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Riflessioni di copertina

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Academic year: 2021

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Riflessioni di copertina

Riflessioni di copertina

Per affrontare lo strato più profondo della complessa arte proposta da Manuele Cerutti, impregnata di un elemento imponderabilmente perturbante, è necessario stabilire subito un assunto fondamentale:

gli oggetti raffigurati si inscrivono in una poetica del “fossile” o, meglio, della fossilizzazione in quanto processo.

L’artista ritrae cose da poco, povere e inoffensive, cose che cono- sce, possiede o rinviene, e che diventano parte di un curioso ed ete- rogeneo repertorio: bacche, legni, sassi, pietre, ossa, utensili ecc.

L’oggetto presentato è quasi sempre materia inorganica e, anche quando tale non è, il suo aspetto viene invincibilmente ricondotto, attraverso una curiosa mimesi con il morto o mummificazione sui generis, a uno stadio “geologico”, minerale, richiamato anche dalle tinte terrose utilizzate.

Pur mantenendo integra la loro unità figurativa, questi oggetti, come la pigna nell’immagine in copertina, sono attraversati da trincee, fori, cavità, ed è proprio da queste zone, solitamente nere o in ombra, che provengono le prime, indefinibili inquietudini avvertite dallo spet- tatore. Lo studio del vuoto, delle porosità e dei carsismi è molto curato da Cerutti: la sapiente composizione conferisce alla rappre- sentazione, ripulita e bonificata da ogni presenza or ganica, un’evidente ambiguità morfologica e una allure, appunto, fossile.

L’aspetto davvero straordinario è che questa fossilizzazione delle forme è ottenuta senza il minimo gesto arcaicizzante: esse sono spontaneamente primordiali attraverso la scelta ponderata del punto d’osservazione e, soprattutto, grazie allo sfruttamento di azzardate possibilità prospettiche. Cerutti non solo elimina programmatica- mente ogni possibile riferimento “esterno” all’oggetto dipinto che consenta di coglierne la misura, ma evita anche di adottare lo scor- cio più favorevole per renderne chiaramente intelligibile la fisionomia, proponendo visioni inusitate, certamente verosimili, ma che confon- dono e impediscono di stabilire le dimensioni reali. L’oggetto, fuori scala, entra in una soglia di incertezza e indecidibilità, risultando quindi sconosciuto: un osso somiglia a una statuetta, una bacca a un teschio, una crepa nel muro al greto di un fiume. Ne deriva un effetto di profondo straniamento, causato dalla mancanza di sicu- rezza su cosa stiamo guardando. Eppure la sua arte non è surreali- sta: rimane sospesa tra consueto e inconsueto, tra veglia e sogno, senza mai attestarsi su una posizione netta.

Frequente è l’intenzionale accostamento, sullo sfondo di campiture omogenee e prive di profondità, di elementi estremamente dettaglia- ti ad altri appena abbozzati, come nell’immagine in copertina, dove la pigna tratteggiata in ogni particolare è retta da dita goffe e infor- mi. Con questo stratagemma, lo sguardo si concentra sulla pigna, percependo come marginale tutto il resto. Ma in questo «resto» c’è ancora molto, sepolto sotto le velature e i chiaroscuri che Cerutti, riprendendo le tecniche care ai pittori rinascimentali e fiamminghi, impiega per conservare nel dipinto, simultaneamente, più fasi sovrapposte. Spesso le immagini che traspaiono dagli strati sotto- stanti sembrano avulse da quelle più in superficie, ma è impossibile prescindere dalla loro compresenza: il dipinto genera uno spiazza- mento emotivo tra la pigna-teschio fossilizzata e la figura umana viva, delineata sullo sfondo. Tali stratificazioni di pittura e di temi – e ancora una volta si potrebbe rimandare alla “geologia” – permetto- no di leggere, per così dire, la storia evolutiva del dipinto.

Un tale modus operandi si basa sulle categorie del ripensamento e dell’errore come vive sorgenti creative, dipendenti a loro volta da un’antropologia della vita incentrata sull’esercizio artistico ininterrot- to, una delle «antropotecniche» teorizzate dal filosofo tedesco Peter Sloterdijk. Per l’artista infatti non è importante soltanto il risultato, il dipinto finito – che anzi è in qualche modo sempre un “non finito” – bensì il processo in sé che ha portato alla configurazione ultima, ma

mai definitiva. Così i quadri di Cerutti esprimono un’insopprimibile sensazione d’incompiutezza formale e concettuale, quasi mancasse loro una yod o un apice, la lettera e il segno fonetico dell’alfabeto ebraico più piccoli, ma essenziali per dare alle Sacre Scritture il loro senso complessivo e la loro vigenza.

Attraverso questa ricercata incompiutezza, Cerutti evita di feticizza- re l’opera d’arte, che ha senso fintantoché continua a suscitare sti- moli conoscitivi e rimane irrisolta. Quando un’opera è troppo espli- cita, quando non lascia trapelare più dubbi né ambiguità, quando il suo mistero è svelato, è “finita” nel senso che ormai è statica… e allora Cerutti la ricopre con altra pittura, la trasforma, in un serie di ripensamenti in cui il momento più recente conserva l’impronta dei precedenti, arricchendosi visivamente e concettualmente.

Solo il mercato dell’arte, solo l’ingresso dell’opera nello stadio dell’a- lienazione a terzi sembra porre termine al lavorio ininterrotto dell’ar- tista e dare compimento, in un certo senso, al suo operato, trasfor- mando il work in progress in opere finite. Uno di quei rari casi in cui la vendita non salva l’opera dall’oblio, ma dal suo stesso autore.

Veronica Liotti

Manuele Cerutti, Livelli corporei, 2013, olio su tela, cm 46 × 62,

Courtesy l’artista

Nasce nel 1976 a Torino, città in cui vive e lavora.

Collabora con le gallerie In Arco, Torino e 401contemporary, Berlino.

Dal 2000 a oggi ha esposto in numerose collettive e personali, in Italia e all’estero, ricevendo diversi premi e riconoscimenti, tra cui il Talent prize, Museo Centrale Montemartini, Roma (2010); il Premio Cairo, Museo della Permanente, Milano (2006) e il Premio Illy - Present Future in occasione di Artissima 11, Torino (2004).

Tra le personali più recenti segnaliamo: nel 2012, A che cosa ritornare, 401contemporary (Berlino). Nel 2011, Greater Torino.

Manuele Cerutti - Ludovica Carbotta, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino) e Point of Passage, Frisch (Berlino). Nel 2010, Negli occhi di un incisore si conservano tutti i dettagli, Galleria In Arco (Torino). Nel 2009, Corpi Celesti, MARS/Milano Artist Run Space (Milano) e nel 2008, Da lontano sembrano mosche, Galleria Citric (Brescia).

E tra le collettive: nel 2012, BIANCA feat. MARS, Bianca arte contemporanea (Palermo) e Stilstehende Sachen aus der Sammlung SØR Rusche, Museum Abtei Liesborn (Wadersloh- Liesborn, Germania). Nel 2011, SOUS SUR FACE, 401contem- porary (Berlino). Nel 2010, Cultivation of Neglected Tropical Fruits with Promise, Voult Gallery (Prato); Soap Float, Marsèlleria per- manent exhibition (Milano); Persona in meno, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Guarene d’Alba) e Palazzo Ducale (Genova), e NO SOUL FOR SALE, China Purple, Tate Modern (Londra). Nel 2009, XMARS on MARS – Mars c/o V.I.R, Viafarini (Milano); Outside the Box_ROMA, The Road of Contemporary Art (Roma). Nel 2008 Piazza Vittorio, Galleria In Arco (Torino); Italian Contemporary Painting(s), Paolo Maria Deanesi Gallery (Rovereto); The meaning of life, Galleria Glance (Torino) e infine Superfici Sconnesse, Palazzo Barolo (Torino).

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