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LA CONSULENZA PSICOLOGICA NELL’AMBITO ASSICURATIVO-LIQUIDATIVO IN RIFERIMENTO AL DANNO PSICHICO

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LA CONSULENZA PSICOLOGICA

NELL’AMBITO ASSICURATIVO-LIQUIDATIVO IN RIFERIMENTO AL DANNO PSICHICO

La vigente normativa attribuisce il termine “perizia” alla prestazione richiesta, all’esperto di arti o discipline tecniche, nell’ambito del procedimento penale; il legislatore del processo civile del 1940 ha sostituito il “perito” del codice del 1865 il “consulente tecnico”; la sostituzione non è solo nel nome ma soprattutto nel risultato dell’opera prestata.

Mentre infatti la normativa del codice 1865 considerava la perizia un mezzo di prova, il vigente codice considera l’opera del consulente come un ausilio fornito al giudice (art. 61 Cpc: “il giudice può farsi assistere da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica”); ponendo l’istituto della consulenza al di fuori del campo delle prove.

Pertanto la consulenza non è mezzo di prova ma di interpretazione delle prove; e quindi non essendo prova, sulla stessa non opera il principio dispositivo dei mezzi di prova in favore delle parti, essendo concepito come mezzo a disposizione del giudice.

La consulenza può diventare essa stessa fonte di prova quando costituisce l’unico strumento, oltre che di valutazione tecnica, di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche (per stare al tema imposto, una consulenza di danno psichico).

Non vi è limite nell’ambito del procedimento civile per l’ammissione di consulenza tecnica anche per accertamenti sullo stato psichico di una parte (a differenza del procedimento penale), sempre nell’ambito del thema decidendum e purché la persona su cui deve essere compiuta la valutazione vi si assoggetti spontaneamente (salva la facoltà del giudice di valutare, ai sensi dell’art. 116 Cpc. il comportamento della parte in riferimento alla indagine tecnica).

La perizia (rectius: consulenza) psicologica per la individuazione del danno psichico ha un significato solo ove tale tipo di danno possa essere riconosciuto come evento connesso a un fatto illecito, configurato nella accezione più moderna come lesione di un interesse meritevole di tutela.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 184 del 14.7.1986 ha ritenuto che, in caso di lesione alla persona, all’atto illecito è connesso, come effetto illecito stesso un danno-evento, il danno biologico, quale lesione ingiunta del bene salute, presunto e dimostrato con la sola dimostrazione della lesione personale.

Con le più recenti sentenze, n. 356 e n. 485 del 1991 la Corte Costituzionale ha ulteriormente approfondito il danno biologico difendendolo come danno alla persona, di carattere psicofisico, che sussiste a prescindere dalla eventuale perdita o riduzione di reddito e che va riferito alla integrità

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dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni, i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita: non soltanto quindi con riferimento alla sfera produttiva, ma anche alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità.

L’idea forte, alla base della intuizione, soprattutto giurisprudenziale, con fondamento normativo nell’art. 32 Costituzione (diritto alla salute) e nell’art. 2043 C.C. (diritto al risarcimento del danno da illecito), è costituita dal principio che il valore della diminuzione della persona non coincide con a perdita della produttività.

Nell’ambito, accanto e a integrazione della categoria del danno biologico, individuato quindi nel diritto positivo come l’aggressione alla integrità psicofisica della persona, si va recentemente delineando, come figura autonoma, quella del danno psichico richiedendosi il risarcimento di pari dignità rispetto al danno inferto alla integrità fisica.

Si è affermato che se il danno biologico consiste nella violazione della integrità psico-fisica della persona, come la menomazione fisica costituisce danno biologico di tipo fisico, così la menomazione psichica costituisce danno biologico di tipo psichico.

Occorre verificare quali siano i confini di risarcibilità del danno psichico, specialmente in riferimento ai casi, che maggiormente lo caratterizzano, di danno psichico su persona diversa dal soggetto direttamente leso.

Per l’accertamento del danno psichico conseguente a lesioni direttamente subite va mantenuto fermo il principio della conseguenzialità del rapporto lesione-danno; la vita della valutazione della salute (e quindi del danno alla stessa) può portare dai valori della persona all’apprezzamento dei desideri; e dalla stima del desiderio alla valutazione della serenità o a quella della felicità.

L’accertamento tramite la consulenza psicologica del danno di natura più propriamente psicologica deve fornire al giudice, che in applicazione della giurisdizione riconosce il risarcimento nell’ambito del campo lesione-danno, criteri diretti ad attribuire alla lesione al bene salute un significato che si deve legare all’idea di menomazione ( significato che si raccorda con la dignità ed eguaglianza delle persone), in quanto il risarcimento compete a ogni persona lesa nel suo bene fondamentale e indisponibile, costituito dalla integrità ed efficienza psico-fisica.

L’accertamento del danno psichico (danno riflesso) sofferto da terzi non direttamente lesi (blocco psichico dl figlio che non riesce a conseguire l patene di guida avendo assistito la morte del padre alla guida dell’auto; danno psichico dei congiunti della vittima non deceduta ma in coma profondo prolungato per anni; coniuge inibito ai rapporti sessuali a causa delle lesioni subite dal coniuge leso) è stato riconosciuto da alcuni giudici di merito, trovando ance fondamento nella

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sentenza 24.10.1994, n. 372 della Corte costituzionale, qualora sia fornita la prova della dipendenza psicologica dl congiunto con la vittima e la sopravvivenza di una patologia psichica in questi casi non solo può ingenerare afflizione, per la consapevolezza della menomazione subita, ma anche incapacità a svolgere attività produttiva di reddito con la configurazione di un danno-conseguenza di natura patrimoniale.

La figura del danno psichico subito da soggetti non direttamente lesi, e la sua risarcibilità, ha rilevanza anche n riferimento all’autore dell’atto illecito, e all’assicuratore che assume il rischio del danno, dovendo essere chiamati a risarcire il danno, in quanto conseguenza della propria condotta, a favore di soggetti diversi dalla vittima.

Di regola la consulenza per l’accertamento dei danni alla persona, compreso del danno biologico, è affidato a esperti di medicina legale, cui viene richiesto di rispondere a quesiti, variamente configurati, ma ormai tutti convergenti, oltre alla descrizione di cause, conseguenze e durata delle lesioni ed invalidità conseguenti, con la incidenza sulla capacità lavorativa, ad accertare se vi sia stato un danno biologico con compromissione della validità psicofisica della persona, temporanea o permanente, e se la persona abbia subito una modifica del suo modo di essere, sia nelle attività personali, sia nelle sue manifestazioni sociali.

Poiché possono entrare nel campo del rapporto lesione-danno tutte le menomazioni alla persona, devono ritenersi tali, purché rigorosamente accertate come causativamente e direttamente connesse all’evento, tutte le disutilità psichiche, intese come perdita dei vantaggi psicofisici naturalmente insiti nella persona, alle quali sole è connesso un credito risarcitorio del quale va fornito effettiva prova.

Per la perfetta rivelazione, nel caso specifico, delle peculiarità psichiche individuali lese la prova bene può essere fornita anche tramite consulenza tecnica psicologica, della quale risulti, specie in riferimento a risarcimento di danni a soggetti non direttamente lesi, non solo un patema d’animo transeunte, ma un profondo e autentico danno alla salute psichica meritevole di autonomo risarcimento. Ricordando quanto si diceva all’inizio sulla rilevanza probatoria della consulenza, l’accertamento tecnico di natura psicologica, richiedendo specifiche cognizioni, può essere ritenuta fonte di prova.

La valutazione non è agevole considerata la difficoltà dell’accertamento della lesione psichica (che, diversamente da quella fisica non lascia tracce corporee riscontrabili all’esame obbiettivo) e del rapporto di causalità (struttura psichica della persona e stato preesistente; malattie psichiche latenti).

Va ricordato che la persona non è stimabile; è la lesione oggetto di stima.

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Avv. Augusto Conte

Consigliere Ordine Provinciale Avvocati e Procuratori di Brindisi

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