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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1405, 7 aprile

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Ano m in - Tot. lllll

Firenze,

1

Ajtilt

1901

0681 RIFORMA TRIBUTARIA RESPINTA

La Commissione Parlamentare die doveva esaminarsi disegni di legge dell’on. W ollemborg è rientrata nel procedimento logico ; essa aveva respinto i disegni stessi, e ciò non ostante, inten­ deva proseguire i propri lavori; il che, fosse o non fosse di sua legale competenza, era illogico; ora dopo vani tentativi la Commissione e ritornata a migliori consigli ed ha deciso di presentare alla Camera una relazione - della quale venne dato incarico all’on. Boselli - con cui si concluda di non accettare i progetti proposti dal Mini­ stero.

E sta benissimo, perchè così si potrà uscire dall’ equivoco e il Parlamento sarà messo al caso di decidere : se le maggiori entrate che pur si verificano, debbano essere impiegate totalmente alle maggiori spese, o se una parte almeno non debba essere consacrata a tentare di introdurre qualche riparazione alle riconosciute ingiustizie del nostro sistema tributario.

Non spetta a noi, che vogliamo rimanere estranei alla politica, insistere sull’ errore che commette 1’ opposizione, nè sulla migliore si­ tuazione in cui si troverà il Ministero di fronte alla negativa deliberazione della Commissione. Non vogliamo nemmeno dimostrare la stridente contradizione che passa tra l ’ordine del giorno, pochi giorni or sono presentato dall’on. Sonnino, e le conclusioni della Commissione: nè rileve­ remo le contradizioni che sugli stessi punti fon­ damentali del presente problema finanziario ha presentato la opposizione per mezzo dei suoi uomini principali.

Lo abbiamo già dichiarato, che, difendendo la sostanza dei provvedimenti proposti dal Mi­ nistero, eravamo più che altro animati dal con­ vincimento che allo stato attuale della economia del paese due punti bisognava sostenere: — il primo, che risolutamente si tentasse un inizio di riforma tributaria, anche per dimostrare coi fatti che, come tutto fa presumere, una prudente politica di riforma nei tributi riuscirebbe di nessun danno al bilancio ; il secondo, che il solo modo di limitare le spese era quello di impe­ gnare le eccedenze di entrate a diminuzione degli aggravi.

Abbiamo ferma fiducia che la maggioranza del Parlamento, quando la questione sia ben posta, non esiterà a seguire la buona via. Nes­ suno pretende che si abbia a diminuire la somma

totale dei tributi, ma dopo tante e tante pro­ messe così solennemente ripetute, il paese ha diritto di vedere almeno un principio di attua­ zione, e deve esigere, ed esigerà senza dubbio, che la eccedenza delle entrate sia consacrata a rendere meno iniqua, meno ingiusta, meno spe­ requata la distribuzione delle imposte e delle tasse dirette ed indirette.

A nostro modo di vedere la opposizione ha male scelto il terreno in cui dar battaglia al Ministero, perchè, cosciente o non cosciente, essa si presenta come portavoce della classe abbiente, che non vuole le riforme, ben prevedendo che andrebbero a cadere non poco su lei le conse­ guenze. Ora la classe abbiente è stata in tutti i suoi atti singolarmente cieca, ed ha lasciato sempre che la violenza delle cose le strappasse molte più concessioni di quelle che sarebbero state necessarie, se spontaneamente concesse. Nel caso presente, non sono già nè i partiti sovver­ sivi, nè i dottrinari quelli che hanno eccitato la pubblica aspettativa con promesse di sgravi, ma sono gli stessi uomini di Governo succedutisi da più di dieci anni a questa parte, quelli che hanno riconosciuto tanto più iniquo il sistema tributario, quanto più lo si inaspriva nella sua applica­ zione. Ed è naturale che nel paese si sia for­ mata una corrente di attesa, tanto più ifltensa, quanto maggiore era 1’ accumularsi delle pro­ messe e le affermazioni della necessità e della urgenza delle riforme.

Questa attesa, perchè diventata vana per lunga esperienza, ha creatala convinzione della im­ potenza del Parlamento a far quello che esso stesso dichiarò urgente e necessario : intanto il paese vide accrescere senza limiti le spese ed i biso­ gni di spese nuove, sempre più peggiorando con empirici provvedimenti quel sistema tributario che già si riconosceva iniquo.

Oggi, dopo gravi avvenimenti, che hanno modi­ ficato,si crede, l’ indirizzo della cosapubblica, sorge un Ministero, tratto dalla minoranza della Camera, il quale si propone di procedere con prudenti passi all’ inizio della riforma tributaria, e prende le mosse da un punto che sarà il più difficile, ma che certo è, per sua natura, il più urgente. Ad un tratto 1’ opposizione, dopo varie incertezze, riesce a spiegare franco e preciso il proprio pensiero che si riepiloga in questa affermazione: — il bilancio non è in condizioni da permettere delle modificazioni al sistema tributario, nemmeno alle più prudenti modificazioni.

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196 L ’ E C O N O M IS T A 7 aprile 1901

Camera sia di parere contrario e sia possibile ve­ nire a delle conclusioni diverse; ma se mai ciò non avvenisse, certo il paese sarà, ed è colla mino­ ranza.

Una questione di metodo può ancora essere discussa e, come già avvertimmo nel passato nu­ mero, può aver luogo U D a fondata discussione per

scegliere una via piuttosto che un’altra nei primi passi di una riforma tributaria; ma il non farne nulla, lo crediamo incompatibile collo stesso senti­ mento del paese. E se l ’attuale Ministero, o peggio il Ministero Sonnino che gli succedesse, dovesse in­ terpellare gli elettori, non mettiamo dubbio che la manifestazione di impotenza data dal Parla­ mento, rinforzerebbe straordinariamente i partiti della Estrema sinistra, i quali sempre più diven­ terebbero arbitri della situazione politica, perchè più degli altri rimangono logici.

Nè, diciamo il vero, questo ci spaventerebbe o ci dispiacerebbe; abbiamo così poca fiducia nei partiti che fino a qui si palleggiarono il potere, che non possiamo concepire come gli altri partiti potrebbero governare peggio il paese.

Ma oggi che la questione vien posta con suf­ ficiente chiarezza, noi crediamo che la Maggio­ ranza della Camera potrà facilmente trovarsi d’ac­ cordo nel concetto che, il solo modo per impedire che l’aumento delle entrate crei le nuove spese, è quello di rivolgere preventivamente le maggiori entrate a diminuzione degli aggravi.

RICERCHE SULLA RICCHEZZA

della Francia1)

Il Neymarck, al seguito delle considerazioni esposte dal de Chasseloup-Loubat, osservò che quando si fa il calcolo delle ricchezze bisogna evitare due grossi scogli: il primo è quello che si può dire dei duplicati, confondendo per cosi dire il contenente e il contenuto, nell’addi- zionare la ricchezza mobiliare e quella immobi­ liare. Il secondo scoglio è quello di confondere la ricchezza privata e la ricchezza dello Stato. Per questo, ad esempio, il debito costituito in rendite è una passività da dedurre dall’attivo che esso può possedere in beni fondiari o d’altra specie ; per un privato, il possesso del titolo del debito, di rendite dello Stato, è una attività che si aggiunge agli altri elementi della sua ricchezza e del suo reddito.

I mezzi per valutare la ricchezza pubblica o privata non mancano ai nostri giorni, mentre in passato si era ridotti a semplici congetture. In­ fatti oggidì con le annuità successorie, l’imposta fondiaria, la contribuzione personale-mobiliare l ’ imposta del 4 per cento sul reddito dei valori mobiliari, 1’ imposta sul bollo si può giun­ gere a stabilire un calcolo approssimativa­ mente esatto. È per questo che parecchi autori tenendo conto dei duplicati, giungono a calcolare la ricchezza privata mobiliare e immobiliare da 210 a 230 miliardi, ed anche 235 miliardi, così decomponibili: 80 a 85 miliardi di valori mobi­ liari, 110 a 120 miliardi per fabbricati, terreni,

1) Vedi il numero 1103.

15 a 20 miliardi per gli altri valori. Questa ric­ chezza, comprendendovi i salari, il frutto del lavoro individuale o dei prodotti misti, come quello delle patenti, potrebbe costituire un red­ dito totale di 20 a 25 miliardi.

Il Neymarck crede che si possa accettare pel totale del reddito la cifra di 20 a 22 miliardi e che la ricchezza privata non si allontani dalla ci­ fra di 200 miliardi. Egli trova che decomponendo quella ricchezza, si nota un grande frazionamento, uno sminuzzamento di titoli e di reddito. Si prenda, ad esempio, in esame la contribuzione mobiliare, sopra 7 milioni di contribuenti, 6 milioni non eccedono la cifra di 20 franchi. Oppure si con­ siderino le partite inscritte nei ruoli dell’ impo­ sta fondiaria: sopra 14 milioni di partite (cotes) il che non vuol dire 14 milioni di proprietari, più di 8 milioni sono tassati da mezzo franco a 1 franco, il che può corrispondere a un reddito di 10 a 100 franchi ; più di 3 milioni pagano da franchi 5,01 a 10 franchi, quasi 2 milioni pa­ gano da 20 a 30 franchi.

La conclusione del Neymarck è dunque favo­ revole al calcolo presentato dal de Chasseloup- Loubat, e così pure il Leroy-Beaulieu si dimo­ strò del medesimo avviso. Quest’ultimo dichiarò di non poter accettare nè le cifre del de Foville, nè il suo metodo, fondato sui valori successori. Le successioni, egli dice, non danno che una in­ dicazione senza alcuna precisione. Anzitutto, an­ cora oggi in Francia non si deduce il passivo, il che lascia sussistere un largo margine d’ ignoto. Vi sono poi da considerare i metodi fiscali, vi è la sopravivenza media ; ossia in tutto tre con­ getture senza alcuna esattezza, ma il cui impiego a rigore può servire di correttivo ai calcoli di valutazione diretta. Insomma, il Leroy-Beaulieu non crede che si possa giungere a niente di pre­ ciso, ma soltanto a un calcolo che si avvicina al vero da 8 a 10 miliardi. Egli pure crede che si esageri di molto la ricchezza della Francia, sopra tutto quella immobiliare. Prima della crisi agricola si credeva in Francia che la proprietà rurale, comprese le costruzioni, valesse 100 mi­ liardi, il Leroy-Beaulieu crede che oggidì non valga che 60 miliardi circa, secondo il valore lo­ cativo calcolato per 2 miliardi e 400 milioni nella inchiesta del 1892. Dedotte le imposte restereb­ bero al più 2100 milioni, ma bisognerebbe de­ durre ancora le spese di manutenzione e per una serie di venti anni le spese di ricostruzione, di costruzione di nuovi fabbricati ; è ancora il quinto o il sesto del reddito che se ne va. E poi vi sono i fittavoli che non pagano, quelli ai quali bisogna concedere riduzioni, ecc.

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7 aprile 1901 L ’ E C O N O M IS T A 197

plicati, se si dimenticasse che certe società hanno nei loro portafogli dei titoli di altre Società, che esse stesse alla loro volta ne posseggono altri. Si deve inoltre calcolare il debito pubblico ? Il Leroy-Beaulieu risponde affermativamente, se si tratta di calcolare la ricchezza dei cittadini gli uni rispetto agli altri ; sono dunque 25 o 26 mi­ liardi ai quali vanno aggiunti 10 a 12 miliardi di fondi esteri. E se a questi si uniscono i 42 o 43 miliardi dei valori mobiliari si avrebbe il to­ tale di 75 a 80 miliardi di ricchezza mobiliare. E computando anche da 5 a 6 miliardi gli altri beni mobili, 10 di numerario e da 2 a 3 miliardi pel materiale d’esercizio agricolo nei paesi che hanno il sistema dell’affittanza, si avrebbe 190 miliardi, al più 200 miliardi. Quanto al reddito di questa ricchezza, il Leroy-Beaulieu lo crede di circa 6 miliardi e siccome il totale delle spese pubbliche in Francia, compresi gli 800 milioni almeno dei bilanci locali, rappresenta circa 4 mi­ liardi e mezzo, così il reddito della Francia sa­ rebbe uguale tutt’al più a una volta e mezzo al bilancio dello Stato cumulato con bilanci locali. Non vi è qui una proporzione esagerata delle spese pubbliche rispetto al reddito del paese ? si domanda il Leroy-Beaulieu; e certo se la ci­ fra del reddito fosse esatta, e tale non ci pare debba essere, bisognerebbe rispondere affermati­ vamente.

Il des Essars crede che il Leroy-Beaulieu sia stato troppo severo pel metodo proposto dal de Foville. Egli propose di considerare il problema con altro criterio. In cifra tonda, la popolazione della Francia è di 38 milioni di abitanti e le morti annuali sommano a 830,000, la popolazione si rinnuova ogni 44 anni circa: dunque ogni anno, e senza inquietarsi di sapere chi succede al de

cuius, si vede comparire un quarantaquattresimo

della ricchezza privata : 1’ annuita successoria dovrebbe quindi moltiplicarsi per 44 senza tener conto delle donazioni. Fatto questo rimarrebbe da dedurre i duplicati e da aggiungere le dissi­ mulazioni o le evasioni.

Il Coste ritiene che l’ inventario dei redditi sia più interessante dell’ inventario dei capitali, e che si debba cercare il modo per giungere a stabilire il primo inventario. Egli preferisce il metodo diretto pel calcolo della ricchezza. E osserva circa il metodo de Foville, che il suo di­ fetto principale non consiste già nell’essere esso fondato su congetture, le quali essendo le me­ desime ogni anno, non alterano i confronti tra anno e anno; ma ciò che pare più grave ai Coste è che le annuità successorie riflettono gli au­ menti o le riduzioni di valore che sono il fatto delle circostanze del mercato molto più che il movimento reale dei capitali e sopratutto dei redditi, di modo che a un plusvalore nominale dei beni trasmessi potrebbe corrispondere o una stagnazione od anche una diminuzione dei red­ diti. Egli insistette adunque sulla superiorità del metodo diretto, anche quando non può essere che parzialmente applicato. Bisogna, a suo avviso, calcolare i capitali, riannodandovi sempre il cal­ colo dei redditi correlativi e ciò senza preoccu­ pazioni estranee, senza il concetto in particolare di attribuire i capitali a tale o a tal’ altra classe sociale. Una volta compilato il bilancio nazionale

applicando ai suoi dati i vari indici che si pos­ seggono sulle gradazioni delle ricchezze private diventa facile di trarne delle induzioni più sicure relativamente a questa ripartizione della ricchezza e ai mezzi dei contribuenti.

La questione, non è suscettibile - come osservò il Levasseur - di una soluzione indiscutibile. Mentre è senza dubbio del maggiore interesse di conoscere la ricchezza di un paese, la tecnica statistica non ci fornisce ancora strumenti idonei a misurarla con grande approssimazione al vero. Il metodo diretto è certo preferibile, ma è di difficilissima applicazione, specie in alcuni paesi. A questo riguardo anzi, sarebbe stato utile e in­ teressante che qualche membro della Società di economia politica di Parigi avesse preso in esame l’applicazione del metodo diretto al calcolo della ricchezza in Inghilterra, applicazione sotto certi aspetti più facile, perchè ivi la income tax for­ nisce molti elementi.

Il metodo indiretto non ci pare ancora suffi­ cientemente giustificato e precisato, ma forse potrà servire, quando sia più approfondito, a con­ trollare i dati ottenuti col metodo diretto.

Iu conclusione, siamo sempre di fronte a un problema che attende la sua soluzione: però la discussione fattane a Parigi ha rivelato ancora una volta che vi sono pericoli, incertezze, dubbi in numero non indifferente, qualunque sia il me­ todo che si segue. E ’ da augurare, per la impor­ tanza generale e continua della ricerca, che i cul­ tori della finanza non si stanchino di studiare questo argomento- di così vitale interesse per la economia e per la finanza.

L A B A K f C A D ’ I T A L I A

( E S E B C I Z I O 1900)

II.

Il complesso delle operazioni di cui abbiamo dato il riassunto nel numero precedente ha dato un utile lordo di L. 31,505,975,38 superiore per L. 479,100,07. a quello dell’anno precedente.

Questo complessivo utile lordo di 31.5 milioni era dato per 14.9 milioni dagli Stabilimenti, per 11.6 milioni dall’Amministrazione Centrale e per 4.9 milioni dalla Sezione delle immobilizzazioni.

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198 L ’ E C O N O M IS T A 7 aprile 1901

« Banca Nazionale nel Regno, e le differenze in « più tra il prezzo di vendita delle proprietà e « quello al quale esse erano precedentemente ag- « giudicate all’ Istituto. »

Va notato soltanto che la prima delle cause indicate, cioè la diminuzione delle immobilizza­ zioni, non può entrare che per poco nella diminuzion e del loro reddito, poiché la differenza nell’eserci­ zio 1900 non arriva a 150 mila lire.

Dagli utili lordi suindicati occorre toglier le spese di amministrazione, le tasse, le sofferenze dell’esercizio e gli ammortamenti; nel seguente specchio si ha l’ammontare di ciascuna voce.

1900 differenze col 1S99 Spese degli stabilimenti 4,630,035,34 — 40,796,66

-, dell’ Amm. Centrale 3,886,118,55-1-213,452,03 Ammortizzazione effetti sca­

duti in sofferenza 1,595,663,12 4- 441,938,93 Ammortamenti diversi 2,062,153,88 — 385,670,76

Tasse 4,218,147,43 4- 122,627,36

Ammortamenti, interessi pas­ sivi tassa per la circola­

zione della Banca Romana 9,270,120,76— 135,429,87 25,662,239,08 4 - 216,121,06

L’aumento delle spese dell’Amministrazione Centrale è spiegato dalla relazione, sia per essere stata coperta tutta la spesa per la fabbricazione dei biglietti nuovi (1900) e di quelli necessari alla sostituzione dei logori, sia per maggior nu­ mero di trasferimenti emissioni agl’ impiegati. In tale proposito è utile prender atto delle seguenti parole della relazione, le quali costitui­ scono una promessa, che certo verrà mantenuta. « Per altro, dice la relazione, è fermo nostro « proposito di adoperarci efficacemente all’uopo di « diminuire le spese, riconoscendo la imprescin- « dibile necessità di parsimonia in ogni parte del­

ti VAmministrazione. Di fronte a tempi non agevoli

« per le rendite, è doveroso di governare severa- « mente le spese. Si cercherà, con diligenza, ac- « compagnata a buon volere, di rendere ì’ordi- « namento amministrativo più semplice e meno « costoso, senza che vengano a diminuire gli stro- « menti di vigilanza e di riscontro, che intendiamo « di rafforzare per taluni aspetti, collo scopo di « assicurare un andamento possibilmente perfetto « dell’amministrazione in ciascun ramo. »

Cosi, dedotte dagli utili lordile spese anzidette, rimane una somma di utili netti di L. 5,880,056,15 ivi comprese L. 36,319,85 residuo utili dell’eser­ cizio precedente ; e to lto lj2 0 perla riserva, cioè L. 294,002,80, rimangono L. 5,586,013,37. L ’Am­ ministrazione, d’accordo coi Sindaci, propone di passare agli azionisti L. 18 per azione, cioè L. 5,400,000 e mandare a conto nuovo le resi­ due L. 186,053,35.

Riservandoci di fare in altro articolo qualche osservazione sulla situazione generale della Banca, ci soffermiamo ora sulla azienda speciale « il Credito fondiario, ¡> essendo unita alla Relazione del direttore generale, una relazione del diret­ tore del Credito fondiario.

È inutile discorrere del passato di quella Azienda, che fu fondata, colla falsa supposizione che la Banca Nazionale non fosse responsabile che per il capitale conferito ; — e che fu poi amministrata con criteri così poco oculati, da ri­ durla in condizioni di non poter far fronte agli

impegni assunti. Ciò che invece è doloroso è il vedere che le cose non procedono bene nemmeno ora e che i molti debitori del Credito fondiario della Banca Nazionale continuano a non pagare puntualmente. Infatti nella relazione è detto che dei 4006 mutui esistenti per L. 177.2 milioni, 3031 erano in regola e rappresentavano un am­ montare di mutui per L. 133.5 milioni, e ben 975 erano in mora rappresentando mutui per valore di 43.6 milioni.

È ben vero che queste due ultime cifre rappre­ sentano un miglioramento a paragone del 1899, perchè il numero dei mutui in mora era superiore di 9 ed il loro ammontare di 6.1 milioni di lire; — ma è sconfortante il leggere « che dei 975 mo­ rosi esistenti al 31 dicembre 1900, 816 sono debi­ tori da meno di una a non oltre tre semestralità » ; il che vuol dire che rappresentano probabilmente, almeno in gran parte, nuove morosità. E un altro prospetto inserito nella relazione ci fa credere che per quanto in minore entità, anche l’esercizio 1900 abbia dato una cospicua cifra di arretrati ; — in­ fatti l’ammontare dell’arretrato per mutui senza atti in corso è salito da L. 831,764, a L. 1,006,120; mentre quello con atti in corso è diminuito da L. 7,406,131 a L. 6,100,618. È difficile dire quanto arretrato spetti al 1900 e quanto agli anni imme­ diatamente precedenti od ai più remoti, perchè la relazione non dà modo di rilevarlo, ma sembra certo che si tratti sempre di una percentuale notevole, in confronto delle due semestralità sca­ dute.

E nemmeno quei mutui, ai quali venne con­ cesso il pagamento per ratizzo dell’ arretrato, procedono regolarmente ; a tutto il 1900 sono 147 mutui per 6.7 milioni di concessione ; ma delle L. 323,353.60 che scadevano nel 1900, non se ne riscossero che 297,509.82, e delleL. 6,471.34 delle ratizzazioni in mora prima del 1900 non se ne riscossero che 44,162.38, per cui, in totale vi è acche qui un arretrato di L. 44,352.73.

Intanto però avviene, o meglio continua ad avvenire, che, dovendo il Credito Eondiaro della Banca pagare gli interessi delle cartelle e farne il regolare ammortamento, anche se i debitori non pagano a scadenza, l’ azienda si trova in de­ ficienza di Cassa; alla fine dell’ esercizio aveva infatti una consistenza di cassa di L. 3,704.33, ma rimanevano ancor dovute alla Banca, ad estinzione delle anticipazioni richieste nel se­ condo semestre dell’ esercizio, L. 4,142.500, al rimborso delle quali si va provvedendo con gli incassi del nuovo esercizio. » Le quali parole vogliono dire naturalmente che senza l’ aiuto della Banca il Credito Eondiario non sarebbe in caso di far fronte ai suoi impegni, e che estin­ guendo, colle entrate del 1° semestre dell’ anno nuovo, il debito del 2° semestre dell’ anno pre­ cedente, dovrà accenderne subito un’ altro por la scadenza degli interessi ed ammortamento delle cartelle e così di seguito.

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spe-7 aprile 1901 L ’ E C O N O M IS T A 199

« cialmente del tipo 4 0[qla estinzione, a carico « dell’ Azienda, di alcuni mutui già assunti per « avvenuta rivendita dei relativi beni con paga- « mento a rate della maggior parte del prezzo « ottenuto, il rinvestimento di titoli di rilevanti « somme divenute per varie cause, disponibili « nel fondo di dotazione, non che la liquidazione « di alcune tra le partite, lasciate a debito del « credito Fondiario alla chiusura del conto cor- « rente ordinario della Banca, sono tra i prin- « cipali fattori della deficenza di cassa verifica- « tasi alla chiusura dell’ esercizio ».

Cosi per interessi 3.50 0[o del prestito otte­ tenuto dalla Banca, il Credito Fondario ebbe una spesa di 50,348 lire.

Perciò il Direttore del Credito Fondiario, dopo aver chiesto che si dìeno alla azienda i mezzi per­ chè basti realmente a se stessa, fa questa curiosa dichiarazione : « il disagio del bilancio del Cre- « dito Fondiario, è dovuto all’ onere che su di « esso incombe del pagamento delle annualità « relative ai mutui assunti prima del 31 dicem- « bre 1896 ; alla differenza fra le rendite dei « beni che garantiscono i mutui assunti dopo « quella data e le annualità relative ; alla minor « rendita che si ricava dai beni in Amministra- « zione giudiziale di fronte alla annualità per i « mutui da essi garantiti. »

Diciamo che è curiosa dichiarazione, perchè in sostanza vuol dire che il disagio del Credito Fon­ diario deriva dai mutui stipulati prima e dopo il 1896; evidentemente molti degli uni e degli altri non coprono col valore degli immobili le somme accordate, nè, colle rendite, le annualità convenute.

E questo appunto è quello che fu sempre rim­ proverato al Credito Fondiario della Banca Na­ zionale.

Degno di considerazione è il seguente periodo della chiusa della relazione : « Negli anni passati, « come in questo ora finito, il nostro conto P ro- « fitti e Perdite si è potuto chiudere con utili « sufficienti a fronteggiare le somme che la legge « vuole sieno passate a riserva ordinaria e straor- « dinaria, poiché presentava un margine suffi- « ciente il realizzo di partite accantonate; ma è « questa una risorsa che andrà necessariamente « esaurendosi. »

Però il Direttore del Credito Fondiario con­ clude : « Ammessa e confermata la necessità di

« provvedere, confermo pure il mio convincimento « che in ultima analisi, a liquidazione finita, il « nostro Credito Fondiario potrà trovarsi in pos- «. sesso di attività sufficienti a compensare la « Banca dell’ onere sopportato per la sistema- « zione di questa azienza. »

E questo noi pure, sebbene lo crediamo molto difficile, auguriamo che avvenga.

Ed ora ci proponiamo di seguire ;1 Direttore Generale nelle considerazioni di ordine generale che ha incluse nella sua relazione.

LE IDEE POLITICO-SOCIALI PREDOMINANTI

e la funzione delle imposte successorie

(Continuazione e fine; vedi il n. 1401).

Dicemmo che i principi scientifici e i bisogni sociali esigono un aggravio dei redditi ottenuti per successione, perchè si devono considerare come dotati di maggiore capacità contributiva, rispetto agli altri.

Il nuovo aggravio dovrà essere tanto maggiore quanto minore è il sacrifizio che il soggetto per- cipiente dovette sostenere nella percezione del reddito; onde una limitazione nell’ applicare i principi politico-sociali è data dal fatto dell’esi­ stenza di un rapporto senziente tra il de cuius e l’erede.

Tale rapporto è strettamente connesso, anzi si confonde col rapporto di famiglia ed assumerà conseguentemente aspetti nuovi a seconda dei nuovi atteggiamenti, delle nuove funzioni, e delle nuova importanza che la famiglia ha di fronte al singolo facente parte di essa.

Essendo 1’ imposta di successione una emana­ zione del diritto ereditario pubblico, vi fu un momento storico in cui essa non avrebbe avuto ragione di esistere, perchè la condizione econo­ mica del patrimonio privato, e l’ordinamento del diritto privato costituivano uno stato di fatto e di diritto col quale era inconciliabile un diritto ereditario pubblico: ma pure in questo momento storico l’ imposta di successione esistette e taci­ tamente gli fu riconosciuta una funzione sociale.

Era un momento storico, in cui la famiglia incontrava grandi obbligazioni di diritto privato verso i suoi componenti, cosicché l’ individuo, anche nella vita pubblica, appariva soltanto come un membro dell’ unità famigliare ; onde era lo­ gico che il diritto ereditario fosse rigorosamente limitato a questa unità.

Era un momento in cui il patrimonio funzio­ nava come patrimonio famigliare, non come pa­ trimonio individuale, tantoché il diritto stesso riconosceva propriamente ai soli capi della fa­ miglia il godimento del patrimonio e la potestà di regolarlo liberamente. Ma pure allora un di­ ritto ereditario pubblico era riconosciuto, diritto che si andò sempre più estendendo e che ora appare giustificato cosi teoricamente che prati­ camente, conforme allo svolgimento della fami­ glia, il quale nei tempi nuovi e nell’attuale stadio di civiltà esige una restrizione del diritto ere­ ditario famigliare.

(6)

in-r

%

200 L ’ E C O N O M I S T A 7 aprile 1901

dividualismo e quanto più questo si allargherà

nella vita pubblica, soppiantando lo stretto ordi­ namento famigliare, tanto più fondata nel prin­ cipio e tanto più necessaria e giusta nella pratica diventerà la partecipazione dei corpi pubblici all’eredità.

La ragione intima dell’ imposta di successione si trova adunque nei principi sociali che oggi re­ golano il diritto successorio ; di fronte ad essi, tale imposizione apparisce come un elemento ne­ cessario di tutto l’ordinamento delle successioni e non come una imposta vera e propria. Il pro­ vento che essa dà, rappresenta la parte del pa­ trimonio nazionale che lo Stato come rappresen­ tante della collettività esige in forza del suo diritto ereditario sopra i patrimoni individuali caduti in eredità.

* * *

Preso come presupposto che il reddito suc­ cessorio vada colpito in misura tanto maggiore quanto minore è il rapporto senziente tra il de

cuius e l’ erede, il massimo dell’aggravio dovrà

verificarsi quando nessun rapporto di famiglia esista tra il defunto ed il successore. Se l’ orga­ nismo chiamato a prestare il tributo rimase — fino al momento della percezione della ricchezza — estraneo ad essa ; se egli non intervenne a nes­ suno degli atti produttivi necessari, dovrebbe essere parificato a tutti gli altri membri del con­ sorzio politico e quindi la quota ereditaria privata a lui spettante potrebbe in questo caso coinci­ dere con la quota ereditaria pubblica rappre­ sentante l’analoga affermazione del diritto della collettività.

Non ne deriva che debba il consorzio politico essere escluso da ogni compartecipazione nel caso opposto, in cui esista un vincolo famigliare tra il disponente e il successore.

Se al caso della inesistenza d’ ogni vincolo cor­ risponde il massimo della compartecipazione pubblica all’esistenza di un vincolo, sia pure di primo grado, non va applicata l’ esclusione del consorzio politico, il quale in ogni tempo fu chia­ mato a concorrere a tali utili. Se lo fu nell’epoca della prevalenza del nucleo famigliare a mag­ gior ragione dovrà esserlo oggi, che la società civile è tanto fortemente assorta nel principio dell’ individualismo, oggi che l’ importanza eco­ nomica, giuridica e personale della famiglia è diventata così tenue, da far apparire anche eco­ nomicamente il patrimonio privato, in tutte le sue principali relazioni, non più come patrimonio di famiglia, ma come patrimonio individuale.

Onde sarebbe un anacronismo il voler conser­ vare nei limiti attuali la partecipazione dello Stato alle quote ereditarie, sarebbe un atto anti­ sociale escludere dall’ aumento delle imposte le successioni tra padre e figlio, quando tale aumento sia ammesso per le altre trasmissioni in genere.

E ’ naturale che non possa 1’ allargamento av­ venire in misura uguale, ma è chiaro che esso debba almeno in parte effettuarsi in tutte le forme di trasmissione.

Se l’impedimento alla espansione delle imposte successorie può originarsi dall’ esistenza di un vincolo di famiglia, non va questo principio in­ teso in via assoluta e va invece subordinato al­

l’altro principio individualistico cui oggi spetta

la prevalenza. . . . . . .

In tal maniera anche le trasmissioni famiglian rientrano nella regola generale, sia pure con la condizione di certe limitazioni, e deve anche per esse attuarsi un aggravio delle rispettive aliquote.

* * *

Pertanto, in omaggio al principio della capacità contributiva, bisogna riconoscere che 1’ eredità rappresenta per l’erede un acquisto di patrimonio che gli perviene senza una contro-prestazione e che aumenta la sua capacità contributiva : va trattata pressoché come un acquisto fortuito o come un guadagno di congiuntura.

L ’ individuo che è diventato, invece della fa­ miglia, 1’ ultima unità indipendente, economica e sociale, acquista ciò che a lui si devolve o per volontà del testatore, o per disposizione di legge nel silenzio del de cuius. Per questa concessione di poter fare un tale acquisto egli deve con la imposta di successione consegnare alla colletti­ vità la parte sua.

Ciò corrisponde al principio dell’ imposta se­ condo la potenzialità contributiva di ciascuno ed alla esigenza di una giusta distribuzione dei ca­ richi pubblici.

Però applicando incondizionatamente questo concetto si giunge a conseguenze erronee, ad ap­ plicazioni che se astrattamente possono_ appro­ varsi, potrebbero ripugnare al principio della libertà individuale.

Infatti noi abbiamo fin qui tenuto presente solo due lati della questione, omettendo il terzo che ha una certa influenza limitatrice sulle pre­ cedenti constatazioni. Noi abbiamo considerato il reddito successorio a sé, tenendo presente solo il fatto ' della devoluzione di esso ad un terzo, ora estraneo ora no: ma oltre alla massa dei beni ereditari, oltre alla persona cui essi sono destinati, va tenuta nel debito conto la persona del disponente, che lasciò quei beni e che li de­ stinò ad un individuo; in mancanza di una dispo­ sizione, va tenuto conto della volontà della legge che chiama quel determinato individuo a suben­ trare al defunto intestato.

Ora il fatto dell’adizione dell’eredità da parte di un terzo per volontà del defunto espressa in un testamento, o per volontà del consorzio poli­ tico espressa dalla legge, corrisponde ad un or­ dinamento del diritto, ad una funzione del diritto di proprietà od al riconoscimento di essa da parte della collettività medesima.

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7 aprile 1901 L ’ E C O N O M IS T A 201

sancisce, come emanazione del diritto di pro­ prietà, la libertà di disporre per testamento.

Finché adunque la volontà del de cuius è ri­ spettata dal diritto, finché non si giunga ad una forma di tributi che corrisponda rettamente al­ l’organizzazione economieo-privata e all’ordina­ mento dell’acquisto, questo della volontà del di­ sponente sarà un elemento da tenersi nel debito conto nella determinazione dell’ imposta. Però la sua influenza non va esagerata, ma intesa nei veri termini, ossia nel senso di limitare la appli­ cazione della teoria del sacrifizio. Senza tale ele­ mento, l’applicazione di questa andrebbe fatta in modo assoluto ; di fronte a esso invece l’applica­ zione avrà una portata alquanto relativa.

In tal maniera rimane ferma la necessità di un aumento di aliquota sui redditi successori, aumento che potrà esser soggetto alle lievi limitazioni cui abbiamo accennato, e non riusciam o a comprendere come vi sia tuttora chi trova modo di opporsi all’ invocata espansione di siffatte imposte.

Il Ministero stesso, pur segnando — riguardo al progetto sull’ imposte di successione — un certo progresso ci sembra che non abbia tenuto troppo conto della natura di esse e della funzione che son tenute ad esercitare.

Il Ministero, per compensare il disavanzo la­ sciato dagli sgravii, pone come concetto fonda- mentale una più giusta distribuzione di carichi pubblici, col far sì che all’esonero degli indigenti corrisponda un maggior onere delle classi agiate: riconosce che l’ imposta sulle successioni si pre­ sta preferibilmente a soddisfare tale intento e per mezzo di essa i pesi delle classi più povere vengono riversati equamente sopra coloro ai quali il sopportarli è meno grave : giunge quindi alla formulazione di analoghe proposte.

Lo stabilire un principio di progressività, a seconda della diversa entità del reddito, è un’ap­ plicazione giusta, ma insufficiente.

Il reddito acquistato per successione ha una caratteristica per la quale nettamente si distingue dagli altri: per tutti i redditi indistintamente, oggi si riconosce la necessità di aliquote progressive, in base al concetto che il sacrifizio nella presta­ zione dell’ imposta è tanto minore relativamente quanto maggiore è il reddito; ma in esso concorre un altro elemento di fatto, ossia la gratuità o quasi dell’acquisto. Or se si applica un’ imposta progressiva ad esso, lo si tratta alla stessa stre­ gua di tutti gli altri redditi; se si vuole però te­ ner conto dell’elemento della gratuità, bisogna altresì innalzare le aliquote che servono per punto di partenza della progressione.

Se la ricchezza acquistata a queste titolo non fu prodotta mediante l’opera del soggetto perei- piente, essa ha senza dubbio una maggior capa­ cità contributiva: in certi casi è completamente gratuita, in altri è leggermente onerosa, ma nella generalità dei casi è tale da dover essere più sen­ sibilmente colpita. Dunque secondo noi si sarebbe dovuto cominciare coli’aumentare le aliquote at­ tuali, tenendo conto della varia natura delle cate­ gorie di successori, e riflettendo che nessun’altra forma di reddito è colpita più lievemente di que­ sta: si sarebbe così colpitala gratuità del reddito speciale alle successioni; nei limiti poi delle sin­ gole categorie si sarebbe fatto luogo alla pro­

gressività come il Governo ha proposto. Con ciò sarebbe stato strettamente ai principii che nel suo programma ha enunciato ed invece di ottenere 6 o 7 milioni avrebbe ottenuto quanto bastava per attuar lo sgravio dei consumi.

Seguendo questo sistema forse si sarebbero incontrate meno difficoltà che non con l’altro di chiamare a concorso altre classi di contribuenti; forse ora non ci saremmo trovati di fronte alla rejezione dei progetti governativi da parte della Commissione dei Nove.

Vogliamo augurarci che questa, nell’esame delle varie contro-proposte, sappia seguire quella linea di condotta che dopo il suo ordine del giorno si è impegnata a seguire; noi comprendiamo che la proposta di gravar la mano sulle sovrimposte e sui tributi locali non abbia incontrato troppo fa­ vore perchè a gravi conseguenze potrebbe dar la loro ripercussione; ma non sapremmo dav­ vero concepire una rinunzia ai progetti ministe­ riali, là dove dispongono sulle successioni.

Anzi su questo punto non possiamo desistere dall’ invocar che si dia alle proposte del Governo una maggior intensità, affinchè la bella iniziativa del Ministero non rimanga frustata e non siamo di nuovo costretti ad assistere all’ormai nause­ ante fenomeno che da troppo suole ripetersi, alla solita opposizione passiva che è pura emanazione del partito conservatore, il quale — vedendosi battuto nelle idee — vuol riacquistare terreno ad ogni costo, ed in un campo su cui gli sia suf­ ficiente abilità quella dello sfruttare la ristret­ tezza dei mezzi finanziari nella quale il bilancio e la Nazione si dibattono.

Luigi Nina,

LA SOCIOLOGIA I L PRESENTE MOMENTO STORICO

(Coni, e fine, vedi num. 1403)

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202 L ’ E C O N O M IS T A 7 aprile 1901

ascendente sulle sorti delle nazioni — allora sol­ tanto s’ intese che la politica degli Stati, le grandi orientazioni della storia e gli indirizzi fondamen­ tali della morale collettiva non sono già preor­ dinati dalle sopra sensibili idealità sociali ma erompono dal prosaico sottosuolo de’ rapporti economici. » La dimostrazione di cotesta tesi è data dal Loria, come è noto, in modo ampio nel­ l’opera: Sulle basi economiche della costituzione

sociale; in questa conferenza egli ha dovuto li­ mitarsi a riassumere i principali argomenti che, a suo avviso, suffragano la teoria della causalità economica dei fenomeni sociali. Anzitutto, il fatto economico si presenta dotato di caratteri tali, che gli attribuiscono una preminenza evidente nell’assetto della società umana. Esso è d i, na­ tura esclusivamente umano, a differenza del fatto biologico che è comune a tutti gli esseri orga­ nizzati; inoltre è più semplice di tutti gli altri fenomeni sociali ; nè basta, perchè li precede cro­ nologicamente tutti. Questo assieme di caratteri sarebbe già per se medesimo, al dire del Loria, un vigoroso appoggio all’ idea da lui propugnata.

Ma essa acquista poi una probabilità anche maggiore pel nostro autore, appena scendiamo ad esaminare il fatto economico nella sua strut­ tura essenziale. Il nocciolo del rapporto econo­ mico, quale si svolge in tutte le età storiche dell’ umanità è la scissione assoluta, permanente ed irrevocabile della popolazione in due parti, una minoranza di proprietari che non lavorano ed una maggioranza di lavoratori, che nulla pos- segono in proprio e producono a beneficio esclu­ sivo dei primi. E poiché questa scissione non è l’opera della natura, ma il risultato di un gran­ dioso processo economico, essenzialmento artifi­ ciale e violento, così pel pericolo che sovrasta ad ogni momento che quella divisione venga a cessare fa d’uopo organizzare una serie di isti­

tuzioni connettive, le quali contengano opportu­

namente ne’ limiti la condotta delle diverse classi, o le distolgano dalle azioni, che riuscirebbero a compromettere l’assetto sociale.

E qui le coazioni morali, nelle forme diffe­ renti che hanno assunto nelle fasi successive della storia (religione, morale, opinione pubblica), il diritto, che disciplina i rapporti che erompono dall’assetto della economia, ossia le sanzioni giu­ ridiche, la costituzione politica, vale a dire l’esercizio del potere politico, sarebbero le isti­ tuzioni connettive, le quali tengono nell’obbe­ dienza i proletari e trattengono i proprietari da esorbitanze che non tarderebbero a provocare gli oppressi alla insurrezione. Ora se ben si guardi, scrive il Loria, le istituzioni morali, giu­ ridiche e politiche rappresentano tutte le espli­ cazioni non economiche della società umana, rias­ sumono in se stesse, all’ infuori dell’economica, tutte le manifestazioni della vita sociale.

Perciò, dire che esse sono esclusivamente determinate dal fattore economico vai quanto dire che la base dell’assetto sociale è tutta nel fatto economico, ossia che è questo il fenomeno cellulare della società umana, ossia che la so­ ciologia non può erigersi a scienza, se non sulla base della pubblica economia.

Tale è il concetto generale della teoria so­ ciologica Loriana, chè può veramente dirsi sua,

nessun altro prima di lui avendola esposta con tanto rigore logico, con cosi poderoso cumulo di prov6, con una coerenza e un assolutismo, per così dire, geometrico. Gli accenni del Marx alla teoria della causalità economica ed anche le sue parziali e occasionali applicazioni non possono reggere al confronto con l’opera del Loria sulle basi economiche della costituzione sociale; ma sul Loria si dirigono anche le più forti critiche, appunto perchè è quegli che ha voluto tentare una amplissima dimostrazione della tesi del de­ terminismo economico. Tesi questa che ha tro­ vato numerosi seguaci in Italia, più forse che altrove, la qual cosa dimostra pure che è l’opera del Loria quella che ha saputo accattivarle le maggiori adesioni.

Il Loria ha cercato, nella conferenza di cui ragioniamo, di distinguiré le esagerazioni di ta­ luni irrefìessivi fautori del cosi detto materiali­ smo storico dalle idee ch’egli ha esposte e difese sull’argomento. E non esita a dire che parecchie fra le illustrazioni, od esemplificazioni, con cui si è cercato dimostrare la base economica de’ fe­ nomeni sociali, dimostrano soltanto la imperdo­ nabile leggerezza degli scrittori che osavano di enunciarle. E ricorda alcune spiegazioni del de Molinari, dell’Adams e dell’ Engels. Cosi pure ricordando che altri a combattere il nuovo indi­ rizzo lumeggiano le influenze molteplici, eserci­ tate sull’assetto sociale dai sentimenti morali e dai fatti giuridici e politici, dichiara di non con­ testare la realtà e la possanza di cosiffatta in­ fluenza.

Però, fermandosi a considerare le creazioni immortali dell’arte ascetica d’altri tempi non esita a dire che il sentimento religioso cui si debbono le meravigliose creazioni dell’arte medievale era a sua volta una produzione psicologica de’ rap­ porti economici, ed il risultato della necessità di contenere i vari elementi, agitantisi in seno ad un sistema sociale equilibrato, i quali da unistante all’altro minacciavano mandarlo in frantumi.

L ’ importanza del fattore economico, troppo disconosciuta in passato, viene così portata al grado massimo concepibile, anzi in esso tutto si assomma e 1’ origine prima, la forza plasma­ trice di ogni cosa è il fatto economico. Non si tratta di cercare quale potè essere nel passato e quale è oggidì l’ influsso dei rapporti econo­ mici sulle più disparate manifestazioni della vita sociale, ma questa nella sua interezza si vuole determinata sempre e ovunque da quelle rela- lazioni. E non sempre a vero dire, ma il più so­ vente, si nega alle idee morali, agli istituti giu­ ridici e quindi alle riforme morali e legislative qualsiasi azione veramente apprezzabilè. La so­ ciologia a base economica è costretta però a sot­ tigliezze, a distinzioni, a concessioni, per rico­ noscere e affermare cbe vi sono rapporti ascosi tra certi fatti e le condizioni economiche. E questa ricerca forzosa, metafìsica, e spesso fan­ tastica è ciò che scredita, non di rado, il mate­ rialismo storico.

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7 aprilo 1901 L ’ E C O N O M IS T A 203

giosa ? La emancipazione degli schiavi nei vari paesi d’Europa, la guerra di secessione degli Stati Uniti, la storia degli ebrei nel medio evo, tutti questi fatti si possono forse spiegare col solo sussidio dei rapporti economici ? Non fu un interesse materiale che spinse gli ebrei a rifiu­ tarsi ostinatamente di cambiare religione e che li esponeva a soffrire le più crudeli persecuzioni. Il progresso del diritto romano, non è dovuto a cause di ordine economico ; la ricchezza e il benessere del popolo romano andavano dimi­ nuendo, mentre era approfondita sempre più l’idea del diritto, del suum cuique. I protestanti fran­ cesi che furono obbligati in seguito alla revoca dell’ editti di Nantes ad abbandonare posizione, beni e patria, per poter conservare la loro reli­ gione, obbedirono forse a un impulso d’ ordine economico ? Le scoperte scientifiche non hanno tutte un carattere utilitario e non furono tutte determinate dal desiderio di meglio sfruttare le forze della natura, ma anche da quello di scoprire la verità per se medesima.

Non si può contestare, diremo con un recente scrittore, che il bisogno economico sia il bisogno primordiale della esistenza. A questo bisogno pri­ mordiale comune a tutto ciò che vive, la natura ha sovrapposto per l’ uomo una serie di altri biso­ gni di carattere più elevato. Come si può soste­ nere che questi bisogni superiori, e per conse­ quenza le loro trasformazioni, dipendono dal bisogno economico e dalle trasformazioni di que­ st’ ultimo ? L ’ umanità ha ancora altri interèssi da difendere oltre quelli del ventre.... Esiste una differenza profonda tra la lotta per 1’ esistenza nel regno dell’ animalità e quella che si svolge tra gli esseri umani. Nella prima il principio che predomina è la forza, fra gli uomini la lotta si com­ batte spessissimo in nome della morale e del di­ ritto, nozioni assolutamente estranee agli animali e i difensori della teoria materialista della storia non dovrebbero dimenticare che le rivondicazioni socialiste non sono fatte in nome della forza, ma in quello del diritto.

La sociologia a base economica è un mirabile sforzo di ricondurre tutti i fenomeni sociali a una sola causa efficiente,ma è una costruzione che non regge per la ristrettezza della sua base. Ciò non toglie che queste idee sulla parte dell’ economia nella determiuazione dei fatti sociali non abbiano il loro lato profittevole, nel senso che richiamano lo studioso a investigare ciò che finora era stato assai trascurato, i rapporti cioè tra i fatti econo­ mici e gli altri fatti che si svolgono nella società. Ma la sociologia, se vuole avere veramente una base scientifica, deve guardarsi dagli apriorismi e dalle teorie unilaterali. Non è ancora giunto il momento in cui si possa dire di avere stabilite le leggi sociologiche sulla origine dei fatti sociali e sulle condizioni della loro evoluzione. E qualsiasi generalizzazione va accolta ora e forse ancora per un pezzo con quel dubbio che è consigliato e suggerito dalla vastità e complessità della materia.

R. D. V.

Per i titoli al portatore trafugati 0

È con vero piacere che ho visto cotesto ap­ prezzato periodico interessarsi ad una questione, che agita tutto il ceto bancario d’ Italia, accor­ dando nel suo n. 1402 del 17 marzo 1901 ospita­ lità ad un articolo di Baccio Bacci: Sulle diffide

dei titoli al portatore.

Gli inconvenienti ivi accennati datano da lungo tempo, e se solo oi'a se ne rileva l’ impor­ tanza, si è perchè la loro gravità va sempre au­ mentando. Ciò si spiega, sia per la maggiore quantità di titoli, che specialmente in questi ul­ timi anni sono stati posti in circolazione, sia per la maggiore facilità con cui ora i privati impie­ gano direttamente i loro capitali in titoli al por­ tatore, mentre per il passato li depositavano nelle casse degli istituti, lasciando a questi la cura di procurarne l’impiego e di meglio custo­ dire i titoli.

L ’autore dell’articolo accennato non trova per ora rimedio ai lamentati inconvenienti, ma lodevolmente si propone di ritornare in argo­ mento, facendo sperare che forse, a studi più maturi, potrà farlo.

Solo nell’intento di coadiuvare l’egregio ar­ ticolista nei suoi studi, credo di potere indicare i mezzi alti a rimediare a questo deplorevole stato di cose.

Non mi nascondo però che all’attuazione di tali mezzi sia necessaria la cooperazione di per­ sone autorevoli che, sottoponendo all’autorità suprema i lamentati inconvenienti, ne faccia ri­ levare in tutta la sua estensione la gravità ed ottenga la applicazione di quei provvedimenti atti a dare ai titoli al portatore quella libertà di circolazione che loro è dovuta, ed a sollevare il ceto bancario da responsabilità, che gli si impon­ gono^ ma che non gli spettano.

E opinione di reputati giureconsulti, e su questo puuto sono d’accordo tutti gli scrittori in materia, che nessuna disposizione di legge pre­ scrive od autorizza le note di diffide che è abi­ tudine di distribuire dalle Questure.

Ne viene quindi di conseguenza che non sia fatto obbligo agli Istituti, banchieri e cambiava­ lute di tenerne conto. In proposito richiamo oltre all’ articolo suaccennato di Baccio Bacci, un pre­ giato opuscolo dell’avv. Antonio Morelli « Di un ingiusto impedimento alla libera circolazione dei titoli al portatore » Firenze, 1900, tip. M. Ricci.

E dello stesso parere è pure un avvocato principe di Milano, il quale affermando tale prin­ cipio scrive : « Io ritengo che l’Autorità di P. 8. sia libera nell’ esercizio delle sue funzioni di po­ lizia giudiziaria di addivenire a quei provvedi­ menti che meglio creda del caso, purché vi provveda essa medesima sotto la sua responsabi­

lità. Ohe essa non possa invece imporre al privato

cittadino ciò che essa sola dovrebbe eseguire, poiché nessuno ha l’obbligo di cooperare diretta-

mente od a proprio esclusivo carico a ricerche di 1 1 Questo tema ha molti punti interessanti e molte

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204 L ’ E C O N O M IS T A 7 aprile 1901

reati. Ritengo ohe l’Autorità di P. S. possa invi­

tare i banchieri, cambiavalute ecc. a cooperare

alla ricerca del reato, avvertendola immediata­ mente della presentazione di titoli di provenienza furtiva ed anche all’effettuazione del fermo. Non ritengo invece che essa possa imporre tali pra­ tiche ai banchieri e cambiavalute, e che in modo speciale essa non possa imporre il fermo dei

titoli. La P. S. non può legalmente addossare al

privato la responsabilità di un atto che essa sola ha la facoltà di compiere, sia perchè nessuna legge autorizzando il privato ad effettuare il fermo dei titoli al portatore, l’ordine della P. S. non sarebbe anche sotto questo rispetto legal­

mente c^ato ».

Ora, ammesso che la R. Questura non abbia il diritto di imporre ai banchieri, cambiava­ lute ecc., le note di fermo di titoli smarriti o rubati, e che questi non abbiano il dovere di accettarle, onde per le note ragioni non incorre in responsabilità che non possono assumere senza grave loro danno, questi possono in mas­ sima ed unanimi rifiutarle. Però siccome è dovere morale di ogni cittadino di contribuire nei limiti del possibile, ma senza responsabilità allo sco­ primento dei colpevoli di reati, i banchieri, cambiavalute ecc. potrebbero coadiuvare le Au­ torità a questa ricerca, quando però per questa loro volontaria prestazione non siano tenuti re­ sponsabili, e ciò in vista delle difficolta che loro si presentano nell’ adempiere le formalità ri­ chieste dalla difficile ispezione delle lamentate, numerose e spesso mal compilate notifiche.

Le condizioni quindi alle quali i banchieri, cambiavalute ed Istituti di credito potrebbero sottoporsi ad accettare le note diffide dovreb­ bero essere le seguenti :

l.° Impegno da parte dell’Autorità di le­ vare il fermo di titoli, ogniqualvolta questi non abbia più ragione di sussistere.

2. ° Le diffide stesse devono essere prece­ dute da una formola che li inviti senza respon­

sabilità e nei limiti del possibile a dare avviso

alla Questura ogniqualvolta si presenti loro un titolo infirmato.

3. ° L ’avviso dato dalla parte alla Questura di, aver rintracciato un titolo infirmato non deve dalla medesima essere comunicato al danneggiato ma deve essere tenuto segreto e servire solo per fare le indagini onde possibilmente scoprire i

colpevoli. .

4. ° Non operare il sequestro dei titoli nelle mani di chi spontaneamente dà avviso alla Que­ stura di averli rintracciati, nè presso a quegli altri precedenti possessori se non esistevano contro di essi prove indiscutibili di colpevolezza.

5. ° In nessun caso gli avvisi della Questura potranno essere invocati in giudizio a favore del danneggiato.

Pei capitoli 3° e 4° basterebbero, senza me­ nomamente ledere le disposizioni di legge, for­ mali e precise istruzioni impartite da parte delle Autorità competenti ai loro dipendenti.

Nel capitolo 3° ho detto che le informazioni che possono pervenire alla Questura da parte dei banchieri, cambiavalute ecc., devono essere tenute segrete da parte dell’Autorità e non co­ municate alla parte danneggiata, essendo esse

destinate principalmente a mettere l’Autorità Giudiziaria sulle traccia dei colpevoli, e non già a fornire i mezzi più o meno legittimi di tentare il recupero dei propri averi a chi ne fu spogliato, presso gli ultimi possessori.

E ’ abitudine della Questura, quando dagli Istituti, banchieri, cambiavalute ecc. le siano in­ dicate le traccio di titoli infirmati di operarne il sequestro presso 1’ ultimo possessore,^ fosse questi anche lo stesso informatore e di dare prontamente avviso del fatto alla parte danneg­ giata. Da ciò ne consegue una immediata causa di rivendicazione dei titoli da parte del deru­ bato in confronto dell’ultimo_ possessore, e solo argomento alla sua pretesa è il dato avviso della Questura, che quei titoli erano infirmati e che per conseguenza l’ultimo detentore non ne può essere legittimamente, ed in buona fede in pos­ sesso. E qui appunto si manifesta la responsa­ bilità involontariamente imposta al ceto bancario dalle note diffide. Nel capitolo 4° ho invocato disposizioni che impediscano in dati casi, e sono i più frequenti, il sequestro dei titoli al portatore. Su questo punto non mi dilungo perchè valenti scrittori in materia hanno trattato diffusamente l’argomento, affermando e provando giuridica­ mente che il titolo al portatore non è seque- strabile.

Al capitolo 5° si domanda che sia provve­ duto acchè gli avvisi della Questura non possano essere invocati in giudizio a favore della parte danneggiata. Per quanto la necessita di ^tale provvedimento si spieghi e si giustifichi da quanto venne precedentemente esposto pure una osservazione assai semplice persuade ed è questa.

La Questura non ha diritto di imporre le sue diffide, e se queste vengono accettate è solo pel bene della società. Ma questa volontaria prestazione non può, nè deve importare respon­ sabilità, in chi, eventualmente nell’ adempiere a tale funzione potrebbe, come è fàcilmente pos­ sibile, incorrere in qualche svista o dimenticanza involontaria.

E qui ritornando su quanto scrive un valente giureconsulto a proposito del funzionamento della Questura in quanto riguarda la ricerca dei colpe­ voli di reati, e più specialmente di quelli attinenti ai titoli al portatore, pei quali la Questura dirama le note diffide, ne riproduco il testo : « Gli effetti delle disposizioni speciali,di uno speciale dica­ stero, emanate nell’esercizio di una funzione di ordine pubblico, non possono essere invocati dal privato cittadino a suo esclusivo vantaggio. Che se la mancata ottemperanza a dette disposizioni non può importare una responsabilità di coloro che non li abbiano osservati in confronto dello Ufficio che li abbia emanati, non potrebbero gli stessi costituire base di responsabilità in con­ fronto di estranei quali sono i proprietari deru­ bati. E se così è, può esser giusto che altri tragga a proprio vantaggio gli errori e le sviste di chi volontariamente si presta ad un servizio che non gli compete, e che non può fare con assoluta esattezza.

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7 aprile 1901 L ’ E C O N O M IS T A 205

del danneggiato, e tanto meno esser comuni­ cate al derubato.

Ad ottenere l’applicazione di tali provvedi­ menti, è necessario il concorso delle Deputazioni e Sindacati di Borsa, appoggiate dalle Camere di Commercio e presentate alle Autorità compe­ tenti da persone che ne possano sostenere, sor­ vegliare ed ottenere 1’ applicazione colla emana­ zione di provvide istruzioni ed ordinanze ai di­ casteri dipendenti, e ciò senza menomamente intaccare lo vigenti disposizioni di legge.

M.

R ivista (Bibliografica

Louis Skarzinski. — Le progrès social h la fin du

X IX siècle. — Paris, Alcan, 1901, pag. ni-496

(4 fr. 50).

Lo scopo che si è proposto l’Autore è quello di illustrare i principali aspetti del pro­ gresso sociale, mediante i fatti che sono venuti in luce nell’occasione dell’ esposizione universale di Parigi. 0 meglio il libro che annunciamo vuol far vedere come sono poste le varie questioni sociali, e quali soluzioni sono poste o intravedute per ciascuna di esse. Quanto ai risultati ottenuti spesso, ma ancora troppo pochi in confronto a ciò che rimane da fare, gli è parso utile di darne alcuni esempi togliendoli da quelli che of­ fre la Francia. L ’Autore si occupa della pro­ tezione dell’ infanzia e della donna, della edu­ cazione del popolo, delle case operaie, della mu­ tualità, della cooperazione, del credito popolare, della protezione del lavoro, delle istituzioni di patronato, dei sindacati e delle condizioni del progresso sociale. Ogni ordine di istituzioni esi­ gerebbe un volume, ma l’Autore ha voluto fare uno studio complessivo per uso dei neofiti, come egli dice, che vanno alla scoperta nel vasto campo della civiltà morale.

In appendice ai 12 capitoli nei quali sono svolti gli accennati argomenti, si hanno i voti di 18 congressi internazionali del 1900 relativi a questioni di economia sociale. E questa non è la parte meno interessante e istruttiva del vo­ lume, perchè in quei voti si ha la espressione concreta di bisogni, di tendenze, di sentimenti che giova conoscere. Vi è poi un’ appendice bi­ bliografica che dà indicazioni utilissime per lo studio di alcune questioni speciali.

Nell’ insieme è adunque un volume che in­ teressa tutti gli studiosi delle questioni sociali.

(Rivista (Economica

Il commercio estero degli Stati Uniti. — Produzione mondiale dello zucchero. — Le « Joint-Stochs Banks» di Londra. — Le costruzioni navali nel 1900. Il commercio estero degli Stati Uniti.

— Dalla statistica doganale definitiva per l’ anno 1900, ora pubblicata dall’ Amministrazione federale, rile­ viamo che le esportazioni americane raggiunsero 1’ anno scorso un valore di dollari l,478,0o0,854 e le importazioni ascesero a dollari 829,052,116.

I risaltati ottenuti sono eccellenti tanto per le importazioni quanto per l’ esportazioni, il movimento complessivo avendo raggiunto un insieme di dollari 2,307,000,000, con 1’ aumento cospicuo di 806 milioni di dollari rimpetto all’ anno precedente. Ma quel che è più rimarchevole si ò la eccedenza enorme del- l’ esportazioni sulle importazioni.

Questa eccedenza, tenuto anche conto del movi­ mento dei metalli preziosi, si è ragguagliata nel 1900, a 662 milioni di dollari, contro 493 milioni nel 1899, 503 milioni nel 1898, 383 milioni nel 1897, 311 milioni nel 1896. Gli ultimi cinque anni riuniti insieme rap­ presentano quindi una eccedenza a favore degli Stati Uniti di 2,352 milioni di dollari.

Per mostrare quale rivoluzione si sia prodotta nel movimento commerciale degli Stati Uniti du­ rante gli ultimi anni, il BanJcer’s Magazine di Wa­ shington pubblica un quadro del movimento netto delle merci e dello specie metalliche negli ultimi dieci anni, divisi in due periodi distinti.

Da questo quadro si rileva che nei primi cinque anni, 1891-95, l’ esportazione netta — vale a dire la eccedenza dell’ esportazioni sulle importazioni — di merci e di argento fu di 594 milioni di dollari, e un’ esportazione di oro di 250 milioni di dollari fu sufficiente per far fronte al pagamento dei debiti contratti dagli Stati Uniti al di fuori. Durante que­ sto primo periodo, una eccedenza media dell’ espor­ tazioni inferiori a 170 milioni di dollari all’ anno è parsa bastevole a tutte 1’ esigenze.

Per contro, nel secondo periodo, cioè negli ul­ timi cinque anni, 1896-1900, gli Stati Uniti hanno esportato, in più delle importazioni, 2,560 milioni di dollari fra merci e argento, ed hanno importato 207 milioni di dollari in oro, ciò che ha lasciato una, eccedenza effettiva di esportazioni di 2,354 milioni di dollari, ossia una media di più che 470 milioni all’ anno, che a fronte del quinquennio precedente segna un aumento di 300 milioni di dollari all’ anno.

Questa situazione mostra che gli Stati Uniti sono attualmente nel numero delle nazioni creditrici e che 1’ esportazioni di oro dalla Confederazione non possono ormai avere altra causa che dei prestiti ad altre nazioni.

Produzione mondiale dello zucchero.

— Secondo i calcoli pubblicati dal Journal des fa -

bricants de sucre, la produzione mondiale dello zuc­

chero durante le due ultime campagne è la seguente : 1899-900 1900-901

(tonnellate) Zucchero di canna 2,680,838 2,235,000

id di barbabietola in

Europa 5,518,048 5,950,000

Id. negli Stati Uniti 73,944 86,000 Totale 8,271,530 8,271,000 La produzione dello zucchero di barbabietola è ripartita come segue :

1899-900 1900-901 (tonnellate) Germania 1,798,631 1,950,000 Austria-Unglieria 1,108,007 1,075,000 Francia 977,850 1,125,000 Eussia 905,737 890,000 Belgio 302,865 340,000 Olanda 171,029 170,000 Italia 31,000 60,000 Altri paesi 222,929 340.000 5,518,018 5,950,000 La produzione dello zucchero coloniale (di can-na) è così ripartito :

1899-900 1900-901 (tonnellate) America 1,398,000 1,998,000 Asia 793,024 742,000 Australia 169,789 146,500 Africa 320,025 348,000 2,680,838 2,235,000

Lo « Joint-Stocks Banks» di Londra. —

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