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Cronache Economiche. N.011-012, Anno 1974

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(1)

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

(2)

tradizione

ed efficienza

al servizio

della clientela

in Italia e all'estero

ISTITUTO BANCARIO

SAN PAOLO DI TORINO

(3)

cronache

economiche

sommario

rivista d e l l a camera di commercio industria artigianato e agricol-tura di forino numero 1 1 / 1 2 anno 1 9 7 4

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla D i r e z i o n e della Ri-vista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della D i r e z i o n e . Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero d e l l ' A u t o r e e non impegnano la D i r e z i o n e della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. É vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della D i r e z i o n e . I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

A. B a l l a n d o

3 Visita al Museo nazionale del Risorgimento * * *

13 Dibattito sulla programmazione in Piemonte: l'intervento del Presi-dente della Giunta regionale

ASSETTO DEI SERVIZI IN PIEMONTE

R. G a m b i n o

17 Precisazioni sull'indagine edita dalle Camere di commercio della regione

G . F a b b r i

21 Come è variato il reddito del Piemonte tra il 1951 e il 1972

F . M . P a s t o r i n i

28 Gli allevamenti animali piemontesi di fronte alle vicende congiunturali

L. T a b a s s o

36 Ente di sviluppo agricolo e aiuti finanziari alla cooperazione

E. G a r i b a l d i

42 Possibilità di impiego dei fitormoni in alcuni importanti settori del-l'agricoltura

C . B e l t r a m e

46 Appunti e documentazione sulle aree industriali attrezzate

C . C o s t a n t i n o

52 Bilancio e indebitamento del sistema finanziario statale in Italia nell'ultimo quarantennio

G . M a m b e r t o

57 Le diverse nozioni di unità di conto nell'ambito delle Comunità europee

P. G u a n d a l i n i

61 La società multinazionale a vocazione europea

A . V i g n a

67 I Saloni della Tecnica, della Montagna e dell'Automobile 72 Tra i libri 81 Dalle riviste 86 Indice dell'annata D i r e t t o r e responsabile: Francesco Sarasso Vice d i r e t t o r e : Franco Alunno R e d a t t o r e capo: Bruno Cerrato Figura In copertina :

Palazzo Carignano - L'aula del primo Parlamento Italiano.

Direzione, redazione e a m m i n i s t r a z i o n e

(4)

C A M E R A D I C O M M E R C I O

I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A

E U F F I C I O P R O V I N C I A L E I N D U S T R I A C O M M E R C I O E A R T I G I A N A T O Sede: Palazzo degli Affari - Via S. Francesco da Paola, 24

Corrispondenza: 10123 Torino - Via S. Francesco da Paola, 24 10100 Torino - Casella Postale 413.

Telegrammi: Camcomm.

Telefoni: 5716 (5 linee).

Telex: 21247 CCIAA Torino. C/c posta/e: 2/26170.

Servizio Cassa: Cassa di Risparmio di Torino - Sede Centrale - C/c 53.

B O R S A V A L O R I

10123 Torino - Via San Francesco da Paola, 28.

Telegrammi: Borsa.

Telefoni: Uffici 54.77.04 - Comitato Borsa 54.77.43 - Ispettore Tesoro 54.77.03.

B O R S A M E R C I

10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15.

Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

G A B I N E T T O C H I M I C O M E R C E O L O G I C O

(presso la Borsa Merci) - 10123 TorlnoJ-'jVia Andrea Doria, 15.

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Visita al Museo nazionale

del Risorgimento

Alfonso Beli andò

Qui la storia del Paese ci vie-ne incontro fin sul portovie-ne d'in-gresso. Lo varcarono con animo trepidante i patrioti del 1821, lo varcarono con fiducia e deter-minazione Cavour e Garibaldi, Balbo e Gioberti e, prima di lo-ro, le levatrici di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II.

Gli uomini del '21, Santone di Santarosa, Roberto d'Azeglio, Giacinto di Collegno, Carlo di San Marzano, Moffa di Lisio en-trarono di qui, la sera del 6 mar-zo, per fare una rivoluzione. Gli altri grandi che li seguirono en-trarono di qui per fare l'Italia.

Tutti perseguivano obiettivi terribilmente ambiziosi e dif-ficili.

* * *

Lo chiamavano « Il Muto », ma il suo vero nome era Ema-nuele Filiberto. Voleva farsi una casa nuova. Non gli bastava più la vecchia residenza sita sui ter-reni ora occupati, approssimati-vamente, dall'incontro della via Barbaroux con la via Viotti. No, ci voleva qualcosa di più e di meglio per il suo rango di rap-presentante ufficiale del ramo Carignano, in quella Torino che si stava facendo sempre più bel-la, sempre più imponente, di giorno in giorno.

C'era bisogno di un buon ar-chitetto e lo si trovò in Guarino Guarini, modenese, padre teati-no di vastissima cultura, che era

stato chiamato a Torino per la costruzione della chiesa di San Lorenzo. L'inizio dei lavori del palazzo si data al maggio 1679. Il risultato l'abbiamo sotto gli occhi. Non son qui per descri-verlo. Ma non resisto all'idea di citare Luigi Firpo quando parla della sinuosa mole « rossa come mogano vecchio curvato a fuoco ».

Dentro troviamo un grande atrio ellittico da cui si dipartono due scaloni che salgono ricurvi. Su, al piano nobile, c'era un sa-lone per le feste; i posteri pen-seranno bene di trasformarlo in parlamento: non passerà molto ed in esso agli eletti dal parto e dal censo si sostituiranno gli elet-ti dal popolo.

Carlo Alberto abiterà il palaz-zo fino al 1831 ; poi questo verrà ceduto al Demanio ed ospiterà il Consiglio di Stato e la Direzione generale delle Poste; il Parla-mento Subalpino verrà aperto nel maggio 1848 ed il poeta avrà modo di cantare l'anno dei por-tenti e la primavera della patria.

Ma l'aula si dimostrerà ben presto insufficiente a contenere i 443 deputati del nuovo Regno d'Italia e le tribune del corpo di-plomatico, delle alte cariche del-lo Stadel-lo e del pubblico. Sarà al-lora che Cavour ordinerà all'in-gegnere Amedeo Peyron di co-struire in tutta fretta (e l'opera verrà compiuta in soli 113

gior-ni) un'aula provvisoria in ferro e in legno nel cortile del palaz-zo. In essa verrà inaugurato so-lennemente il primo Parlamento italiano il 18 febbraio 1861.

L'aula servirà per la Camera dei Deputati fino al suo trasferi-mento a Firenze nell'aprile 1865. Ma intanto era già stata stipula-ta una convenzione fra il Mini-stero delle Finanze ecl il Comu-ne di Torino per il completa-mento dell'edificio con la costru-zione della fronte verso piazza Carlo Alberto. Tutti i locali, compreso evidentemente il vasto salone che tuttora si ammira, avrebbero dovuto essere messi a disposizione della Camera. Tale utilizzazione, come tutti sanno, non avvenne mai.

Questa premessa mi è parsa necessaria per poter affrontare più agevolmente il mio tema. Perché non esiste forse nessun altro caso in cui le finalità ed i propositi di un ente culturale si attaglino cosi bene e si compene-trino tanto con l'ambiente ospi-tante. In altre parole, qui anche le mura, gli arredi, anche le sca-le e sca-le stanze sono museo, sono storia, sono cultura.

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Armonia ed eleganza di Palazzo Carignano, sede del Museo.

un Museo Nazionale del Risorgi-mento, la sede prevista era la Mole Anlonelliana. Ma occorre-va aspettare l'anno 1908 per ve-der affluire i preziosi materiali nell'ambizioso edificio antonel-liano le cui difficoltà e lentezze di costruzione erano solo pari alla scarsità di fondi disponibili alla bisogna, intanto una prima inaugurazione era già avvenuta il 9 settembre 1899 presso il Mu-seo Civico; un decreto regio del dicembre 1901 aveva costituito

un ente morale dandogli il ri-conoscimento della qualifica di Museo nazionale (unico in Ita-lia) del Risorgimento.

Nel 1936, rivelatasi insuffi-ciente la sede della Mole per il costante incremento delle dota-zioni, tanto il materiale esposto quanto l'archivio e la biblioteca si trasferivano in Palazzo Cari-gnano e venivano risistemati nel-le sanel-le che fanno corona all'aula del Parlamento Subalpino, nel-l'ala guariniana.

* * *

Arrivo a palazzo e vado in cerca del direttore conservatore. Non lo trovo assiso alla poltro-na della sua scrivania ma sotto l'arioso e freddo porticato, un cappelluccio in testa, gli occhi vivi ed intensi tesi a controllare alcuni operai che spostano dei busti marmorei.

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può, fa dei donativi al museo: ne ha già fatti parecchi. Figura singolare, per non dir altro, con i tempi che corrono.

Mi chiede se voglio comin-ciare dalle cantine. Non desidero di meglio. Cosi, ci avviamo lun-go una scaletta in pietra che scende ripida ed infida per i gra-dini sbrecciati, lui d'innanzi, fe-lice ecl ilare di andare a rivedere i suoi tesori nascosti, io ecl un inserviente, dietro. L'inserviente tiene alta una lampada per illu-minare i nostri passi nel gran buio: la scena pare a me bizzar-ra e fuori del tempo.

Giunti da basso, il direttore agita un pesante mazzo di chiavi per trovare quella giusta e poi cerca di aprire una enorme porta ricoperta da una lastra in ferro. Devo aiutarlo a spingere il bat-tente che fatica sui cardini ruggi-nosi. Dentro, c'è un'infinità di cose: busti, statue, bozzetti, cian-frusaglie ed opere d'arte.

Inevitabilmente, vengo rag-guagliato sulla pena che deve essere propria di ogni conserva-tore di museo italiano. Non man-ca solo una sufficiente custodia; manca lo spazio: non si può pre-sentare al pubblico tutto ciò che meriterebbe largamente di esse-re esposto. Oggi però, e nono-stante questo, sembra essere una giornata buona: alcuni « pezzi » torneranno alla luce proprio nel corso di questa nostra appassio-nante perlustrazione. È arrivato un altro inserviente e Vittorio Parmentola indica quanto deve essere portato su: un bellissimo busto in bronzo di Giuseppe Verdi, i bozzetti di Calandra del monumento equestre ad Amedeo di Savoia che è nel parco del Valentino, del monumento a re Umberto I che è al Pincio e di quello a Zanardelli che è a Bre-scia, poi ancora due bozzetti

sempre del Calandra del monu-mento a Garibaldi a Parma ed un grande calco in gesso del Bi-stolfi per il Garibaldi che si tro-va a Savona.

$ * *

Un nuovo periodo si è inizia-to per la vita del museo con quel-la Mostra Storica che fu parte essenziale delle celebrazioni del primo Centenario dell'Unità d'Italia. Essa fu l'occasione pre-ziosa per una ristrutturazione ed un ampliamento quanto mai

ne-cessari e propizi. Cosi che l'isti-tuzione venne ad occupare l'in-tero piano nobile del palazzo, ivi compresa l'ala ottocentesca. Una descrizione approfondita delle ricchezze contenute nella fuga di sale non sarebbe né age-vole né possibile, per il breve spazio di un articolo. Mi limi-terò pertanto a sintetiche cita-zioni di ciò che più mi ha col-pito, incuriosito o commosso.

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eroismi e la sua severità, con le sue ingenuità e le sue illusioni. Ecl ecco far corona l'illustrazio-ne di « spaccati » di vita degli staterelli della Penisola, delle grandi Potenze, diffidenti o mi-nacciose ai confini.

Una tela di notevoli dimen-sioni (oltre 6 metri di lunghezza, oltre 4 di altezza) ci porta su-bito nel vivo della nostra storia, con l'assedio e la battaglia di To-rino del 1706. È una copia dei pittori Luigi ed Antonio Rigori-ni, tratta dall'originale di J. Par-rocel distrutto durante un incen-dio al museo di Vienna nel corso eli eventi bellici.

La capitale sabauda sta nel mezzo, lontana e piccola, serrata fra le mura dei suoi cdti bastio-ni. Tutt'attorno la vasta campa-gna è cosparsa di castelli, chiese, cascinali che paiono fortezze. L'occhio corre a cercare la di-slocazione delle truppe, degli sta-ti maggiori schierasta-ti. Tento di individuare il principe Eugenio, il grande vincitore, l'uomo che non si limitava a dare ordini ge-niali ma si gettava nella mischia, uso a pagare eli persona ed infatti fu ferito ben tredici volte in

com-battimento nel corso della sua vorticosa carriera.

Il direttore Parmentola mi -confida che ha in animo di di-sporre sotto il quadro due grandi fotografie delle zone che esso ri-produce, dove siano indicate lo-calità, strade, monumenti, sta-zioni ferroviarie, fabbriche della Torino attuale, onde sia possi-bile un confronto dei luoghi del-l'epica lotta con la città di ades-so, pacifica e laboriosa.

Le sale dedicate alle iniziative riformistiche del Settecento, ai giacobini italiani, alla ventata napoleonica portano avanti il di-scorso del lento progresso civile e dell'affermarsi dell'idea di uni-tà nazionale. Alle pareti ci sono quadri di personaggi di casa Sa-voia, di Vittorio Alfieri, di Gio-van Battista Vico, di Ludovico Antonio Muratori e poi manife-sti, tempere di vividi paesaggi che contornano drammatiche sce-ne eli guerra, proclami, bandiere, ordini ed avvisi; nelle bacheche si vedono documenti ed oggetti suggestivi: numeri de « Il Caf-fè », il coraggioso periodico dei fratelli Alessandro e Pietro Ver-ri, una copia del libretto «Dei

delitti e delle pene » eli Cesare Beccaria nell'edizione originale 'pubblicata anonima a Livorno

nel 1764, un giubbotto giacobi-no con alamari, ceramiche, al-bum e statuette, un Codice di Napoleone I per il Regno d'Ita-lia, in edizione originale (la sola ufficiale) stampata a Milano nel 1806.

Viene la Restaurazione. L'Au-stria riafferma il suo pesante pre-dominio in Italia: direttamente, come nel Lombardo-Veneto o attraverso le case regnanti impa-rentate con gli Asburgo; Metter-meli stringe patti di alleanza con la Toscana ed il Regno di Na-poli. Tra la copiosa documenta-zione di questo periodo vorrei solo rievocare una stampa in bianco e nero di Giovanni Mi-gliarci, pittore alessandrino; rap-presenta la Scuola di Santa Cate-rina, una delle prime scuole ita-liane di mutuo insegnamento o lancasteriane: in un'aula, si in-dividuano il Confalonieri ed il Pellico con i figli del conte Por-ro, patetiche figurette con sullo sfondo lavagne, banchi ed abbe-cedari; quei bambini in grem-biule che fanno da contorno li

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ritroveremo, fatti adulti, sulle barricate delle Cinque Giornate.

Siamo ad un momento in cui i governi reazionari impediscono ogni manifestazione di libertà e di dissenso. Solo l'azione cospi-rativa è possibile; si diffondono le società segrete: sono i carbo-nari del Regno delle Due Sicilie a passare per primi all'azione. Dopo non molti mesi è la volta del Piemonte: il moto esplode per iniziativa della Guarnigione di Alessandria. Giorni epici di « follia costituzionale »: un gio-vane di ventidue anni, Carlo Al-berto di Carignano, crede in un impeto di ambizione di potersi fare arbitro tra il potere assolu-tistico e le avanguardie risorgi-mentali. L'immediato futuro si riserverà di procurare tristi di-singanni a lui e a tanti generosi patrioti.

Cosi, ora l'illustrazione si fa drammatica: ci sono le sentenze di condanna di cospiratori illu-stri e meno noti, c'è un elenco delle persone cui vennero seque-strati i beni dal governo piemon-tese nel 1821, c'è un documento carbonaro sui nobili che parteci-parono alla repressione dei moti degli studenti del 12 giugno del-lo stesso anno.

La cella di Silvio Pellico nella fortezza dello Spielberg è stata ricostruita con una certa fedeltà, ma la ferrigna porta con tanto di spioncino grigliato è autentica. Una vetrina, poco discosto, con-tiene la riproduzione fotografica del manoscritto de « Le mie pri-gioni ». L'originale lo potrò ve-dere più tardi, salendo a visitare l'archivio del Museo.

Un nuovo periodo storico si apre con Giuseppe Mazzini ed i riformatori liberali ed ancor qui la mostra è ricca di un suo

mes-A n n o I. T o r n i o , i;'i D i c e m b r e 1 8 1 7 .

IL

i V I .

RISORGIMENTO

GIORNALE QUOTIDIANO

POLITICO. ECONOMICO, SCIENTIFICO E LETTEHAIUO

Mereoledì

P R O G R A M M A •leu

Molle volte Ira i lunghi secoli delle no-iro mi-serie . fi vigno ili riurgiiucali il' lulia. Il me-nomo raggio par gran Imv ira le tenebre. Taluni ima nuoia combiaatione pollina, o una guerra, 'i una per, o un trattato anenuti in Italia mi anche fuori: talora il «olir al irono d'un buon principe, o il navxr d'un fanciullo elio ni pn>f.-laia liuoun ; talora . che fil il più vrrgogno«o . l'entrar* di nuoci il ni n ieri nella patria no<iro; e Ulur anche, il buon gu*m o il figure rinascente nelle nostre Iettare . lotto « n i . tulio basto a apenre ed annunziare risorgimenti all'Italia. |.a quale non volle. ne potei». risorger cosi.

Ora poi, novissimamente, dall'Alpi al mar d'Affrica, pur si «pera. »i grida. Rito nei «oro n'IrsUi! Sara egli un inganna anche questo* Ve-diamone i falli duci, i caratteri principali.

Il primo fallo politico, a cui si po«-.a far ri-Mlirc li Rnoacraesro prevale non e anlteo ciu-di IH mesi ; v quelli! del r.- n.wlro . ciu-di Carlo Alberto . nel maggio IH IO. Fu . don-va ' w r . ' necessariamente tin lalto d'indipendenta. K i ri-sultati immediati.furono due I' instaurar lls-pirrsorTr» . dimostrando che m poteva es-ere in-dipendenti, dando animo a durnUr tali tulli: — '2* instaurar no' fatti quell'Illuse tra principi e popoli, tra governanti e governali, rio- non era guari allora in«Uurat.i se non in alcuni Berilli, dal Primato di Gioberti in qua.

il fall» più grandi- poi, d piò fecondo, il più •aerati:?'»»», c quasi miracoloso o sonninnalnrale. segui dapprrt*» in gnigno del medesimo anno. Fu I elettone di Pio l \ . ..-guila fra un allro rame dall' vmnistia e quindi tii via rapidamente ed uniformemente. dalle concessioni di un governo consultativo. di una larghetta o poo. men cheli-Li'rti giunta it »Um|M. di oiupi.i Ita civica, e

di altre riforme minori, t. i riunitali furono im-nien-i furono portar in |km In tm-i t l'onlilicn dal fondo alla i .ma de popoli ''albani . Mabdtr a un trailo iodiwttlubile coli 1 unitine ira principe e pojn.lo - instaurar la «da via a ciò, la »ola buona j tulio, la sola di fuggir la cattiva via J.-||e ri-volu/Htiu, la via che e ilu-utal» ria italiana. I.* Vi» i m i i Itironur. — F. 'entità in brerc l o. ea>ione di rivendicar I ind-penden/a propria e d'I-talia io qui Ili via l'io 11 *e li niomitcìS: e »i • i tien f-rte, grande e pogredienk'. e eo»l ap-plaudilo -la UHM Fumpa. la Iti Ilo il mondo civile Il Gian Hura ibi..' in -ol principio del IHÌ7 il meniti, l'onore, la gioia d'acceder pruno alla Via delle rifornì- il. l'io l \ . "I esso e Ilario Al-bello ace-dellcro, die dar fon» alla di fin» fallane

ile. -.Ila nuora via. vVIlrep.-.,. iti alcuni '

spie-f punti I prrdoc<!».< ri. e dnnA cosi d 'iiiiiiìraiiieute v-n, •li Risorgino-iilo Italiano la propri-i spaila, un e- *,<u< wrcitn di 101) mila Italiani, c ini popolo di quat- .p-r.

igli etl a l\ . Ire priin:ipi hanno, al .1 novembri), sanr.

I indipendente . .alleila I' unione tra principi principi riformai -n. tra prìncipi rifornì poli ri formali. sancita la in delle rigiro

I I' sempre

'• propri, cu'di», ino:; .li.co.ii, roiubollire . più lonlaui . « n/.i rancori . noto ingiurie. colla *'' «"ui un di o I.litro ella

qui anticipala. di accoglierli fra no., q.t .Inu.pio .1.. - Ku g.» neiw TOH Ina politica ti |,i „. ||„„- partami scopro 'Ufi. ptr.,-,1, u,|,. il di rliu li

di.eole-v il Hi* a l.rc alla quale ii prra CI .1 , invitano gli altri prìncipi italiani. Kviib-ntenienl

il Risorgimento cosi rondolio e sancito. non Mi-migli.. a .1 ..un alilo »p.-.al.i mi unuiiutolu ili Italia, dalla fine del v colo 111 in qua.

popoli» o pfnilo»lft ; perche uno apparisce I b voln,'.

pop.-a lpop.-ai livirgtmelilo.' Il |»i|kiIo lo il.ilt.viio che fe

italiano s e alati)

voi ottoni, anti a riformo : non ffd «Militò, ami ad anione co'principi «uoi : non ad e n e pre-tese popolari, non a gare provinciali, a fationi. a violento ; ariri ,v| mia Konrt m oawsvr» M.>-lU.BAZio.ir. nc'fatu, nelle parole e nelle opinioni, la quale «e non <• «en« ce celioni p.'rfclta come inuna cosa quaggiù), è tale almeno che non «e ne trova esempio, né nei v,.cu|i oscuri no»In oil altrui, elio e naturale; né in questu ttetuo secolo procreili lo. che lu forse inaspellalo. (ili! dicia-molo ardili, e sicuri di uon piaggiare uemnieuo il PO|«olo . anrhe nell'opera ilei |topolo italiano, il Hisorgiiueiito prcsenle non somiglia a uc.s>un altro speralo da sei secoli e mcuo ni qua

Dnnque. r ne latti ile" prìncipi . e Ilo'falli del |>op<jlo . il Risorgimento tubano é cerio . .'• gran-lc . » sanlo , e sancito oramai. — l>io lo vuole. Ilio lo vuole . III., i -- lo diri!. , guai a chi lo leu chi.

Iliiiiqno ancora: I. Indipendenti): Il l mone Ira prìncipi e impeli III l'rogiesui nella via delle rifanno; IV. I-ega de principi tuliani tra sé V. Forte 111 ordinali moder.i'une .pi--t' sono i falli duri, i I arallerì innegabili. ••! innegabil-mente linoni del nuovo (liMir^iuienlo iUliain- Man-teoiamuli e arolgiamoli : ecco il dovere di tutti

principio dtame-"l'i""-1*'- ••< i-'tirri con gli avversari. oil aneli-- ti.-tion. pi>-ledendo . desiderando ed affienando il di di dncutar amici.

SARDEGNA E SICILIA Il nota pmltltca l'Italia rimioMiirla S«r.le.'.n r Sitili, "'tli ultimi f>-1 e Ulto, più dal» Mlur.li... i-.ln-sle in poh ' Piai"

K ! Klon fa ad.' 'Ì0 ntlohre, Clrtn Al-iiediUiaflenie. d'un iratto,

gran-K.l a dato ,1 pr granili

tiiienerli. e fi-olgerii («T la parte biro, li. lutili e..ii alcuni •miei, ballilo firn* ..-ole giornale « • o lutto il loro

pro-sile nf-i .pie' p..pli .1 -qa-llj ptilXliraii ,1,.. I . S . , ^ , , .

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- "•' -tou.'-lr-r. l>-.l. .e.p-.1- . .->.- r. . l g..ro« in S... I.-I C • • I d-jli Slu.les.li dal-quale ...ilo eoo«ogoeiuo ori e naliiral.

non fir né a principi, "e a popol. quelle adu-lazioni che gnaulano, eli" sviano, che impediscono gli uni e gli altri, piti a «sai che non farcia qua-lunque opposizioni. ; — non far ne a principi . né a popoli ninna op|««bioiie nflemaiica . ninna loteres.ala, ninna, ci regga Iddio, a nati, né ingiusta. — non lasciarci imporr meno in nome dell' unione . ne il sii. n

anche nvno niuna cesarne delle opinioni nostre: m.i, K «pianda .t i che l'unione noo è l(lenliti, ma eonperauone —• implicala I. r o o • e quindi, dar mano senta invidia conMiuienti. | «li q«l p«p«l«. J

ll>, il ILI. U...I.•"-i rlU...I.•"-ifl la SaM»*U...I.•"-iU...I.•"-i. I. •

.1.1 IU. aleggi. »«tu era Jt qorlle

U n o dei tanti d o c u m e n t i storici custoditi.

saggio particolarmente prezioso. Troviamo gli editti sulla rivolu-zione mazziniana in Savoia ac-canto a disegni che rievocano episodi della vita dei fratelli Ban-diera; la sentenza di condanna pronunciata ad Alessandria nel-l'ottobre 1833 contro Mazzini ed altri cospiratori accanto alle ri-cevute della sottoscrizione « il Paese salvi il Paese » firmale dal Comitato di Azione Veneto.

Compaiono, nella sala seguen-te, anche i primi timidi accenni ad iniziative della vita civile. Ec-co, ad esempio, il cavalletto da pittore appartenuto a Massimo d'Azeglio o il manifesto della prima riunione degli scienziati italiani in Pisa, svoltasi con il pa-trocinio di Leopoldo / / .

(10)

mera dove mori ad Oporto, si collocano tra gli elementi mag-giormente interessanti.

T E S T A M E N T O

D I F E L I C E O R S I N I

ED ESECUZIONE CAPITALE UNITAMENTE AL COMPAGNO PIERI SUA H A E S T À ' N A P O L E O N E I I I

I M P E R A T O R E DEI F R A N C E S I .

Una prova dell'impegno e della serietà dei patrioti.

testo originale; un'eco dell'atte-sa e dell'entusiasmo popolare ci giunge eia una tempera che rap-presenta una manifestazione in onore del re ed anche da un faz-zoletto commemorativo delle ri-forme, fazzoletto che lo ripro-duce baldanzosamente a cavallo.

Le scene eli guerra, i fucili, i tamburi, le spade, le uniformi, le medaglie, e non poteva essere altrimenti, caratterizzano le sale

successive, ma c'è anche un pa-tetico modulo di iscrizione al « Battaglione italiano della mor-te » comandato da Giuseppe Ga-ribaldi; ma c'è anche il passa-porto utilizzato da Carlo Alberto sulla strada dell'esilio sotto il falso nome di conte di Barge. L'Italo Amleto ha un suo posto di rilievo: la tenda da campo e soprattutto l'esatta ricostruzione, con i mobili autentici della

ca-L'eiula elei Parlamento Subal-pino è, senza dubbio, il punto più suggestivo dell'intera mostra. Le sue dimensioni modeste, l'ar-redamento, cosi felice, in legno chiaro e velluto, il fatto di es-sere rimasta intatta dai giorni epici eli un'esaltante passione pa-triottica, tutto contribuisce al suo fascino irripetibile. Sugli scanni occupati dai personaggi più illustri ci sono delle targhette con il nome ed un nastrino tri-colore.

Queinte battaglie politiche si sono qui combattute! Non è sen-za emozione che si sfogliano i volumi ingialliti che raccolgono gli Atti parlamentari. Apriamo a caso una pagina, ove si descri-ve la tornata del 15 maggio 1848: presiede l'avv. Franchini « decano d'età », al banco del governo siede Cesare Balbo, nel-la sua veste di presidente elei Consiglio; il re, precisa l'esten-sore del resoconto, « è al quar-tier generale ».

All'ordine del giorno, oltre al-l'annunzio dell'unione di Pia-cenza al Piemonte, c'è un punto che si potrebbe chiamare una nota eli colore: « Schiarimenti sopra una rissa eli alcuni soldati sardi». Possiamo immaginare l'indignazione di quegli austeri e barbuti parlamentari all'idea che dei soldati si siano bastonati eli santa ragione mentre la nazio-ne è in guerra e tutta tesa al su-peramento di un momento cosi difficile.

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citta-dirti e di tutti gli abitanti dei comuni foresi del ducato Piacen-tino per decidere della loro fu-tura esistenza politica. Dallo spo-glio operato ne risulta una mag-gioranza tale che può nominarsi unanimità, manifestante di voler essere ammessa a far parte del Regno Sardo ».

Giorni burrascosi questa sala ne vide parecchi.

La seconda legislatura ebbe fine nel 1849 con lo scioglimento anticipato della Camera, allorché i deputati si rifiutarono di appro-vare il trattato di pace firmato dopo la sconfìtta di Novara. Nel 1855 ci fu un'accanita opposi-zione alla partecipaopposi-zione alla guerra di Crimea (e la proposta, per molti assurda ed in contra-sto con le esigenze nazionali, passerà solo grazie alla grande abilità di Cavour, con 101 voti favorevoli contro 60 contrari); non meno dura la lotta per far approvare la cessione alla Fran-cia di Nizza e della Savoia. Dopo interminabili ed agitatissime di-scussioni, anche questo progetto sarà approvato con 225 voti fa-vorevoli, 33 contrari e 23 aste-nuti: tra i votanti non ci sarà però Garibaldi, dimessosi in pre-cedenza protestando indignato « contro l'atto di frode e di vio-lenza ».

* *

Il periodo cavourriano ci por-ta verso la gloriosa conclusione della prima fase risorgimentale.

L'opera del ministro è sintetiz-zata nell'ottocentesco telaio do-nato al museo dal Lanificio Fra-telli Piacenza. Dopo la sconfitta di Novara occorreva riprendere la « trama », occorreva ricucire insieme le fibre vitali delle di-sperse forze nazionali, occorreva potenziarle e guidarle verso nuo-vi più ambiziosi traguardi: fu

l'opera paziente e sagace del « Tessitore ».

Ora le cose esposte degne di citazione si fanno più numerose e cospicue: dalle carte geografi-che su tela della campagna di Crimea ai cimeli di Vittorio Ema-nuele II, dal testamento di Feli-ce Orsini alla pistola, alla scia-bola, ai mantelli (i famosi

pon-chosj di Garibaldi, al non meno

famoso telegramma da Bezzecca: «Obbedisco ». Ben 108 quadri del Bossoli, l'illustratore per ec-cellenza delle vicende

risorgi-mentali, sono stati da poco risi-stemati in modo organico su in-telaiature ricavate da materiali di recupero dal solerte persona-le, assai partecipe, ai destini del-l'istituzione. Né potevano man-care i ricordi della battaglia eli Lissa e della presa di Roma.

La prima guerra mondiale è ampiamente presentata, soprat-tutto con fotografie, ma non mancano giornali e bollettini del-le truppe al fronte, proclami, ma-nifesti, una serie di francobolli usati come carta moneta e

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glicmdi per le razioni alimentari. Il conflitto è visto però come fat-to puramente bellico, senza nes-sun riferimento alla situazione storica del momento. Ad esempio mancano tuttora i ricordi dei presidenti del Consiglio e delle personalità politiche. Anche a questa lacuna si sta per ovviare.

« Il museo è nato aulico e mi-litare » mi spiega Parmentola. E ciò gli pone dei limiti cui si po-trebbe ancora ovviare con oppor-tune integrazioni, con rinnovati apporti. Si rileva infatti l'assen-za di un'adeguata illustrazione elei lento ma sicuro processo di sviluppo sociale, educativo, eco-nomico e finanziario che ha ca-ratterizzato il periodo storico in esame. Si può dire che solo in

una sala attualmente si affronti-no i problemi industriali e del movimento operaio.

Cosi pure si vorrebbe accen-tuare il carattere europeo del mu-seo, anche in considerazione de-gli apporti stranieri al nostro Ri-sorgimento (basti pensare alla azione dei polacchi ed ai legami di Cavour con la Svizzera ed al lungo esilio di Mazzini in Sviz-zera ed in Inghilterra).

Per ora, solo l'Ungheria è suf-ficientemente rappresentata. Tra i cimeli degni di menzione, un proclama bilingue a firma Maz-zini e Kossuth rivolto ai soldati italiani ed ungheresi militanti sotto l'Austria.

Nella rievocazione delle lotte per l'indipendenza e per la

liber-tà d'Italia non si poteva certo tralasciare di prendere in consi-derazione quello che è stato giu-stamente definito il secondo Ri-sorgimento.

Una lunga galleria sta per es-sere aperta al pubblico proprio su questo importante e conclusi-vo capitolo storico. Un'anticipa-zione di quanto vi si potrà trova-re è già stata data, agli inizi del corrente anno, con la mostra « Antifascismo e Resistenza in Piemonte », organizzata dal mu-seo nelle proprie sale.

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rico-strazioni (ad esempio, un labo-ratorio per la produzione di do-cumenti falsi per clandestini in pericolo, con macchine grafiche dell'epoca ed il vecchio ciclostile che preparava i volantini e gli or-dini per i raggruppamenti parti-giani) .

* * *

Salgo al quarto piano per vi-sitare l'archivio e la biblioteca. La raccolta delle opere è iniziata fin dai primi tempi della costi-tuzione del museo e si è conti-nuamente accresciuta grazie a lasciti e ad acquisti. Molti bene-meriti cittadini hanno ceduto, nel tempo, carteggi di largo interesse e preziosi autografi, mentre la bi-blioteca è giunta a possedere ol-tre 35 mila volumi e 12 mila opuscoli. Esiste poi un ricchis-simo medagliere, che dai primor-di del Risorgimento giunge fino alla prima guerra mondiale, men-tre un copioso archivio fotogra-fico è in fase di sistemazione.

È qui che trovo al lavoro i « borsisti » del museo. Sono ge-neralmente degli studenti o lau-reati di facoltà umanistiche e giuridiche che dedicano una par-te del loro par-tempo al riordino, al-la schedatura, alle ricerche ed allo studio.

È uno di essi ad aprirmi a caso un profondo cassetto chiuso a chiave. Dentro c'è un gran nu-mero di cartelline piene di let-tere, fogli e documenti ingialliti. C'è anche una borsa: contiene la pipa di Re Carlo Alberto, una originale pipa in osso, massiccia e pesante; il fornello è sormon-tato da un elmo metallico di guerriero antico: per caricarlo di tabacco occorreva alzare la ce-lata.

Chiedo di vedere qualche in-solita testimonianza, qualche cu-riosità di un personaggio famo-so. La mia guida si avvicina ad

Tranquillo Cremona - Ritratto di Vittorio Emanuele II.

uno scaffale e ne estrae alcune lettere di Garibaldi. Una è di-retta da Caprera al generale An-gioletti: con calligrafia chiara ed ariosa gli chiede di accordare « in caso di non infrazione ai regola-menti » un permesso per un ma-rinaio (un certo Antonio A tri-goni), onde possa recarsi per qualche giorno in famiglia; un'al-tra è indirizzata agli operai ita-liani che lavorano a Londra; una, da Nizza, è diretta alla « so-rella carissima » ed in essa Gari-baldi accenna ai suoi malanni e dice di essere « nuovamente ad-dolorato nelle braccia »; infine una è per Cavour,

un'autenti-ca lettera di raccomandazione: dice al Primo Ministro che, co-me egli ben sa, lo scrivente non è avvezzo a questo genere di ri-chieste ma pur tuttavia lo prega di voler interessarsi ad un conta-dino romagnolo senza lavoro che lo aiutò molto in passato e che egli ora sente il bisogno di soc-correre.

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Carlo Bossoli - Vittorio Emanuele II e Napoleone 111 entrano in Milano.

Risorgimento Italiano ed uno cooptato. Il Consiglio sceglie tra i suoi appartenenti il presidente

(attualmente è l'avv. Giorgio Agosti) e nomina il segretario, il direttore ed il conservatore.

Mentre il palazzo appartiene allo Stato, l'affìtto per il museo è corrisposto dal Comune che for-nisce pure il personale d'ufficio e di custodia.

L'edifìcio, pur nella sua soli-dità, necessita di lavori di ripri-stino e di manutenzione: anche in epoca recente vi sono stati stil-licidi e perfino piccole inonda-zioni. Il Genio Civile ed i Servizi tecnici del Comune sono finora intervenuti a risolvere i casi più gravi, ma di tanto in tanto dalla volta dell'aula del Parlamento Italiano si staccano elei pezzi e cjuesto fatto la rende praticamen-te inagibile mentre potrebbe es-sere utilizzata per congressi cul-turali ed altre importanti riunio-ni. Su un teivolo della direzione ho visto raccolti dentro elei vas-soi elei frammenti di aulici affre-schi e eli antico legno: era mate-riale caduto da quel soffitto.

Il bilancio di gestione è mode-sto e si avvale di una limitata

sovvenzione statale. Disponendo eli maggiori contributi si potreb-bero apportare migliorie quanto mai essenziali. Il elirettore Par-mentola mi ha confidato una sua aspirazione: rimuovere la para-tia in legno che ora si frappone tra il corridoio dell'aula del Par-lamento Subalpino ed il vestibo-lo che è alla sommità degli sca-loni guariniani che verrebbero chiusi in alto e possibilmente eia basso con due porte a vetro. Il pubblico, giunto qui a metà per-corso, potrebbe avere una pausa di riflessione, potrebbe rendersi conto eli particolari architettonici notevolmente pregevoli ed affac-ciarsi alle vetrate che guardano sulla piazza Carignano. La spesa prevista non sarebbe elevata ma i soldi, per ora, non ci sono.

Va rilevato che parecchi la-vori vengono svolti elei personale di custodia che conosce l'arte eiella falegnameria. Cosi si utiliz-zano vecchi materiali che altri-menti andrebbero distrutti per fabbricare fondali, pedane, pie-destalli ed altri oggetti che poi servono egregiamente senza aver quasi procurato aggravio di spese.

Ancora un accenno al pubbli-co: è numeroso, eittento, parteci-pante. Spesso è composto da per-sone che scoprono un tesoro ein-tico eli cui ignoravano fino a po-co prima l'esistenza. E molti pro-vengono da lonteme regioni.

Le visite di scolaresche riem-piono le sale con un'ondata eli spensierata giovinezza: in certi periodi dell'anno si è registrata la presenza fin di mille studenti in un giorno.

L'eittuale direzione si propone eli rendere più stretti e più fre-quenti i suoi rapporti con la po-polazione; a questo fine nel suo nuovo ordinamento ha riservato una sala di media eimpiezza e do-tata eli ingresso autonomo per mostre temporanee, conferenze e dibattiti. I temi di queste mani-festazioni riflettono rigorosamen-te gli scopi istituzionedi del mu-seo e sono mantenuti entro i li-miti stabiliti dalle norme legisla-tive e regolamentari e dalle con-venzioni che reggono l'ente.

Già si è accennato alla mo-stra sull'antifascismo in Piemon-te; sul finire del 1973 si era rea-lizzata una riuscita mostra maz-ziniana come pure ha già avuto luogo un convegno di studi su Kossuth che si è svolto in colla-borazione con l'Accademia un-gherese di Roma e con l'Istituto di Studi magiari dell'Università di Torino.

Un non dimenticato sindaco, un sagace amministratore pub-blico, Amedeo Peyron, riferen-dosi al Risorgimento aveva par-lato del « segreto di una fede e di una passione ».

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Dibattito sulla programmazione in Piemonte:

l'intervento del Presidente della Giunta regionale

1- — Con l'istituzione delle Regioni a statuto ordinario il discorso sulla programmazione re-gionale ha acquistato una nuova rilevanza rispetto al passato. Mentre infatti i piani regionali ela-borati dai vari CRPE costituivano soprattutto un contributo dato dalle comunità regionali alla for-mazione del programma economico nazionale, oggi i piani regionali di sviluppo vengono ad as-solvere ad una duplice funzione: da un lato essi rappresentano una partecipazione delle Regioni al processo di programmazione nazionale, da un altro sono uno strumento per predeterminare — in relazione agli obiettivi assunti — il com-portamento dell'Ente Regione e per indirizzare l'azione di tutti gli operatori, pubblici e privati, operanti sul territorio regionale.

La nostra Regione ha avuto già nella sua fase costituente piena consapevolezza del significato e della rilevanza della programmazione, anzitutto come metodo di un'azione politica capace di con-ciliare le esigenze di democrazia e di partecipa-zione con quelli di efficienza e di razionalità, e lo Statuto della Regione Piemonte, attribuisce una specifica valenza istituzionale alla programma-zione proprio come metodo che al di là delle spe-cifiche scelte e dei vari orientamenti deve infor-mare l'impostazione dell'attività di governo.

Il quadro di riferimento dell'attività dell'Ente Regione riguarda infatti integralmente il campo della interazione sociale che si svolge sul suo territorio, anche se gli interventi propri sono limi-tati dalle attribuzioni costituzionali.

Coerentemente a questa assunzione ne deriva che l'ottica secondo cui individuare e articolare l'attività dell'Ente Regione è quella della piani-ficazione, come ottica capace di enucleare gli obiettivi dell'azione politico-amministrativa e di determinare gli strumenti atti a realizzarli, con-nettendo i vari momenti.

Attraverso la programmazione dunque la

Re-gione viene a considerare globalmente il mecca-nismo socio-economico e territoriale che si svi-luppa nel suo ambito ed il conseguente ruolo che il sistema delle relazioni socio-economiche e so-cio-territoriali attribuisce al Piemonte nel conte-sto nazionale e nei rapporti con le regioni fini-time, sia nazionali che extra-nazionali.

Nel momento in cui il processo di programma-zione a livello nazionale ha segnato negli ultimi anni una grave battuta d'arresto, in una fase par-ticolarmente delicata per il meccanismo di svi-luppo italiano, che rende quanto mai urgente la delineazione di una nuova strategia di crescita della nostra società, l'avviare un organico pro-cesso di pianificazione a livello regionale costi-tuisce un contributo non secondario ad un rilan-cio di questa politica in sede nazionale ed alla stessa ripresa economica.

Sulla situazione economica pesano infatti, ol-tre a gravi problemi strutturali, carenze in ordine alle indicazioni di prospettive ed alla messa in atto di strategie conseguenti: l'azione della Re-gione nello svolgimento della sua politica di piano concorre a rimuovere questi dati negativi, per gli elementi di certezza che introduce nel si-stema regionale attraverso l'esplicazione dei suoi interventi diretti, con i loro effetti a livello del sistema socio-economico, e per il confronto che stabilisce e la sollecitazione che determina sugli organi statali e sugli Enti pubblici.

La pianificazione si pone quindi come lo stru-mento essenziale per avere una capacità di con-trollo e di indirizzo dei meccanismi di sviluppo, mettendo in contatto organico la Regione con lo Stato, per un lato, e per un altro con le realtà istituzionali, sociali ed economiche operanti nel territorio regionale.

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ed è possibile richiamarle quindi solo in termini assai schematici.

Sotto il profilo delle istituzioni e della demo-crazia la programmazione rappresenta uno stru-mento essenziale per affermare in concreto la preminenza della volontà collettiva rispetto alle logiche ed agli interessi settoriali, corporativi od aziendali che essi siano.

Sotto il profilo più propriamente economico la programmazione si è progressivamente affermata nei paesi dell'area occidentale a fronte dell'inca-pacità dei meccanismi di mercato a garantire la stabilità dello sviluppo ed a superare le contrad-dizioni ed i dualismi che caratterizzano storica-mente i processi di crescita nelle economie indu-striali.

Questi dualismi si sono fatti sempre più evi-denti anche nel nostro paese e nella nostra stessa regione; essi riguardano gli assetti socio-territo-riali (divario tra Nord e Sud, tra aree congestio-nate ed aree depresse), la struttura dei consumi, con un accentuato divario tra l'intensa crescita dei consumi privati e la più debole espansione dei consumi pubblici, la dinamica dei diversi set-tori, con un contrasto sempre più marcato tra settori produttivi e posizioni parassitarie ed al-l'interno degli stessi settori produttivi tra com-parti tecnologicamente avanzati e comcom-parti arre-trati e stagnanti.

Il superamento degli squilibri in una prospet-tiva di sviluppo è dunque l'obiettivo primo, co-mune a tutte le politiche di programmazione.

In Piemonte queste scelte generali si specifi-cano in relazione all'evoluzione storica ed all'as-setto produttivo proprio della nostra regione, che ha visto assumere un ruolo dominante da parte dell'industria dell'auto ed in connessione alle scelte di localizzazione di quest'impresa ha regi-strato una crescita massiccia e disordinata del polo torinese, mentre si depauperavano ed entra-vano in declino le aree esterne marginali.

Come risposta a questa problematica sin dai primi anni '60 si è manifestata una larga conver-genza tra le forze politiche e sociali intorno a tre obiettivi di fondo: diversificazione produttiva, riequilibrio territoriale e sviluppo dei consumi sociali.

La diversificazione dell'apparato produttivo piemontese era uno degli obiettivi centrali già per il piano di sviluppo approvato dal CRPE; oggi non abbiamo però una pura riproposizione

di questa finalità, nella misura in cui si sono ap-profondite le motivazioni di tale scelta.

Il superamente di una struttura largamente mono-produttiva appare infatti, nella situazione attuale, necessaria non solo per mettere al riparo l'economia piemontese dagli andamenti congiun-turali del settore automobilistico entrato in crisi, ma insieme per potere disporre di una moltepli-cità di fattori di sviluppo.

La capacità trainante dell'industria motrice tradizionale viene infatti, e verrà sempre più in futuro, ad affievolirsi, con una conseguente dece-lerazione dello sviluppo che deve essere fronteg-giata attraverso l'attivazione di altri elementi di crescita.

La promozione nel sistema industriale piemon-tese di una pluralità di filoni di sviluppo appare inoltre necessaria ai fini del riequilibrio territo-riale: anche in questo caso si deve aver presente la rilevata connessione tra dinamiche economiche e dinamiche territoriali.

Nella misura in cui non sono state fino ad ora corrette le tendenze spontanee di sviluppo e di localizzazione delle imprese — influenzate pura-mente dagli andamenti congiunturali — sono in-fatti proseguiti quei processi di trasformazione dell'assetto territoriale che già negli anni scorsi hanno posto l'esigenza di un profondo riequili-brio delle strutture socio-territoriali, a cui si può pervenire svolgendo una coerente politica indu-striale ed operando per il miglioramento del qua-dro di vita in tutto il territorio.

Negli ultimi anni si è affermata nella società italiana una più matura consapevolezza della ne-cessità di sviluppare gli impieghi ed i consumi sociali.

Le conseguenze del ritardo con cui i servizi e le infrastrutture sociali hanno seguito lo sviluppo economico sono oggi chiare; e questo ritardo non è casuale, né riconducibile unicamente a pesan-tezze burocratiche, ma trova la sua spiegazione nelle caratteristiche intrinseche al meccanismo di sviluppo.

La stessa necessità di impostare oggi una stra-tegia di sviluppo alternativa, pone in primo piano il tema dei consumi sociali, come uno dei fattori propulsivi di una crescita economica ed insieme civile del nostro Paese.

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scarto tra la disponibilità di beni collettivi e la domanda da soddisfare.

Questo scarto non è colmabile a breve, ma deve essere impostata una linea articolata di in-terventi idonea a colmarlo progressivamente.

In tale ottica si pone l'esigenza non solo di finalizzare a questo obiettivo l'azione della Re-gione, ma parimenti di coordinare e di raziona-lizzare i rispettivi interventi insieme con quelli dello Stato e degli Enti locali.

3. — A tali problematiche si è riferito il di-scorso sulla programmazione regionale quale si è sviluppato in Piemonte nell'ultimo decennio, e queste indicazioni mantengono intatta la loro validità; anzi si sono sviluppate dinamiche strut-turali e congiunstrut-turali che ne rendono ad un tem-po più difficile e più urgente l'attuazione.

Sul piano strutturale vorrei richiamare quanto ha scritto recentemente su di un quotidiano tori-nese il prof. Beppe Gatti, consulente economico della Giunta regionale, proprio in ordine ai pro-blemi che si presentano alla politica regionale di programmazione.

« Lo sviluppo di tipo ' capitalistico sponta-neo ' guidato cioè unicamente dal sistema delle convenienze aziendali e di mercato e non orien-tato dall'operatore pubblico, si è mano a mano rafforzato nel suo procedere ed una politica di programmazione volta a modificare le tendenze del sistema economico piemontese è quindi più difficile oggi di quanto non lo fosse dieci anni fa...

... Consideriamo ad esempio la distribuzione territoriale della popolazione: nel 1951 l'area di Torino assorbiva il 36,4% dell'intera popola-zione piemontese; questa quota saliva al 42,6% nel 1961, al 47,5 nel 1971 e non sarà inferiore al 4 8 % nel 1978...

... Questa distribuzione territoriale della popo-lazione che trova le sue cause nella localizzazione dell'industria e nel cosiddetto ' effetto città ' — il richiamo cioè che esercita la città come luo-go di cambiamento e di più intense relazioni so-ciali — ha innescato a sua volta un processo cumulativo non soltanto perché la concentrazione della popolazione diventa un fattore incentivante per altri insediamenti produttivi, in quella spi-rale che i sociologi chiamano di ' urbanizzazio-ne-industrializzazione ma anche sul piano stret-tamente demografico.

11 ringiovanimento della popolazione nell'area

torinese, conseguente proprio all'elevato afflusso di immigrati, per lo più in giovane età, ha portato ad un consistente aumento del tasso medio annuo di incremento naturale, che tra il '61 ed il '71 è arrivato in questa area al 6,1 %0 contro una

me-dia regionale del 2,8°/00.

Da questo modificarsi della struttura della po-polazione deriva una radicale modifica anche del-le prospettive e deldel-le possibilità di sviluppo deldel-le diverse aree, in termini tali che non sono ancora stati pienamente avvertiti dalla generalità degli operatori politici, sociali ed economici.

Sino ad ora ci siamo abituati a considerare il problema del riequilibrio territoriale soprattutto come conseguenza di un diverso orientamento nella localizzazione degli insediamenti indu-striali. Si pensava cioè che in Torino e pel polo metropolitano ci fosse un eccesso di domanda di lavoro rispetto all'offerta e che questo squilibrio richiamasse quindi manodopera dalle altre aree e dall'esterno della regione. Per contro si riteneva che nelle aree periferiche, specie in quelle delle province di Asti, di Alessandria e di Cuneo, ci fosse una larga disponibilità di forza di lavoro, mentre mancavano i posti di lavoro, cioè le fab-briche.

La soluzione del problema era allora relativa-mente semplice, quanto meno in via teorica: ba-stava indirizzare le industrie al di fuori dell'area metropolitana per ottenere insieme il deconge-stionamento di Torino ed il rilancio delle altre aree.

I nuovi dati di cui disponiamo dicono però che la situazione si è fatta assai più complicata e che l'impostazione tradizionale rischia di essere vo-lontaristica ed astratta dai processi reali che sono in atto ».

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Tali stime non vogliono indicare i sicuri ef-fetti della caduta della domanda automobilistica, ma solo presentare un quadro di possibili effetti, che diventano però tanto più probabili quanto meno vengono assunti con consapevolezza come una prospettiva da evitare e da contrastare.

Per diminuzione dei livelli occupazionali non si deve per altro intendere meccanicamente licen-ziamenti: più probabilmente avremo una man-cata sostituzione di quanti escono dall'attività la-vorativa. Sul piano sociale il trauma è nettamente inferiore, ma sul piano economico il risultato non è sostanzialmente diverso, venendo ad au-mentare fortemente la disoccupazione giovanile.

Si deve ancora osservare che la caduta occupa-zionale è fortemente concentrata nel tempo, pra-ticamente nel '74 e nel '75, e se la risposta delle imprese è il blocco del turn-over, per la FIAT questa misura si rende necessaria sino a tutto il '76 nell'ipotesi « bassa » (— 20.000 occupati di cui 13.000 nell'industria dell'auto) e sino a tutto il '77 nell'ipotesi « alta » (— 30.000 occupati, di cui 19.500 nell'auto).

È nei prossimi due-tre anni allora che avremo l'impatto di questa crisi, e questa previsione ri-chiede il massimo di tempestività nel definire ed avviare nuovi indirizzi di politica industriale a livello nazionale e regionale.

4. — In relazione alla gravità ed all'urgenza dei problemi, come all'esigenza di saldare la poli-tica congiunturale agli interventi sulle strutture, la Giunta Regionale ha avviato un'ampia ed ap-profondita ricognizione sul tessuto economico della regione. Sono in corso di redazione una arti-colata serie di ricerche che dovranno sostanziare il piano di sviluppo, dall'indagine sull'artigianato, a quella sulla meccanica strumentale, dallo studio sul bilancio energetico del Piemonte a quello sulle possibilità e modalità di diversificazione produt-tiva, dalla ricerca sulle imprese ausiliarie della FIAT a quella sui retroterra portuali.

Ciascuno di questi studi non ha una finalità solamente conoscitiva, pure importante, ma si propone di pervenire ad indicare una gamma di adeguate azioni programmatiche, necessarie per-ché il piano possa incidere concretamente sulla realtà.

In questa stessa ottica si colloca la creazione degli strumenti operativi del piano, dall'Ente di sviluppo agricolo all'Ente di sviluppo per l'arti-gianato, già approvati dal Consiglio regionale, alla legge sulle aree industriali attrezzate — in avanzata fase di esame — alla Finanziaria Regio-nale, che è intendimento della Giunta varare en-tro la presente legislatura.

L'attività pianificatoria della Regione viene inoltre sviluppandosi attraverso iniziative più specifiche quanto ad oggetto, ma di grande rilievo politico e metodologico, costituendo una speri-mentazione essenziale per i futuri svolgimenti della politica di programmazione. Mi riferisco in modo particolare al piano territoriale di coordi-namento per l'area torinese, che entro il mese di gennaio sarà presentato al Consiglio Regionale e che troverà una sua ulteriore specificazione, di carattere già progettuale, nel progetto-pilota che in accordo con il Ministero del Bilancio e della Programmazione stiamo avviando proprio in que-sti giorni.

È poi da aprire un altro grande capitolo, quello dei comprensori e della programmazione sub-regionale gestita in collaborazione e con la parte-cipazione democratica degli enti locali.

La Giunta ha già affrontato a livello di studio questo problema, complesso per le implicazioni istituzionali che comporta, e presenterà a tempi brevi una sua indicazione al dibattito delle forze politiche.

Consapevoli dunque delle pesanti difficoltà che abbiamo di fronte per recuperare una com-piuta capacità di guida della società piemontese ed insieme delle vive aspettative che sono sorte intorno alla programmazione regionale, testimo-niate anche dagli interessanti interventi apparsi su queste colonne, il nostro proposito è di pro-cedere lungo quegli indirizzi che rispondono ad un disegno programma torio, quale già si è deli-neato in Piemonte, lavorando nel tempo stesso per consegnare alla prossima legislatura regio-nale non solo un documento di piano, ma un soli-do impianto di programmazione, quanto ad obiet-tivi ed enunciazione di politiche da svolgere, e quanto a capacità operativa, di promozione e d'intervento.

G I A N N I O B E R T O

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Assetto dei servizi in Piemonte

Precisazioni sull'indagine edita

dalle Camere di commercio della regione

Roberto Gambino

1 - — L'avvio di una discussione delle questioni relative all'assetto dei servizi pubblici e privati, nella nostra Regione — promosso dalla Camera di Commercio di Torino su queste colonne, nel precedente numero, in concomitanza con la pub-blicazione dei principali risultati della nostra ricerca — non può che essere guardato con at-tenzione ed interesse. Mi pare quindi opportuno far seguire, a nome anche dell'équipe P O L I S che con la stretta collaborazione del Centro studi delle Camere di commercio piemontesi ha curato la realizzazione della non facile indagine, alle note colà apparse, alcune chiose o commenti utili a rettificare talune interpretazioni o chiarire de-terminate impostazioni del lavoro, nell'interesse di un più proficuo confronto dialettico.

Se un obbiettivo aveva la nostra ricerca, infatti, non era certo quello di concludersi con la pro-posta di soluzioni definitive ai complessi e pres-santi problemi dei servizi, ma piuttosto quello di offrire una base sistematica — di informazioni, di elementi di valutazione critica, di ipotesi al-ternative — per avviare anche nella nostra re-gione quel dibattito e quell'elaborazione politico-culturale sul grande tema dei servizi che si manifesta oggi in termini del tutto inadeguati alla gravità dei problemi sul tappeto, gravità sin-golarmente acuita dalla drammatica crisi con-giunturale.

In questo senso, lungi da ogni pretesa di co-struire uno strumento onnicomprensivo ed esau-stivo di analisi e di programmazione, le nostre ricerche si sono sviluppate entro limiti ben pre-cisi, consapevolmente assunti. Sappiamo bene che ampie zone d'ombra, lacune vistose si profilano tuttora accanto o fra le maglie dei temi trattati; ma abbiamo la presunzione di credere d'aver for-nito un contributo affinché la politica dei servizi

nella nostra Regione possa svilupparsi sulla base di analisi ed ipotesi scientificamente vagliate an-ziché sulla base di valutazioni impressionistiche o di vaghe intuizioni o sull'onda di pressioni pu-ramente corporative o contingenti.

È onesto aggiungere che la necessità di rimon-tare una pesantissima eredità di carenze cono-scitive, di superare molte delle tradizionali bar-riere, delle gelosie burocratiche, delle segretezze sacrali che tuttora precludono — nel nostro Pae-se e nella nostra regione — l'accesso ai dati an-che più essenziali, ha impegnato una parte cospi-cua delle risorse della ricerca in una vasta ed organica « raccolta delle informazioni » che, per quanto non suscettibile di immediati sbocchi ope-rativi, non va a nostro avviso sottovalutata: il fatto che, per avviare un discorso serio sui ser-vizi, si sia dovuto, « per la prima volta », attin-gere, dai dati originali del Censimento 1971, informazioni che I ' I S T A T , pur possedendole, non comunica; raccogliere, presso i Provveditorati agli studi, informazioni omogenee e complete sui vari ordini e gradi scolastici, che essi non tra-smettono agli organi superiori; raccogliere dalle fonti più diverse e disparate, informazioni omo-genee « sull'insieme » dei servizi sanitari; proce-dere ad una classificazione della rete stradale e degli altri sistemi di trasporto veramente signi-ficativa dal punto di vista dell'utente, ecc.; può indurre ad amare considerazioni sullo stato at-tuale della programmazione nella nostra regione e sul ruolo che gli organi pubblici ai diversi livelli sembrano attribuirsi.

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settoria-le », nel senso che, come risettoria-levano Riccardo

BELLO e Luigi CHIARA, non affronta

direttamen-te le relazioni strutturali tra i settori dei servizi e quelli dello sviluppo economico generale. Que-sto significa che le ipotesi di riorganizzazione e ristrutturazione dei servizi affacciate nel corso della ricerca non possono, di per sé, assumere autonoma validità programmatica ma hanno un valore meramente « strumentale » rispetto ad un processo di pianificazione globale del territorio. Ma non è proprio questo che occorre, se si vuole evitare ogni rischio di « subottimizzazione » set-toriale e di scoordinamento della programmazio-ne regionale?

Questo significa anche, e conseguentemente, che i modelli utilizzati nel corso della ricerca hanno un carattere essenzialmente « statico » — come ancora rilevano B E L L O e CHIARA — e possono assumere un significato dinamico e capa-cità previsionale solo in quanto strumenti di « si-mulazione » all'interno di una forsi-mulazione glo-bale di ipotesi programmatiche, che consideri tutte le variabili significative comunque implicate nei processi di sviluppo territoriale. Ed anche questo è un limite che conviene forse accettare, un prezzo da pagare se si vuole evitare una pro-grammazione tecnocratica e settoriale dei servizi.

I limiti dichiarati della nostra ricerca possono sembrare diffìcili da accettare soprattutto quando riguardano settori per i quali la ricerca stessa già offre esauriente ed originale materiale d'analisi. È questo il caso delle strutture d'accessibilità, che costituiscono il tramite tra l'utente e il servi-zio, e che sono state indagate con apposite elabo-razioni, sia in ordine ad una classificazione della rete stradale e delle altre reti di trasporto che fosse sufficientemente significativa dal punto di vista dell'utente, sia in ordine alle possibilità di integrazione e / o competizione tra i diversi siste-mi di trasporto. Anche qui, il carattere « par-ziale » della ricerca ha sconsigliato la formula-zione di ipotesi di trasformaformula-zione che investis-sero direttamente le strutture d'accessibilità; sebbene non si sia mancato di rilevare in più oc-casioni come soltanto attraverso opportune rior-ganizzazioni dei sistemi di trasporto (particolar-mente nell'area metropolitana, ove occorre ridurre i vantaggi che l'attuale sistema fornisce al nucleo centrale, e nelle aree marginali o periferiche della regione) è possibile conseguire soddisfacenti cambiamenti negli attuali assetti dei servizi.

D'altra parte, le incertezze che caratterizzano le prospettive di sviluppo dei sistemi di trasporto (prospettive legate più a singoli progetti o inizia-tive che a organiche previsioni programmatiche) non consentono di acquisire attendibili previsioni circa le tendenze od i programmi in atto a livello regionale. Resta comunque che, come giustamen-te osservano BELLO e CHIARA, ricerche apposite sulle possibilità d'intervento nei sistemi di tra-sporto, sarebbero estremamente opportune anche in ordine alla definizione di una politica dei ser-vizi, data la profonda interazione che è stata rile-vata tra assetto della mobilità e assetto dei servizi.

2. — Nonostante questi limiti, tuttavia, mi pare che gli interventi di B E L L O , CHIARA e G A L L O abbiano colto bene quella che è certamente una connotazione fondamentale del nostro lavoro: la considerazione integrata, in un quadro unitario, dei diversi settori di servizi e dei relativi pro-blemi. Si tratta qui — è ben chiaro — di superare radicalmente una situazione di estrema settoria-lizzazione che caratterizza non soltanto l'approc-cio tradizionale al problema dei servizi, ma anche l'attività quotidiana degli enti che comunque con-corrono a configurare, sviluppare e gestire il siste-ma dei servizi e delle infrastrutture civili nella regione e nel Paese. Giustamente osserva

Pieran-gelo G A L L O che l'impostazione tradizionalmente

settoriale del problema scolastico è anche il pro-dotto « di una ideologia che ha alimentato una concezione del momento scolastico completa-mente avulsa dalla realtà sociale ». In altri ter-mini l'osservazione potrebbe essere ripetuta per tutti gli altri settori di servizi: da quelli commer-ciali (dominio riservato ed esclusivo della « libe-ra » iniziativa privata, prima che l'urbanistica commerciale scoprisse la necessità « tecnica » di un collegamento tra iniziativa privata e iniziativa pubblica) a quelli sanitari (momento « separato » della vita sociale, riservato ai malati, tempora-neamente esclusi dal consorzio civile, ed ai loro addetti) a quelli culturali, a quelli ricreativi, per il tempo libero ecc. La settorializzazione dei ser-vizi affonda le sue radici nella stessa « ideologia dello sviluppo » che ha guidato l'evoluzione del-la nostra società negli ultimi decenni.

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set-tori. Un esempio calzante è offerto dallo stesso

G A L L O quando rileva le difficoltà per una seria

definizione dell'ambito territoriale dei distretti scolastici.

Un altro esempio, non meno pertinente, è quello che si riferisce alla programmazione regio-nale del servizio sanitario, anche in funzione della riforma nazionale.

Certo, come afferma Dario CRAVERO, occorre in questo caso partire dall'esame delle carenze (che è qualcosa di più e di diverso da quella « fo-tografia del reale » di cui egli parla), in modo da poter riferire gli interventi di piano alle esigenze dell'utenza. Ma quale utenza?

Forse l'utenza attribuibile a ciascuno dei pre-sidi esistenti, in base alla domanda « effettiva » che attualmente si registra (eventualmente ed op-portunamente extrapolata per tener conto dell'ac-crescimento di popolazione ecc.)? Non esiste forse nella regione un amministratore responsa-bile disposto ad avallarsi una simile ipotesi, che comporterebbe inevitabilmente di accettare, san-cire e, in prospettiva, aggravare, gli attuali feno-meni di concentrazione, coi connessi squilibri. O forse l'utenza attribuibile a ciascuno dei presidi esistenti, nell'ipotesi che ciascuno degli utenti possa sempre scegliere il presidio più vi-cino? Ma anche questa ipotesi, come le nostre « simulazioni » hanno esaurientemente dimostra-to, non è accettabile, in quanto lascerebbe per-manere vistosi squilibri e carenze: infatti la rete attuale dei presidi sanitari non è distribuita in maniera sufficientemente equilibrata rispetto alla distribuzione della popolazione. Inoltre l'ipotesi-base, che l'utente scelga sempre il presidio più vicino, ha poche probabilità di verificarsi, se non dopo che si sia verificata una radicale redistribu-zione della capacità d'offerta tra i vari presidi, tale da eliminare le enormi differenze che tra essi attualmente esistono (e che danno luogo a quella marcata « gerarchizzazione » dell'attuale rete ospedaliera da noi rilevata, che non è certo stata eliminata dalle recenti disposizioni legislative in materia di qualifiche e di carriere!). Non resta che accettare il concetto che la determinazione del bacino di utenza da attribuirsi a ciascun pre-sidio sanitario è atto tipicamente programmato-rio e non può che riferirsi ad un modello globale di organizzazione del territorio, di cui il sistema sanitario è soltanto una delle componenti.

E, se ci mettiamo su questa strada — che è l'unica strada seria da percorrere, per il servizio

sanitario, come per quello scolastico, come per quello commerciale ecc. —, credo che possiamo tranquillamente riporre in un cassetto tutti i rife-rimenti a « modelli ideali » di ospedali-tipo, o di USL-tipo, perché dovremmo scontrarci diret-tamente con la dura realtà attuale della nostra regione, coi suoi problemi e con le sue strutture. 3. — La considerazione « integrata » dei di-versi settori di servizi non esclude certo l'oppor-tunità di approfondimenti settoriali •— di cui costituisce anzi un fondamentale presupposto. Approfondimenti tanto più opportuni per quei settori in cui si manifesta, con peculiare gravità, una problematica specifica — come la « questio-ne scolastica » o la « questioquestio-ne sanitaria » •— le-gata anche a imminenti prospettive di riforma.

Lo provano le acute osservazioni che G A L L O muove a proposito della questione scolastica pro-prio a partire da una concezione « integrata » della scuola, come componente della organizza-zione civile della regione. A questo proposito va sottolineato il richiamo all'imprescindibile unitarietà del ciclo dell'istruzione ed al ruolo che i cosiddetti plessi integrati (scuole elementari e scuole medie dell'obbligo) potrebbero svolgere, come fuochi di vita comunitaria e nuclei di coa-gulazione degli altri servizi (sanitari, sociali, as-sistenziali, commerciali ecc.) per la riorganizza-zione del territorio, anche e soprattutto in vista di un recupero e di una rivitalizzazione del tes-suto insediativo minore. Non meno pertinente il richiamo alla prevista costituzione del biennio unificato e alla prospettiva di estensione dell'ob-bligo scolastico che, giustamente si osserva, apre la possibilità di un impianto territoriale più fles-sibile ed equilibrato. È interessante osservare, a questo proposito, come la riduzione dei fenomeni di concentrazione e di gerarchizzazione dell'ar-matura di servizi (cui può farsi risalire la mag-gior parte degli attuali squilibri) possa essere notevolmente facilitata nel campo scolastico, da una tendenza alla despecializzazione delle strut-ture scolastiche e alla maggior osmosi tra i diversi ordini e gradi dell'istruzione (verso una scolarità « indifferenziata »?), quali sono suggerite non soltanto dalle istanze di riforma, ma anche dalle più recenti esperienze progettuali.

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