A N C O R A S U I CORSI D ' A C Q U A A T O R I N O SOFT ENERGY IN P I E M O N T E REALTA E PROSPETTIVE DEL
Sognando
California...
Li chiamano i "nuovi pionieri".
Loro'.'Gli imprenditori" Gente che va nella direzione
che si è scelta.
Noi. "La Cassa di Risparmio di Torino". Gente che
crede in chi va e fornisce i mezzi.
• APERTURA DI CREDITO / D M U T U I CHIROGRAFARI E DFINDATA-SOCIETÀ DI SERVIZI PRESTITI CHIROGRAFARIE FONDIARI (SETTORE I M M O B I L I A R E / CAMBIARI/CASTELLETTO • LEASING MOBILIARE E INFORMATICA/LEASING) • FINANZIAMENTI A MEDIO IMMOBILIARE DSERVIZIO REUTER (PER LA
TERMINE (MEDIO CREDITO • FACTORING CONOSCENZA ISTANTANEA PIEMONTESE) • SERVIZIO ESTERO DELLE QUOTAZIONI DEI CAMBI • FINANZIAMENTI AGEVOLATI DSERVIZIO BORSA NEL MONDO)
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Gente che insieme crea, conquista, espande,
migliora la qualità della vita.
CASSA DI RISPARMIO
DI TORINO
200Sportelli in Piemonte e Valle d'Aosta.
L h a n n oc h i a m a t i pionieri. H a n n o e r e t t o città, stadi e i m p r e s e
m o n u m e n t a l i . H a n n o cominciato con carri di legno, e sudore di cavalli. H a n n o cominciato m e t t e n d o un p i e d e d o p o l'altro verso occidente
sognando California. H a n n o unito i loro oceani con nastri di ferro. H a n n o cominciato con accette ed abeti, •
chiodi e mazze. H a n n o cominciato
Fiat ha dato spazio al know-how italiano
Nel 1981 partirà per la sua primamis-sione lo Spacelab, il laboratorio scien-tifico spaziale nato dalla collaborazio-ne tra la ESA (l'ente spaziale europeo), la NASA (l'ente spaziale americano) e il Giappone: a bordo ci sarà un'appa-recchiatura scientifica Fiat.
E un riconoscimento, forse il più pre-stigioso, del livello di evoluzione rag-giunto dalla tecnologia italiana. Il Fluid Physics Module, l'apparecchia-tura spaziale realizzata dal Centro Ri-cerche Fiat in collaborazione con il Con-siglio Nazionale delle Ricerche, fornirà | risultati di analisi diverse sui liquidi in assenza di gravità questo significa che per la prima volta i liquidi e le loro proprietà potranno essere valutati nella loro intrinseca fisionomia. Proprietà co-me il calore specifico o la viscosità o
la tensione superficiale, fenomeni co-me la convenzione libera e in campo elettrico, la cristallizzazione in colonne liquide flottanti potranno essere
studia-ti e capistudia-ti come finora non è stato pos-sibile. Vantaggi? Tanti. Nella tecnica e nella tecnologia. Nasceranno forse nuo-ve soluzioni ai problemi di lubrificazio-ne dei macchinari e dei motori o a quel-li degquel-li scambi termici nelle centraquel-li di potenza, nuovi modi di produrre mate-riali da fusione o matemate-riali a partire da polveri.
Fra i dati scientifici e tecnologici rac-colti dallo Spacelab, quelli forniti dal Fluid Physics Module sono la testimo-nianza che il know-how italiano ha la maturità per dare risposte a domande che interessano il mondo.
CENTRO ESTERO
CAMERE C O M M E R C I O PIEMONTESI
P R O G R A M M A
DI A T T I V I T À 1979
è stato varato per aiutare gli operatori a risolvere TUTTI i problemi connessi all'esportazione: commerciali, doganali, valutari, assicurativi, giuridici, finanziari, ecc.
L'assistenza del Centro sarà fornita sia con iniziative generali
di INFORMAZIONE E FORMAZIONE,
sia con iniziative specifiche di CONSULENZA e PROMOTION.
Informazióne
Allo scopo di sopperire alla sempre maggiore necessità di informazioni da parte delle aziende su normativa italiana, normativa estera e notizie commerciali, il Centro curerà:
• La pubblicazione del settimanale « Richieste e offerte dal Mondo ». • La pubblicazione del volume « Mostre
e Fiere 1979 ».
• La pubblicazione del manuale « Modelli di contratto e condizioni generali per il commercio estero ».
• La pubblicazione di un volume sulle dogane. • La pubblicazione di un catalogo
merceologico, (prestudio per uniformazione in Piemonte).
Formazione
Il Centro organizzerà:
• N. 7 edizioni. Corsi di formazione per funzionari di azienda addetti
all'export della durata di 5 giorni ciascuno.
Consulenza
Per risolvere i problemi specifici delle aziende nel corso delle singole operazioni con l'estero, il Centro segnala che saranno a disposizione: • Il dott. Lelio Ancarani, esperto in problemi doganali (lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì ore 13-17).
• Il prof. Fabio Bortolotti, esperto in contrattualistica internazionale (lunedì, martedì, mercoledì ore 9-18). • I funzionari del Centro per tutti i problemi
relativi al marketing, al credito, all'assicurazione, ecc.
Promotion
Il Centro metterà a disposizione la sua organizzazione per:
• Missioni all'estero: Columbia, Bolivia ed Equador (settore macchine per accessori agricoli e per alimentari). • Missioni straniere in Italia: dal Giappone
(importatori di prodotti alimentari e bevande); dal Canada (settore vini).
• Studi di Mercato: pubblicazione schede di vari paesi.
• Polizza globale rischi commerciali
(in collaborazione con SACE e con società assicuratrici specializzate).
• Partecipazione a Mostre e Fiere:
— S.A.E. Detroit (indotto auto) febbraio-marzo — SITEV Ginevra (indotto auto) maggio — ANUGA Colonia (alimentari) settembre — UTRECFIT Olanda (dolciari) aprile — ARABIA (rubinetteria e accessori
per edilizia) secondo semestre — U.S.A. (gioielleria) data da definire
CENTRO ESTERO CAMERE C O M M E R C I O PIEMONTESI - 10123 Torino Via S. Francesco da Paola, 24 Telex 221247 - Tel. 011-57161
• Seminari tecnici su:
— Condizioni generali di vendita. — Procedure doganali.
— Come commerciare con i paesi dell'Est. • Corso per neo-diplomati (per 25 persone)
19781
RIVISTA DELLA CAMERA DI C O M M E R C I O INDUSTRIA A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A DI T O R I N O
e . s . - W \
> t o i M
S O M M A R I O
3 Corsi d'acqua a Torino G. A.
61 «Soft energy» in Piemonte R i c c a r d o Fox
71 Realtà e prospettive di sviluppo delle transazioni commerciali con la Jugoslavia e la Norvegia G i o r g i o Pellicelli
81 Una struttura al servizio delle imprese della CEE G i u s e p p e P o r r o
85 Tra i libri 9 3 Dalle riviste 9 7 Indice dell'annata
In copertina:
Marco Calderini (?) Ponte di ferro sui Po e H Monte dei Cappuccini (Museo civico di Torino).
Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni debbono essere indirizzati alla Direzione della rivista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell'Autore e non impegnano la Direzione della rivista né l'Amministrazione camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono essere inviate in duplice copia. È vietata la riproduzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. L manoscritti, anche se non pubblicati non si resti-tuiscono.
Editore: Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino. Presidente: Enrico Salza
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Telegrammi : Borsa Merci
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Gabinetto Chimico
Merceologico
(presso la Borsa Merci) 1 0 1 2 3 TorinoVia Andrea Doria, 15.
CORSI D'ACQUA
A TORINO
G.A.Mi
Analisi visuale dei corsi d'acqua
come strutture elementari
in rapporto alla struttura globale dell'ambiente
dell'area della città di Torino
Il presente articolo rappresenta il contributo d'analisi fornito dall'autore ad un'ampia ricerca sui fiumi torinesi, promossa e prodotta dall'istituto camerale di Torino per mettere a disposi-zione degli organi competenti della gestione del territorio una vasta documentadisposi-zione di base, atta ad agevolare l'individuazione dei problemi da affrontare per un corretto recupero dell'area in esame al libero godimento dei cittadini. Anche la documentazione fotografica presentata nelle pagine 23-53 è opera dell'autore.
Premessa
1. I corsi d'acqua — uso questo termi-ne termi-nella sua acceziotermi-ne più ampia — sono sempre stati un elemento di sostan-ziale incidenza non solo in ordine alla struttura del territorio ed all'assieme am-bientale cui partecipano, ma anche sulla evoluzione socio-economica e politico-culturale delle società che si sono forma-te nell'ambito forma-territoriale in cui essi sono presenti.
Non occorre certo ripercorrere la storia degli insediamenti umani per ricordare modelli clamorosi, quando non addirit-tura leggendari: il Nilo, che determina non solo il sistema, ma la esistenza della società egiziana; il Tennessee, struttura portante — se cosi si può dire — di uno dei primi e più grandiosi esperi-menti di pianificazione territoriale; il Reno, lungo il quale si può leggere alme-no metà della storia d'Europa; e cosi via. D'altra parte espressioni come « città fluviale », « economia fluviale » ed altre analoghe, sono ormai acquisite non solo al lessico di discipline specifiche, ma an-che a quello della cultura individuale media.
E non richiede più che un richiamo vo-lante il fatto di certi tipi di insediamenti industriali — cito l'industria tessile e quella della carta, per tutte — origina-riamente condizionati, cioè resi possibili, dalla presenza di corsi d'acqua. Per non parlare infine di uno degli aspetti più in-cidenti, specialmente dopo l'inizio della industrializzazione: quello della forza motrice direttamente o indirettamente ri-cavabile dal salto di una massa d'acqua. Ho voluto premettere queste considera-zioni, certamente ovvie, ma altrettanto certamente incontestabili, per dare ra-gione di alcune puntualizzazioni neces-sarie, a mio parere, per collocare questa ricerca nella categoria delle informazioni utili e utilizzabili in permanenza, in
con-trapposizione con certi tipi di studi, di ricerche o di documentazioni che, formu-late con apparente tecnicismo ed affol-late da cifre e documenti in senso stret-to, ossia in senso amministrativo, si rive-lano, dopo breve stagionatura, dannose fonti di disinformazione. Ossia di infor-mazioni che non coincidono con la real-tà agibile, sia essa realreal-tà di fatto o di diritto.
Avvertita la grandissima varietà di setto-ri o campi di studio offerta da un tema come i corsi d'acqua, si deve fissare co-me prima condizione per la validità di una ricerca, cioè per la validità di infor-mazione costituita da una ricerca, non solo la specificazione quanto più possi-bile analitica del tema generale e degli argomenti o problemi specifici della ri-cerca, ma anche la enunciazione dei cri-teri metodologici seguiti, la definizione — quando sia il caso — del modello di analisi, ed infine la causa finale o il mo-vente — scopo — , che sta alla base della ricerca stessa. Tutti questi elementi di specificazione, devono conferire al lavo-ro quei requisiti per una immediata identificazione e quindi collocazione, che sono condizione indispensabile per un uso concreto del materiale offerto dalla ricerca stessa.
Nel caso del presente lavoro, poi, mi sembra indispensabile una ulteriore pre-messa riguardante la semantica della ri-cerca. Intendo dire che essendo questo lavoro costituito prevalentemente da im-magini fotografiche, è necessario fornire anche la chiave di lettura delle fotogra-fie stesse, per consentire una utilizzazio-ne corretta.
2. Il titolo « I corsi d'acqua nella strut-tura territoriale dell'area torinese » de-termina l'ambito territoriale (area tori-nese), ma in termini che richiedono una ulteriore specificazione.
Quale contenuto si deve dare infatti all'espressione « area torinese »? È fin
troppo noto che una grande città eser-cita, nella dinamica dell'assetto territo-riale, un'irresistibile spinta centripeta, cosicché i suoi confini amministrativi non coincidono con la zona direttamen-te coinvolta nella dinamica socio-econo-mica della città stessa. Quindi l'espres-sione « area torinese », nel contesto di un discorso relativo ad un certo ele-mento della struttura territoriale (i cor-si d'acqua), dovrebbe identificarcor-si come « area di influenza diretta della città di Torino nella struttura morfologica e so-cio-economica del territorio adiacente ». Contro questa assunzione di significato però, sta il fatto che il legislatore italia-no, in materia urbanistica ed in tutte le altre materie connesse alla gestione ed all'uso del suolo (trasporti e viabilità, agricoltura, cave, caccia e pesca; orga-nizzazione, capacità normativa e finan-ziamento degli enti locali; ecc.) non ha mai accettato come condizione di prin-cipio, come « ratio legis », quella realtà obiettiva che avrebbe dovuto essere or-ganizzata in un sistema legislativo. Per meglio dire, le leggi hanno creato una realtà — mi si perdoni il gioco di paro-le — paro-legaparo-le, che quasi mai tiene conto della realtà di fatto, cioè delle situazioni in atto e soprattutto delle cause profonde che determinano i processi evolutivi eco-nomico-culturali. E « non tenere conto » non significa soltanto ignorare, contrasta-re, deformare; significa anche, specie in rapporto alla problematica emergente in questa ricerca, dettare norme teorica-mente adeguate ma praticateorica-mente inattua-bili, oppure dettare norme che né gli or-gani centrali né quelli periferici di go-verno sono « capaci » di imporre coatti-vamente; oppure dettare norme la cui parziale inosservanza, da parte sia del legislatore che dei cittadini, è scontata in partenza.
Ne deriva, per quello che ci interessa, che l'espressione « area torinese » ha un contenuto estremamente diverso nella realtà di fatto e nella realtà di diritto, ossia nella normativa vigente. E questo nonostante la nuova disciplina per gli enti locali (Regioni, Comprensori) con le relative norme per la pianificazione del coordinamento territoriale.
In definitiva, quindi, l'espressione « struttura territoriale dell'area
torine-se » lascia ampia libertà per la scelta dei contenuti specifici, sia per ciò che concerne il concetto di « struttura terri-toriale », che in rapporto alla dimensio-ne reale dell'area toridimensio-nese.
Definire questi contenuti è evidentemen-te la prima condizione necessaria per proseguire nel lavoro.
3. Definizione di area torinese. Per area torinese ho considerato quella com-presa nei confini amministrativi della città di Torino. Alcuni sconfinamenti sono stati necessari per la organicità del-la trattazione, ma il criterio base rimane quello enunciato.
La scelta di questo contenuto ha eviden-temente un fondamento ben preciso, con-nesso al modello di analisi sul quale ho impostato il mio lavoro. Proprio per que-sta connessione, però, riprenderò breve-mente l'argomento più avanti; mi sem-bra più opportuno, qui, precisare il con-tenuto che, ai fini della ricerca, ho dato all'espressione « struttura territoriale », nel contesto del titolo completo « I corsi d'acqua nella struttura territoriale del-l'area torinese ».
4. Struttura territoriale. Il sostantivo « territorio » viene usato correntemente da sociologi ed urbanisti con contenuti sostanzialmente diversi da quello lette-rale, che è « estensione di dominio, di giurisdizione, di competenza »
In un suo recente volumetto con finalità didattiche, Bernardo Rossi Doria scrive che « chi volesse dare una definizione esauriente della parola territorio, si tro-verebbe oggettivamente in grande diffi-coltà », perché si tratta di un « termine che raccoglie in sé una quantità vastis-sima di dati e problemi », perché è una « sostanziale testimonianza permanente della storia dell'uomo », ma anche un « qualcosa di estremamente dinamico ed in movimento e dunque, al limite, la sua descrizione è sempre inattuale e non ag-giornata »2.
Ho citato queste frasi di uno dei più attivi divulgatori di notizie su problemi socio-urbanistici per accreditare una con-siderazione molto semplice: e cioè che quando non si usa una parola nel suo
senso letterale, bisogna assumerne uno convenzionale, e definirlo.
Nel nostro caso mi sembra chiaro che « territorio » sta per « ambiente ». Con questa precisazione però, non si fa che spostare il problema, giacché anche la parola « ambiente » è usata attualmente con significati e contenuti estremamente diversi e per lo più molto generici. Con-viene quindi fissare almeno un primo dato, e cioè che in questa sede il termi-ne « ambiente » è usato per definire il
rapporto degli elementi della morfologia del suolo con i manufatti o i segni del-l'intervento umano, entro una superficie — ambito — determinata da fattori na-turali necessari, oppure arbitrariamente secondo le esigenze di lavoro3.
5. Se i vocaboli « territorio » ed « am-biente » sono usati generalmente con cri-teri arbitrari e spesso molto approssima-tivi, il termine « struttura » ha avuto una sorte anche peggiore. Questa parola e tutte quelle che se ne possono derivare come aggettivi o come sostantivi, sono adoperate per indicare situazioni, forme concrete od astratte, insiemi di vario ti-po, ecc. Anche qui è perciò necessaria una definizione chiara che mi pare di poter formulare dicendo che per « strut-tura » intendo ciò che letteralmente si-gnifica la parola; cioè « un insieme
omo-geneo ed unitario composto di elementi che stanno in funzione uno dell'altro e ciascuno anche in funzione dell'insie-me ».
Accettate (in relazione a questo studio) le sopraesposte definizioni di territorio-ambiente e di struttura, possiamo stabi-lire un primo modello di analisi, dicendo che il corso d'acqua è considerato come
elemento della struttura complessiva del-l'ambiente dell'area torinese. Su questa
ipotesi di « modello » si deve però osser-vare in primo luogo che il concetto di struttura ambientale complessiva del-l'area torinese deve essere meglio defi-nito (e questo sarà fatto più avanti); in secondo luogo, che un corso d'acqua è, di per sé, una struttura. Il modello quin-di, deve essere espresso in termini più articolati, e precisamente dicendo che « i corsi d'acqua sono considerati come
struttura-elemento della struttura
plessiva ambientale dell'area torinese ».
Questa formulazione tuttavia non indi-ca ancora la linea di orientamento di fondo. Assumiamo quindi come modello definitivo il titolo stesso della ricerca, scomposto però e dilatato secondo le va-rie definizioni e i diversi contenuti che ho dato ad alcuni termini. Modello di analisi e scopo della ricerca possono quindi coincidere nella seguente proposi-zione: « analisi visuale dei corsi d'acqua
come strutture elementari in rapporto al-la struttura globale dell'ambiente del-l'area della città di Torino ».
6. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, e dopo aver ribadito il concetto che ogni corso d'acqua è stato conside-rato nel duplice aspetto di struttura a sé stante, e di elemento della struttura am-bientale complessiva cui si riferisce la ricerca, mi sembra opportuno passare, nella analisi metodologica, dagli elemen-ti oggetelemen-tivi (suolo, territorio, corso d'ac-qua, ambiente), alla esposizione dei cri-teri soggettivi secondo i quali sono state prodotte e serializzate le immagini foto-grafiche.
In primo luogo la condizione base: ogni fotografia ha una funzione di « notizia » sia in rapporto al corso d'acqua al quale si riferisce, e sia in ordine al tema gene-rale della ricerca. Il fatto che la foto-grafia sia comunicata come notizia deri-vante necessariamente da una scelta sog-gettiva (condizionata però da un tema dato) fa si che ogni immagine abbia la sua ragione di essere anzitutto in se stes-sa, e poi in quanto termine di confronto in un rapporto articolato tra l'ambiente prossimo e quello generale del territorio torinese.
Un discorso impostato sulla soggettività — relativa — della interpretazione e co-municazione, mediante immagine, di da-ti ambientali, deve essere svolto a mio parere partendo da un criterio, in appa-renza elementare, che non è ancora stato acquisito all'insieme dei concetti ai quali ordinariamente si ricorre per trattare i metodi e problemi della comunicazione visuale, e più precisamente della visua-lizzazione mediante fotografia. Il criterio al quale alludo è quello
dell'orienta-mento.
Sul problema dell'orientamento si è scritto molto in Italia ed all'estero, nel-l'ambito della problematica sulla valuta-zione della fotografia e della
comunica-zione fotografica, rispettivamente intesi
come mezzo di espressione e come mezzo
di informazione.
Non è questa la sede per fornire indica-zioni utili all'approfondimento dello stu-dio di tale problematica anche perché le fonti sono molto eterogenee (articoli su riviste di fotografia e no, cataloghi di mostre, recensioni a libri, ecc.) e tutt'al-tro che facili da reperire.
Ritengo invece più utile esporre alcune nozioni fondamentali che desumo da un editoriale pubblicato nel 1974 dalla ri-vista fotografica Camera4. Questo
arti-colo propone innanzitutto una osserva-zione che è bene riportare alla lettera: « Quello che un osservatore scopre in una immagine — si legge nel citato edi-toriale — deriva dal suo sapere e dalla sua esperienza; non è semplicemente il riflesso di una realtà, ma si fonda su dei segni e dei simboli ». Questa verità in apparenza elementare deve essere tenuta presente ogni volta che si legge una ri-cerca, o anche semplicemente una noti-zia espressa con fotografie. Il discorso sull'orientamento è stato comunque svi-luppato su una linea in sostanza ovvia, ma ricca di concetti essenziali.
Si parte da una serie di considerazioni comparative: un giovanotto che abbia oggi vent'anni è venuto al mondo dopo l'invenzione della televisione e dopo cer-te acquisizioni nella cer-tecnica della regi-strazione del suono e delle immagini. Il suo orientamento artistico è influenzato dalla pop-art, dalla op-art, ecc.; il suo concetto di musica è quindi necessaria-mente collegato alle"nozioni di stereofo-nia e di elettronica. Non potrà concepire alcuna idea, in rapporto alla musica, che non sia condizionata dalla conoscenza originaria che egli ha avuto di essa attra-verso i mezzi di riproduzione usuali nel momento in cui egli ha cominciato a percepire.
A fianco del ventenne, un uomo di quarant'anni, ha nel proprio patrimonio mentale le nozioni di aeroplano, di radio e di automobile acquisite nella giovi-nezza; il suo concetto di musica è con-dizionato dalla conoscenza delle
regi-strazioni su disco monofonico; il suo at-teggiamento nei confronti della comuni-cazione visuale è legato alla conoscenza iniziale della fotografia, del cinema e poi della televisione. Se infine conside-riamo insieme ai due precedenti un uo-mo di ottant'anni, dobbiauo-mo aver pre-sente che egli ha vissuto l'inizio della elettrificazione, dell'automobile; che ha conosciuto l'esplosione dell'arte « de-co », e che il suo de-concetto di musica si è formato sull'ascolto diretto nelle sale di concerto; quindi nel giudizio, per obiettivo che egli voglia formularlo, è orientato da quelle nozioni originarie, alle quali si sono sovrapposte le succes-sive esperienze derivate dall'evoluzione della tecnica. In fatto poi di conoscenza visiva, evidentemente l'uomo che oggi ha ottant'anni ha due termini originari di riferimento: l'osservazione diretta, e la conoscenza attraverso le arti figurative. La fotografia è stata per lui una novità da assimilare e da aggiungere alle pre-esistenti nozioni di supporto; e cosi via per il cinematografo, il colore, la televi-sione.
Abbiamo quindi un primo esempio del coesistere in una medesima società di numerose generazioni, che hanno nei confronti della realtà concreta un orien-tamento diverso per la diversa qualità delle notizie e dei modi di
comunicazio-ne delle notizie, mediante i quali si è
formato il loro bagaglio mentale. Se restringiamo queste considerazioni al campo della ricerca e della comunicazio-ne mediante l'immagicomunicazio-ne fotografica, pos-siamo constatare subito che l'orienta-mento ha due valori ben precisi. Sotto il primo aspetto, infatti, esso entra in gioco come atteggiamento tecnico cultu-rale di chi produce le immagini; d'altra parte, l'orientamento riguarda l'oggetto fotografato. È evidente che i due aspetti sono collegati; ma restano tuttavia mo-menti diversi quello della scelta concet-tuale da parte del fotografo, e quello del-la angodel-lazione, deldel-la posizione, del mo-mento di luce nel quale egli fisserà l'im-magine.
Un altro argomento rilevante è che in fotografia, la prospettiva, l'angolo visua-le, la incidenza della luce, possono fare perdere ad una immagine quel valore che può essere definito: familiarità.
sono, al limite, rendere irriconoscibile l'immagine: deformarla o snaturarla completamente.
Cito a questo riguardo, come semplice indicazione orientativa, un recente libro del Degrada5 dove l'autore a fianco
del testo (storia dell'arte), si vale di im-magini fotografiche che non rendono quasi mai l'oggetto fotografato con l'im-magine familiare né all'osservatore di-retto, né al fruitore di informazioni vi-suali.
Se la immagine fotografica può togliere la « familiarità » o addirittura la ricono-scibilità all'oggetto fotografato, è anche vero che la comunicazione visuale può conferire ad una persona, ad un oggetto, ad una architettura o ad un paesaggio, una « familiarità » che in realtà non esi-ste. Può costituire in chi la recepisce una conoscenza fittizia, ossia una familiarità artificiosa che non troverà riscontro nel-la osservazione orientata normalmente. Basterà pensare al banalissimo esempio della cartolina illustrata: mai, o quasi mai, l'osservatore che passa nella città, che percorre la strada di montagna, che arriva nella piazza del paesino, vede l'ambiente nello stesso modo con cui lo ha conosciuto attraverso le cartoline il-lustrate, o con cui lo conoscerà il desti-natario di esse.
Se dunque l'orientamento ha un peso così rilevante nella semplice comunica-zione visuale occasionale (per esempio quella data dalla cartolina, o dalla istan-tanea del « gruppo di famiglia ») è fa-cile immaginare quale peso abbia in un processo di ricerca.
Più sopra, a proposito delle cartoline illustrate, ho parlato di « ambiente ». Ora, proprio a questo volevo arrivare; a precisare cioè come l'orientamento che sta alla base del mio lavoro di ricerca di comunicazione mediante la fotografia, sia quello di cogliere la realtà
ambienta-le, non la ipotetica fisionomia oggettiva,
il valore morfologico astratto del luogo fotografato.
Gisèle Freund della scuola di T. Adorno scrive che ogni fotografia costituisce pri-ma di tutto un documento; di fronte a questa posizione è necessario porsi la domanda: un documento di che cosa? Non è questa la sede per approfondire temi più pertinenti ad altri settori di stu-fi
dio della fotografia; sulla questione del valore dell'immagine fotografica come « documento » piuttosto che come « no-tizia » o « copia », espressione autono-ma di un concetto, ecc., si spendono mol-te parole né chiare né utili, mentre è di tutta evidenza che non esiste una rispo-sta valida per le differenti ipotesi. O me-glio ne esiste una sola, imprescindibile: ogni fotografia di un oggetto (in senso lato) documenta in assoluto soltanto la possibilità che, nell'attimo in cui è stato fotografato, quell'oggetto potesse dare l'immagine fissata.
Questa è una caratteristica universale e costante della fotografia, ma è ben lungi dall'accreditare l'enunciazione che ogni fotografia sia un documento, nel senso che comunemente si dà a questo termi-ne. Piuttosto è vero che la fotografia documenta l'orientamento del fotografo e allora, per converso, si deve dire che il fotografo, a seconda del proprio orien-tamento, tende a costituire una certa spe-cie di documento secondo il fine che vuo-le raggiungere.
Per questa ricerca ogni luogo è stato se-lezionato; fissato in una, ma più spesso in numerose fotografie quasi identiche ma non identiche; variano infatti le mo-dalità tecniche di ripresa, cioè la scelta dei tempi di esposizione, di apertura di diaframma, ecc. Elementi che in sostan-za costituiscono, nell'ambito della ricer-ca, una frazione di ricerca sullo stesso oggetto.
Quindi l'insieme delle immagini raccolte deve essere letto come espressione di un orientamento tendente a documentare una serie di valori ambientali, in fun-zione dei rapporti tra corso d'acqua e territorio; cioè di rapporti ambientali.
eccetera, desumibile dagli studi critici e dalla produzione in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto dell'ultimo decennio. Mi sembra quindi necessario concludere questa parte generale con una citazione, sia pure sommaria, delle posizioni più autorevoli.
Il fascicolo del giugno 1972 di « Came-ra », dedicato al tema « Environnement urbain », pubblicava un editoriale mol-to attenmol-to di Allan Porter ed alcune bre-vi monografie su fotografi che erano, e restano, tra i più significativi dell'orien-tamento, appunto, alla documentazione dell'ambiente urbano: F. H. Evans, B. e H. Becher, A. Sinsabaugh, Ed Ru-scha6. Inutile dire che una
panorami-ca esauriente, anche se ridotta all'essen-ziale, degli studi e della produzione su questo tema, richiederebbe la citazione di numerosissime altre fonti ed autori7;
per il fine di questo lavoro sono suffi-cienti, a mio parere, le citazioni che se-guono, e le indicazioni esposte in nota e nella bibliografia, ad orientamento di chi volesse approfondire settori specifici. Sempre tenendo conto che i riferimenti ad architettura, edifici, ecc., possono, an-zi, devono essere estesi a tutti i manu-fatti e anche alla assenza di manumanu-fatti, giacché in un contesto come quello costi-tuito da un agglomerato urbano, la ca-ratteristica ambientale (mi riferisco alla definizione di ambiente data più indie-tro) di certe zone del territorio può deri-vare anche dalla assenza di manufatti, dall'abbandono allo stato naturale, quan-do assenza e abbanquan-dono manifestano
ca-renza di intervento, e non un non inter-vento di rispetto derivante
dall'attuazio-ne di uno strumento di pianificaziodall'attuazio-ne territoriale.
Scrive Allan Porter nel citato articolo « Urban Environment »: « La fotografia ha avuto un ruolo molto significativo nella storia dell'architettura moderna. Ci ha permesso di riunire una grossa docu-mentazione sugli edifici, i monumenti storici e moderni situati sia nel loro "in-torno" autentico, sia artificiosamente isolati o trasportati in un altro contesto. (...) La fotografìa ha quindi permesso al profano di essere meglio tenuto al cor-rente dell'aspetto della città nella quale vive, e praticamente chiunque è in gra-do di trovare indicazioni su certe
strut-ture e certi edifici raggruppati per pe-riodo di un decennio: "La fine secolo", "Il mondo della prima guerra mondia-le", "La recessione", "Il mondo della seconda guerra mondiale", oppure "Il dopo guerra" e "L'era del ' p o p ' " .
(...) La fotografia è passata dalla sempli-ce descrizione alla critica, sia personale
che costruttiva »8.
Su queste premesse A. Porter si chiede: « Quale influenza può avere l'architet-tura sulla nostra vita, la nostra maniera di vivere, e l'ambiente nel quale vivia-mo? La fotografia non è in grado di for-nire una risposta definitiva a questo que-sito ma qui — come in qualsiasi anali-si — individuare il problema è già un grosso passo avanti verso la soluzione. Il ruolo della fotografia è proprio que-sto, e sia per la generazione presente che per quelle che verranno. I fotografi (dell'ambiente urbano) ...valgono per noi, in realtà, quanto una critica costrut-tiva della nostra epoca » 9.
E, a proposito di Art Sinsabaugh: « Le fotografie riprese da Art Sinsabaugh a Champlian nell'Illinois e a Chicago mo-strano installazioni "opinabili" di gran-di città moderne. Autostrade a più piste sovrapposte che, in luogo della ferro-via, smembrano e sviliscono (dépècent) l'aspetto della città e sono la testimo-nianza tangibile dell'ingordigia dell'uo-mo per il possesso dell'autodell'uo-mobile e di case, senza il minimo senso di responsa-bilità per l'aspetto umano dell'assetto della città ».
Ancora più pertinente, forse, il commen-to ai lavori di Ed Ruscha: « La maniera e la concezione dei suoi soggetti (di Ed Ruscha) spesso velano le sue vere inten-zioni, e cioè la critica intesa in senso vi-suale (...) ». In ogni caso egli ci prova che la "non-funzione" dell'ambiente cit-tadino deriva dalla mancanza di una vera pianificazione architettonica e dal-la non considerazione per i bisogni par-ticolari di ogni individuo.
I bisogni dell'uomo sono una ragione perentoria per rivedere il panorama, l'as-sieme delle nostre città attuali.
II risalto dato alla situazione dominante, quale è consentito dalla fotografia, unito all'atteggiamento critico dei fotografi, permettono di lanciarsi in una analisi
fondamentale dei fatti, e quindi di av-viarsi verso soluzioni nuove (...)10.
Il riferimento specifico alle riproduzioni contenute nel fascicolo è, tutto somma-to, irrilevante. Sono i concetti generali, le indicazioni sul contenuto di un certo tipo di fotografia, la materia pertinente, e molto da vicino, questa ricerca e l'orientamento con cui l'ho realizzata. E voglio concludere riportando lo stral-cio da uno scritto di Frank Lloyd Wright del 1958 A vent'anni di distanza, la constatazione di quanto poco siano state ascoltate voci oneste e competenti come quella di Wright (e di tanti altri), giu-stifica — casomai occorresse una giusti-ficazione — e rende meritoria la pro-mozione di ogni ricerca, di ogni inizia-tiva per la sensibilizzazione della comu-nità, sui problemi dell'ambiente urbano. « Elemento di grande rilevanza per noi — per noi in quanto popolazione — è il fatto che, per poter vivere in modo più agevole, occorre che le nostre città'siano più idonee a soddisfare tale esigenza. Il concetto di pianificazione di Broada-cre significa semplicemente che ogni co-struzione, ovunque si trovi e quale che sia la sua natura, deve essere idonea al nuovo ambiente che si è cercato di rea-lizzare per la migliore utilizzazione dei materiali e delle attrezzature. Con la mo-bilità universale e l'elettrificazione i vec-chi principii di collocazione degli alloggi hanno perduto tutto il loro significato. Un piano deve essere concepito in modo tale da proporre nel migliore dei modi il miglior genere di costruzione e la sua collocazione più appropriata, consirando che l'ubicazione è un fattore de-terminante per la dinamica degli abi-tanti.
L'epoca delle costruzioni sontuose e co-stose è passata. Grazie alla propria espe-rienza ed alla forza motrice l'uomo può scoprire nuove fonti di energia. Quello che è certo è che l'uomo ha già fatto proprie certe capacità degli uccelli, cosi come aveva già acquistato quelle dei mammiferi e dei pesci.
La sicurezza dell'uomo nel mutevole ci-clo della vita consiste nell'utilizzazione delle forze naturali in modo rispondente al proprio temperamento nell'ambito di una città libera. La città del futuro esi-gerà motivazioni più profonde e dovrà
tenere conto delle nuove possibilità del-lo spirito umano.
Tutto ciò che sarà disponibile — forza motrice, suolo e danaro — dovrà essere utilizzato per assicurare un'architettura in armonia con la vita, e non per il ge-nere di vita attuale minacciato da distru-zione dovuta a eccessi e negligenze fatali che rischiano alla fin fine di distruggere lo stesso genere umano.
Per essere adatta al XX secolo l'architet-tura di queste città meravigliose dovrà soddisfare esigenze altamente spirituali e non dovrà dipendere dal beneficio che potranno ricavarne le due parti. Oggi il profitto sembra essere una necessità pub-blica, ma il danaro, di per sé, non do-vrebbe rappresentare una potenza e non dovrebbe essere mezzo per qualsivoglia speculazione; il danaro non dovrebbe es-sere altro che un mezzo di scambio » n.
Il Sangone
1. Il territorio di Torino è segnato in modo perentorio da Sangone, Po, Dora, Stura 13.
È facile, dalla lettura di una mappa in scala adeguata, constatare che condizio-ni oggettive dell'insediamento umano stabile e tendente a crescere, sono state la larga agibilità di un terreno vitalizza-to, e in un certo senso servivitalizza-to, da alcuni corsi d'acqua. Torino infatti nasce ac-canto alla Dora; le vestigia più antiche sono a un paio di chilometri dalla riva sinistra del Po, certo presente fra le cau-se dell'incau-sediamento originario per ra-gioni ovvie (pietrame, sabbia, pesca, ba-luardo, ecc.) ma più temibile della Dora per il regime delle sue acque, e meno uti-lizzabile immediatamente, per la scarsa pendenza che non consente di derivare bealere e flussi analoghi.
Sangone e Stura invece erano entità to-talmente estranee alle ragioni dell'abita-to, ma certo non cosi lontani da non es-sere valutati per quello che erano: ac-qua, cioè causa di vita e fertilità per il terreno adiacente.
La città poi è cresciuta spingendosi a
monte, prevalentemente verso il Sango-ne, ma ha raggiunto il torrente solo ne-gli ultimi decenni, nel punto più lontano dalla confluenza col Po, dove si è con-fusa con l'abitato di altri due comuni: Nichelino e Moncalieri. Questa la situa-zione materiale, cosi evidente ed ovvia che non mi pare necessario produrre do-cumenti.
L'analisi comincia invece con due pun-tualizzazioni inerenti proprio il territo-rio e l'ambiente.
In rapporto al territorio è importante constatare che il Sangone oggi costitui-sce in alcuni tratti confine amministrati-vo per la città di Torino, mentre in altri punti fiancheggia o scavalca ripetuta-mente tale confine finché, dopo una escursione nel territorio di Moncalieri, rientra a Torino per buttarsi nel Po. Il fatto di costituire confine amministra-tivo, di fiancheggiarlo o scavalcarlo in là e in qua, conferisce già al Sangone un carattere specifico, non solo morfologi-co, che giustifica l'assunzione di questo torrente come struttura elementare, nel senso accennato in premessa.
La ricerca, quindi, deve tenere conto di questo valore di struttura elementare, ma deve anche essere sempre in funzio-ne del rapporto con la struttura ambien-tale complessiva del territorio di Torino. Emerge allora un'altra caratteristica di questo torrente che è quella di essere sta-to presente, da più di due secoli, come specifico e non irrilevante elemento am-bientale in rapporto immediato con la città, Torino.
Questa seconda caratteristica rende più facile l'analisi impostata, come ho detto, sulla acquisizione del valore strutturale autonomo ma in funzione del rapporto con la struttura ambientale di un terri-torio più vasto.
2. Volendo ridurre a proposizioni ele-mentari le due angolazioni dalle quali si articola la ricerca, possiamo esprimere il primo momento (quello cioè che consi-dera ogni corso d'acqua come struttura elementare) con la domanda: « Come è fatto? ». Ed il secondo, quello che rap-porta il singolo corso al territorio nella sua interezza, con la domanda conse-guente: « Come è utilizzato? ».
Le domande sono semplicistiche solo in apparenza; infatti né al « come è fatto » né al « come è utilizzato » si può rispon-dere in base alla semplice osservazione orientata dei luoghi, e questo tanto più in una ricerca la cui semantica è costi-tuita essenzialmente da fotografie am-bientali.
Affinché la comunicazione visuale che ri-sponde ai quesiti « come è fatto? » e « come è utilizzato? » abbia un conte-nuto positivo (cioè non sia comunicazio-ne di immagini artificiose rispetto alle finalità della ricerca) lo studioso-foto-grafo, o l'artista-fotostudioso-foto-grafo, deve rilevare i dati morfologici dei luoghi (stato di
fatto) avendo in mente sia certe norme
specifiche vigenti (stato di diritto), che gli interventi o non interventi proposti dagli strumenti urbanistici (stato di
piano).
Ora, il fatto che il Sangone costituisca in alcuni tratti linea di confine col terri-torio di altri Comuni, porta con sé che le due sponde del torrente siano soggette in certi punti a regolamentazione ammi-nistrativa emanata da organi diversi e autonomi. Questa situazione incide di per sé, sulla fisionomia morfologica e ambientale; ma il peso di questa inci-denza (che concerne direttamente il « co-me è fatto ») può essere valutato corret-tamente solo se si tiene conto anche della seconda caratteristica del Sangone, quel-la di valore ambientale presente da oltre due secoli nel rapporto territoriale cam-pagna-città.
Conviene quindi chiarire meglio questa seconda caratteristica prima di passare alla guida per la lettura delle fotografie che costituiscono nel loro insieme — è meglio ripeterlo perché è un dato fonda-mentale — la struttura portante, per cosi dire, della mia ricerca.
3! La più lunga delle grandi vie diret-trici che costringono Torino nel suo pa-radossale schema a scacchiera, parte dal Palazzo Reale e finisce alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. È un invito plurise-colare al « continuum » urbanizzato (ve-dasi la Nota 1 alla Premessa) che va realizzandosi in questi anni. All'origine però la strada ha la funzione prevalente di legare il Palazzo Reale (centro del
tere e, con le sue adiacenze, centro ope-rativo) alla Palazzina di Caccia ed al bel-lissimo complesso di edifici rurali che, sul filo di una logica tipicamente pie-montese, esprimono la nobiltà del lavoro a petto della nobiltà del sangue, la armo-niosa compresenza (giacché l'insieme ar-chitettonico dei poderi è veramente una stupenda hall alla Palazzina del Juvarra) del vivere lavorando, col vivere dilette-volmente del lavoro altrui.
Se anche si voglia considerare l'insieme di Stupinigi estraneo alla struttura am-bientale che ha la sua causa nel Sango-ne, sta il fatto che la strada scavalca il torrente (che proprio in quel punto, og-gi, costituisce confine amministrativo) in una zona di boschi ancor oggi (per quello che ne è rimasto) accessibili e go-dibili; e che le rive del Sangone sono ricche di verde; che l'insieme naturale di questa zona poco più alta rispetto al livello di Torino, è l'alternativa dilette-vole al lavorare o comunque al vivere in città.
Né si può dire che la costruzione di Stu-pinigi e della strada sia rimasto un epi-sodio di esercizio arbitrario del potere principesco, privo di un fondamento pro-prio di necessità nel rapporto ambienta-le, e quindi privo di una naturale ten-denza ad ampliare tale rapporto. La zo-na poco più a valle dell'incrocio tra la via direttrice ed il Sangone si chiama, non a caso, Mirafìori, e li poco più di un secolo dopo Stupinigi, un altro re stabi-lisce una « alternativa » agli oneri urba-ni del potere.
Vittorio Emanuele II infatti sistema la propria moglie morganatica a Mirafìori. E poco più tardi un collegamento per trasporto di persone farà della zona del Sangone una meta non più solo aristo-cratica ma popolare (intendendosi popo-lo come « altro » dalle classi detentrici del potere), per la evasione dalle stret-toie della città.
In conclusione la strada che si è rivelata la direttrice ovvia del continuum urbano-rurale oggi esistente, in origine era la concreta espressione del rapporto consa-pevole e vissuto tra due ambienti ele-mentari — zona urbanizzata e zona San-gone — in un ambito territoriale defi-nito: quello di Torino città e capitale.
4. Come è, oggi, il Sangone? Come è stato utilizzato? Queste domande, pure intese nell'accezione più ampia, sareb-bero accademiche se non preludessero ad un'altra, obbligatoria: che cosa fare? La lettura delle fotografie non suggeri-sce soluzioni; le fotografie costituiscono notizia critica relativamente allo stato di fatto 14, per servire alla formulazione di
proposte realistiche e civili.
5. Il Sangone in zona Mirafìori. Le ri-prese fotografiche cominciano al con-fine di Torino e seguono il corso del torrente.
Le immagini dal n. 4 al n. 12 hanno fissato situazioni che caratterizzano im-mediatamente il valore ambientale. An-zitutto salta agli occhi come l'assieme naturale, il paesaggio, sia frantumato e messo decisamente in secondo piano ri-spetto alle infrastrutture destinate al ser-vizio della città.
Il greto del torrente serve per un lungo tratto di supporto per il raccordo della strada tangenziale. La pesante linea di ombra che compare nelle fotografie 4, 8 e 12 è, credo, ancor più eloquente della strada stessa. Nelle fotografie da 5 a 11 i tralicci delle linee elettriche do-minano il paesaggio.
La presenza di orti abusivi, di piccole baracche cosi palesemente vicine alla utopizzata e tanto spesa dimensione umana può apparire come un antidoto, una parziale compensazione alla prepo-tente invadenza dei tralicci, dei cavi, dei piccoli edifici per i servizi. In realtà sono testimonianza di un abuso tollerato che non giustifica né compensa il cattivo uso legalizzato.
Abuso e cattivo uso lasciano occasional-mente il posto all'assenza di intervento. Le fotografie 13/16 mostrano rive erose, totalmente indifese, di fisionomia pre-caria.
Alla macchia di verde che ancora esiste sotto il raccordo della tangenziale si può forse arrivare, ma a questo punto non più attraverso accessi agevolati, non per una destinazione di quel verde al godi-mento pubblico, ma ancora una volta sforzando la macchia stessa, quando non addirittura violando recinzioni di reti metalliche.
Il peso del raccordo autostradale è stato visualizzato nelle fotografie da 1 a 10 riprese nel 1978. Negli anni dunque che vanno dall'inizio dei lavori alla strada aperta e ormai in pieno esercizio, non c'è stato alcun intervento di recupero o di assestamento dell'ambiente naturale. La visione familiare di chi percorre l'au-tostrada è quella espressa nella foto-grafia 11 e cioè che la città cominci al casello, e che tutto ciò che non è asfalto sia un accidente del suolo da smaltire anziché da recuperare.
Nelle fotografie da 17 a 32, le due rive sono state riprese insistentemen-te con una ripetizione di immagini che ha lo scopo di fissare il senso dell'ab-bandono. Abbandono tuttavia — ne fan-no fede certi pali della luce, certe pro-paggini avanzate anche se isolate di fab-bricati — non a un riequilibrio ecolo-gico naturale, per quanto possibile in un ambito cosi limitato, ma abbandono come disinteresse per ciò che non è im-mediatamente o utilmente acquisibile. Se le fotografie 37 e 41 fossero state fat-te per cogliere una serie di contrasti cro-matici, per creare un quadro d'assieme vivo e, perché no, gradevole nella biz-zarria dei contrasti, dovrebbero stare anonime, non localizzate, espressioni di una scelta artistica. Ma, come fotografie che compongono la ricerca sul Sangone, comunicano che le rive servono per de-posito di contenitori vuoti, oppure che tra il verde della boscaglia e la tran-quillizzante presenza di una casa rurale è in funzione un grosso impianto di esca-vazione.
Nella fotografia 45 compare una delle tante reti che precludono il passo lungo le rive.
Sull'alternanza tra zone di abbandono, zone di supporto per infrastrutture, di abusivismo spicciolo e di abusivismo pesante, si può praticamente impostare tutto il discorso sul Sangone.
struttura elementare in quella comples-siva del territorio, si potrebbe dire che Torino da cinquant'anni ad oggi — cioè dal momento del decollo della grande industria locale — ha rinunciato al patri-monio naturale e culturale costituito dal corso del Sangone, non solo alienando materialmente dalla propria struttura ter-ritoriale certi specifici insiemi ambien-tali, ma soprattutto negando alle zone ancora godibili la tutela normativa e le strutture di accesso, di praticabilità; in una parola, abbandonando all'abuso o all' uso sconsiderato di pochi, un residuo patrimonio territoriale che nella cultura torinese era ed è ancora conteggiato. Se le ragioni dell'industrializzazione so-no preminenti, nulla esclude che possaso-no e debbano essere coordinate alla salva-guardia del patrimonio ambientale che non deve essere necessariamente sacri-ficato.
Questo è il senso emergente dalle im-magini fotografiche che ho fissato, anche lungo il corso medio e poi all'innesto del Sangone nel Po.
6. Il corso medio del Sangone. In una
ricerca i cui risultati sono espressi da un corpus di immagini fotografiche, il com-mento alle fotografie, anche se fatto dal loro autore, è di per sé snaturante. L'in-dice delle fotografie raggruppate e loca-lizzate dovrebbe essere sufficiente per la comprensione del discorso critico e l'ulteriore approfondimento di tempi specifici. (Giacché una « ricerca », con tutta evidenza, vale quanto valgono i dati reperiti, i problemi individuati, i riferimenti fissati; la proposta di solu-zioni alternative allo stato di fatto es-sendo estranea allo spirito e alle finalità di essa).
Mi sembra tuttavia opportuno rendere ancora più agevole lo studio di questa ricerca, con puntualizzazioni e chiari-menti che vogliono essere più didascalia che commento.
Quando più sopra ho scritto che Torino ha rinunciato al patrimonio naturale e culturale del Sangone, non ho fatto altro che esporre a parole il risultato neces-sario della somma di certi dati visuali. La dinamica della industrializzazione (alla quale evidentemente Torino non
può sottrarsi) tende ad incrementare, a enfatizzare certi fattori del proprio pro-cesso di sviluppo: consumo di energia, mobilità dei lavoratori, rapidità dei rap-porti, concentrazione di unità abitative. Ecco allora, nelle fotografie, i tralicci per il convogliamento dell'alta tensione verso le centrali di distribuzione e le linee di distribuzione al consumo; ecco il raccordo autostradale; gli edifici senza fisionomia, punte avanzate della prolife-razione edilizia.
L'ambiente naturale, d'altra parte, non è stato cancellato: il Sangone c'è, ci sono le macchie di verde, luoghi intatti e ame-ni. L'antico rapporto di mutuazione di valori tra città e campagna dello stesso ambito territoriale, lo si legge nella per-sistenza di monumenti come il mausoleo della Bela Rósin.
La interruzione di quel rapporto, il vo-ler perdere quello che resta dell'antico patrimonio ambientale-culturale, sono notizie sicure date da queste fotografie ambientali in cui è costante la non pre-senza di qualsivoglia segno di intervento per la conservazione e agibilità dei luo-ghi godibili; mentre la presenza dei pic-coli orti abusivi, delle discariche detur-panti, delle cave, comunica la carenza di norme e l'incuria nel farle osservare. Praticamente in ogni fotografia, o in ogni gruppo di fotografie, sono presenti la tendenza ad imporsi comunque della cit-tà industriale sull'insieme naturale, la persistenza di zone godibili ma l'assenza di attrezzature che le rendano pratica-mente tali; la rinuncia, quindi, ad un recupero.
7. Il Sangone alla confluenza con il
Po. Le necessità di approvvigionamento
idrico di Torino hanno portato ad una rettifica dell'ultimo tratto del corso del torrente. Il semicerchio descritto dall'ul-timo tratto del torrente isolava verso il Po un largo tratto di suolo: il semicer-chio è stato eliminato con un canale artificiale che devia il corso del torrente direttamente nel fiume, e l'area è stata recuperata per le installazioni di depu-ramento delle acque.
La visualizzazione di questa modifica non può che notificare il cambiamento morfologico; qualsiasi ipotesi di
com-mento o di analisi critica sull'intervento in sé, sarebbe assurda.
Nell'ultima parte di questa relazione però saranno esposte alcune osservazio-ni di confronto tra lo stato di fatto e lo stato di piano 15 (momenti entrambi
pre-senti nell'orientamento oggettivo della mia ricerca) e verrà allora evidenziato una incongruenza grave, che coinvolge ovviamente anche il Po. Un cenno a que-sta situazione, comunque, è contenuto nel commento al pannello IV della Mostra.
Il Po
1. Fotografie dal 1870 agli anni '30.
Intorno al 1870 il fotografo torinese Henry Le Lieure pubblicava un album, « Turin ancien et moderne » 16,
compren-dente una ventina di stampe fotografiche precedute ciascuna da una nota illustra-tiva di autori diversi tra i quali il Cibra-rio, Lessona, Bersezio, Sclopis e lo stesso Le Lieure. Si tratta di una raccolta estre-mamente rara, ma reperibile presso la Biblioteca della Civica Galleria d'Arte Moderna di Torino; inoltre alcune delle fotografie più significative di questo al-bum sono state incluse nella Mostra « Lotografi del Piemonte » (Torino, Pa-lazzo Madama - giugno-luglio 1977), e riprodotte nel catalogo della mostra stessa 17.
Le ragioni per cui ho iniziato la tratta-zione relativa al Po riferendomi alla rac-colta del Le Lieure, sono tre. Anzitutto perché si tratta di una fonte di notizie visuali obiettivamente molto importante, anche solo per la data, che consente di valutare gli effetti di un secolo sulla fi-sionomia ambientale degli stessi « og-getti ». In secondo luogo perché questa opera avvalora il discorso da me fatto in premessa circa l'orientamento sogget-tivo ed oggetsogget-tivo, e il diverso contenuto che — in base ad esso — si può leggere nella immagine fotografica. Infine perché le fotografie di Le Lieure ed i relativi commenti anticipano, sia pure senza una esplicita presa di posizione dell'autore, il criterio di proporre la fotografia — ed il testo di commento — come « notizia »
sulla struttura elementare del luogo o monumento fotografato e sul rapporto con la struttura territoriale dell'area to-rinese. E questo proprio con riferimento al Po. Non è poi casuale che sia un fo-tografo, Le Lieure, a proporre un certo modo di considerare l'ambiente o il mo-numento nel suo intorno ambientale. Nell'album di cui si tratta il Po compare parecchie volte proprio come un elemen-to della struttura del terrielemen-torio di Torino. È ben vero che i testi di commento, tran-ne due, non sono di Le Lieure; ma il fatto di averli richiesti a persone diver-samente qualificate e di averli inseriti nel proprio album ad integrazione delle fotografie, e di avere egli stesso scritto e con molta competenza il commento alle ultime due immagini della raccolta, fa di Le Lieure l'autore unico di un corpus voluto non soltanto come documentazio-ne cristallizzante determinati momenti o determinate visioni, ma come intervento critico ed informativo.
Vediamo quindi alcuni dei passi di testo, il cui significato può essere colto adegua-tamente anche se non si ha sotto occhio l'immagine 18.
Luigi Cibrario commentando la prima fotografia « Panorama di Torino » 19,
scrive: «(...) La costruzione della ma-gnifica Piazza Vittorio Emanuele (attual-mente Piazza Vittorio Veneto) che lega
la città al ponte sul Po, costruito dal
governo francese, era stata ordinata dal Re Vittorio Emanuele 1° nel 1819. Il piano però era troppo grandioso e trop-po costoso, i costruttori mancarono, no-nostante le numerose agevolazioni che erano state loro assicurate. Carlo Lelice, avendo modificato il progetto primitivo, f u più fortunato, e non solamente la piazza f u edificata in poco tempo, ma ai due lati, a sud ed a nord, un gran nume-ro di quartieri eleganti sorse come per incanto è formò, per cosi dire una nuova città ».
Ecco un primo esempio di come si sta-bilisca un rapporto tra la città vecchia o tra la città praticata, e un nuovo corpo distaccato di essa che sorge per la co-struzione di una piazza legata diretta-mente ad un ponte sul Po.
A proposito di questo ponte e di questa piazza, è da citare un altro documento significativo: la lettera che Vittorio
Ema-nuele 1° scrisse al fratello Carlo Lelice il giorno dopo il suo ingresso in Torino sotto la scorta di 10.000 soldati au-striaci 20.
Il Cibrario proseguendo nella descrizio-ne sommaria dello sviluppo urbano di Torino dice ancora che sotto il regno di Carlo Alberto si formò rapidamente il « Borgo Nuovo »: «(...) una serie di bel-le case si allineò lungo il corso del Po; e il quartiere o sobborgo di Vanchiglia apparve a nord della città ».
Siamo quindi sempre in un ambito ur-bano, sia pure distaccato dal nucleo principale, che ha la sua ragione di es-sere nella presenza del ponte di pietra sul Po costruito dai francesi; cioè nella possibilità di attraversare agevolmente il fiume per accedere alla collina anti-stante.
Altri dati pertinenti il rapporto tra Po e tessuto urbano si possono desumere dal-l'album di Le Lieure. A proposito della fotografia di piazza Statuto, che era la realizzazione più recente nel momento in cui l'Album fu pubblicato, il Rocca lamenta che sia stato edificato un insie-me cosi grandioso e costoso, in un luogo tutto sommato non tanto importante, mentre sarebbe stato più opportuno « vedere prontamente guarnite di co-struzioni le nuove strade aperte verso il Valentino, località altrettanto sana e molto più commerciale che non Porta Susa ».
Siamo quindi sempre in una comunica-zione visuale che non considera il mo-numento, l'insieme monumentale, a sé stante, ma lo rapporta alla città e, come si è visto, ad una città che ha nel Po (e, come vedremo, anche nella Dora) ele-menti di fondamentale importanza sia in ordine all'assetto urbano, che allo svi-luppo economico, sociale, culturale. Naturalmente la presenza del fiume di-venta dominante quando Le Lieure foto-grafa la piazza Vittorio.
L'immagine2 1 dà una straordinaria
sen-sazione di continuità tra la piazza ed il borgo oltre il fiume. È chiara l'in-tenzione di Le Lieure di mettere in evi-denza non solo questa continuità, ma anche il legamento con la Vigna della Regina, che appare netta al termine del lungo viale che parte di fianco alla
chie-sa « ufficiale » della città, La Gran
dre. Il Po, in sostanza, da questa foto-grafia, appare molto meno largo di quan-to non sia, mentre la prospettiva ingan-nevole lascia quasi supporre altri passag-gi, oltre al ponte di pietra. È evidente-mente una fotografia critica, una foto-grafia che crea una proposta di ambien-te, anziché fissare l'immagine dell'« am-biente familiare » cioè della piazza che finisce al Po e di una borgata che da questa è ben separata.
Da parte sua il commentatore, G. A. Garberoglio, oltre a dare alcune notizie strettamente storiche e tecniche, insiste sul rapporto funzionale tra la piazza (re-lativamente nuova) e la città vecchia, il centro storico. Garberoglio elenca in-fatti le strade che fanno capo a Piazza Vittorio, cominciando dalla importantis-sima via Po, che collega direttamente la piazza Castello ed il Palazzo Reale, la via d'Angennes, attualmente via Princi-pe Amedeo, la via Bava, via Vanchiglia, via Barolo; poi via della Rocca che, rile-va sempre il Garberoglio, conduce al corso del Re (oggi corso Vittorio Ema-nuele), al ponte sospeso sul Po e al nuo-vo giardino del Valentino. « Fu precisa-mente questa strada che seguirono nel
1842, al loro ritorno da Stupinigi, dove era stato celebrato il loro matrimonio, gli augusti sposi Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide di Lorena; essi attraver-sarono la piazza Vittorio trasformata in giardino, e arrivarono al Palazzo Reale in mezzo ad una folla entusiasta ». Se l'avessimo cercata di proposito, non avremmo potuto trovare una indicazio-ne altrettanto significativa del collega-mento e della presenza vitale dei due corsi d'acqua dei quali ho parlato sin qui: e cioè del Sangone, al quale si deve praticamente la amenità dei luoghi ove sorge la palazzina di Stupinigi, con il Po, che nel 1842 offriva il nuovo parco del Valentino a lato del grande Castello e si allacciava al centro urbano tramite là piazza Vittorio e le importanti strade che ho appena ricordato.
Inoltre, sempre dal testo che commenta la fotografia, si apprende che a sinistra del ponte c'è il Caffè Inglese, maison dorée di Torino, che ricorda festose riu-nioni di Carnevale.
Piazza Vittorio, quindi, edificata per ti-rare il centro urbano verso il Po, e
me-diante il grande ponte di pietra sull'altra sponda, pare aver risposto alle intenzio-ni del progetto urbaintenzio-nistico. Costituisce infatti sede insostituibile per momenti di vita cittadina che vogliono spazio e coreografia, come le carnevalate e le pa-rate militari : e « sente » necessariamen-te la presenza del Po, per il quale si progettavano proprio in quegli anni i bel-lissimi e grandiosi Murazzi che avreb-bero dovuto in un certo senso portare la piazza sino all'acqua senza soluzione di continuità.
Le Lieure chiude il suo Album con due fotografìe in un certo senso programma-tiche. La prima è intitolata « Nuovo giardino pubblico » e comprende la riva sinistra del Po con il Castello sulla sini-stra e una larga spianata di prati e al-beri che scende, o sale, dal Po, creando un giardino aperto sia dalla parte del fiu-me che da quella della città, accessibile ma non artificializzato da finzioni di og-getti naturali.
L'altra fotografia è intitolata « Il Po e la collina ». È stata ripresa anch'essa dalla riva sinistra e presenta il ponte in ferro (demolito nel 1902 per dare luogo al-l'attuale ponte Umberto) con lo sfondo del Monte dei Cappuccini e la riva de-stra pullulante di lavandaie, di piccole costruzioni per la pesca o attività com-merciali che indicavano, già cento anni or sono, la presenza di un nucleo di svi-luppo urbano in un ambiente il cui pre-gio naturale era lampante.
L'orientamento di Le Lieure a conside-rare il fiume come parte viva della città è visualizzato in ogni fotografìa dove il Po è presente ed è ribadito dai testi di commento dello stesso fotografo.
Ne cito qui di seguito alcuni passi più significativi, ma tutto il commento alle immagini, per quanto un poco.enfatico secondo il gusto del tempo, sarebbe di utile lettura per una più viva compren-sione di quale fosse l'importanza che il Po aveva allora per Torino. Vediamo co-munque i passi più rilevanti: « Il nuovo giardino pubblico del Valentino è una graziosa ed elegante miniatura fatta ad imitazione del Bois de Boulogne ma
si-tuata molto più felicemente ». Il
Valen-tino in effetti si appoggia alla riva sini-stra del Po ed è proprio per questo che Le Lieure dice che il parco, per quanto
miniatura rispetto al Bois de Boulogne, è situato molto più felicemente di quello. La descrizione del nuovo giardino è pit-toresca; forse accentua un po' troppo i lati positivi, ma essendo destinata a let-tori che potevano confrontare immedia-tamente la descrizione alla realtà, non può discostarsi molto da questa. Ed al-lora salta agli occhi un commento come il seguente: « Felicissima ispirazione f u quella di riservare alle passeggiate pub-bliche questi luoghi incantevoli di fron-te ad una ridenfron-te collina cosi dissemi-nata di ville che le si crederebbe prodot-te spontaneamenprodot-te dai sole »; e poi la frase conclusiva: « Un bel progetto deve prolungare questo giardino (...); un
pon-te unirebbe le due rive; ai piedi del Va-lentino un grande scalone doppio a ram-pe arrotondate, formerebbe un bacino naturale per la flottiglia torinese ».
Ipo-tesi che riscontrata sulla fotografia ap-pare perfettamente plausibile; anzi teo-ricamente necessaria considerata la fisio-nomia ambientale del luogo e la funzio-ne che il Po ha sin qui dimostrato di assolvere nell'ambito della struttura ter-ritoriale di Torino.
Ed infine a titolo di curiosità (non curio-sità superflua, bensì notizia poco cono-sciuta pertinente al tema che sto trat-tando) riporto quello che Le Lieure scri-ve a commento della citata fotografia « Il Po e la collina ». Parlando della bel-lissima villa che sta a mezza costa, pro-prio di fronte al Castello del Valentino (la celebre villa Prever) dice che Mada-ma Reale, secondo notizie che sanno pe-rò di leggenda, poteva recarsi al Castello dalla villa e viceversa, percorrendo una misteriosa galleria scavata sotto il fiume. E dice ancora che da quel punto, du-rante l'assedio del 1706, l'ingegnere An-tonio Bertola fece per molto tempo arri-vare vettovagliamenti alla città per mez-zo di grandi otri sommersi, fino a quan-do il nemico se ne accorse e sbarrò il fiume con reti.
Di nuovo quindi fiume e città costitui-scono nella immagine e nel commento elementi di un organismo unitario, che tendono ad integrarsi funzionalmente. Sempre nell'ambito della comunicazione visuale critica, .cito la fotografia di Charles Mandile, pubblicata nel Catalo-go della Mostra « Fotografi del
te »2 2. In quest'immagine anche
Mar-ville presenta il fiume come elemento non di frattura ma di legame tra la città consolidata e le borgate nuove al di là e al di qua del Monte dei Cappuccini; Legame, in questo caso, leggibile nella continuità morfologica tra il verde del-l'una e dell'altra riva che crea, insieme al fiume, un ambiente naturale omogeneo e continuo, pertinente e non accidentale rispetto al territorio.
La antitesi tra la concezione del Po come linea di confine interurbano, cioè sbarra-mento tra nucleo storico e nuovi insedia-menti precollinari, oppure come strut-tura nastrut-turale ed ambientale integrativa, può essere studiata anche nell'insieme dell'opera fotografica di Mario Gabi-nio2 3 in piccola parte riprodotta nel
volume « Torino anni '20 » 24.
Tra le fotografie di Le Lieure e quelle di Gabinio passano una cinquantina di anni; in realtà Gabinio comincia a foto-grafare molto prima degli anni '20 (te-niamo questo decennio come termine approssimativo) ma solo in quegli anni si dedica alla propria città della quale rileva in apparenza senza emozione, co-me un anatomo-patologo, la fisionomia, la struttura, gli organi sani e quelli ma-lati. Nell'orientamento culturale di Gabi-nio non sembra presente il concetto di rapporto ambientale, e a volte neppure quello di ambiente; ma non per questo le fotografie del Po, di ciò che esiste o avviene sulle rive del Po, sono meno ricche di notizie.
La riva destra, a monte del ponte Vit-torio Emanuele è ancora abbandonata, disponibile per straccivendoli, per la stenditura dei panni delle lavandaie2 5:
piazza Vittorio Veneto2 6 va acquistando
il ruolo che le è congenito: né signo-rile né popolare, troppo grande e aperta per una città introversa quale è Torino, finisce nel vuoto e si sfoga nel ponte. Ma i Murazzi sono regno dei pescatori che hanno il loro pubblico nella via so-prastante 27 e sono vero tessuto urbano.
Nel libro di immagini « Torino 100 an-ni »2 8 si legge che i pescatori sul Po
erano (nel 1900) una antica tradizione torinese; che il fiume era « assai pescoso, ricco di anguille, trote e persino storio-ni ». Pescatori da riva e pescatori in bar-ca. Le immagini possono anche far
pen-sare ad una modesta rilevanza commer-ciale della pesca nel Po, che realmente esisteva. Ma soprattutto esprimono un legame profondo, un profondo senti-mento urbano, localizzabile nei pesca-tori, nei numerosi imbarcaderi, negli chalets delle società di canottaggio, nelle lavandaie, nella praticabilità degli argini che sono o attrezzati o, almeno, non sbarrati.
Ma c'è di più. Gabinio fotografa l'Idroscalo2 9 dal quale il 1° aprile 1926
parti il volo inaugurale della prima linea aerea italiana (Torino Pavia -Venezia - Trieste). Ed è ben facile immaginare che l'Idroscalo, tangibile espressione di audace fiducia nel « pro-gresso » coinvolgesse il fiume non più solo come luogo accessibile a lavori mo-desti e momo-desti svaghi, ma anche come fattore di promozione commerciale e in-dustriale, e quindi culturale.
Proprio la capacità del Po di offrire spa-zio ad iniziative di promospa-zione commer-ciale, industriale, culturale è, d'altra par-te, rilevata con chiara intenzione da Ga-binio e da tanti altri fotografi, che ci hanno dato immagini delle esposizioni ospitate nel parco del Valentino.
Esposizioni di prodotti dell'« Industria dei Regi Stati » sono state tenute nel Castello del Valentino fin dal 1829 30,
per iniziativa della Regia Camera di Agricoltura e di Commercio di Tori-no, e rappresentano momenti veramen-te importanti, per lo sviluppo socio-eco-nomico della città. Riporto, in nota, qualche notizia al riguardo3 1, ma
poi-ché qui stiamo nella analisi della co-municazione visuale, la prima grandiosa esposizione da citare è quella del 1898, per il cinquantesimo anniversario della proclamazione dello Statuto32. Poi verrà
quella del 1911, per il cinquantenario dell'unità nazionale 33 e quella del 1928
per il decimo anniversario della
vitto-"U
ria .
Nonostante proposte sostenute non sen-za buoni argomenti, per portare le
espo-sizioni dal Valentino alla ex piazza d'armi3 5, le esposizioni rimangono nel
parco, in riva al Po.
Le illustrazioni grafiche prima, e poi le fotografie (quelle ufficiali riprodotte nel-le pubblicazioni di occasione, quelnel-le di Gabinio o di altri dilettanti o
professionisti) comunicano notizie chia-rissime: il parco, le due rive, sono sede ineguagliabile per agibilità e amenità; gli insiemi delle esposizioni integrano e ar-ricchiscono il contesto urbano; il Po, in particolare, dà sempre lo spazio, la lu-minosità, la specularità indispensabile alla scenografìa d'insieme.
Certi padiglioni della Esposizione del '98 sarebbero inimmaginabili se non sul-la riva destra del Po, dove l'assieme si prolungava, mettendo cosi vis-à-vis an-che in un gioco di riflessi nell'acqua le facciate bianche e iperdecorate dei vari padiglioni.
Certamente questa prima grande Esposi-zione di Torino ha fatto sentire maggior-mente la necessità di un vero ponte in pietra che sostituisse quello vecchio in ferro che congiungeva il corso del Re (corso Vittorio Emanuele) al Borgo Nuo-vo (ora borgata Crimea). Nel 1902 in-fatti si costruisce il nuovo ponte che sarà intitolato a Umberto 13 6. Per
l'Esposizione Internazionale del 1911 il ruolo del Po rimane immutato: è il grande polmone, l'alternativa verde e riposante alle camminate attraverso sa-loni e padiglioni ed anche sede propria e immediata per svago.
L'Esposizione del 1928 occupa una enorme superficie che va dal Castello del Valentino a monte fino ben oltre l'asse del ponte Vittorio Emanuele III (in fondo al corso Bramante). È quindi servita da due ponti (ponte Isabella e il citato ponte Vittorio Emanuele) nonché da uno zatterone traghetto. Quasi tutta la riva sinistra è a verde ed è praticabi-le, ed anche la riva destra compresa nel perimetro della fiera è a verde pratica-bile. L'aereoscalo (questa è la definizio-ne ufficiale) è in funziodefinizio-ne: è diffìcile quindi immaginare un co-protagonista ai padiglioni, alle merci, alle manifestazio-ni, più vivo e costante del fiume. Forse però le fotografie più impressio-nanti di questo periodo sono quelle, pre-se poco a valle della confluenza del San-gone, raffiguranti un vero e proprio sta-bilimento balneare: baracche in legno, chioschi per bibite, barche, sabbia e soprattutto una folla di bagnanti3 7. E