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Verso quale riforma del danno alla persona? Prof. Patrizia Ziviz

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Academic year: 2022

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Verso quale riforma del danno alla persona?

Prof. Patrizia Ziviz*

1. Nell’anno in corso, il quarto di secolo del danno biologico è stato celebrato con l’approdo dello stesso dalle aule dei tribunali alle aule parlamentari. Non solo:

sempre più intenso appare il dibattito e si moltiplicano le aspettative per una riforma in grande stile in materia di danno alla persona.

Per il momento, comunque, i dati legislativi certi con i quali è chiamato a misurarsi l’interprete non risultano assai ricchi: l’unico riferimento è, ad oggi, rappresentato dall’art. 13 del d.lgs. 38/2000 relativo alla riforma INAIL. Meno fortunato e noto a tutti risulta, invece, l’iter dell’art. 3 del decreto-legge 70/00, concernente il danno biologico derivante da lesioni di lieve entità, che dopo lo stralcio è stato travasato con modifiche in un disegno di legge. Si moltiplicano, nel frattempo, le proposte relative alla riforma di carattere generale, dopo che lo scorso anno il Governo ha approvato un disegno di legge sul punto.

Una prima osservazione riguarda, allora, il paradosso che ci viene offerto dall’attuale panorama normativo: il solo dato legislativo consolidato è proprio quello che invece dovrebbe costituire il punto finale del processo di inserimento del danno biologico nel sistema. Se, infatti, nella stagione giurisprudenziale il senso della corrente vedeva il danno biologico entrare nel campo previdenziale soltanto dopo la sua piena affermazione in seno al diritto privato, ad un percorso inverso si assiste nella stagione legislativa. Ecco allora che - poiché ad essere arrivata in porto per prima è la riforma Inail - le scelte normative di ordine generale che verranno effettuate in materia di danno biologico dovranno in ogni caso fare i conti con i dati da quest’ultima proposti.

2. È l’art. 13 del d.lgs. 38/00 a candidarsi, perciò, quale base per la riforma generale.

Bisogna, tuttavia, evidenziare come non tutte le regole che emergono nell’ambito di tale disposizione siano destinate a riverberarsi sul piano del diritto comune; alcune di esse appaiono, infatti, correlate alle caratteristiche peculiari del sistema previdenziale.

Per tale motivo non potranno essere prese in considerazione, come indicazioni imprescindibili, quelle regole che appaiono funzionali alla logica indennitaria. Tra queste, in particolare:

la mancata personalizzazione del danno biologico; la forfettizzazione appare, in effetti, coessenziale alla logica previdenziale (all’interno della quale si assiste, in ogni caso, ad un tentativo di recupero di tale versante attraverso l’introduzione degli aspetti dinamico/relazionali del danno all’interno delle tabelle);

* Professore di Diritto Privato – Università di Trieste.

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la mancata tutela delle micropermanenti: una scelta che, al di là della sua condivisibilità o meno, risulta collegata agli obiettivi perseguiti dal sistema previdenziale, mentre non si giustifica in un’ottica risarcitoria.

Quanto ai dati, ricavabili da quell’ambito normativo, dai quali non appare possibile prescindere nel momento in cui si intenda riformare complessivamente il sistema del danno alla persona, si tratta:

della definizione del concetto danno biologico: tale nozione viene identificata con “la lesione all’integrità psico-fisica, suscettibile di accertamento medico legale, della persona”. Si tratta di una nozione che, nell’ottica governativa, si candida a rappresentare il punto di riferimento anche per la riforma complessiva: come del resto emerge chiaramente dall’adozione del medesimo concetto sia nel d.l. relativo alle micropermanenti che nell’ambito della proposta di riforma generale formulata dal disegno di legge approvato dal Governo. L’unica scappatoia per sfuggire a quel dato legislativo è rappresentata dal fatto che, nella norma in esame, si specifica che la definizione del danno biologico risulta effettuata “in via sperimentale”: il che lascerebbe spazio all’adozione – in sede di diritto comune – di una diversa prospettiva.

Del metodo di valutazione del danno biologico, basato sul punto di invalidità permanente.

3. E veniamo al punto della riforma generale.

Un primo interrogativo che deve porsi l’interprete riguarda la reale urgenza di un intervento complessivo, destinato – come sembra dalle proposte in circolazione – a riformulare le norme codicistiche relative al risarcimento del danno. Ed è facile scoprire, allora, che i problemi si pongono, essenzialmente, in punto di valutazione;

sussiste, cioè, una pressione (soprattutto da parte delle imprese assicuratrici), affinché si addivenga ad una liquidazione del danno biologico uniforme su tutto il territorio nazionale, attraverso la definizione per via normativa di una tabella unica nazionale (TIN).

Ebbene, bisogna sottolineare con forza che l’adozione della TIN è problema distinto da quello della riforma del codice civile e prescinde da quest’ultima. Se vi è una precisa urgenza di intervenire su questo punto, ciò può essere fatto senza che – contemporaneamente – venga intaccato l’attuale assetto codicistico. L’immediata emanazione della tabella unica renderebbe, inoltre, superfluo anticipare i contenuti della stessa in un separato intervento normativo, riguardante esclusivamente le micropermanenti.

Ovviamente, per quel che concerne i valori monetari da inserire in tale tabella, le conclusioni non sono pacifiche. Sebbene fuori discussione appaia il metodo da adottare (come del resto si evince, abbiamo visto, dalla stessa riforma INAIL), qualche problema può emergere per quel che riguarda le possibilità di intervento del giudice sui valori monetari individuati in tabella. L’attuale proposta governativa prevede, infatti, una notevole compressione del potere equitativo del giudice, poiché è consentita la possibilità di uno scostamento soltanto nei limiti di 1/5, in ragione delle circostanze eccezionali del caso. Al contrario, la personalizzazione del danno

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biologico – come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza – appare momento essenziale e imprescindibile nel procedimento di valutazione dello stesso. L’assenza di tale momento, infatti, implicherebbe l’impossibilità di tener conto di quella che viene definita quale componente dinamica del pregiudizio stesso.

Resta inteso che un riferimento ben preciso, quanto agli importi monetari da inserire in tabella, emerge dalle tabelle definite in ambito previdenziale, con riguardo ai valori del punto per le invalidità comprese tra il 6% e il 15% (liquidate in conto capitale);

nella TIN – trattandosi di risarcimento e non già di indennizzo – dovranno in ogni caso essere previsti valori più elevati rispetto a quelli applicati in campo previdenziale.

Al momento della definizione della TIN sarebbe necessario, inoltre, risolvere alcuni profili rimasti in ombra nel progetto governativo: in particolare, quello della valutazione del danno biologico spettante agli eredi in caso di morte della vittima.

Quanto all’adozione di una tabella unica anche per quanto riguarda il danno morale, le proposte in campo riguardano, al momento, soltanto il danno morale derivante dalla lesione alla salute (nonché quello dei congiunti in caso di morte della vittima).

Resta aperta, quindi, la possibilità di sperequazioni rispetto ad altri settori dell’illecito, ove il danno morale continua ad essere sottratto alla tabellazione.

4. Oltre al punto relativo alla valutazione, vi sono altri versanti per i quali la riforma legislativa appare impellente?

La mia opinione è che l’unica reale urgenza sia oggi rappresentata dalla riforma dell’art. 2059. Le integrazioni legislative effettuate in questi ultimi anni, con l’ampliamento dei casi previsti dalla legge cui rinvia la norma in questione, rendono evidenti le incongruenze di un sistema imperniato sulle cause generatrici del danno:

le disparità di trattamento che ne conseguono non possono più essere giustificate, come accadeva in passato, sulla base della maggior gravità del fatto illecito, visto che nel novero delle ipotesi cui rinvia la norma sono ormai comprese anche delle fattispecie di responsabilità oggettiva. Diventa, pertanto, indispensabile muoversi in un’ottica di eliminazione delle restrizioni risarcitorie in materia di danno non patrimoniale: dato, questo, comune alle varie proposte di riforma in circolazione.

Quanto al danno biologico, l’unico principio che appare importante ribadire riguarda la risarcibilità dello stesso esclusivamente a fronte di una lesione della salute accertata sul piano medico-legale. Si tratta, in ogni caso, di una regola che non sembra abbisognare di uno specifico intervento normativo, una volta adottata la TIN.

Per poter parlare di danno biologico, bisogna necessariamente fare riferimento ad un’entità valutabile alla stregua del sistema di misurazione normativamente previsto;

il quale prevede un’unica unità di misura (il punto di invalidità) per la lesione originante un danno biologico. È come dire che il danno biologico può essere liquidato soltanto a fronte di una lesione alla salute accertata in sede medico legale.

Quanto alla definizione legislativa del concetto di danno biologico, sarebbe opportuno rimandarla fintantoché permane il tentativo – operato nella proposta del Governo - di riportare indietro gli orologi, tornando all’identificazione di tale pregiudizio con la lesione della salute in sé considerata. È quasi superfluo

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rammentare gli inconvenienti cui porta una simile tendenza: (1) se il danno si identifica con la lesione, non appare possibile tener conto del c.d. aspetto dinamico del danno biologico, negandosi così la possibilità di procedere ad una personalizzazione dello stesso: il che implica, ovviamente, il venir meno del principio dell’assorbimento, che vede ricondotte nell’ambito del danno biologico le voci di pregiudizio quali il danno alla vita di relazione, il danno estetico, ecc.; (2) negare che il danno rappresenta una conseguenza della lesione riapre quel problema del danno biologico da morte (innescato dalla teoria del danno-evento) che sembrava ormai definitivamente risolto.

5. Perché rimandare (o, addirittura, evitare del tutto) un ritocco della norme codicistiche (diverse dall’art. 2059)? Il punto è che, per intervenire in questo campo, bisogna avere ben chiaro il modello risarcitorio che si vuole affermare. In particolare:

il nuovo modello non deve presentare incongruenze interne, come invece accade con riguardo allo schema delineato dal Governo: il quale - benché ispirato al progetto ISVAP - introduce rispetto allo stesso delle modifiche che non tengono conto delle opzioni di fondo sulle quali lo schema originario è stato costruito, e quindi non risultano coerenti con l’impianto complessivo;

si devono adottare indicazioni elastiche, basate su clausole generali, in accordo con quanto avviene normalmente nella disciplina dei fatti illeciti. Un tale requisito sembra invece mancare in quelle proposte in cui si prevedono norme ad hoc per la regolamentazione - per fare un esempio - del danno biologico dei congiunti in caso di morte (norma, oltre tutto, che appare assolutamente superflua nel momento in cui il danno biologico risulta correlato all’accertamento di una patologia, quand’anche di carattere psichico: non si comprende, infatti, perché limitare, in caso di lesione alla salute comprovata, la cerchia dei soggetti ammessi al risarcimento);

il nuovo modello deve presentare un’articolazione completa del danno risarcibile.

Dato che non appare rispettato dalla proposta governativa, dove la tripartizione del danno in categorie positive (patrimoniale – biologico – morale), non appare esaustiva né rispetto alle prospettive di tutela che emergono dalla prassi giurisprudenziale tradizionale (danno non patrimoniale degli enti – danno alla vita di relazione quando non sia lesa la salute), né – soprattutto – tiene conto dell’evoluzione in materia di danno esistenziale.

6. Il punto essenziale su cui bisogna soffermarsi riguarda il fatto che il danno biologico, in realtà, non ha bisogno dell’intervento del legislatore; tanto meno in un momento come questo, in cui le regole operazionali in materia sembrano oramai consolidate (salva restando, appunto, la possibilità di addivenire ad una tabellazione unica in sede nazionale, per assicurare una maggior uniformità valutativa). Una razionalizzazione, semmai, sarebbe necessaria per quei versanti di protezione della persona che non derivano dalla lesione alla salute, ma da altri torti suscettibili di colpire direttamente l’individuo.

Per quanto riguarda questo aspetto, la progettata riforma sembra – quantomeno nella prospettiva adottata dal Governo – dettata esclusivamente dalla volontà di

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arginare e comprimere le nuove istanze che provengono dalla prassi. In questa luce, allora, si spiega non solo il mancato riferimento al danno esistenziale, come posta di pregiudizio risarcibile, ma anche il tentativo di espulsione della componente esistenziale dal danno biologico (sia a livello di definizione, che – soprattutto – di valutazione). Procedere oggi ad riforma di carattere generale delle norme codicistiche rischia, in definitiva, di cristallizzare a livello normativo una fase evolutiva intermedia del sistema aquiliano, che vede consolidarsi la protezione dell’individuo sul versante della lesione alla salute ed ignora gli altri versanti del torto suscettibili di colpire la persona.

Poiché tale fase appare, in questi ultimi anni, ampiamente superata nella realtà delle corti, un momento di meditazione e di confronto collettivo appare indispensabile.

Sarebbe, infatti, assai pericoloso intaccare in maniera affrettata quegli equilibri codicistici che la giurisprudenza ha mostrato di saper abilmente piegare - anche a prescindere da modifiche normative - all’obiettivo di una piena salvaguardia della persona.

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