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Capitolo 1
INTRODUZIONE
1.1 Modelli in vitro
L’analisi e la valutazione del passaggio e quindi dell’assorbimento di sostanze attraverso l’epitelio intestinale umano è importante nello studio e nell’ottimizzazione di nuovi farmaci.
Il progetto di nuovi agenti terapeutici richiede la loro ottimizzazione con lo scopo di aumentare la potenza, per realizzare il profilo farmacocinetico desiderato e per garantire il trasporto attraverso le membrane biologiche [1].
Le colture cellulari in vitro sono un modello sperimentale significativo per valutare l’assorbimento orale di sostanze [2].
La definizione di “metodo alternativo” si basa sul principio, pubblicato nel 1959, delle “3R” di Russel e Burch [3], dall’inglese Reduction, Refinement, Replacement.
Reduction indica la maggiore riduzione possibile del numero di animali usati per un esperimento usando metodi alternativi, migliorando le tecniche sperimentali e ricavando informazioni da altri ricercatori.
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Refinement indica il miglioramento delle procedure sperimentali e delle condizioni di vita, l’uso di tecniche meno invasive, per ridurre al minimo la sofferenza e lo stress negli animali, se impiegati.
Replacement indica la sostituzione degli animali, dove possibile, con materiali biologici come colture cellulari di derivazione non animale, con modelli computerizzati, con volontari umani o con studi epidemiologici.
È stato possibile così identificare dei metodi alternativi di natura non biologica oppure di natura biologica: i primi utilizzano dati ricavati da scienze come la matematica, l’informatica, la statistica, oppure si basano su correlazioni tra l’attività biologica di una sostanza e la sua struttura chimica; i secondi si riferiscono ai metodi in vitro ed utilizzano materiale biologico di vario tipo, di origine umana o animale [4].
I metodi in vitro prevedono l’uso di sistemi che possono andare verso un grado di complessità crescente: frazioni subcellulari, colture di cellule disperse, colture di tessuto e le colture d’organo.
La coltura d’organo è un sistema che permette lo sviluppo di un frammento di organo isolato: viene utilizzata per ottenere informazioni sulla tossicità di alcune sostanze sul differenziamento dei tessuti embrionali o sulle funzioni che l’organo svolge in vivo.
La coltura di tessuto può fornire informazioni sull’effetto di una determinata sostanza all’interno di un determinato tessuto: rappresentano un sistema di transizione tra la coltura d’organo, in cui viene mantenuta la struttura organizzata ed un completo controllo della crescita, e la coltura di cellule disperse, in cui questo controllo viene a mancare del tutto. Le colture d’organo e di tessuto tendono in breve tempo a perdere quel tipo di organizzazione che le rende interessanti dal punto di vista sperimentale ed a degenerare rapidamente.
Le colture cellulari non presentano, invece, questo tipo di problema: rappresentano un sistema più omogeneo rispetto agli altri due modelli sperimentali, in quanto le singole cellule non sono condizionate dalle posizioni che occupano nella massa del tessuto, ma il rapporto con il mezzo di coltura, e quindi con le sostanze in esso presenti, è uguale per tutte. Proprio per questi due ultimi motivi si sta affermando largamente, il modello delle colture cellulari che, pur avendo perso la struttura organizzata delle colture d’organo, rappresentano ancora unità funzionali viventi, e forniscono allo sperimentatore un modello ricco di potenzialità [5].
Il passaggio dalla situazione in vivo a quella in vitro comporta variazioni di alcuni parametri e quindi è necessario valutare quali sono i vantaggi ed i limiti che ne derivano.
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I vantaggi della coltura cellulare, che comportano il suo largo utilizzo in campo biomedico, sono:
Il controllo ambientale. Vengono controllati sia l’ambiente chimico-fisico (pH, temperatura, pressione osmotica, O2 e CO2) che delle condizioni fisiologiche, che
possono essere mantenute relativamente costanti; queste ultime non vengono sempre ben definite poiché molti terreni di coltura richiedono supplementi, come il siero, la cui composizione è estremamente variabile per la presenza di sostanze quali fattori di crescita ed ormoni.
Caratterizzazione ed omogeneità dei campioni. I campioni di tessuto sono variabili ed eterogenei. Dopo alcuni passaggi le colture cellulari assumono una conformazione omogenea (ed alla fine uniforme) poiché la pressione selettiva esercitata dalle condizioni di coltura tende a selezionare i tipi cellulari più forti. Così i campioni replicati sono identici gli uni agli altri e le caratteristiche vengono mantenute per molte generazioni o anche infinitamente se le cellule vengono poste in azoto liquido.
Economicità e risposta rapida. Le colture cellulari sono esposte a basse e definite concentrazioni di reagente, che ha diretto accesso alle cellule [6].
È necessario per una valutazione più completa tener presente anche dei limiti intrinseci alla sperimentazione sulle colture. Il più rilevante è che le colture cellulari rappresentano un modello differente rispetto all’organismo in toto: si perde la struttura tridimensionale completa del tessuto o organo di origine [5]. È importante anche ricordare che, diversamente dalla situazione in vivo, le linee cellulari non sono in grado di riprodurre in
vitro tutti gli stadi di sviluppo, differenziamento ed invecchiamento [7].
Esistono diversi tipi di colture cellulari, con caratteristiche diverse utilizzabili in base al tipo di sperimentazione [8].
La vasta gamma di test in vitro comprende sistemi subcellulari, come ad esempio macromolecole, organelli cellulari, frazioni subcellulari; sistemi cellulari, come cellule primarie, cellule immortali, cellule in diverse fasi di trasformazione, cellule in differenti stadi di differenziazione, cellule staminali, co-culture di diversi tipi di cellule, sistemi barriera; e i tessuti interi, compresi i sistemi di organotipica, organi perfusi, fettine e
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espianti. I sistemi devono essere mantenuti secondo le regole generali della “buona pratica delle colture cellulari” [9] ed è inoltre necessario stabilire adeguatamente origine, la qualità e le caratteristiche del subcellulare, cellulare o tissutale.
L’uso più comune dei modelli in vitro è rappresentato dalle linee cellulari. Queste cellule derivano da tumori o immortalizzate e poi trasformate. Un altro approccio è l’uso di colture primarie che però possono essere tenute in coltura solo per un certo periodo, da ore a giorni, ed in molti casi perdono le loro caratteristiche di differenziamento durante la coltura cellulare.
Lo svantaggio è dato dal fatto che queste cellule sono isolate dal loro ambiente naturale e non sono integrate all’interno di un tessuto o di un organo, dove hanno un ruolo fondamentale molti enzimi e co-fattori [10].
Studi in vitro sono stati condotti anche per investigare l’assorbimento di xenobiotici; l’assorbimento costituisce il primo step dell’interazione tra un composto e l’organismo. È stato studiato l’assorbimento di composti assunti per via orale, per via epidermica o inalatoria. Sebbene la complessità biologica dei processi di assorbimento in vivo complica lo sviluppo e l’uso di modelli in vitro, alcune tecniche sono state sviluppate per stimare i processi di assorbimento orale e dermico con sistemi di sperimentazione e questo è un settore che si sta sviluppando rapidamente [11-14].
Questi sistemi consistono, per esempio, in strati di cellule Caco-2 attraverso i quali i composti possono essere trasferiti. I composti vengono solitamente inseriti con un soluzione in un compartimento donatore e possono poi essere misurati in un compartimento che li riceve [14].
La diffusione passiva dall’intestino può essere stimata dalla valutazione delle proprietà dei composti, in particolare il peso molecolare e la liposolubilità [15] oppure da semplici membrane artificiali.
Per valutare l’assorbimento orale è necessario valutare molti parametri, tra cui la trasformazione nel tratto gastrointestinale, ad esempio, può complicare la situazione [16]. In questo scenario nuovi strumenti e tecnologie in vitro sono richieste dalle industrie e dai governi come, in alcuni casi dove possibile, un supplemento o un’ alternativa ai test sugli animali, ma anche come miglioramento ai validi sistemi con colture cellulari [17].
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1.2 Anatomia e struttura dell’intestino
L’intestino umano, ultima parte del tratto gastro-intestinale, è suddiviso in tenue e crasso. Per poter espletare al meglio la funzione di assorbimento, la superficie interna dell’intestino tenue è caratterizzata da una serie di strutture che concorrono ad aumentare la superficie utile di assorbimento.
I villi intestinali costituiscono dei veri organi deputati all’assorbimento. I villi intestinali sono presenti in tutte le porzioni del tenue.
Al suo interno ciascun villo accoglie una ricca rete di capillari sanguigni; parallelamente al circolo sanguigno è presente anche un circolo linfatico.
I microvilli costituiscono l’orletto striato (a spazzola) delle cellule di rivestimento di tutto l’intestino. Filamenti estremamente sottili si irradiano dalle estremità dei microvilli e si intrecciano a formare un rivestimento superficiale, detto glicocalice, la cui funzione è quella di essere un substrato al processo digestivo e quella protettiva.
L’epitelio di rivestimento intestinale (che ricopre anche i villi) è formato principalmente da cellule batiprismatiche semplici, dette enterociti e da cellule caliciformi mucipare.
Gli enterociti, provvisti di microvilli, sono uniti tra loro da robuste giunzioni occludenti che, circondando completamente ogni cellula, sbarrano l’accesso agli spazi intercellulari [18] (Figura 1).
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Figura 1: Struttura villo ed epitelio intestinale. Immagine adattata da [19].1.3 La barriera intestinale
La popolazione umana è esposta agli xenobiotici attraverso l’apparato digerente, l’apparato respiratorio e la cute. L’intestino rimane, comunque, il principale sito di esposizione per le sostanze assunte per via orale.
Va considerato quindi un organo bersaglio, in quanto soggetto ad esposizione diretta delle sostanze ingerite, ma anche un sito di ingresso di molecole che, una volta in circolo, possono esercitare determinati effetti su altri organi o altri tessuti bersaglio.
L’epitelio intestinale rappresenta una barriera per l’ingresso di nutrienti e xenobiotici: la comprensione dei meccanismi di assorbimento e di distribuzione di queste sostanze ha un’enorme importanza sia in tossicologia che nel campo farmaceutico e nutrizionale. Il trasporto attraverso la barriera intestinale può avvenire mediante quattro vie (Figura 2): la via passiva transcellulare, la via passiva paracellulare, la via transcitotica, mediata da vescicole intracellulari, la via del trasporto attivo, mediata da uno o più trasportatori.
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Figura 2: Rappresentazione schematica dell’epitelio intestinale; le quattro possibili vie di trasporto (1) transcellulare (2) paracellulare (3) trasporto attivo mediato da carrier (4) transcitotica; immagine adattata da[20].
Ogni meccanismo di trasporto dipende dalle proprietà chimico-fisiche del composto [21-22]: ad esempio le molecole lipofile permeano le membrane e diffondono passivamente attraverso le cellule sfruttando il gradiente di concentrazione, mentre molecole idrofile abbastanza piccole possono utilizzare prevalentemente la via paracellulare attraverso le giunzioni strette.
La capacità di operare come barriera selettiva è garantita dalla distribuzione di enzimi digestivi e di sistemi di trasporto (recettori, pompe, canali ionici) in diversi domini di membrana e dalla presenza di giunzioni strette che collegano tra loro gli enterociti e non permettono il passaggio aspecifico di molecole attraverso l’epitelio intestinale.
L’organizzazione polarizzata dell’epitelio intestinale permette quindi lo svolgimento di processi selettivi di assorbimento, secrezione e trasporto.
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1.4 Caco-2, riproduzione in vitro della barriera intestinale
La popolarità di linee cellulari epiteliali in studi di trasporto di sostanze può essere spiegata dal fatto che molte nuove informazioni son state ottenute con questi semplici modelli in
vitro. Studi di trasporto attraverso il monostrato epiteliale di cellule, cresciute su supporti
permeabili, sono stati fatti in condizioni controllate e molte informazioni sono state ottenute da studi su varie colture cellulari epiteliali. Infatti molte conoscenze sul meccanismo di trasporto attivo e passivo è stato ottenuto da studi di colture cellulari epiteliali [23].
La giusta correlazione tra il trasporto passivo di sostanze attraverso vari monostrati cellulari epiteliali e quello notato attraverso l’intestino umano in vivo, rende possibile, ad oggi, usare le colture cellulari per studi sul rapporto assorbimento-struttura [14,24-25]. Infatti, sia le colture cellulari che esperimenti di trasporto attraverso il monostrato epiteliale sono stati messi a punto, e questi modelli vengono utilizzati come strumento di indagine in programmi di ricerca di sostanze e farmaci da molte industrie farmaceutiche per lo studio della permeabilità intestinale di farmaci [26].
Le cellule epiteliali ed endoteliali formano barriere di diffusione che generalmente generano e mantengono la caratteristica composizione del compartimento del corpo con funzione di scambio selettivo.
La barriera selettiva permette lo scambio fisiologico di opportune molecole ed esclude il passaggio di agenti tossici. Per svolgere queste funzioni le cellule epiteliali ed endoteliali sono fornite di altamente specializzati complessi di giunzioni che permettono alle cellule di rimanere adese le une alle altre. Le giunzioni serrate assicurano una struttura plastica e rispondono rapidamente agli stimoli extracellulari mantenendo integro il monostrato epiteliale [27].
Nel tentativo di ottenere modelli di cellule intestinali in vitro che, pur isolate da tessuto, mantengano alcune delle principali caratteristiche morfo-funzionali della mucosa intestinale, sono stati seguiti approcci sperimentali diversi [28].
La linea cellulare intestinale Caco-2 (Human Epithelial Colorectal Adenocarcinoma Cell Line) è stata la più utilizzata negli ultimi anni come modello di barriera intestinale.
La linea cellulare Caco-2, originariamente isolata da Fogh da un adenocarcinoma umano [29], presentava in condizioni di coltura a lungo termine una differenziazione spontanea. I primi studi sulla linea cellulare Caco-2 dimostrarono che queste cellule, al momento del
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differenziamento, esprimevano molte caratteristiche morfologiche e biochimiche degli enterociti del piccolo intestino [30].
Queste cellule crescono in monostrato, mostrano una morfologia cilindrica polarizzata con microvilli sulla parte apicale, giunzioni serrate tra le cellule vicine ed esprimono nella membrana apicale attività enzimatiche tipiche dell’intestino tenue (Figura 3).
Per meglio riprodurre le condizioni steriche esistenti in vivo, le cellule Caco-2 vengono coltivate su specifici supporti porosi che consentono il libero accesso di ioni e soluti ai due lati, apicale e basolaterale, del monostrato cellulare. Il mantenimento della coltura su questo tipo di sistema facilita il differenziamento e la polarizzazione cellulare; quindi viene largamente impiegato negli studi di trasporto e tossicità [31].
Figura 3: Sezione trasversale di cellule Caco-2 seminate e differenziate su supporti con filtri PET; immagine adattata da [32].
La linea cellulare di origine umana Caco-2 è uno dei modelli cellulari più usati per lo studio dell’assorbimento, metabolismo e biodisponibilità di farmaci e xenobiotici. Nonostante il ben accettato modello in vitro per l’epitelio intestinale umano ed il suo uso riconosciuto dalla FDA (Food and Drug Administration), molti dichiarano che le condizioni di coltura, numero di passaggi potrebbero influenzare le proprietà di trasporto e la differenziazione delle cellule Caco-2 [33].
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Essendo la linea parentale Caco-2 molto eterogenea, si è cercato di isolare diversi cloni per selezionare alcune caratteristiche della linea parentale e per lavorare in una situazione di maggiore omogeneità [34-35].
Tra questi il clone TC7 è stato isolato da Chantret et al., nel 1994 per diluizione di un tardo passaggio (passaggio 198) della linea parentale.
Il clone evidenzia caratteristiche simili alla linea parentale Caco-2, come l’orletto a spazzola apicale, i microvilli, la formazione delle giunzioni strette; anche per quanto
riguarda la risposta a marcatori dell’integrità dl monostrato, come ad esempio [3H]-mannitolo, PEG-4000, sono in linea con le Caco-2 [36].
In termini di popolazione cellulare mostrano, comunque, un maggiore omogeneità ed hanno un “doubling time” più breve, 26 contro le 30 ore delle Caco-2.
Inoltre rispetto alle Caco-2 mostrano una più alta espressione di enzimi associati alla membrana dell’orletto a spazzola ed inoltre gli enzimi coinvolti nelle reazioni di fase II sono presenti agli stessi livelli della situazione in vivo, a differenza delle Caco-2 in cui la loro espressione è più bassa [37]: queste differenze rendono le Caco-2/TC7 una valida alternativa alla linea parentale Caco-2 sia per il trasporto che per il metabolismo, per lo studio dell’assorbimento e biotrasformazione delle sostanze e per studi di trasporto in vitro [38].
1.5 Caco-2: morfologia e differenziamento
Le cellule Caco-2, originariamente ottenute da un adenocarcinoma umano del colon, vanno incontro ad un processo di differenziamento che le rende morfologicamente simili agli enterociti, dopo 2-3 settimane di coltura con la formazione di un monostrato di cellule altamente polarizzato, che si uniscono mediante la formazione di giunzioni serrate e sviluppano microvilli organizzati sulla loro superficie apicale. Il differenziamento delle cellule Caco-2 determina l’espressione di idrolasi e di molte proteine di trasporto normalmente espresse negli enterociti dell’intestino tenue [39-40].
Per questo dopo la semina cellulare, occorre aspettare questo periodo, di 21 giorni, affinchè le cellule possono assumere le caratteristiche morfologiche e funzionali che le rendono simili agli enterociti presenti nell’intestino umano.
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La morfologia delle cellule epiteliali è caratterizzata dalle giunzioni serrate che sigillano lo strato epiteliale. Fisiologicamente le giunzioni serrate regolano il movimento di soluti tra il dominio epiteliale e quello endoteliale [1].
Il complesso delle giunzioni epiteliali tra le membrane di cellule adiacenti comprende tre tipi di strutture: le giunzioni strette , le giunzioni intermedie ed i desmosomi [41].
Le giunzioni serrate appaiono al microscopio elettronico come una rete circonferenziale di filamenti che rappresentano componenti polimeriche transmembrana di interazione. Nelle giunzioni serrate, le proteine transmembrana (occludina, claudina e JAMs (junctional adhesion molecules)) mediano l’adesione cellula-cellula e formano una barriera di diffusione paracellulare [27]. Molte proteine transmembrana delle giunzioni strette contengono speciali sequenze nella loro coda citoplasmatica , chiamati domini di legame per le PBZ (PSD95/ D1gA/ZO-1), che reclutano e legano proteine contenenti regioni PBZ, incluse le proteine periferiche della placca citoplasmatica le proteine Zonula Occludens (ZO-1, ZO-2, ZO-3) ed altre proteine regolatorie [42] (Figura 4).
Figura 4 : Composizione delle “tight junction”. Le proteine transmembrana costituiscono una barriera nello spazio paracellulare. Immagine adattata da [43].
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L’occludina, la prima proteina di membrana identificata nelle giunzioni serrate, è una proteina con quattro domini transmembrana. La coda C-terminale della proteina lega l’actina e ZO-1, che è a sua volta associata con l’actina ed altre proteine della placca citoplasmatica [44].
ZO-1 è una proteina periferica di membrana di peso molecolare di 225 kD, localizzata nella zona citoplasmatica in prossimità delle giunzioni cellula-cellula [45-47].
Tra i modelli usati per lo studio delle giunzioni strette è compresa la linea cellulare Caco-2, dove sono presenti due isoforme della proteina ZO-1 [45-48].
1.6 Bioreattori come modello di assorbimento e biodistribuzione
Sono stati citati nei paragrafi precedenti le richieste di nuovi modelli sperimentali e test fisiologici in vitro. Questi sistemi devono mimare la complessità dell’ambiente fisiologico umano, che non può essere replicata nelle piastre Petri o nelle Multiwell.
Tutte le cellule sono estremamente sensibili al loro microambiente, che è ricco di segnali dalle altre cellule e da stimoli meccanici dovuti al flusso, alla perfusione, ai movimenti, al cross talk.
Il limite maggiore degli esperimenti in vitro con cellule è l’assenza di interazione tra i fattori biochimici, quelli meccanici ed il cross talk.
Perciò molti ricercatori ed industrie ritengono che i classici esperimenti in vitro offrano pochi valori predittivi e meccanismi incompresi, e c’è interesse verso nuove tecnologie, generalmente in forma di bioreattori [49].
L’interfaccia aria-liquido o liquido-liquido sono le condizioni utilizzate con cellule epiteliali differenziate. Il sistema tipicamente utilizzato è la Transwell, in cui cellule polmonari, dell’epitelio, della cornea, vascolari o intestinali vengono coltivate su una membrana semipermeabile posizionata tra un compartimento apicale ed uno basolaterale. Questo è un eccellente strumento per simulare le barriere fisiologiche e per studiare il trasporto e la permeabilità, ma è privo di flusso, che è un importante stimolo fisiologico per gli epiteli e gli endoteli [50].
Infatti lo sviluppo di un modello in vitro basato su cellule intestinali che mimano le proprietà meccaniche, strutturali, fisio-patologiche, di assorbimento, di trasporto dell’intestino umano può contribuire ad accelerare lo sviluppo farmaceutico.
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Per questi motivi, è cresciuto l’interesse dello sviluppo di modelli in vitro della funzionalità intestinale umana, inclusi sistemi di colture cellulari che utilizzano inserti con filtro come Transwell, che sono utili in studi di trasporto attraverso la barriera epiteliale, e modelli miniaturizzati che supportano culture a lungo termine.
Per quanto detto in precedenza sulle limitazioni dell’attuale tecnologia usata per i test
in-vitro, sono allo studio innovativi sistemi per oltrepassare il gap fra una Transwell ed una
barriera fisiologica. Un esempio è MB, realizzato dal gruppo di ricerca della Prof. Ahluwalia, presso il Centro Piaggio dell’Università di Pisa e commercializzati come Quasi-Vivo® (è un marchio di fabbrica registrato Kirkstall Ltd Sheffield, U.K.),
I bioreattori componibili MCMB (membrane MultiCompartimental modular Bioreactor), sono semplici da assemblare ed utilizzare e possono essere facilmente comparati con i controlli standard poiché sia il numero di cellule che i volumi di mezzo di coltura utilizzati sono abbastanza simili [51].
L’ MCMB offre infatti la possibilità di utilizzare gli stessi protocolli utilizzati per le piastre multiwell/Petri, date le sue dimensioni, migliorandoli con stimoli meccanici, fisici e con il flusso.
Il bioreattore è stato disegnato definendo metodi e scale allometriche in modo da avere basso stress, alto turnover di nutrimenti ed un numero fisiologicamente rilevante di cellule; i più importanti segnali biochimici, fisio-chimici e meccano-strutturali presenti nell’ambiente cellulare possono essere controllati (Figura 5).
L’allometria è una scienza che studia le leggi di scala nella famiglia dei mammiferi. Grazie ad essa è possibile rapportare più specie animali in base ad un parametro di interesse. Dato che il bioreattore non è altro che la simulazione di un uomo virtuale, è possibile sfruttare l’allometria per stimare i parametri dimensionali e di funzionamento, a partire da valori noti e validi per l’uomo, presenti in letteratura.
Sbrana e Ahluwalia hanno condotto studi sui modelli allometrici, con particolare attenzione all’applicazione degli stessi, sfruttando il bioreattore in questione per modelli di assorbimento intestinale [51].
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Figura 5: segnali biochimici, fisio-chimici e maccano-strutturali e parametri che possono essere controllatinel microambiente. Immagine adattata da [51].
Il bioreattore MCMB è fabbricato in PDMS (polydimethylsiloxane), un polimero elastomero biocompatibile.
A partire dall’MCMB, il gruppo di ricerca del Centro Interdipartimentale di Ricerca E. Piaggio ha sviluppato un nuovo sistema MB (Membrane Bioreactor), ovvero una camera per realizzare modelli di barriera tissutale epiteliale (Figura 6).
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Figura 6 :Bioreattore MCMB 3.0; immagine adattata [50].La linea intestinale epiteliale Caco-2 mima la complessa e fisiologica struttura dell’intestino degli esseri viventi e forma una barriera integra che, in condizioni di flusso, mima l’intestino in modo migliore rispetto ai modelli in statico con l’uso di Transwell. I modelli dinamici riuniscono le caratteristiche fisiche e funzionali dell’intestino umano, che sono critiche per la sua funzione, con un controllo ambientale importante per studi di trasporto, assorbimento e tossicità [52].
1.6 Test di nuovi materiali biocompatibili
Nello studio e nello sviluppo di sistemi in grado di riprodurre in vitro situazioni simili a quelle fisiologiche occorre testare nuovi materiali.
Per studi di passaggio attraverso la barriera epiteliale dell’intestino occorre valutare nuovi materiali elettroattivi utilizzabili in futuro all’interno di nuovi sistemi sempre più evoluti e simili ai distretti dell’organismo umano.
Infatti, oltre al flusso, a regolare il passaggio di sostanze attraverso l’epitelio intestinale, si hanno movimenti peristaltici.
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La peristalsi è il termine con cui è indicata la serie di movimenti ondulatori dell’intestino. Tali movimenti sono dovuti a contrazioni ritmiche degli strati di muscolatura che costituiscono la parete dell’intestino [53].
I nuovi materiali, in particolare le membrane in acrilato ideate dal gruppo di ricerca della Prof. Ahluwalia del centro di ricerca E. Piaggio, verranno utilizzate per costruire supporti su cui saranno posizionate le colture cellulari (Caco-2 per simulare la barriera intestinale) ed andranno inseriti in sistemi “human like” più complessi che mimeranno il movimento intestinale umano.
Il progetto sarà svolto in collaborazione con la Dott.ssa I. De Angelis del dipartimento di Meccanismi di Tossicità dell’ Istituto Superiore di Sanità.
Dopo aver testato la biocompatibilità di questo materiale elettroattivo, un progetto futuro prevede la realizzazione di membrane su cui le cellule Caco-2 potranno aderire e differenziarsi, andando a mimare così la barriera epiteliale intestinale.
In più stimolando elettricamente ed opportunamente questo materiale, la membrana sarà in grado di svolgere un movimento oscillatorio in modo tale da simulare il più possibile il movimento dell’intestino in vivo.