat.
Proseguendo nel solco di una tradizione artistica iniziata alla fine del XIX secolo, Salvetti dunque adotta e applica nelle sue opere un filtro etnografico con cui traduce le sue molteplici fonti d’ispira- zione in immagini dal sapore antropologico. Non svolgendosi però “sul campo”, quella praticata dall’artista è un’antropologia fantastica, trasfigurata, forse idealizzata, una sorta di distillato pit- torico della vocazione etnologica, che perviene a una rappresenta- zione serena, del tutto priva del tipico sovraccarico proiettivo di
stampo vittoriano. La sua cifra stilistica si caratterizza altresì per l’applicazione di un secondo filtro di tipo ludico o infantile, grazie al riconoscimento di quella somiglianza tra il lavoro dell’artista e il gesto creativo del bambino già rimarcata da Baudelaire nel Pit- tore della vita moderna (1863) e che troverà la più eclatante espres- sione novecentesca in Paul Klee, il quale attribuiva proprio ai bambini (oltreché ai popoli primitivi e agli alienati) «il potere di ve- dere». Scrive infatti nei Diari (1898-1918): «Nell’arte si può anche cominciare da capo, e ciò è evidente, più che altrove, in raccolte etnografiche oppure a casa propria nella stanza dei bambini. […]
Tutto questo è da prendere molto sul serio, più sul serio di tutte le pinacoteche del mondo».
Il titolo Paesaggio notturno con megaliti (2016) rimanda immedia- tamente a un’espressione artistica tipica dell’età della pietra. Le pie- tre da cui gli artisti preistorici ricavavano opere spesso austere e rigorosamente geometriche perdono qui tuttavia la loro monu- mentalità arcaica e diventano simili a mostri bonari e giocosi, pro- prio perché passati al duplice setaccio dell’artista. Nonostante la totale assenza di colori vivaci e l’uso quasi esclusivo di nero (la notte) e grigio (le pietre), l’opera non trasmette alcuna sensazione cupa o tormentata, e grazie alla intenzionale semplicità delle figure ovoidali rimanda appunto a una modalità infantile di rappresentare il mondo, ricorrente anche in molte altre opere di Salvetti. La notte evocata nel titolo non si traduce in un cielo tenebroso, perché la dimensione terrena dei megaliti accatastati uno sull’altro, come forme prive di volume, occupa anche lo spazio normalmente spet- tante al cielo e delinea, per riprendere Calvino, uno di quei «pae- saggi fittamente premuti uno sull’altro che riempiono il volume del globo» e nei quali possiamo riconoscere «il nostro mondo stipato, concentrato, compatto».
Veronica Liotti
Marco Salvetti, Paesaggio notturno con megaliti, 2016, carbone e pastelli su tela, 65 × 80 cm, Courtesy dell’artista
Marco Salvetti nasce nel 1983 a Pietrasanta (LU), vive e lavora a Massarosa (LU). Dopo essersi diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Carrara (2006), viene selezionato da Saatchi Gallery Online per partecipare alla fiera d’arte internazionale Scope Basel, Basilea (2008). In quell’occasione viene notato da Prometeo Gallery di Milano che tra il 2009 e il 2013 presenta il suo lavoro in diverse mani- festazioni internazionali come Volta, Miart, Artissima e Art Brussels. Nel 2012 GlougAIR lo invita come artista residente a Berlino. È stato inoltre selezionato (o finalista) per i premi: Parati (3° classificato, Milano, 2013), Combat (Vincitore Under 35, Museo Fattori, Livorno, 2011), Como Contemporary Contest (Pinacoteca Civica, Como, 2009) e Celeste (Museo Marino Marini, Firenze, 2006).
Tra le principali esposizioni segnaliamo: nel 2016 Diorama del Nuovo Mondo (mostra personale), Yellow Artist Run Space, Varese. Nel 2015 TU 35 Geografie dell’Arte Emergente in Toscana. Nessun luogo è lontano, Officina Giovani, Prato; Landina. Pitture di paesaggio, Museo del Paesaggio, Pallanza; Pittura Italiana Contemporanea, C.A.R.S. Omegna; Heads, Yellow Artist Run Space, Varese. Nel 2014 Visioni per un inventario. Una mappa del navegar pittoresco, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia. Nel 2013 Approdo al Futuro, Palazzo Orlando, Livorno e Past Forward. Conservare Memoria Produrre Realtà, Palazzo Panichi, Pietrasanta. Nel 2012 Figurabile 01, L’Arca Laboratorio per le Arti Contemporanee, Teramo e New Works on Painting and Video A Game With Shifting Mirrors (mostra personale), CAV Pietrasanta, Pietrasanta. Nel 2010 Exhibitalia, Art Basel Miami, Miami (USA) e, nel 2009, Prague Biennale 4 Expanded Painting 3, Karlin Hall, Praga (Repubblica Ceca).
A partire da questo primo numero del 2016 e per tutto l’anno, Riflessioni di copertina si avvarrà della gentile collaborazione di
“Yellow Artist Run Space” per la scelta degli artisti.
Yellow è un palcoscenico per la pittura: uno spazio dove pittori italiani e internazionali sono invitati a conoscersi, dialogare, spe- rimentare, mettere in scena, presentare e discutere il proprio la- voro. Fondato nel 2014 dall’artista Vera Portatadino (ospite sulla copertina di GIDM a settembre 2015) e da lei diretto, Yellow è sostenuto da Associazione Stralis ed è parte di Zentrum, “piat- taforma” per l’arte contemporanea, con sede a Varese.