SETTEMBRE 1973 Pubblicazione trimestrale Anno X XXII - N. 3
Spedizione in abbonamento postale - Gruppo I V
RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO
E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E
Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI
(e RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)
D I R E Z I O N E
GIAN ANTONIO M ICH ELI - GIANNINO P A R R A V IC IN I
COMITATO SCIENTIFICO
ENRICO ALLO RIO - ENZO CAPACCIOLI - CESARE COSCIANI FRANCESCO FORTE - EM ILIO G ERE LLI - tANTONIO PESENTI
ALDO SCOTTO - SERGIO STEVE
della Camera di Commercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università di Roma
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Rivista associata all'Unione delia Stampa Periodica Italiana
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I N D I C E - S O M M A R I O
P A R T E P R I M A
Sergio Steve - Gustavo D el Vecchio (.1 8 8 3 -1 9 7 2 )...
Antonio Gori - Problemi economici e finanziari della revisione dell’or dinamento comunale e p r o v in c ia le ... Alessandro Pktretto - L'efficacia degli stabilizzatori automatici in un^
contesto dinamico: una riformulazione più generale AelV analisi di Peacock e S h a w ... Gian Antonio Mic h e li - L ’Iv a : dalle direttive comunitarie al decreto de legato (considerazioni di un g i u r i s t a ) ... Armando Martorana - L’illecito amministrativo tributario e le relative
sanzioni pecuniarie ( I I ) ... ...
Lu ig i Paolo Comoglio - A tti di istruzione delegata e contraddittorio nel contenzioso tributario . ...
Franco Ga f f u r i - L ’IN VIM e la dinamica delle società commerciali .
381 3S3 411 431 446 468 490 APPUNTI E RASSEGNE
Leonardo Perrone - L’imposta sull’increm ento di valore degli immobili: primi spunti c r i t i c i ... Pietro Adonnino - La territorialità d e l V I V A ...
Giovanni Pu o ti - Rassegna della giurisprudenza tributaria . . . .
Clau d io Sacchetto - Rassegna legislativa in materia tributaria .
RASSEGNA D I PUBBLICAZIO NI RECENTI . . •... 512 518 526 535 558 P A R T E S E C O N D A NOTE A SENTENZE
Francesco D ’Ayala Valva - Plurim posizione e reiterabUità dell’ingiunzio ne f i s c a l e ...225 Filippo Gazzerro - A ccertam ento del plusvalore, ivi compreso l avvia
mento dell’azienda ceduta, mediante la vendita di tiUte le azioni . 240
Mich ele Piccabreta - Valutazione dei redditi derivanti da partecipazione in società di persone ed in società di capitali ai fini dell’imposta oom- plementare progressiva sul r e d d i t o ...*'54 Giu l ia n o Tabet - Due sentenze « postume » in tema di regim e transitorio
dell’imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili . . • -0
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i-SENTENZI! ANNOTATE
Successione - Emissione eli decreto ingiuntivo, su richiesta della Finanza per iscrizione di ipoteca - Successiva emissione di ingiunzione fiscale per esecuzione coattiva - Legittimità - Esclusione (Cass., Sez. Un., 18 novembre 1971-6 aprile 1972) (con nota di F. D ’Ayala Valva) . . 225 Plusvalenza comprensiva dell’avviamento - Vendita della totalità delle
azioni dalla società di fatto tra gli azionisti - Tassazioni in capo a ipiesta - Art. 20, legge 5 gennaio 1956, n. 1 (Comm. Centr., Sez. IV, 29 novembre 1971, n. 9694) (Con nota di F . Gazzerbo) . . . . 240 Imp. complementare - Redditi derivanti da partecipazioni in società di
persone - Principio dell’automatica efficacia ex art. 141 t.u. n. 645 del 1958 - Limiti (Comm. Centr., Sez. V, 7 luglio 1970, n. 7270) (con nota di M. Piccarreta) ...254 Tributi locali - Imposta aree fabbricabili - Sostitutiva del contributo di
miglioria generica - Riscossione di somme non dovute - Imputazione al contributo di miglioria generica - Inammissibilità.
Tributi locali - Imposta aree fabbricabili - Sostitutiva del contributo di mi glioria generica - « Periodo bianco » - Disposizioni transitorie -* Inap plicabilità (Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1970, n. 2699) (con nota di G. Tabet) ... ... 262 Tributi locali - Imposta aree fabbricabili - Periodo di applicazione - Esten
sione al «period o bia n co» . Potere del Comune - Insussistenza - Con troversia relativa - Giurisdizione dell’A.g.o.
Tributi locali - Contenzioso - Azione dinanzi all’autorità giudiziaria - Con testazione « in radice » del potere di imposizione - Condizioni. Tributi locali - Imposta aree fabbricabili - Oggetto - Area utilizzata a
Gentile Abbonato,
su tutta la stampa quotidiana Ella avrà avuto modo di leggere appelli tendenti a limitare o diminuire gli sprechi nel consumo della carta; anche se questa rivista, per il fatto di essere distribuita in abbona mento, potrebbe sembrare meno interessata al pro blema, tuttavia è gravemente colpita dai ritardi e dagli smarrimenti dovuti ai disguidi postali che si fanno sempre più numerosi.
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PUBBLICAZIONI
DELL’ISTITUTO DI SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI
DELLA UNIVERSITÀ' DI MESSINA ___________ N . 87 MARIO CENTORRINO
IL PROBLEMA DELLA DICOTOMIA
NEI SISTEMI MONETARI
CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE
Un modello di analisi - La legge di Say ed il postulato di omogeneità - Indeterminazione e contraddittorietà dei modelli neo-classici - La dico tomia nei sistemi monetari - Il problema della dicotomia alla luce di una nuova definizione - Dicotomia e neutralità nel lungo periodo. 1971, volume in 8°, p. 1 75 , L. 1800
MARIO PINES
NOTE SUL MERCATO
FINANZIARIO
1.
Econom ia.e tecnica delle negoziazioni di borsa
Il mercato mobiliare - La borsa valori - Gli organi della borsa valori - I contratti di borsa - Gli oggetti delle contrattazioni di borsa.
1973, volume in 8°, p. VIII-96, L. 1500
CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO
LIBERA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SOCIALI « PRO DEO »
Roma _______ ______________________ ____________ _ STUDI ECONOMICI VINCENZO SIESTO
TEORIA E METODI
DI CONTABILITÀ
NAZIONALE
Introduzione.LO SCHEMA STANDARDIZZATO DI CONTABILITA’ NAZIONALE: La struttura generale dello schema stan dardizzato - La produzione e la formazione del reddito - La tavola input-output - La distribuzione e redistribuzione del reddito - Gli usi finali delle risorse - Il finanziamento dell’economia - Gli scambi con l’estero - Il sistema con tabile nel suo insieme.
PROBLEMI DI ESTENSIONE E INTERPRETAZIONE DEL SISTEMA CONTABILE: Il reddito nazionale - Ric chezza e capitale nazionale - Comparazione dei flussi nel tempo e nello spazio - La contabilità nazionale come fonte ' dei grandi rapporti dell’economia - I conti economici adat
tati a particolari fini di politica economica.
1 9 7 3 , volume in 8°, p. X -602, L. 8 00 0
PUBBLICAZIONI DELL’ISTITUTO DI POLITICA ECONOMICA E FINANZIARIA DELLA FACOLTA’ DI ECONOMIA E COMMERCIO
DELL’UNIVERSITÀ’ DI ROMA
15
VITTORIO BARATTIERI
LE BANCHE
DI SVILUPPO
NEI PAESI EMERGENTI
Premio Foscolo 1971
Il piano dell’opera - Il dibattito sul ruolo del sistema finanziario nello sviluppo eco nomico - Il sistema finanziario nei paesi emergenti - Le banche di sviluppo - Alcune considerazioni statistiche su un campione di banche di sviluppo - Il flysso delle ri sorse alle banche di sviluppo: problemi e prospettive.
197 2, volume in 8°, p. 8 7 , con tabelle, L. 1 500
M E D IO C R E D IT O C EN T R A LE
COMUNICATO STAMPA
Il Consiglio Generale del Mediocredito centrale, riunito sotto la presidenza del prof. Giannino Parravicini, ha approvato nei termini di_ legge il_ bilancio dell’ Istituto per l’esercizio 1972, che è il ventesimo. Nei suoi 20 anni di vita l’attività del Mediocredito centrale a favore delle piccole e medie industrie, delle esportazioni a pagamento differito e delle imprese colpite da calamità natuiali, può essere sintetizzata in 52.464 operazioni accolte e in 4.500 miliardi di lire di crediti agevolati. In particolare l’intervento del Mediocredito centrale ha con sentito l’attuazione di investimenti per circa 2.500 miliardi di lire nel settore delle piccole e medie industrie e forniture per oltre 4.000 miliardi nel settore delle
esportazioni. . . . . .
Nello stesso periodo il Mediocredito centrale ha concesso^ agli istituti re gionali mutui a tasso di favore per 346 miliardi di lire, il cui controvalore è destinato ai finanziamenti interni. In più sedi è stato rilevato negli ultimi tempi che l’attività dell’Istituto si rivolge con peso prevalente all’esportazione, e che quella a favore delle piccole e medie industrie va quasi tutta alle regioni del centro-nord. Di questi dati inoppugnabili, le interpretazioni e le deduzioni, è stato chiarito nel Consiglio Generale, rilevano una loro conoscenza parziale, e spesso risentono di insoddisfazioni di altra natura. Queste interpretazioni considerano il Mediocredito centrale come un Istituto a sé stante e non inserito nel sistema del credito agevolato. Sta di fatto che il credito all’esportazione è affidato soltanto al Mediocredito centrale, mentre quello alle piccole e medie industrie è affidato oltre che al Mediocredito centrale, al Ministero dell’industria, che lo attua in misura prevalente, e per il sud alla Cassa per il Mezzogiorno, agli istituti meri dionali e al suddetto ministero.
Dai dati della Banca d’Italia si rileva che le consistenze del credito age volato al 30 settembre 1972 ammontavano a 6.300,3 miliardi, di cui solo 859,1 miliardi {ossia il 13,6 % ) sono andati alle esportazioni. Della restante cifra di 5.441,2 miliardi, 3.239,2 miliardi e cioè il 59,5 % , sono andati al Mezzogiorno e 2.202,0 miliardi al Centro-nord. In questo contesto le consistenze del Mediocre dito centrale sono di circa 470 miliardi.
Il quadro d’insieme indica dunque che non esistono le distorsioni lamentate. Fino a quando ci sarà convenienza ad avvalersi delle agevolazioni del Mi nistero dell’industria e ancor più di quelle della Cassa per il Mezzogiorno, gli industriali e gli istituti primari si rivolgeranno, come stanno rivolgendosi, a queste istituzioni e non al Mediocredito centrale. Le operazioni del Mediocredito centrale saranno inevitabilmente limitate alla frangia di coloro che abbisognano di minori agevolazioni e di minore dilazione dei rimborsi.
Ancora una volta non si può comunque non auspicare che tutto il sistema del credito agevolato all’industria venga rivisto e coordinato per renderlo più spedito e per evitare forme di agevolazioni settoriali.
Circa l’esercizio del 1972, l’Istituto ha ammesso all’agevolazione nuovi crediti per complessivi 684,2 miliardi di lire, con un aumento del 38,1 % rispetto al l’esercizio precedente. La carenza di mezzi ha costretto ad approvare la maggior parte delle operazioni con riserva. Gli istituti speciali di credito hanno portato gli impieghi agevolati del Mediocredito centrale alla cifra di 1.652 miliardi di lire, ivi compresi i mutui concessi agli istituti regionali di medio credito.
PUBBLICAZIONI DELLA LIBERA UNIVERSITÀ’ INTERN AZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI
quaderni 8
A. BERLIRI - L. CECAMORE - O. CESAREO M. SICA - A. STAFFA
ASPETTI GIURIDICI
ED ECONOMICI
DELL’ IVA.
Atti del convegno organizzato dall’Istituto di Studi Aziendali (9 febbraio 1973)
Introduzione del prof. R. Lucifredi - Apertura lavori del prof. A. Amaduzzi - Relazioni: prof. O. Cesareo, L ’organizzazione della amministrazione finanziaria per l’applicazione dell’I.V.A. - prof. A. Berliri, Problematica giuridica dell’I.V.A. - dott. L. Cecamore, L ’imprenditore come soggetto passivo d’imposta - prof. M. Sica, Problemi economico-aziendali derivanti dall’applicazione dell’I.V.A. - prof. A. Staffa, Ristrutturazioni contabili derivanti dall’applicazione dell’I.V.A. - Dibattito.
1973, volume in 8°, p. 114, L. 1700
80
GUSTAVO DEL VECCHIO (1883-1972)
Nell’opera di Gustavo Del Vecchio i lavori di teoria e di po litica monetaria prevalgono per continuità di impegno e ricchezza di risultati, ma l’originalità di impostazione e la qualità di questo gruppo di lavori si ritrovano nelle grandi sintesi di economia pura e di economia applicata e nei contributi a svariati campi di ricerca. Sempre si avverte il segno degli economisti davvero grandi: la ca pacità di innovare, fondata sulla consapevolezza della continuità nello sviluppo delle teorie e sull’attenzione, priva di pregiudizi, allo svolgersi dei fatti. Pochissimi economisti hanno approfondito, come Del Vecchio, il senso della storia del pensiero economico, non soltanto dal punto di vista degli sviluppi analitici, ma nei nessi con la storia politica e sociale.
Questi caratteri si ritrovano anche negli apporti del Del Vec chio alla scienza delle finanze. Essi sembrano, a prima vista, avere un posto marginale nella sua produzione scientifica, nonostante egli abbia insegnato la materia a diverse riprese, e da ultimo per un decennio nella Facoltà giuridica di Roma. In realtà la finanza pub blica è stata lungamente al centro della sua riflessione teorica, tanto che egli potè scrivere : « La scienza delle finanze consiste nell’ap plicazione ai fatti finanziari della teoria economica, quando la teo ria economica si assuma con quelli che sono i suoi caratteri odierni. La scienza delle finanze è quindi la stessa teoria economica » (Intro
duzione alla finanza, in questa Rivista, settembre 1954, I, p. 237).
Del Vecchio liquidava così la trita contrapposizione fra la ma teria prima dell’economia, capace di essere ricondotta a leggi scien tifiche, e quella della finanza, irriducibile a tali leggi; e mostrava come la finanza, proprio per i suoi caratteri concreti e per i limiti che essa pone a certi tipi di teorizzazione, partecipa della stessa na tura di un’economia che sia colta nell’effettiva realtà dei suoi pro cessi e non in visioni senza rilevanza e realismo. E proprio dalla considerazione dei fenomeni finanziari, Del Vecchio ricavava criteri di metodo validi per affrontare i fenomeni economici nella loro con cretezza: l’esigenza di una visione dinamica e non statica; il ca rattere probabilistico e non categorico delle teorie; l’impossibilità di pervenire a un sistema teorico assolutamente chiuso e la necessità di accettare una certa misura di frammentarietà (op. e luogo cit.).
gine succinte sono una lezione esemplare alla quale indirizzare chi voglia intendere come si deve, e come non si deve, affrontare lo stu dio della scienza delle finanze. Ancora alla nostra Rivista il Del Vecchio offrì un capitolo di storia della finanza, scritto per la se conda edizione dell’Introduzione. È una sintesi densa ed efficace
dell’evoluzione dei sistemi finanziari. Svolge tra l’altro, con ricchezza di esempi e profonda intelligenza, la tesi che « occorre liberarsi dalle parole e dagli schemi dottrinali, tendenti ad irrigidire il si gnificato di termini che invece nella storia sono di contenuto emi nentemente variabile » (Lezioni sopra la storia finanziaria, in que sta Rivista, dicembre 1956, I, p. 255). Si può misurare facilmente la distanza tra il profondo senso storico del Del Vecchio e le ripe tizioni tediose di luoghi comuni senza tempo.
Le qualità intellettuali e l’affascinante simpatia gli dettero na turalmente, senza che in alcun modo la cercasse, una posizione di guida per generazioni di studiosi. Pochi degli economisti italiani for matisi tra il 1920 e il 1950 non sono, direttamente o indiretta mente, suoi allievi; per pochi non sono stati determinanti la let tura dei suoi scritti, lo stimolo della sua conversazione, il suo aiuto generoso. A conferma del posto centrale che la finanza ebbe nel pensiero del Del Vecchio, l’allievo che assorbì e sviluppò più pie namente la lezione del maestro fu un finanziere, Renzo Fubini, scom parso nella tragedia razzista ancor giovane, ma non prima di aver mostrato la fecondità deH’insegnamento del Del Vecchio, applican dolo a un ampio spettro di argomenti, dalla interpretazione del pensiero dei classici alla sistemazione degli istituti e delle ten denze della finanza contemporanea.
Per chi l’ha sperimentata, rimane un ricordo luminoso la gioia con la quale Del Vecchio seguiva nuove generazioni di studiosi con la sua fiducia, meditata e difficilmente fallibile. E rimangono un esempio il costante impegno e la rigorosa serietà che si sentivano sempre, sotto un velo superficiale di scetticismo e di disincanto. Quel velo difendeva la sua appassionata sensibilità, che ingiustizie ed intrighi dolorosamente ferivano.
Mentre tornavamo dalla cerimonia funebre, più di uno ha pen sato che avevamo salutato l’ultimo di una generazione di studiosi che ha onorato come poche altre le ricerche economiche: Jannac- cone, Einaudi, Gino Luzzatto, Bresciani Turroni, Griziotti, Giorgio Mortara. E pensavamo alla piccola e povera università dove questi uomini si erano formati, come a un’eredità i cui valori non ab biamo saputo conservare.
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PROBLEMI ECONOMICI E FINANZIARI
DELLA REVISIONE DELL’ORDINAMENTO COMUNALE E PROVINCIALE
So m m a r io: 1. Premessa. — 2. Oggetto dello studio. — 3. La distribuzione di funzioni tra diversi livelli di governo, e revisione dell’ordinamento co munale e provinciale: generalità. — 4. La crisi degli enti locali nella economia dei consumi di massa. —- 5. Distribuzione di funzioni tra di versi livelli di governo e struttura del finanziamento, nell’ipotesi di autonomia tributaria. — 6. Segue, nell’ipotesi di sistemi di contributi e compartecipazioni. — 7. Differenziazione dei livelli istituzionali di scelta, funzione collettiva di preferenza ed efficienza tecnica. — 8 Differenzia zione socio economica dei sistemi territoriali, e strutture amministrativo funzionali. — 9. I sistemi di finanziamento : rinvio. — 10. La revisione dell’ordinamento comunale e provinciale : generalità. — 11. Operatore pubblico e diseconomie esterne nel nostro paese. — 12. Nozioni di gestione pubblica per amministrazioni, e per funzioni o materie. — 13. Segue : nozioni di accentramento verticale e di accentramento orizzontale. Il prin cipio dell’unità — in tendenza —• del soggetto funzionale sul territorio. — 14. Lo schema Redcliffe-Maud : criteri metodologici. 15. Linee di revisione dell’ordinamento comunale e provinciale. — 16. Distribuzione di funzioni tra diversi livelli di governo, dimensione ottima di prestazione dei servizi e tecniche di piano. — 17. Diseconomie di scala e mobilità istituzionale. —• 18. Un’ipotesi specifica di ristrutturazione funzionale dei livelli di governo sub regionali. — 19. Segue: l ’ente regione. — 20. I sistemi di finanziamento : generalità. — 21. Vincoli tecnici all’imposi zione locale e metodologia di piano. — 22. Un caso em pirico: il finanzia mento delle regioni a statuto ordinario. — 23. Un’ipotesi di imposizione regionale discriminata territorialmente. — 24. Autonomia finanziaria e tributaria locale, e metodologia di p ia n o . conclusioni.
1. L’art. 12, I della legge 9 ottobre 1971, n. 825 di delega al Go verno per la riforma tributaria statuisce che « entro quattro anni dall’entrata in vigore della presente legge sarà stabilita, con legge or dinaria, la disciplina delle entrate tributarie delle provincie e dei comuni, diverse da quelle previste nei precedenti artt. 4 e 6, in re lazione alla riforma tributaria e alle funzioni e ai compiti che con nuovo ordinamento risulteranno assegnati, per legge, agli enti mede simi ».
centrali uno dei punti più delicati della struttura dell’operatore pub blico, in particolare dal punto di vista della sua capacità di rispon dere alla domanda sociale. In questo senso, il problema della revisione dell’ordinamento comunale e provinciale, cui in sostanza rimanda l’art. 12, I, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, sembra costituire una questione centrale per la gestione della politica economica, sia a breve che a medio-lungo periodo, data anche l’attuazione dell’ordi namento regionale (1).
2. Nella seguente parte di questo studio, sulla base delle molte analisi teoriche ed empiriche dedicate al problema, si tenta di in dividuare alcuni principi di razionalità economica, che dovrebbero regolare la distribuzione di funzioni tra diversi livelli di governo, con particolare riferimento ad un sistema fortemente differenziato da un punto di vista socio-economico, ed insieme caratterizzato da una rete di squilibri territoriali e settoriali, qual’è il nostro.
Questa analisi deve evidentemente fondarsi su un modello inter pretativo generale della crisi economico finanziaria dei governi locali (par. 3-4), distinguendo il problema dell’auto finanziamento locale da quello della redistribuzione di risorse tra diversi livelli di governo, e tra governi dello stesso livello (par. 5-7). Su questa base, sembra possibile ricavare alcuni princìpi generali di razionalità economica sulla distribuzione di funzioni tra diversi livelli di governo in un dato tipo di sistema socio-economico ; tali princìpi condizionano eviden temente anche la definizione delle strutture di finanziamento, che l’analisi sembra mostrare come problema metodologicamente e concet tualmente posteriore (par. 8-9).
Sulla base delle conclusioni fornite da questa analisi, nella parte seguente si affronta il problema specifico della revisione dell’ordina mento comunale e provinciale come problema economico finanziario, tenuto conto dell’attuazione delle regioni a statuto ordinario (par.
10-13). «
Rifacendosi criticamente anche ad esperienze straniere (par. 14- ss.), si propongono alcune linee generali di revisione della normativa comunale e provinciale, ispirate ai princìpi diversi e concorrenti
385 —
l’unicità — in tendenza — del soggetto funzionale sul territorio, e della differenziazione dei soggetti funzionali stessi, coerente alle di versità del sistema socio-economico (par. 15-17), che conseguono a quelle analisi.
In questo quadro, si elabora anche — in via del tutto esemplifi cativa — uno schema possibile di riassetto dei governi sub regio nali (par. 19). Il problema delle strutture di finanziamento va quindi rivisto, di necessità, alla luce delle conclusioni precedenti (par. 20- 21); una considerazione specifica è dedicata al problema dell’impiego dello strumento fiscale nella metodologia di piano a livello sub cen trale, esemplificato in riferimento al caso dell’ente regione (par. 22-24) (2).
3. Le motivazioni tecniche degli squilibri finanziari locali, pro poste dalla dottrina in riferimento a schemi relativamente astratti di decentramento, assumono caratteri particolari per il concreto pro blema della distribuzione di funzioni e cespiti tra i diversi livelli di governo nel nostro paese (in cui un’articolazione politico-rappresen tativa del sistema pubblico è anche costituzionalmente garantita), e quindi per la revisione dell’ordinamento comunale e provinciale (3).
Pure in analisi su aspetti immediati del problema, connessi alla istituzione delle regioni a statuto ordinario, si è rilevato come il tipo di processo di sviluppo economico intensivo che si è attuato nel nostro paese, caratterizzato da una espansione comparativamente ac centuata dei consumi privati, abbia agito in modo socialmente, set torialmente e territorialmente squilibrante anche attraverso le strut ture locali — come uno dei fattori moltiplicativi degli squilibri stessi (4).
4. Ora, ne risulta che « la situazione sulla quale si vuole agire presenta caratteristiche qualitativamente nuove e non riconducibili agli schemi del passato » (5).
(2) Per una rassegna delle proposte di revisione dell’ordinamento comu nale e provinciale, v. Dente B. (a cura di), Repertorio delle proposte italiane di riform a degli enti locali minori negli anni 1961-1911, Isap, Milano, 1972.
(3) V. Parravicini G., Scienza delle Finanze, voi. I, Principi, Milano, 1970, pp. 40-44 ; Mic h e li G. A., Autonomia e finanza degli enti locali, in « Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze », die. 1967, n. 4 pp. 523- 551, in part. par. IV.
(4) Per una sintesi del contesto di politica economica e finanziaria, v.
Pedone A., Introduzione, in Pedone A. (a cura di), La politica fiscale, Bologna, 1971, pp. 7-15, in part. par. 5.
Consegue infatti al prevalere del consumo privato di massa, ca ratteristico delle fasi più recenti dell’andamento economico del nostro paese, « che esso cresca rapidamente per fornire la domanda di cui il capitale ha bisogno, (perciò) i contenuti che esso riceve non pos sono che accentuare progressivamente i caratteri della irrazionalità, della superfluità e dello spreco, con una necessaria disgregazione dello stesso tessuto sociale » (6).
I caratteri e le tendenze di questo tipo di comportamento del si stema economico appaiono tali, da togliere in prospettiva al decen tramento politico amministrativo le sue stesse ragioni di essere: sia perché, ad esempio nel processo di generale e crescente dispersione dei punti di riferimento socio-territoriale della convivenza (la decom posizione urbana, la definisce Mumford) tende a divenire sempre più ardua l’identificazione di aree sufficientemente omogenee da un punto di vista latamente sociologico; sia perché le manifestazioni sociali che si accompagnano a questo processo tendono a vanificare il rap porto tra amministratori locali ed amministrati, in cui tradizional mente consiste il significato politico ed il valore d’efficienza delle autonomie (7).
Dal primo punto di vista, si può aggiungere che la crescente pro blematica dell’identificazione di aree sociologicamente organiche (il che, tradotto in termini morfologici, viene a significare poi dotate di un « centro » significativo e individuabile) riduce anche la rile vanza delle analisi fondate sul problema del dimensionamento ottimo nella prestazione dei servizi, almeno se inteso come aspetto del pro blema dell’articolazione politico-amministrativa. Il progressivo venir meno di termini di riferimento socio-territoriale lo ridurrebbe infatti ad una questione di decentramento esecutivo, cioè di suddivisione del territorio in adeguate unità tecniche di esecuzione.
In generale dunque, il ruolo dominante attribuito all’espansione dei consumi privati nello sviluppo economico del ventennio trascorso spiega in modo convincente la crisi delle comunità locali e delle loro finanze (8). In questo contesto inoltre come si dirà in seguito (para grafo 11), il sistema complessivo della P.A. introduce un ulteriore moltiplicatore degli squilibri, connesso alla sua stessa struttura or ganizzativa e procedurale.
(6) V. Napoleoni C., Riform e, consumo e proprietà, In « Setteglorni », die. 1970, n. 183, pp. 11-12.
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L’espansione incontrollata dei consumi privati di massa tende a cancellare i punti di riferimento e le connessioni inter individuali, composte in sistema sociale : quindi, una priorità assegnata alla for ma sociale del consumo deve necessariamente riconoscere nelle diffe renziazioni socio territoriali della domanda collettiva la propria pos sibilità di costituire un principio di organizzazione della convivenza. L’opzione di politica economica globale e l’articolazione socio-eco nomica delle scelte nel sistema delle autonomie istituzionali non rap presentano allora momenti alternativi (come è invece tendenzialmente nei modelli di consumo privato di massa), ma complementari.
5. A variazioni peraltro della struttura finanziaria degli enti locali nel nostro paese, intese sia a riequilibrio di gestione che a pe requare i livelli di prestazione dei servizi e/o le risorse disponibili,
è di necessità preliminare « un riesame delle funzioni di tali enti ed una generale revisione delle (loro) strutture amministrative » (9) ; ciò risulta del tutto corretto, considerando sia aspetti di tecnica fiscale nell’articolazione politico amministrativa del sistema pubblico, sia i caratteri dello sviluppo storico dei corpi locali e dei loro rapporti con l’ente centrale, sia l’insieme di comportamenti che l’evoluzione economica viene a richiedere all’operatore pubblico.
L’ordine logico del rapporto tra tipo di competenza e struttura del finanziamento appare almeno in prima approssimazione identico, benché per motivi diversi, sia che si intenda preservare qualche spa zio di autonomia tributaria agli enti locali (10), sia che si scelga un sistema di contributi e compartecipazioni (ponendo qui questa, per semplicità, come una scelta di valore; peraltro, per i vincoli di effi cienza economica v. (11)).
Circa la prima alternativa, « nel caso degli enti locali è parti colarmente rilevante la connessione tra il sistema delle funzioni svolte dagli enti e il sistema delle imposte ad essi attribuite » (12), principalmente perché la possibilità di differenziazione sul territorio sia quantitativa che qualitativa nella prestazione di dati servizi — legata al prelievo proprio locale — sottolinea il carattere del tributo
(9) V. Steve S., La riform a dei tributi locali, in AA. VV., La riforma fiscale in Italia, Milano, 1969, p. 193.
(10) Sul significato economico politico di tale scelta, v. Parravicini G., Sulla riforma tributaria, in « Rassegna Parlamentare », genn.-febbr. 1970, n. 1-2, pp. 105-112.
come prezzo, il suo collegamento col tipo e il livello di servizio prestato.
Nel caso di una finanza prevalentemente di contributi e com partecipazioni, l’autonomia tributaria come valore viene posposta ad altri valori, ad esempio obiettivi di politica economica ritenuti prio ritari e in data misura incompatibili con quello: come fini di pere quazione interlocale nel livello di prestazione dei servizi, o di rie quilibrio nella distribuzione spaziale della ricchezza (13).
In questo caso, la scelta del tipo di funzioni attribuite all’ente territoriale tende a condizionare il grado di conseguimento di que gli obiettivi, anche se in misura e modo certo diversi secondo il loro contenuto.
6. Considerando per semplicità il solo caso dei contributi (14), il rapporto che esiste tra tipo di impiego delle risorse pubbliche, e livello quantitativo e composizione del reddito nelle diverse aree con siderate, vincola infatti il risultato dei processi volti a redistribuire territorialmente delle risorse (ad esempio, a perequare il livello dei servizi e/o della dotazione di infrastrutture ; che dei processi generali di redistribuzione spaziale della ricchezza costituisce una specifica zione, anche per l’essere comunque collegata implicitamente o espli citamente a valutazioni di opportunità sulla dinamica spaziale del reddito stesso, per il sistema nel suo insieme).
In prima approssimazione, la misura del vincolo dipende dai va lori che assume nelle diverse aree il rapporto tra variazione della spesa pubblica nell’area — dovuto al trasferimento —, e variazione corrispondente del reddito nell’area stessa, che rappresenta la misura della reale perequazione o redistribuzione di risorse (15).
Assumendo livello quantitativo e composizione del reddito nelle diverse aree come dati, la variabile su cui agire è rappresentata dal tipo di funzione pubblica finanziata. Nel nostro caso, si tratta del tipo di funzione attribuito alla competenza dell’ente locale: in ipo tesi di contributi generici, anche il modo di riparto del contributo effettuato dall’ente locale fra le diverse funzioni di sua competenza
(13) Cfr. Pica F., Problem i di equità e benessere nella finanza locale, in « Rassegna Economica », sett.-ott. 1972.
(14) Su cui v., in generale, Amato A., Sul contributo perequativo statale alla finanza locale, in « Tributi », genn. 1968, n. 28, pp. 3-30.
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entra nella determinazione di quel coefficiente moltiplicativo; nel caso di sussidio condizionato, cioè a destinazione vincolata, il rap porto con la struttura del reddito locale è immediato.
Il raggiungimento degli obiettivi di politica economica — che si ritengono prioritari rispetto all’articolazione del prelievo proprio locale — risulta quindi vincolato anche dalla distribuzione di fun zioni tra i diversi livelli di erogazione. (Si ipotizza qui, semplifi cando, che la manovra centrale dei contributi sia comunque in grado di correggere comportamenti locali destabilizzanti, senza essere in compatibile con gli altri fini indicati: non si considera quindi il pro blema del comportamento congiunturale degli enti locali tra quelli coinvolti dai possibili obiettivi di politica economica, ai fini della no stra analisi) (16).
Si consideri poi in particolare il caso non solo di una distribu zione territoriale quantitativamente sperequata delle risorse, ma an che di rilevanti differenze territoriali nella composizione del reddito. Perché quel coefficiente moltiplicativo della spesa pubblica locale as suma valori compatibili con il conseguimento degli obiettivi econo- mico-politici globali, risulta in questo caso necessaria una corrispon dente differenziazione tra le diverse aree nel tipo di impiego delle risorse, che vengono redistribuite mediante contributi.
Da una parte, l’ipotesi limite consisterebbe nel finanziamento esclusivamente per sussidi condizionati, vincolandone cioè l’uso da parte dei diversi enti a impieghi differenti, coerenti alla diversa composizione del reddito locale: in questo caso perderebbe però ogni senso la sussistenza di corpi elettivi locali, configurandosi una arti- colazione soltanto tecnico amministrativa della struttura finanzia ria pubblica.
D’altra parte, in un sistema di contributi generici, si dovrebbe concludere in via logica per una differenziazione tra i diversi enti delle funzioni di competenza, compatibile agli obiettivi globali di po litica economica che si vogliono conseguire mediante i processi redi stributivi, e quindi adeguata alle diverse composizioni dei redditi locali.
In conclusione, per entrambe le ipotesi — di prelievo locale pro prio, o di finanziamento con contributi e compartecipazioni — la distribuzione di funzioni tra i diversi livelli di governo precede la
determinazione delle specifiche tecniche di copertura : nel primo caso, il collegamento tra natura delle funzioni e tipo di tributi costi tuisce la motivazione economico-politica del prelievo proprio, come possibilità di scelta circa il livello quantitativo e qualitativo di pre stazione dei servizi di competenza locale.
Nel secondo caso, la compatibilità tra natura delle funzioni lo cali e obiettivi globali di politica economica è vincolata dal rapporto fra tipi diversi di spesa pubblica e diversa distribuzione e compo sizione spaziale del reddito; si presenta anzi, in via di principio, un problema di differenziazione delle funzioni di competenza dei di versi enti locali, non finanziate da prelievo proprio.
Più in generale, le considerazioni sin qui svolte permettono di concludere che nel caso italiano il significato economico politico di un sistema di autonomie territoriali può ritrovare il suo valore in modelli di sviluppo estensivo, caratterizzati da una definizione qua litativa degli obiettivi; che in questo quadro, la distribuzione delle funzioni tra i diversi livelli di governo precede in linea di principio la definizione dei modi di finanziamento.
7. Piuttosto che definire un disegno di assetto ottimale nella distribuzione di funzioni tra diversi livelli di governo, su cui si hanno numerosi spunti teorici (17), ma che si fonda di necessità su opzioni politico-tecniche e non semplicemente tecniche, queste pre messe consentono di identificare alcuni princìpi che in linea di mas sima dovrebbero regolarne la struttura complessiva, sia in generale che nella particolare situazione del nostro paese.
La coerenza degli strumenti ai fini non è che un principio di razionalità economica, inteso appunto a massimizzare il grado di conseguimento degli obiettivi. Per le strutture pubbliche — il cui fine è la gestione della convivenza, la massimizzazione dell’utilità collettiva comunque la si voglia definire — questa coerenza dipende anche dal loro grado di adeguamento alla differenziazione delle si tuazioni socio economiche, in cui agiscono : il che, nel nostro caso, si manifesta innanzitutto a livello istituzionale nell’esistenza di corpi elettivi locali, capaci cioè in linea di principio di dare forma a di verse funzioni collettive di preferenza delle differenti comunità.
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In tal modo, si postula che alle scelte consegua un grado mag giore di utilità sociale, che non nell’ipotesi di un unico centro di de cisione per l’intero sistema : in altri termini, che la massimizzazione dell’utilità collettiva totale comporti un principio di differenziazione (ovvero, il tipo di valore costituito da questa differenziazione entra nella funzione collettiva di preferenza) (18).
Entro dati limiti, da un punto di vista di efficacia ciò permette anche di supporre una utilizzazione più completa dell’insieme di stru menti di politica economica disponibili per l’operatore pubblico; più in generale, da questo punto di vista, « qualsiasi decentramento com porta riduzione di costi e di disutilità » (19).
La differenziazione dei livelli di scelta ha dunque una motiva zione socio-politica (in quanto entra come valore nella funzione col lettiva di preferenza), e una motivazione di efficienza economico-tec- nica, in quanto permette di adeguare più compiutamente l’azione del l’operatore pubblico ai diversi dati del sistema. Il problema della di stribuzione di funzioni tra diversi livelli di scelta, o di governo, di pende quindi in generale da questo duplice ordine di fattori.
8. Tuttavia, pure nell’ambito delle ipotesi poste, la diversifica zione dei caratteri socio-economici della convivenza richiede alcune qualificazioni ulteriori. In primo luogo, anche nel caso di eguali fun zioni attribuite, la diversa struttura socio-economica delle comunità si riflette sulla diversa ampiezza relativa nella prestazione degli stessi servizi primari (per far un esempio elementare, la maggiore o minore spesa di illuminazione pubblica conseguente alle diverse dimensioni dell’area urbanizzata e, nello stesso senso le maggiori o minori spese per viabilità ordinaria, ecc.).
I vincoli che l’ente incontra nel processo di determinazione di queste dimensioni relative di prestazione, evidentemente derivano an che dalla sua struttura di finanziamento : in primo luogo, se è finan ziato mediante un sistema di contributi, la sua scelta avverrà distri buendo tra le diverse poste un ammontare che è complessivamente dato, con possibili conseguenze negative sull’economicità nell’alloca zione globale delle risorse; in secondo luogo, se si finanzia mediante prelievo proprio, incontrerà sia i limiti tecnici di manovrabilità dello specifico tipo di tributo (o di tributi), sia i limiti derivanti dal
rap-(18) V. Pica F., II costo cit., p. 9 segg.
porto fra tipo di tributo e livello e composizione della ricchezza nell’area di sua competenza. Più in particolare, nel periodo t -f-1, si tratta del valore del rapporto tra natura della spesa pubblica, livello e composizione del reddito, tipo d'imponibile del prelievo pro prio (20).
I caratteri della struttura socio-economica si riflettono poi non solo sull’ampiezza relativa nella prestazione dei servizi primari, cioè più immediatamente necessari all’organizzazione della convivenza stessa, ma — almeno sopra una data dimensione quantitativa e qua litativa nella loro prestazione — tendono a differenziarsi gli stessi bisogni pubblici nelle diverse comunità. Ad esempio, in un’area for temente urbanizzata con rilevanti problemi di congestione, le com petenze in tema di viabilità e di edilizia dell’ente locale dovrebbero avere un’estensione ed un’articolazione qualitativa superiori o co munque nettamente differenziabili rispetto a quelle di enti a scarsa densità demografica; come le competenze in tema di politica del ter ritorio dovrebbero per il singolo ente risultare crescenti e progres sivamente specializzabili al crescere — ad esempio — del suo grado di industrializzazione, fatti salvi naturalmente i riferimenti a scale decisionali superiori di allocazione spaziale.
In via di principio, la differenziazione dei bisogni pubblici nelle diverse aree comporterebbe non solo una corrispondente differen ziazione quantitativa e qualitativa delle funzioni-competenze tra di versi enti anche dello stesso ordine istituzionale, ma pure una diffe renziazione delle loro strutture organizzative: per lo stesso principio di razionalità economica, di adeguamento cioè tra la funzione, lo strumento e l’obiettivo. Quanto minore risulta questo grado di coe renza nei diversi momenti dell’azione pubblica, tanto maggiore ten derà ad essere il costo addizionale corrispondente dell’azione pub blica stessa, sia in termini di risorse pubbliche aggiuntivamente im piegate che di mancata formazione di risorse collettive, per questo fattore di segno negativo introdotto nel rapporto tra variazione della spesa pubblica e corrispondente variazione del reddito nell’area con siderata.
Almeno dal primo punto di vista, l’esperienza storica del nostro paese sembra confermare la conclusione raggiunta in linea di prin cipio: una delle cause più rilevanti dello squilibrio finanziario locale risulta appunto « l’eccessiva uniformità e rigidità delle norme
ste dalla legge generale a fronte della varietà di condizioni e di ri sorse delle singole economie locali » (21).
Se la scelta del modello di comportamento del sistema economico compatibile con un’articolazione politico amministrativa del sistema pubblico risulta necessariamente una scelta globale (v. sopra, para grafi 3-4), resta che quanto maggiore appare il grado di differenzia zione socio-economica del sistema territoriale, tanto maggiore do vrebbe risultare la capacità di differenziazione funzionale ed ammi nistrativa dei diversi enti locali (quindi anche, tanto minore la loro uniformità in senso orizzontale).
Questa conclusione, che deriva in linea di principio dalle pre messe poste, non contraddice ad eventuali politiche di riequilibrio in- terlocale: in primo luogo, risponde infatti ad esigenze di impiego economico delle risorse (quindi, proprio in questo senso, potrebbe realizzare un risparmio di risorse pubbliche disponibili anche a fini di redistribuzione, rispetto ai costi connessi a strutture rigide ed uniformi); in secondo luogo, le ragioni di uno sviluppo squilibrato devono essere necessariamente affrontate a scala dell’intero sistema, e del suo meccanismo economico complessivo.
9. Il problema della struttura del finanziamento, susseguente
in linea metodologica a quello della distribuzione di funzioni, risulta nello schema proposto vincolato da simili, e corrispondenti conside razioni. Ponendo ancora, per semplicità, la scelta fra sistemi di pre lievo proprio e sistemi di contributi e compartecipazioni (o sul grado relativo di entrambi) anche come una scelta di valore, nel caso di una finanza di contributi il vincolo è rappresentato, come si è detto, dal tipo di obiettivo assegnato al processo di redistribuzione e dalla natura della funzione, o delle funzioni proprie dell’ente sovvenzionato.
Nel caso di un sistema invece caratterizzato da qualche grado di autonomia tributaria, l’attribuzione dei cespiti sembra dover ri spondere agli stessi criteri di differenziazione che si sono visti come propri di uno schema razionale di distribuzione di funzioni, tenden zialmente crescenti al crescere delle differenziazioni socio-economiche del sistema territoriale.
In primo luogo, l’attribuzione del tipo di prelievo proprio è stret tamente connessa alle dimensioni dell’ente. Nel nostro schema, è
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presumibile che quanto maggiore sia la dimensione dell’ente, tanto più numerose tendano ad essere le funzioni di sua competenza (o tanto più rilevanti non solo in senso quantitativo, ma anche quali tativo). All’accrescersi delle funzioni dell’ente e della loro rilevanza, tende ad eccrescersi evidentemente il loro grado di incidenza sull’in sieme del processo socio-economico: tanto più quindi il prelievo cor rispondente potrà tendere ad allontanarsi dal suo carattere imme diato di prezzo del servizio, per tendere a fondarsi su princìpi di ca pacità contributiva complessiva dei contribuenti.
In linea di massima dunque, entro dati vincoli tecnici, l’esten sione delle dimensioni territoriali e delle funzioni potrebbe anche giu stificare l’attribuzione di imposte personali a livelli sub-centrali ; inol- tre, gli effetti concorrenziali derivanti da diverse aliquote di imposi zione personale locale sono inversamente proporzionali all’accrescersi delle dimensioni dell’ente.
In secondo luogo, l’attribuzione di egual tipi di cespiti ad enti di diversa struttura socio-economica tende evidentemente a causare una sperequazione a danno degli enti, per i quali la base imponibile del cespite proprio rappresenta una quota comparativamente minore nella composizione del reddito locale: nel semplice caso di due enti, l’uno a struttura economica fórmente industrializzata e l’alto di tipo agricolo, a parità di reddito l’attribuzione ad entrambi — ad esem pio di un’imposta sui redditi agrari o dominicali risulterebbe pu nitiva nei confronti del primo.
Ancora, se come potrebbe aversi nello schema proposto in pre cedenza, le funzioni dei due enti risultassero quantitativamente e/o qualitativamente differenziate, l’uniformità del tipo di prelievo ver rebbe a ridurre per l’uno o per l’altro il legame tra questo e la di mensione ed il livello del servizio prestato, indebolendo quindi quel carattere di corrispettivo che costituisce una delle premesse politico tecniche del valore di efficienza economica dell’autonomia tributaria locale, naturalmente se gestita a scala tecnicamente adeguata.
Infine, la differenziazione del tipo di prelievo può dipendere an che dalla natura delle funzioni, a fronte della dinamica del sistema economico (22) : è il caso della differenziazione del tipo di prelievo proprio tra comune pilota di un’area metropolitana e comuni
satel-(22) Y. Gerelli E., Semplificazione del sistema tributario e autonomia degli enti locali: una proposta concreta verso la soluzione di un problema, in « Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze », die. 1968 n 4 ’ od
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liti, proposta in vigore delle imposte di consumo (la cui permanenza, nel caso del solo comune pilota, avrebbe potuto rappresentare un corrispettivo parziale dei costi derivantigli dagli effetti di trabocca mento dei propri servizi). In genere, il caso delle aree metropolitane mostra con chiarezza le ragioni tecniche e sostanziali che portano a sostenere la differenziazione dei sistemi di finanziamento (23).
Tuttavia, questo aspetto del problema richiede ulteriori qualifi cazioni, connesse evidentemente a linee specifiche di revisione dell’or dinamento comunale e provinciale, che tendano a tradurre in stru menti di produzione giuridica i princìpi, o postulati di razionalità economica che si sono sin qui esaminati.
10. Ora, riordinare l’assetto degli enti locali significa evidente mente riordinare l’intero assetto dei poteri pubblici, non essendo ipo tizzabile che la revisione dell’ordinamento comunale e provinciale sia possibile, senza coinvolgere anche le rimanenti strutture dell’opera tore P.A.
Il problema è quindi da collocare in quello del riadeguamento complessivo dell’operatore pubblico alla natura ed alla composizione della domanda sociale, di cui l’attuazione dell’ordinamento regionale potrebbe rappresentare un passaggio; non si pone dunque soltanto come problema di aggiornamento di strutture amministrative disfun zionali o in termini di sole capacità finanziarie. Innanzitutto, si tratta allora di elaborare un modello a medio-lungo termine, la cui eventuale realizzazione potrà essere opportunamente scadenzata nel tempo, ma di cui sembra essenziale mantenere la globalità ed i princìpi, a rischio di riprodurre se non aggravare gli aspetti negativi e diseconomici del l’assetto attuale, come mostrano le numerose analisi teoriche sulle dimensioni ottime di prestazione dei servizi pubblici, e sulle cause dell’insufficienza economico-finanziaria dei governi locali (24).
11. A motivare questo procedimento, basterebbe considerare che l’insufficienza economico-finanziaria dei governi locali non costituisce ormai che una quota dell’insufficienza economico-finanziaria dell’ope ratore pubblico nel suo complesso, sinteticamente in termini:
(23) V. Tramontana A., Problem i e m ezzi di finanziamento delle spese locali nei centri metropolitani, in « Tributi », giugno 1972, n. 78, pp. 3-28.
a) di squilibrio tra la quota di risorse assorbita dalla P.A., ed
il valore quantitativo e qualitativo dei beni e servizi da essa forniti alla collettività.
b) L’inadeguatezza, che ne consegue, dell’attuale struttura del
l’operatore pubblico nel suo complesso ad adempiere ai compiti isti tuzionalmente propri, si traduce nell’accollo all’operatore famiglie ed all’operatore imprese di costi, il cui ammontare è già stato d’altra parte prelevato, almeno in parte, dall’operatore pubblico.
In altri termini, l’operatore privato (famiglia e impresa) si trova a sopportare per più di una volta il costo di beni e servizi che non riceve interamente, a cui deve cercare succedanei, accollandosene ag giuntivamente i costi ulteriori, spesso in termini non direttamente monetari, che da ciò conseguono (25).
Se questa analisi — sia pure di primissima approssimazione — sembra semplifiicata per eccesso, si pensi al caso dei trasporti infra- regionali, od al caso dei servizi assistenziali e previdenziali. (Tra l’altro, questa rappresenta in definitiva una delle componenti di quella pressione inflazionistica da costi, cui una struttura produttiva come quella formatasi nel nostro paese, dato il modello di sviluppo perseguito, risulta particolarmente sensibile). Ciò sembra coerente in fatti allo schema interpretativo della crisi degli enti locali nell’eco nomia dei comuni di massa, esposto in precedenza (par. 3-4) : vanno infatti distinti — ad evidenza — consumi sociali e consumi pubblici (della P.A.), soprattutto nella misura in cui una quota di questi ul timi tende a vanificarsi in una specie di rendita di posizione, intro- ducendosi da una parte come un cuneo nei meccanismi di aggiu stamento prezzi-salari (o meglio, offerta globale-domanda globale), d’al tra parte rappresentata un ulteriore fattore di moltiplicazione degli squilibri territoriali e settoriali (26).
12. Pure nei suoi aspetti patologici, questo insieme di feno meni deriva certo dai caratteri dell’evoluzione storica del nostro paese e della sua classe politico-amministrativa, ma anche da un problema che si è presentato agli operatori pubblici dei paesi industrializzati
(25) Cfr. Caffè F., La ‘ vischiosità delle procedure ’ nella spesa pubblica e le esigenze attuali della politica economica, in Pedone A. (a cu ra di), La politica cit., pp. 209-217, in pari. pp. 216-217.
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ad una data fase del loro sviluppo : il problema cioè di passare da concezioni gestionali definibili « per amministrazioni » a concezioni definibili « per funzioni » (o, con terminologia forse giuridicamente più esatta « per materie ») (27).
Ciò corrisponde non solo, nelle sue grandi linee, all’evoluzione dei compiti dell’operatore pubblico nel settore economico, ma insieme e parallelamente alla natura dei problemi che lo sviluppo di tipo industriale viene ponendo, da diversi punti di vista. Ad esempio, i compiti pubblici in tema di polluzione ambientale non possono essere pensati in termini di singoli e svariati enti politici e/o amministra tivi che se ne occupano, ma il loro assolvimento sembra da impo stare muovendo dalla concezione di una funzione pubblica globale di gestione del territorio e di politica industriale.
La necessità del passaggio da impostazioni « per amministrazio ni » a piani e ordinamenti « per funzioni » è poi accentuata dalla tendenza neutrale dello sviluppo industriale a moltiplicare gli squi libri socio-territoriali: ciò contribuisce anche a motivare l’interesse degli operatori politici, sia pure in diverso modo e misura, verso la articolazione regionale delle politiche economiche (intendendo regione in senso economico) anche tra diversi sistemi nazionali, a fronte della tradizionale articolazione su scala nazionale (28).
13. Nel medio-lungo periodo, l’insieme di questi fattori, uniti a quelli approfonditi dalle teorie del decentramento politico ed eco nomico, pone l’operatore pubblico — iu particolare, nel nostro paese, per le sue specifiche caratteristiche di struttura socio-economica e di formazione storica — di fronte al problema parallelo al precedente del passaggio da forme istituzionali che si potrebbero dire di « ac
centramento verticale », cioè per ordini e classi di soggetti politici
ed amministrativi che sono disposti gerarchicamente (se non dal punto di vista giuridico formale, da quello effettuale della capacità di agire), a schemi di « accentramento orizzontale », cioè per fasce di materie, o competenze funzionali nelle diverse aree del sistema (29).
(27) V. ad es. Brad i R. H., MEO goes to w ork in the Public Sector, in « Harvard Business Review », march-april 1973, pp. 65-74.
(28) V. ad es. Da h l D. S., Regional Intergovernm ental Cooperation, Minneapolis, 1971, specie part. I.
(29) li rapporto predisposto dal CENSIS per conto del Consiglio Na zionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) su ‘ La politica sociale e le regioni ’, reso noto durante la pubblicazione del presente studio, svolge considerazioni ampiamente analoghe.
Ciò non costituirebbe altro che il passaggio da regimi accentrati a regimi decentrati, quali sono ad esempio definiti nelle analisi de rivate prevalentemente da schemi del Tinbergen, se qui non ne con seguisse sottolineato il principio dell’unicità tendenziale del soggetto che svolge una data funzione, o la coordina. Ciò contrasta con strut ture di politica economica ed amministrativa che, in primissima ap prossimazione, possono coesistere con modelli ricavati dagli schemi del Tinbergen, o comunque a questi ispirati.
Ad esempio, sembra in conflitto con un simile principio la con solidata suddivisione verticale (per ministeri, o assessorati) delle di verse strutture politico-amministrative. Ugualmente, dal punto di vi sta della distribuzione di compiti e cespiti tra diversi livelli di go verno, sembra scarsamente compatibile col principio di parcellizzazio ne delle funzioni che l’ha effettualmente regolata nel nostro paese (e ancora la regola, come sembrano dimostrare alcuni caratteri sistema- tici dei decreti delegati di trasferimento di funzioni all’ente regione).
Ancora, risulterebbe incompatibile con quel principio del « con certo » tra diversi poteri e amministrazioni, che ha tanta parte nel l’ultima produzione legislativa, con cui si è evidentemente intuito uno dei punti più fragili dell’attuale apparato politico-amministra tivo. Ma questa intuizione — di per sé esatta — sovrapponendosi ad una struttura fondata su princìpi opposti, si traduce di necessità in una ulteriore causa di incapacità attuativa (la recente normativa sull’edilizia popolare ne costituisce forse l’esempio più evidente).
14. Al principio dell’unicità tendenziale dell’organo che in una certa area svolge, o coordina una data funzione — che qui si è chia mato di « accentramento orizzontale » — si informa d’altra parte il noto rapporto Redcliffe-Maud (30).
A nostro avviso, l’impostazione Redcliffe-Maud — anche se mo derata in successivi documenti governativi (31) — potrebbe costituire un utile punto di riferimento per analisi che tentino di spezzare il meccanismo generatore di inefficienza, a fronte dei caratteri dell’evo luzione socio-economica, in cui è chiuso l’operatore pubblico, in par ticolare locale: naturalmente, ci si riferisce qui all’impostazione con cettuale e metodologica, dovendo poi questa essere calata nella
par-(30) Rovai, Co m m is sio n on Locai. Government in England, 1966-1969, Chairman: The Rt. Hon. Lord Redcliffe - Maud, HMSTO, Cmnd. 4040-I-II, London, 1969.
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ticolare realtà sociale, economica, culturale di cui specificamente si tratta.
In sintesi, il rapporto Redcliffe-Maud distingue, com’è noto, i servizi (o funzioni) di competenza sub-nazionale in due categorie (32) :
a) servizi reali (énvironmental Services), legati alla gestione del
territorio e dell’ambiente. Con neologismo corrente, si potrebbe defi nirli gli « ecoservizi » (suolo, trasporti, urbanistica, programmazione) ;
b) servizi personali (reai Services), che comprendono tutti gli altri servizi o funzioni, connessi direttamente alle persone.
Nelle aree metropolitane e nelle conurbazioni, si propone l’esi stenza di due autorità, l’una con competenza esclusiva per l’insieme delle materie connesse ai servizi reali, l’altra con competenza esclu siva per l’interezza dei servizi personali. Per ciascuna delle altre cir coscrizioni, si propone un’unica autorità con competenza esclusiva per l’insieme dei servizi reali e dei servizi personali.
15. Ciò che unicamente conta, ai nostri fini, dello schema Red cliffe-Maud è l’approccio metodologico, la capacità di delineare un modello esauriente di struttura dei governi sub-centrali. Per il re sto, certo non assimilabili sono le situazioni e le tradizioni storiche, sociali, economiche cui quello si riferisce, e cui si riferisce questa analisi. Nel nostro caso il problema della distribuzione di funzioni e di cespiti tra diversi livelli di governo, e la sua efficienza, sono con dizionati da due princìpi di razionalità economica, come risultano dalle conclusioni dell’analisi precedente:
a) la differenziazione di strutture e funzioni dovrebbe essere
— in tendenza — direttamente proporzionale alla differenziazione del tessuto socio-economico ;
b) la definizione dei sistemi di finanziamento delle funzioni
è problema logicamente e metodologicamente posteriore a quello della distribuzione di funzioni stessa.
Dalle considerazioni accennate, conseguono alcune indicazioni per la revisione della normativa comunale e provinciale :
1) in primo luogo, la revisione dell’ordinamento comunale e
provinciale potrebbe opportunamente esaurirsi in uno strumento di pioduzione giuridica che, abrogando la totalità della normativa
stente — rigidamente uniforme e insieme eccessivamente complessa, quindi diseconomica — permettesse in certa misura l’auto-adegua- mento delle strutture locali alle diverse situazioni socio-economiche.
2) Tale normativa, in coerenza ai princìpi di razionalità eco nomica indicati, potrebbe limitarsi a indicare le funzioni attribuite al complesso dei governi sub-centrali, eliminando per ciascuna di que ste funzioni ogni competenza di altri poteri politici, che non at tenga all’osservanza delle norme costituzionali : questo tipo di impo stazione sembrerebbe anche coerente alla lettera della norma costi tuzionale stessa (33).
3) Questa, o questo insieme di fonti di regolazione giuridica dovrebbe inoltre designare il soggetto cui — nei limiti costituzio nali e di quadro — è delegato il compito non tanto di dirigere, quanto piuttosto di organizzare il riassetto dei poteri locali secondo le di verse situazioni socio-economiche e le varie esigenze di base.
Data anche la sua natura di potere legislativo e le dimensioni territoriali proprie, questo soggetto sembra elettivamente poter essere la regione a statuto ordinario : per questa via anzi, l’ordinamento regionale potrebbe forse dispiegare pienamente le proprie potenzia lità di innovazione dell’assetto amministrativo attuale.
Di recente, ad esempio, il Giannini ha sostenuto che « occorre avere il coraggio di fare una legge-quadro nella quale si deleghino alle regioni i riassetti degli enti territoriali, ciascuna regione in or dine a quelle che sono le proprie esigenze » (34) ; in questo insieme di strumenti di produzione giuridica (che il Giannini definisce legge quadro) potrebbe esaurirsi in sostanza il riordino della normativa comunale e provinciale, per quanto attiene le competenze del potere politico centrale. Certo, nell’assunzione di queste fonti di regola zione giuridica e nella loro attuazione, in coerenza alle esigenze so cio-economiche delle diverse aree, dovrebbe egualmente essere appli cato il principio dell’unicità — almeno in tendenza — della compe tenza funzionale.
Il dibattito politico e di dottrina sul ruolo dell’ente provin cia (35), sulle funzioni e sulle strutture comprensoriali dovrebbe —
(33) Cfr. Mazzocchi G. - Pastori G., Lineamenti per una riforma delle strutture amministrative locali, in « Economia Pubblica », marzo 1972 n 3 pp. 3-7, in part. par. 5.
(34) V. Gian n in i M. S., Il riassetto dei poteri locali, in «R iv ista trime strale di diritto pubblico », n. 2, 1971.