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Masterarbeit L APPRENDIMENTO DELL ITALIANO COME LINGUA SECONDA E LINGUA STRANIERA.

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Academic year: 2022

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Leopold-Franzens-Universität Innsbruck Institut für Romanistik

Masterarbeit

L’APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO COME LINGUA SECONDA E LINGUA STRANIERA.

Un’analisi specifica nel contesto scolastico e sociale altoatesino.

Verfasserin: Martina Ghirardini (Matrikelnummer: 01218022)

Betreuer/in: Assoz. Prof. Mag. Dr. Christine Konecny

Innsbruck, im Februar 2019

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Ringraziamenti

Alla fine di questo lungo cammino, vorrei spendere due parole di ringraziamento nei confronti di tutte quelle persone che mi hanno accompagnato durante i miei studi universitari e che mi hanno aiutato nella stesura di questa tesi di laurea.

Il ringraziamento più grande va innanzitutto alla mia relatrice, la professoressa Christine Konecny, che mi ha aiutato moltissimo dandomi preziosi consigli e dirigendomi verso la strada giusta.

Un altro ringraziamento va alla mia famiglia e in particolare ai miei genitori, che mi hanno sostenuto economicamente e moralmente in tutti questi lunghi anni di studio e sono sempre stati al mio fianco.

Un ringraziamento va naturalmente anche a Dennis, il mio fidanzato, che mi è sempre stato vicino nei momenti più difficili, nei momenti di dubbio e di insicurezza, ma anche nei momenti di gioia e allegria.

Un grazie va infine anche all’Università di Innsbruck e a tutti i docenti che mi hanno accompagnato in questi anni, contribuendo alla mia formazione ed educazione, e che mi hanno ispirato durante questo percorso formativo.

Grazie infine ai due insegnanti e ai due studenti che hanno accettato di essere intervistati.

Un grazie particolare va infine ad Alessandra Spada per il suo sostegno.

Grazie ancora a tutti quanti.

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INDICE

PREMESSA ... 5

INTRODUZIONE ... 7

1. PARTE PRIMA ... 9

1.1 Acquisizione e apprendimento della lingua ... 9

1.2 Behaviorismo e linguistica generativa: due modelli a confronto ... 10

1.3 Bilinguismo e L2 in Alto Adige ... 11

1.4 Il sistema scolastico in Alto Adige ... 14

1.4.1 L’importanza dell’apprendimento della L2 ... 15

1.4.2 L’insegnamento della L2 all’interno dei vari cicli di studio ... 16

1.4.3 La scuola trilingue: una speranza per il futuro ... 18

1.4.4 Un progetto pilota per l’insegnamento della L2 alla scuola materna italiana ... 18

1.5 Italiano Lingua di contatto ... 19

1.5.1 L’insegnamento dell’italiano a immigrati ... 21

1.5.2 Gli alunni stranieri nelle scuole in Alto Adige: alcuni dati... 23

1.5.2.1 Scuole primarie... 24

1.5.2.2 Scuole secondarie di primo grado ... 25

1.5.2.3 Scuole secondarie di secondo grado ... 25

1.5.3 I centri linguistici ... 26

1.6 La valutazione delle competenze: il QCER ... 29

2. PARTE SECONDA ... 32

2.1 Metodi di ricerca ... 32

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2.2 Interviste ... 32

2.2.1 Intervista ad un professore di italiano L2 ... 33

2.2.2 Intervista ad un professore di tedesco L2 ... 36

2.2.3 Riflessioni sui risultati delle due interviste ... 39

2.2.4 Intervista Studente 1 ... 43

2.2.5 Intervista Studente 2 ... 45

2.2.6 Riflessioni sui risultati delle due interviste ... 47

2.2.7 Ulteriori difficoltà nella padronanza della L1 e della L2, legate specificamente all’Alto Adige ... 48

2.3 Analisi di alcuni testi ... 48

2.3.1 Testo scritto 1 ... 49

2.3.2 Testo scritto 2 ... 51

2.3.3 Testo scritto 3 ... 53

2.3.4 Testo scritto 4 ... 56

2.3.5 Testo scritto 5 ... 58

2.3.6 Testo scritto 6 ... 60

2.3.7 Testo scritto 7 ... 61

2.3.8 Testo scritto 8 ... 63

2.4 Analisi dei risultati dei testi analizzati ... 66

2.5 La concordanza dei tempi verbali ... 72

3. PARTE TERZA ... 78

3.1 Confronto tra due mondi: italiano L2 vs. italiano Lingua di contatto ... 78

3.1.1 Come apprendono gli altoatesini l’italiano o la L2 ... 78

3.1.2 Come apprendono gli stranieri l’italiano / il tedesco LS? ... 79

CONCLUSIONI ... 81

(5)

BIBLIOGRAFIA ... 86

SITOGRAFIA ... 90

INDICE DELLE FIGURE ... 92

INDICE DELLE TABELLE ... 93

EIDESSTAATLICHE ERKLÄRUNG ... 94

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PREMESSA

Ho scelto di scrivere su questo argomento spinta da una motivazione personale. Nata e cresciuta in Alto Adige e quindi in una terra di confine, dove convivono due, anzi tre lingue contemporaneamente, ho capito fin da giovane l’importanza che queste lingue hanno nel nostro territorio. Venendo da una famiglia italiana, ho compreso e affrontato i vari problemi che ricorrono nell’apprendimento di una lingua seconda, che per me è il tedesco. Avendo frequentato sempre la scuola italiana, ho visto i lati negativi e positivi del sistema scolastico italiano e altoatesino. Non ho mai avuto problemi di apprendimento con le lingue, e neanche con la lingua seconda; anzi le lingue sono sempre state, e lo sono tuttora, una passione per me.

Trovo affascinante imparare una lingua che non è la propria; riuscire a comunicare con altre persone di culture diverse apre la mente e aiuta a vedere il resto del mondo con un altro sguardo.

Come disse Federico Fellini, “un linguaggio diverso è una diversa visione della vita”.

Vivendo in un ambiente cittadino come Bolzano, ho trovato però difficile l’integrazione nel gruppo linguistico tedesco. Per un determinato periodo della mia infanzia e adolescenza, stetti solamente a contatto con un’ambiente quasi esclusivamente italiano; verso la fine dei miei anni scolastici, mi avvicinai di più, tramite progetti culturali e scolastici organizzati da varie associazioni altoatesine e italiane, all’ambiente tedesco e iniziai quindi a mettere in pratica la lingua stessa.

Per gli studi universitari, feci poi la scelta di andare a studiare all’estero: il mio obbiettivo era, ed è tuttora, quello di migliorare e perfezionare il mio livello di tedesco, indispensabile per avere una migliore prospettiva professionale e un migliore rapporto sociale e culturale con il territorio in cui vivo. Scelsi quindi Innsbruck, una vicina città universitaria, dove avrei imparato sicuramente meglio il tedesco; inoltre Innsbruck è una città in cui si mescolano varie culture e in cui vivono molti stranieri che vogliono inserirsi e imparare il tedesco, rendendo quindi più facile anche a me l’integrazione linguistica e culturale nella città stessa.

I miei anni universitari mi hanno permesso di approfondire la conoscenza della L2, applicandola nei vari contesti quotidiani e di studio, facendomi maturare nelle mie capacità comunicative con il mondo tedesco. In questo periodo ho sperimentato su me stessa come il miglior modo per apprendere una lingua sia quello di studiarla e viverla laddove essa viene parlata.

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Vivo in un tempo e appartengo ad una generazione di un’Europa molto differente da quella dei miei genitori. Le lingue che noi giovani conosciamo e vogliamo imparare sono a nostra portata tramite internet, tirocini lavorativi all’estero, progetti Erasmus, ecc. C’è la consapevolezza dell’importanza di comunicare in un’altra lingua e c’è più mobilità in Europa: le persone si trasferiscono e viaggiano di più. L’apprendimento di un’altra lingua è diventata quindi una priorità per il futuro della nostra generazione.

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INTRODUZIONE

Questo lavoro si propone come un’analisi dell’apprendimento e dell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda, o L2, e come lingua straniera, o LS, nella scuola in Alto Adige.

Il lavoro consta di tre parti. Nella prima parte si fornisce un’introduzione teorica alla linguistica acquisizionale, trattando in primis la differenza tra L1 e L2 e tra acquisizione e apprendimento.

Verranno poi messi in luce i diversi approcci sull’acquisizione linguistica, scienza che iniziò a crescere agli inizi del ’900 grazie alle teorie di linguisti come John Broadus Watson, Burrhus Frederic Skinner e Noam Chomsky, analizzando quindi l’apprendimento linguistico attraverso le loro teorie. Successivamente si tratterà il tema dell’apprendimento di una lingua seconda, in questo caso dell’italiano e del tedesco, in ambito scolastico e quindi dal punto di vista didattico.

Verranno date innanzitutto le definizioni di “bilinguismo” e di “diglossia”, legate specificamente al contesto dell’Alto Adige. Si esplicherà poi il sistema scolastico in Alto Adige, mettendone in luce i vari aspetti, le caratteristiche, i pregi e i difetti ed evidenziando il ruolo che la lingua seconda gioca nella scuola altoatesina.

In seguito verrà trattato anche il tema dell’italiano come lingua straniera o come lingua di contatto appresa da parte degli immigrati che sono arrivati in Italia e in Alto Adige, o da parte dei figli degli immigrati che sono nati nella nostra terra e che sono quindi di seconda generazione. Verranno mostrati poi alcuni dati sulla presenza degli stranieri nelle scuole altoatesine e si parlerà anche di un importante passo nell’integrazione degli stranieri, ovvero l’insegnamento specifico dell’italiano e del tedesco attraverso i corsi per gli immigrati offerti dai centri linguistici presenti in terra altoatesina.

Nella seconda parte del lavoro verranno messi a fuoco i vari aspetti della lingua e del suo apprendimento e gli errori che ricorrono da parte degli studenti, attraverso interviste a due insegnanti di L2 a Bolzano. Con le interviste si farà quindi anche un piccolo confronto con il tedesco come lingua seconda e con l’apprendimento del tedesco da parte degli altoatesini italiani. A seguito delle due interviste, verranno poi tratte delle conclusioni sui risultati delle interviste.

Per analizzare a fondo il tema dell’apprendimento della lingua seconda, verranno analizzati dei testi italiani scritti da studenti germanofoni e stranieri che frequentano la scuola in Alto Adige.

In questi testi si analizzeranno gli errori commessi dagli studenti e si cercherà di confrontare

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ciò che è stato detto nelle interviste ai professori riguardo agli errori degli studenti oltre che nella parte teorica sul contesto sociale e scolastico altoatesino.

Nella terza parte, infine, verranno confrontate due situazioni di apprendimento molto diverse tra loro: l’apprendimento degli studenti altoatesini (italiano / tedesco L2) e l’apprendimento degli stranieri arrivati in Italia (italiano lingua di contatto / lingua straniera).

A termine di questo lavoro verranno fatte delle conclusioni su tutto ciò che si è voluto analizzare in questa tesi di laurea.

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1. PARTE PRIMA

1.1 Acquisizione e apprendimento della lingua

Pur essendo una scienza abbastanza giovane rispetto ad altre, la linguistica presenta numerose e diverse teorie sull’acquisizione della lingua. Alcune sono ancora oggi molto discusse, altre invece già antiquate. Tuttavia, l’uomo è l’unica specie che nel corso degli anni è riuscita a sviluppare una lingua parlata per comunicare. Tutte le persone possono apprendere o acquisire la loro lingua materna e possono anche imparare altre lingue straniere. (cfr. Decke-Cornill / Küster 2014: 21).

Quando si parla di acquisizione di una lingua, si deve anche differenziare tra l’acquisizione della lingua materna e della lingua straniera. La lingua materna o madrelingua è anche chiamata lingua nativa o semplicemente L1. Invece la lingua seconda o L2 è qualsiasi lingua che venga imparata dopo la L1: è quindi una lingua straniera1.

Ma qual è la differenza tra l’acquisizione di una lingua e l’apprendimento di una lingua?

Secondo il linguista Stephen Krashen, l’acquisizione e l’apprendimento di una lingua sono due concetti diversi. L’acquisizione di una lingua è implicita, inconscia e spontanea, e avviene quindi attraverso processi automatici, mentre l’apprendimento è un processo formale e conscio, che richiede l’uso di regole in modo sistematico e che ha luogo in ambito scolastico.

L’acquisizione della lingua è un tema di recente interesse. Prima del ’900 non ci si interessava tanto dell’acquisizione della lingua, che veniva vista come un prodotto dell’abilità di ragionare dell’uomo. Questo tema ha le sue origini nel ventesimo secolo, quando si iniziarono a cercare le diverse relazioni tra linguaggio e pensiero, ovvero tra il linguaggio come strumento di comunicazione degli esseri umani e la formazione dei sistemi di conoscenze (Brandi / Salvatori 2004: 1). Si iniziò a capire che sapere una lingua non vuole solamente dire associare delle parole a dei concetti, ma anche dover sapere come combinare le varie parole in frasi, visto che queste sono i mezzi con cui l’uomo esprime i propri pensieri. Sapere perfettamente una lingua è quindi un’impresa di certo non facile: la lingua è un sistema pieno di regole di tutti i tipi, e imparare una lingua significa perciò anche impararne le regole. Ci si pose quindi la domanda: come possono i bambini imparare tutte queste regole della loro lingua materna solamente venendone a contatto?

1 Cfr. http://www.grandionline.net/nicola/lingue_e_linguaggio/ apprendimento2.pdf (ultimo accesso: 11.12.2018)

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1.2 Behaviorismo e linguistica generativa: due modelli a confronto

In quanto segue verranno presentate diverse teorie sull’acquisizione del linguaggio, in particolare quello del behaviorismo, di John Broadus Watson e di Burrhus Frederic Skinner, e del generativismo di Noam Chomsky.

Il behaviorismo, o comportamentismo, è una teoria nata negli Stati Uniti, il cui fondatore fu John Broadus Watson, secondo il quale la psicologia è anche determinata dagli aspetti esteriori e osservabili dell’attività mentale. Secondo i comportamentisti, oggetto della psicologia è il comportamento, cioè l’insieme degli aspetti esteriori, direttamente osservabili, di un individuo.

Il comportamentismo si concentra su stimoli ricevuti dal soggetto e le sue risposte, senza però considerare i processi mentali o fisiologici. J.B. Watson, per la sua teoria behaviorista, fu particolarmente influenzato dallo psicologo e medico russo Ivan Pavlov, fondatore del comportamentismo classico, e di esperimenti con i cani sui riflessi condizionati. I behavioristi hanno applicato le loro ipotesi di sperimentazione animale sul comportamento umano, concludendo con l’ipotesi che gli uomini abbiano a disposizione un meccanismo di apprendimento generale. Questo meccanismo di apprendimento gli permette di acquisire il comportamento dell’ambiente a loro circostante tramite l’imitazione. L’apprendimento consiste nel tentativo di imitazione secondo il principio che dal successo si impari. Il successo funge quindi da rinforzo dell’apprendimento (reinforcement). Nella crescita, i bambini apprendono gli atteggiamenti del loro ambiente che riconoscono come positivi ed efficaci, e successivamente questi atteggiamenti entrano a far parte della loro abitudine: questo processo prende il nome di automatizzazione, o, applicando il termine inglese, di habit formation.

Tra i comportamentisti è obbligo citare lo psicologo americano Burrhus Frederic Skinner, che si interessò soprattutto al comportamento linguistico, dal punto di vista scientifico dell’analisi del comportamento. Con la sua opera, Verbal Behaviour, Skinner affermò che il comportamento linguistico di ogni persona dipende dall’ambiente in cui cresce e dalle reazioni (punizioni e ricompense) che subisce nel corso della sua acquisizione della lingua: i bambini, se riescono ad imitare certe parole o frasi, vengono premiati ad esempio attraverso delle lodi;

secondo Skinner, questo tipo di rinforzo condiziona il comportamento linguistico (cfr. Decke- Cornill / Küster 2014: 22). Sapere una lingua equivale perciò a conoscere una serie di comportamenti, e il bambino deve venir “addestrato” a dire o non dire certe parole o frasi.

In breve, la teoria di Skinner dice che le proprie conoscenze linguistiche dipendono dalle esperienze che si ha vissuto nell’arco della propria vita.

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Mentre per Skinner il linguaggio umano si basa su un processo stimolo-risposta, la psicolinguistica di Noam Chomsky, importante linguista americano, analizza solamente il concetto di stimolo e si occupa del problema della produzione della frase. Egli sviluppò la teoria della grammatica universale (la GU), che comprende un insieme di regole per descrivere la grammatica di qualsiasi lingua naturale. Chomsky contraddice le teorie di Skinner sull’acquisizione della lingua. Per Chomsky la lingua non dipende dagli stimoli che si ricevono.

A suo parere, i bambini infatti sono in grado di capire e produrre espressioni nuove e producono un linguaggio più ricco di quello a cui sono stati esposti (Brandi / Salvatori 2004: 1). Per riassumere, secondo Chomsky non si impara una lingua solo nel venir esposti a certe frasi e a certi stimoli. I bambini imparano tanto anche in modo passivo e implicito (ad esempio guardando la TV o ascoltando i genitori che parlano fra di loro) ed in questi casi non vengono esposti direttamente ad una risposta (Den Ouden 1975: 54-59).

Chomsky parla di un “organico del linguaggio”, geneticamente definito, il cosiddetto Language Acquisition Device, una predisposizione biologica per imparare a parlare, connessa ad una sorta di grammatica universale che contiene la conoscenza innata degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali. Secondo Chomsky, senza il dispositivo innato, i bambini non riuscirebbero a imparare una lingua fino ai tre, quattro anni di età, perché non riceverebbero sufficienti stimoli linguistici per arrivare a delle generalizzazioni e comprendere espressioni nuove (Sabatelli 2010: 17). “L’argomento della povertà dello stimolo” allude al fatto che la nostra lingua non è il semplice risultato delle esperienze fatte, ma emerge dall’interazione fondamentale tra l’esperienza e la dotazione iniziale che ci è data biologicamente (Brandi / Salvatori 2004: 2). L’acquisizione del linguaggio non consiste dunque nella sola imitazione degli adulti, ma è un processo attivo di scoperta di regole e di verifica di ipotesi.

Al contrario del behaviorismo, Chomsky considera il linguaggio indipendente dall’intelligenza e dalla capacità comunicativa e afferma che la competenza linguistica precede l’esecuzione: il bambino possiede dunque le regole prima di saperle usare.

1.3 Bilinguismo e L2 in Alto Adige

In Alto Adige, da ormai moltissimi anni, la lingua italiana e quella tedesca si trovano in strettissimo contatto tra di loro (cfr. Egger 1978: 9).

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Quando due o più lingue sono a contatto fra di loro, si usano i termini di diglossia e bilinguismo:

diglossia “indica il rapporto verticale fra le varietà dello stesso linguaggio (dialetto-lingua), mentre bilinguismo indica invece il rapporto orizzontale fra le lingue allo stesso livello, come nel caso: italiano – tedesco” (Egger 1978: 9-10).

Vediamo di dare una definizione più specifica:

“Con il termine bilinguismo, s’intende, secondo la definizione di un noto studioso, «la pratica dell’uso alternativo di due lingue»2, non designando innanzitutto la situazione linguistica di una determinata area geografica, ma soprattutto lo ‘stato’ del singolo parlante. Il bilinguismo è quindi un “fatto individuale”, che implica il possesso di due codici linguistici e una certa capacità di commutazione, di passare, cioè, alternativamente, da un codice all’altro a seconda della situazione in cui il parlante viene a trovarsi, del grado di bilinguismo del suo interlocutore, dell’argomento a tema. […]

Mentre un bilingue, quindi, può passare da un codice linguistico all’altro totalmente diverso, che non necessita avere alcun punto in comune con il primo, con il termine diglossia s’intende l’uso, all’interno di una singola comunità linguistica, di diversi registri o dialetti di un unico codice, ognuno con funzioni particolari specifiche.”

(Grespan 1992: 10-11)

In un contesto bilingue abbiamo quindi due lingue: una L1, chiamata anche lingua madre, e una L2, la lingua seconda ovvero la lingua che si apprende dopo la lingua madre (come si è già visto nel capitolo 1.1). Per i ragazzi italiani sarà quindi per ragioni ovvie l’italiano la lingua madre e il tedesco la lingua seconda, mentre per i ragazzi di madrelingua tedesca la L2 sarà l’italiano.

Bisogna però sottolineare che nel contesto altoatesino, nonostante ci sia una situazione di bilinguismo a livello istituzionale, non tutti i parlanti sono completamente bilingui, ma hanno una delle due lingue come L1 e imparano l’altra come L2. Nel corso della loro vita possono raggiungere un livello più o meno alto di bilinguismo individuale, ma non possiedono fin da subito tutte e due le lingue, a meno che non abbiano i genitori di tutte e due le lingue (madre italofona e padre tedescofono, ad esempio).

In Alto Adige possiamo osservare una diglossia a tre livelli linguistici: il dialetto locale (Dialekt3), il dialetto regionale (Umgangssprache) e la lingua standard (Hochsprache) (cfr.

Egger 1978: 9). Il tedesco standard è la lingua scritta e viene usato nelle occasioni ufficiali, in conferenze e dibattiti politici. Questa lingua però «è penetrata soltanto nella consapevolezza di pochi parlanti e rimane però una lingua artificiale che si è imparata e che eventualmente si parla,

2 Weinreich (1974), p.3, cit. in Grespan (1992) (vedi bibliografia).

3 Si sono voluti usare appositamente i termini tedeschi per designare i concetti, in quanto in tedesco, a mio parere, essi vengono espressi meglio con questi tre termini.

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ma che raramente si domina»4. I germanofoni altoatesini usano infatti solitamente il dialetto e in molte zone più isolate esso rappresenta l’unica lingua in ogni situazione (cfr. Grespan 1992:

31-32). Per i sudtirolesi tedescofoni il dialetto aiuta a “favorire il senso di collettività e crea una specie di identità locale e regionale, conferendo un senso di armonia e di sicurezza” (Egger 1978: 15).

Se per il tedesco vediamo diversi livelli linguistici, la lingua italiana viene parlata in Alto Adige solamente nella forma standard: “essa appare a prima vista come un blocco solido, con un unico livello pressoché immune da infiltrazioni o interferenze tedesche” (ibid.: 12-13). L’italiano

“crea l’impressione di trovarsi in una posizione ideale. Nell’apprendimento dell’italiano i germanofoni sono largamente avvantaggiati. Vi è infatti un unico livello linguistico ed è quello insegnato a scuola. Completamente diversa è la situazione per quanto riguarda il tedesco: il modello presentato nella scuola italiana è quello della lingua standard; nella vita quotidiana invece gli italiani sono sempre a contatto col dialetto locale o tutt’al più col dialetto regionale. L’apprendimento dell’italiano invece è favorito dal fatto che i tedeschi possono udire sempre la stessa forma «elevata».” (ibid.: 12-13)

I ragazzi tedeschi sono quindi facilitati ad apprendere l’italiano, appunto perché sentono solamente una forma di italiano standardizzato, senza particolari accenti.

Per i ragazzi italiani, invece, la situazione risulta più difficile. Infatti il tedesco che si impara a scuola è la Hochsprache, “che non è quello quotidianamente e normalmente usato nella maggioranza delle occasioni dai sudtirolesi. Cosicché accade sovente che, rivolgendosi in tedesco ad un sudtirolese di madrelingua tedesca, si ottenga una risposta in italiano” (Grespan 1992: 10-11).

In una regione come l’Alto Adige dove convivono due comunità linguistiche e culturali,

“l’apprendimento di una seconda lingua diventa un’esigenza e una necessità oggettiva per l’interazione dei gruppi etnici a contatto” (Grespan 1992: 17).

Purtroppo in Alto Adige i gruppi linguistici

“vivono ancora troppo in mondi separati, perché non esiste una memoria collettiva comune nella quale siano radicati e custoditi episodi significativi di una storia realizzata in comune. I gruppi linguistici vivono in mondi separati anche perché hanno omesso di compiere l’elaborazione del lutto sulla violenza che si sono reciprocamente inflitti nel corso della storia. I loro rapporti sottostanno ancora al meccanismo della

“svalorizzazione” reciproca. La convivenza è, infine, ancora fortemente caratterizzata

4 Riedmann (1972), p. 19, cit. in: Grespan (1992) (vedi bibliografia).

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dalla produzione sociale di distanza, che ha la funzione di mantenere la frammentazione della società per lo più secondo criteri etnico-comunitari di appartenenza. Queste configurazioni della società hanno effetti psico-sociali concretamente rilevabili sulla comunicazione e sulla cooperazione tra i gruppi linguistici e influenzano negativamente la motivazione all’apprendimento della lingua seconda e la formazione interculturale.”

(Baur et al. 2008: 23)

1.4 Il sistema scolastico in Alto Adige

L’Alto Adige è una provincia di confine abbastanza vasta, ed è abitata da poco più di 468.000 abitanti. Questa regione ha un’autonomia molto potente, che è ancorata a una legge costituzionale, lo Statuto di autonomia (la prima versione risale al 1948 e la seconda al 1972).

Questa autonomia venne creata per tutelare le varie popolazioni che risiedevano, e che risiedono tuttora, nella regione: infatti la maggior parte della popolazione in Alto Adige è di lingua tedesca (il 69,15%), poi segue quella di lingua italiana (il 26,47 %) e infine quella ladina (4,37%) (Valentini [a cura di] 2005: 109)5.

Tra le leggi di questo Statuto, è fondamentale l’art. 19, che riconosce ai tre gruppi linguistici residenti in Provincia, ovvero il gruppo tedesco, quello italiano e quello ladino, il “diritto a una formazione nella propria madre lingua, sulla base del principio che l’acquisizione e l’uso della lingua contribuiscono ad assolvere, per le minoranze, un compito di formazione dell’identità”

(ibid.).

Per questo motivo, il sistema scolastico in Alto Adige è costituito da tre scuole diverse e separate, ciascuna con una propria Intendenza scolastica e un proprio Assessorato alla scuola.

Nella scuola italiana e in quella tedesca, tutte le discipline vengono insegnate nella rispettiva madrelingua, ad eccezione della lingua seconda e delle lingue straniere (come ad esempio l’inglese). Nella scuola ladina, invece, vi è lo stesso numero di ore sia di italiano che di tedesco che di ladino in settimana: in questo caso, quindi, la lingua (italiana, tedesca o ladina) viene insegnata in modo veicolare, ovvero applicandola ad altre materie di studio, metodo forse più efficace che nel caso delle altre due scuole.

Ultimamente, in molte scuole sono stati introdotti progetti di insegnamento veicolare della L2 e della lingua straniera che hanno avuto esiti positivi sull’apprendimento della lingua stessa.

Uno di questi è il CLIL, acronimo di Content Language Integrated Learning, ovvero di

5 Come già pubblicato in Siviero (2003). Le citazioni nel capitolo successivo (1.4.1) sono state anche pubblicate in Siviero (2003), oltre che in Valentini (2005).

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apprendimento integrato di lingua e contenuto. Il CLIL è “un approccio didattico con doppia focalizzazione che prevede l’uso di una lingua aggiuntiva per apprendere e insegnare sia contenuto che lingua” (Frigols / Marsh / Mehisto / Wolff 2010: 1)6. Con questo metodo si insegna una qualsiasi disciplina che non sia una lingua, attraverso una lingua veicolare diversa dalla madrelingua dell’alunno. Questi progetti CLIL vengono già attuati da diversi anni in altri paesi della comunità europea, come ad esempio in Svezia, in Norvegia o in Germania. Come scopo didattico si vuole “favorire la capacità di acquisire conoscenze attraverso una lingua straniera e contribuire alla formazione bilingue dei cittadini europei, che dovranno conoscere e saper operare in almeno due lingue comunitarie”7. In una ricerca condotta in Alto Adige sul tema del CLIL, è stato chiesto agli studenti se aver studiato alcune materie in L2 abbia influito sulla loro conoscenza linguistica. Per la maggior parte degli studenti questa esperienza ha influito positivamente mentre solo per alcuni l’effetto è stato negativo (cfr. Vettori / Martini 2012: 123). Inoltre, “gli studenti di entrambi i gruppi ritengono di avere acquisito un bagaglio lessicale in L2 più ricco e non pensano che questo tipo di insegnamento abbia loro creato confusione rispetto alla grammatica e/o al lessico della L2” (Vettori / Martini 2012: 123).

1.4.1 L’importanza dell’apprendimento della L2

La lingua seconda (L2) ha un ruolo molto importante in Alto Adige. Lo scopo primario dell’apprendimento della L2 è, oltre a quello del possesso strumentale della lingua, l’avvicinamento, tramite la lingua, alla “cultura dell’altro” che vive accanto a noi (Siviero:

2003):

“[…] L’insegnamento della lingua seconda non è mai stato disgiunto dalla necessità di far acquisire una sensibilità interculturale, assolutamente fondamentale nel nostro caso, che costituisce, se raggiunta, un patrimonio basilare per avvicinarsi a persone di altre lingue e culture senza il filtro degli stereotipi o, peggio ancora, di pregiudizi, e diventa anche un mezzo per conoscere meglio sé stessi e la propria cultura. Ciò significa promuovere negli alunni l’attitudine e la capacità di vedere il nuovo e il diverso come occasione di maturazione e di arricchimento di sé.” (Valentini [a cura di] 2005: 111)

La seconda lingua viene insegnata agli studenti fino alla quinta superiore, anno della maturità e quindi ultimo anno di scuola e, dal 1999, è stata introdotta una terza prova scritta della lingua seconda agli esami di Stato.

6 Preso da: http://www.provinz.bz.it/intendenza-scolastica/rivista-informa/2014/maggio/11.html (ultimo accesso:

11.12.2018).

7 Preso da: http://www.majorana.org/ progetto_aliclil.htm (ultimo accesso: 11.12.2018).

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Inoltre, all’interno del sistema scolastico si è deciso di creare un Portfolio delle lingue per l’Alto Adige, un documento che favorisce il confronto fra i sistemi scolastici europei, ma anche tra le varie scuole altoatesine. Esso costituisce quindi una modalità di valutazione alternativa e consente inoltre agli studenti di documentare e confrontare le competenze linguistiche acquisite, con modalità riconosciute a livello europeo (cfr. Valentini [a cura di] 2005: 113). Grazie a questo aspetto, gli alunni sono consapevoli delle proprie competenze linguistiche acquisite negli anni scolastici, utili quando entreranno nel mondo universitario e del lavoro. Questo Portfolio è inoltre importante anche per gli insegnanti, che hanno l’opportunità di confrontarsi con i colleghi delle scuole dell’altra lingua e di scambiare perciò le proprie esperienze.

Il Portfolio ha infine un valore di tipo culturale: in una terra di confine come l’Alto Adige, costituita da lingue e culture diverse, si discute spesso di identità e di appartenenza ad una sola lingua e una sola cultura, e si sta cercando di superare questo modo di pensare promuovendo invece “l’orgoglio di essere una persona plurilingue e la consapevolezza della ricchezza di opportunità date dal vivere in un contesto multilingue e multiculturale” (Valentini [a cura di]

2005: 113).

Le Intendenze scolastiche italiane e tedesche hanno elaborato delle linee guida da seguire per l’insegnamento della L2. L’obbiettivo su cui si vuole puntare con le Indicazioni provinciali per la definizione dei curricoli, è “quello di un plurilinguismo orientato non ad appiattire tutte le lingue sui tratti comuni espungendone le peculiarità, ma a riconoscere la ricchezza linguistica e culturale presente nella propria lingua e a sollecitarne la ricerca anche nelle altre.”8 Il livello di padronanza della lingua materna di ogni persona è basilare per avere competenze verso qualsiasi altra lingua. Apprendere una lingua seconda, soprattutto in età precoce, può inoltre essere utile sia per compararla con la propria L1 che per rafforzare le proprie abilità linguistiche.

1.4.2 L’insegnamento della L2 all’interno dei vari cicli di studio

La scuola in Alto Adige è suddivisa in due cicli: il primo ciclo comprende le scuole elementari e le scuole medie e il secondo ciclo quelle superiori, per un totale di tredici anni. Come già menzionato sopra, ci sono sia scuole in lingua italiana che scuole in lingua tedesca; inoltre,

8 Indicazioni provinciali per la definizione dei curricoli del primo ciclo d’istruzione della scuola in lingua italiana della Provincia Autonoma di Bolzano. Deliberazione della Giunta Provinciale nr. 1434, del 15/12/2015, preso dal sito dell’Intendenza scolastica italiana di Bolzano: http://www.provincia.bz.it/intendenza-

scolastica/service/pubblicazioni.asp (ultimo accesso: 11.12.2018)

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nelle valli dove si parla il ladino, ad esempio in Val Gardena oppure in Val Badia, ci sono le scuole trilingui, dove viene insegnato in modo veicolare, oltre alle due lingue italiano e tedesco, il ladino. L’italiano e il tedesco assumono nella scuola altoatesina un ruolo molto importante, in quanto vengono insegnate in ogni caso come L2, ovvero come la seconda lingua che segue la lingua madre: se alle scuole italiane la L1 è l’italiano, il tedesco assume il ruolo di L2, e viceversa alle scuole tedesche. All’interno dell’orario scolastico, ci sono sei ore di L2 a settimana in prima e seconda elementare, cinque ore a settimana in terza, quarta e quinta elementare, quattro ore a settimana alle scuole medie e quattro alle superiori.

Come si può notare, le ore di L2 non sono così tante, anzi decisamente poche – un lato negativo, a mio avviso, nella scuola qui in Alto Adige: una materia così importante, soprattutto in una terra dove si parlano due lingue, dovrebbe avere molte più ore per essere appresa da uno studente o da una studentessa in modo adeguato. Un altro aspetto problematico è quello della modalità con la quale la lingua seconda viene insegnata. “La lezione di L2 si presenta, a prima vista, come un luogo deputato ad attività più passive che attive” (Vettori / Martini 2012: 118).

Molto spesso, infatti, le lezioni sono solo frontali e si fa troppa letteratura, storia e cultura. Ci si dovrebbe invece concentrare di più sulla grammatica e sulla competenza linguistica in generale (in riferimento a tutte e quattro le abilità linguistiche, ovvero scrittura, parlato, lettura e ascolto): approfondire le tematiche della grammatica, fare più esercizi per capirla e dedicarsi anche alla fonetica (ad esempio insegnare agli alunni a pronunciare le parole in modo giusto).

Utile sarebbe anche far parlare di più gli studenti: fare conversazioni spontanee in classe su un qualsiasi tema che sia di attualità, cultura, letteratura, musica, senza farli studiare prima una tematica a casa. In questo modo gli alunni imparerebbero a sostenere delle conversazioni, simili a quelle che si trovano anche al di fuori dell’ambiente scolastico, ad esempio nell’ambito universitario o del lavoro. Infatti “i ragazzi parlano ben poco fra di loro in L2 durante la lezione di L2” (Vettori / Martini 2012: 118). Inoltre, l’insegnamento veicolare di una lingua (ad esempio l’insegnamento della geografia in tedesco nella scuola italiana) dovrebbe essere una prassi in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Come già menzionato sopra, esistono vari progetti di potenziamento della lingua (come il CLIL, gli scambi scolastici, la scuola trilingue), che stanno dando ottimi risultati. I dirigenti di alcuni istituti scolastici hanno attuato progetti di collaborazione con istituti corrispondenti con lingua d’insegnamento diversa dalla propria, i cosiddetti Lehreraustauschprojekte o scambi docenti: sono stati effettuati scambi tra i docenti di una stessa materia per un determinato periodo dell’anno, offrendo così un’ottima alternativa all’apprendimento della materia stessa in lingua seconda. Un’ulteriore possibilità di approfondimento e miglioramento della lingua viene data anche attraverso gli scambi

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studenteschi o Schüleraustauschprojekte, proposti per il quarto anno della scuola superiore: in questo modo lo studente ha la possibilità di frequentare un anno o un semestre nell’istituto scolastico superiore corrispondente dell’altro gruppo linguistico. Questo scambio viene anche offerto agli studenti per altri paesi della Comunità Europea e non solo. Si evidenzia quindi quante siano le possibilità in Alto Adige per conoscere meglio non solo la L2 ma anche la cultura dell’altro. Credo che in questo senso la scuola italiana e tedesca dell’Alto Adige siano da modello per molte altre scuole italiane ed europee.

1.4.3 La scuola trilingue: una speranza per il futuro

Nel 2003 la Provincia di Bolzano ha attuato un progetto scolastico per il potenziamento delle lingue, rivolto ai dirigenti e docenti della scuola in lingua italiana, che ha previsto l’apertura di sezioni trilingui nelle scuole elementari, medie e superiori.

Al centro di questo progetto c’è l’idea che un’educazione plurilingue possa essere un’importante risorsa culturale per la comunicazione e le relazioni all’interno della comunità europea. L’inserimento scolastico precoce e contemporaneo non solo dell’italiano e del tedesco, ma anche dell’inglese, con metodologie innovative e uso veicolare delle lingue, può dare una formazione culturale e sociale più ampia ad un futuro cittadino europeo. L’esigenza di una formazione scolastica per gli studenti altoatesini aperta alle possibilità di conoscenza e scambio con le culture dei paesi confinanti ed europei, è nata da una richiesta diffusa da parte delle Associazioni giovanili, Associazioni dei genitori, partiti politici, personalità del mondo culturale ed universitario. In questo senso sono sicuramente state interpretate in modo concreto le direttive europee sulla formazione plurilingue e sulla dimensione europea dell’insegnamento.

Tramite l’insegnamento veicolare delle lingue, la valorizzazione del bilinguismo precoce nella scuola d’infanzia, il potenziamento delle ore di tedesco e di inglese, la scelta di contenuti interdisciplinari, unite alla formazione dei docenti, è stata resa possibile l’attuazione di una scuola trilingue molto all’avanguardia. Ci si auspica l’apertura di sezioni trilingui anche nelle scuole di lingua tedesca.

1.4.4 Un progetto pilota per l’insegnamento della L2 alla scuola materna italiana

Anche nelle scuole materne altoatesine si è deciso di far partire un progetto pilota per l’insegnamento del tedesco come lingua seconda ai bambini. Questo progetto, esistente dal 1998, prende il nome di “Approccio alla lingua e cultura tedesca nella scuola dell’infanzia in

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lingua italiana” ed è organizzato dalla Intendenza Scolastica italiana di Bolzano. È nato dall’esigenza, delle famiglie di lingua italiana, di far avvicinare i propri figli alla lingua e al mondo tedesco:

“Obbiettivo principale è di far vivere ai bambini un approccio ludico, divertente e positivo alla lingua e alla cultura tedesca. […] Il bambino viene inserito in situazioni comunicative dove poter provare ad usare in modo ludico la seconda lingua. Vive in situazioni che coinvolgono ogni ambito della loro personalità e individualità vivendo così un’esperienza linguistica globale di tipo cognitivo, affettivo e motorio.”9

All’interno dell’asilo viene quindi introdotta un’insegnante di madrelingua tedesca, che fa da riferimento linguistico per i bambini e anche per gli insegnanti. Lo scopo che il progetto si propone “è di costruire un modello per l’approccio alla lingua e cultura tedesca nei bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia in lingua italiana.”10 Questo progetto di far apprendere una seconda o terza lingua già alla scuola materna, fa parte dei metodi che a livello internazionale hanno dimostrato di essere di gran lunga i più efficaci per l’insegnamento precoce delle lingue (cfr. Girotto / Wode 2008: 10). La L2 viene trasmessa in modo non tradizionale scolastico, ma “attingendo dalle situazioni vissute nella quotidianità scolastica.”

(ibid.) I bambini imparano così la seconda lingua con lo stesso procedimento cognitivo che avviene con la loro lingua madre.

Ricordando che la scuola materna non fa parte della scuola dell’obbligo, possiamo affermare che questo è un progetto molto positivo ed interessante, e che l’Intendenza Scolastica italiana ha dimostrato molta buona volontà e determinazione per potenziare la lingua tedesca all’interno delle proprie scuole. Nelle scuole materne di lingua tedesca non sono stati inseriti progetti analoghi, ma ultimamente sta crescendo sempre di più tra le famiglie tedesche la volontà di fare imparare precocemente ai propri figli la lingua italiana.

1.5 Italiano Lingua di contatto

Il tema della migrazione è da sempre molto presente nella storia dell’Italia. Gli italiani sono stati infatti per lungo tempo un popolo di migranti sia verso altri paesi che all’interno della propria patria.

9 Articolo sul progetto Approccio alla lingua e cultura tedesca nella scuola dell’infanzia in lingua italiana, preso dal sito: http://www.scuoleinfanzia.bz.it/wp/circolo1/l2-seconda-lingua/ (ultimo accesso: 11.12.2018).

10 http://www.provincia.bz.it/intendenza-scolastica/progetti/progetto-pilota-l2.asp (ultimo accesso: 11.12.2018).

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L’emigrazione in e dall’Italia non è un fenomeno recente, anzi, ha le sue origini nel lontano 1800. Si può affermare che la storia dell’emigrazione italiana è divisa in tre fasi principali:

1) La prima fase avvenne dal 1860 alla I Guerra mondiale ed ebbe un volume molto alto di partenze. Infatti, circa 14 milioni di persone, inizialmente dalle regioni settentrionali e poi da quelle meridionali, lasciarono la loro terra per permettersi un viaggio con la nave fino in America, nella speranza di potervi trovare un futuro migliore.

2) La seconda fase fu tra le due guerre mondiali, dove prevalsero le migrazioni interne, dal Meridione al Settentrione d’Italia (principalmente verso il triangolo industriale). Soprattutto nel periodo del secondo dopoguerra, negli anni successivi al boom economico, moltissimi meridionali vennero impiegati nelle fabbriche delle grandi industrie del settore metalmeccanico e automobilistico, come la Fiat e la Vespa.

3) Infine, l’ultima fase dell’emigrazione italiana avvenne dal secondo dopoguerra agli anni Settanta, dove moltissimi italiani emigrarono verso paesi intercontinentali, come l’Australia e il Canada, ma anche verso destinazioni intraeuropee, come la Germania occidentale (dove lavoravano come Gastarbeiter) e la Svizzera. La storia dell’emigrazione italiana può dirsi conclusa alla fine degli anni Settanta.

Tale migrazione non fu mai, in nessuno dei casi, semplice; gli italiani lontani dal loro paese d’origine dovettero sopportare condizioni lavorative durissime e non furono rari i casi di discriminazione.

Quando parliamo perciò di immigrati, significa che parliamo di noi italiani11, perché “siamo tutti clandestini, clandestini attraverso gli oceani”12. Oggigiorno purtroppo molta gente non ha più memoria storica di ciò e vede perciò l’arrivo degli immigrati come un fenomeno negativo e gli immigrati stessi vengono quindi discriminati. Soprattutto i mass media tendono a dare notizie allarmistiche collegate all’immigrazione e danno un’immagine quasi sempre distorta dell’immigrato; alimentano quindi “la paura verso lo straniero amplificando e dando spazio a stereotipi sugli immigrati che probabilmente hanno sonnecchiato per secoli nella memoria collettiva […]”13; questi luoghi comuni “tornano in circolo grazie ai media e trovano strumentale conferma in episodi di cronaca nera, veri o falsi, reali o virtuali ma comunque ideali per alimentare le paure e le insicurezze profonde”14.

11 Cfr. Cincinelli (2009), p.15

12 ibid, p.15

13 ibid, p. 25

14 ibid, p. 25

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Se da una parte l’Italia è stata luogo di emigrazione, dall’altra è diventata luogo di immigrazione. Migliaia di persone, infatti, per diverse ragioni quali cause politiche o economiche, sono approdate e approdano in continuazione nella penisola italiana. Questo fenomeno dell’immigrazione ha inizio negli anni ’8015, ed è aumentato sempre di più al punto che oggigiorno è diventato un vero e proprio problema difficile da risolvere. Ma qual è il motivo per il quale l’Italia è diventata luogo di immigrazione per moltissime persone? Uno di questi motivi “è di carattere puramente geografico: esposta per la maggior parte al mare e caratterizzata quasi nella sua totalità da territori costieri, l’Italia è poco controllabile.”16 Un secondo motivo riguarda la posizione dell’Italia: “posizionata così com’è nel mezzo del Mediterraneo, la nostra penisola rappresenta la primissima (e più semplice) frontiera da attraversare per arrivare in Europa.”17

Quali lingue parlano gli immigrati che vivono in Italia? Ovviamente la loro lingua madre del proprio paese d’origine, ma si trovano anche “a contatto con varietà di italiano standard, varietà di italiano regionale, dialetti locali”18. Da questo contatto linguistico nasce una varietà linguistica denominata “italiano di contatto”, che non si può definire come una L2 o una L1, ma come “il frutto del contatto linguistico tra l’italiano e gli immigrati stranieri e le lingue altre di cui sono portatori.”19

L’espressione “lingue in contatto” è stata usata la prima volta da Weinreich negli anni Cinquanta e successivamente da Tullio De Mauro nella “Commissione di studio per il programma di riordino dei cicli di istruzione” del Ministero dell’Istruzione, dove viene definito come “lingua di contatto per gli alunni di origine straniera, soprattutto per i figli degli immigrati stranieri”20.

1.5.1 L’insegnamento dell’italiano a immigrati

L’insegnamento dell’italiano a studenti o adulti immigrati è un tema molto complesso e anche delicato della glottodidattica, “che più che nelle altre situazioni richiede all’insegnante una ampia preparazione culturale, antropologica, psicologica, sociologica oltreché pedagogica”

15 Cfr. http://www.sapere.it/sapere/pillole-di-sapere/costume-e-societa/immigrazione-definizione-e-storicita-di- un-fenomeno-oggi-emergenza.html (ultimo accesso: 29.01.2019)

16 ibid.

17 ibid.

18 Da: http://www.viv-it.org/schede/l-italiano-degli-immigrati (ultimo accesso: 29.01.2019)

19 ibid.

20 ibid.

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(Diadori 2007: 126). Infatti l’insegnante deve affrontare molti problemi che riguardano ad esempio una scolarizzazione abbastanza scarsa dell’immigrato, che “pertanto sceglierà le strutture dell’italiano sulla base della loro frequenza e della loro capacità di generare nuovo comportamento linguistico” (ibid.: 126).

L’apprendimento dell’italiano è inoltre influenzato da diversi fattori, come ad esempio la situazione famigliare del ragazzo, “la situazione linguistica pregressa, la scolarità precedente, il conteso di inserimento sociale, la motivazione all’apprendimento, la personalità, il carattere dell’apprendente, la sua età, l’esposizione alla lingua fuori dalla scuola” (Giudizi 2013: 53).

Bisogna poi tenere anche conto dell’età del ragazzo giunto in Italia: se si tratta infatti di un bambino giunto in età prescolare, i tempi dell’acquisizione della L2 saranno diversi rispetto a quelli di un adolescente che ha già avuto una scolarizzazione nel suo Paese d’origine. La scolarizzazione è importante “in quanto il bambino ha acquisito competenze, abilità e saperi che gli torneranno utili nella nuova situazione scolastica” (ibid.:53-54).

Per quanto riguarda l’apprendimento della lingua al di fuori dell’ambiente scolastico

“[…] incidono sullo sviluppo dell’interlingua anche una serie di fattori psicologici che vanno dalla motivazione, l’importanza data al compito dall’alunno – che deve sentirsi coinvolto nella situazione linguistica –, alla personalità del bambino/ adolescente, che può essere più o meno timido, introverso – pertanto più o meno portato a interagire con gli altri anche linguisticamente – più o meno ansioso e quindi incerto nel modo di esprimersi per scarsa autostima o per apprensione comunicativa davanti al “faccia a faccia” con l’interlocutore.” (Giudizi 2013: 53-55)

La motivazione è un fattore sempre molto importante e può essere di tipo “strumentale”, per conseguire un obbiettivo a lungo o breve termine, “integrativa”, cioè legata alla volontà di integrarsi nel nuovo ambiente e interagire con le persone native, o “intrinseca”, ovvero riguardante l’interesse per la lingua (cfr. ibid.: 56).

Per i bambini, soprattutto quelli più piccoli, “esprimersi in una lingua diversa da quella materna può sembrare un gioco e gli aspetti ludici sono quelli che sviluppano l’acquisizione spontanea, inconscia della lingua” (ibid.: 56):

“Da sempre il gioco – attività principale dei bambini che, proprio giocando, prendono consapevolezza di sé e di ciò che li circonda – risulta non solo profondamente significativo e coinvolgente per quanti vi partecipano, ma anche fonte di apprendimento.

Il gioco sviluppa la fantasia, stimola la creatività, porta alla continua ricerca di nuove soluzioni, insegna la cooperazione e la gestione di conflitti ed emozioni. Il gioco permette di coinvolgere immediatamente l’alunno non italofono che diventa

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protagonista attivo con i compagni di classe anche se il livello linguistico è diverso;

interagendo apprende funzioni e nozioni linguistiche anche senza accorgersene; supera con l’azione e strategie diverse – sociali e cognitive – i problemi comunicativi. Siamo in presenza di una componente formativa forte: giocando si impara infatti a rispettare le regole, i turni, i compagni; si imparano aspetti culturali e interculturali; si impara a conoscere meglio se stessi rispetto agli altri.” (Giudizi 2013: 88-89)

In ogni caso, insegnare italiano ad immigrati non è affatto semplice ed è un lavoro che richiede una particolare dedizione e sensibilità a molteplici aspetti e “problemi”; un lavoro dove, interrogandosi sui bisogni degli allievi immigrati, ci si interroga anche “sull’organizzazione didattica generale, sulle modalità comunicative adottate per tutti, sui contenuti, sulla nostra identità e relazione con l’altro” (Sovrintendenza scolastica di Bolzano 2005: 83). Le tre parole chiave in questo campo sono: accoglienza, attenzione allo sviluppo linguistico e approccio interculturale (cfr. ibid.: 84).

Secondo Solinas (2018), insegnare l’italiano a stranieri è come trovarsi al fronte21:

“Si ha la consapevolezza di essere la prima istituzione (e probabilmente anche l’unica) che cerca di entrare in contatto e di accogliere persone che in questo momento, in Italia, vengono percepite nel migliore dei casi come un problema. Si ha la consapevolezza di far parte di quel milieu che, nella quasi assoluta assenza di sostegni da altri ambiti, lavora sull’incontro culturale, sull’inserimento e sul dialogo; che assegna, insomma, a quelle persone (ai loro figli) lo statuto di soggetti, anziché continuare a considerarle un mero ingombro fisico o della pura forza lavoro.”22

1.5.2 Gli alunni stranieri nelle scuole in Alto Adige: alcuni dati

Anche in Alto Adige sono presenti da ormai molti anni, e stanno aumentando sempre di più, gli stranieri nella regione e di conseguenza nelle scuole. La maggior parte di essi, come si vedrà dai grafici, frequenta la scuola in lingua italiana; nella scuola in lingua tedesca si registrano meno studenti di origine straniera, ma il numero è cresciuto rispetto a qualche anno fa.

In questo capitolo verranno mostrati i dati dell’Istituto provinciale di statistica dell’Alto Adige, l’Astat, riguardo alla percentuale di stranieri nelle scuole altoatesine in lingua italiana e in

21 Giovanni Solinas, usa qui l’espressione “essere al fronte” in senso positivo: secondo l’autore, infatti, la parola rimanda alla dimensione dell’incontro e di apertura verso l’altro.

22 Da: https://altritaliani.net/article-l-italiano-come-necessita-gli/ (ultimo accesso: 30.01.2019)

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lingua tedesca (scuole primarie, scuole secondarie di primo grado e scuole secondarie di secondo grado23) dell’ anno scolastico (2017/2018).

1.5.2.1 Scuole primarie

Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni stranieri iscritti nelle scuole elementari altoatesine sono 3.543, vale a dire 12,8 ogni 100 iscritti. La maggior parte di essi proviene da un paese europeo esterno all’UE (37,9%), il 24,0% dall’Asia, il 18,5% dall’Africa ed il 16,1% da un paese europeo facente parte dell’UE. Per quanto riguarda le singole nazionalità, gli stati più rappresentati sono l’Albania (585 alunni), il Pakistan (432), il Marocco (424), il Kosovo (275) e la Macedonia (235). Nelle scuole elementari in lingua italiana si registrano 25,3 stranieri ogni 100 iscritti. Nelle scuole elementari in lingua tedesca tale quota si attesta su un valore pari a 9,2 stranieri ogni 100 iscritti e in quelle delle località ladine su 6,9. Inoltre, vi sono 141 alunni provenienti da paesi di lingua tedesca (103 dalla Germania, 32 dall’Austria e 6 dalla Svizzera).

Il 68,7% dei bambini stranieri è nato in Italia, ovvero 2.433 su 3.543 (cfr. Astat 2017).

Figura 1: Grafico riguardante gli alunni stranieri nelle scuole primarie per provenienza geografica nell’anno scolastico 2017/18 (fonte: Astat 2017)

23 Con i termini “scuole primarie”, “scuole secondarie di primo grado” e “scuole secondarie di secondo grado” si intendono rispettivamente le scuole elementari, le scuole medie e le scuole superiori.

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1.5.2.2 Scuole secondarie di primo grado

Per quanto riguarda le scuole secondarie di primo grado, nell’anno scolastico 2017/2018 sono 1.927 gli alunni stranieri iscritti, vale a dire 11,1 ogni 100 iscritti. La maggior parte di essi proviene da un paese europeo esterno all’UE (41,8%), il 22,1% dall’Asia, il 15,8% dall’Africa e il 14,8% da un paese dell’Unione Europea. Gli stati più rappresentati sono l’Albania (369 alunni), il Marocco (201), il Pakistan (166), la Macedonia (146) ed il Kosovo (129). La maggior parte degli alunni stranieri frequenta le scuole medie in lingua italiana, dove si registrano 23,9 stranieri ogni 100 iscritti. Nelle scuole in lingua tedesca tale quota si attesta su 7,3 stranieri ogni 100 iscritti e in quelle delle località ladine su 4,8. 99 sono i bambini che provengono da paesi di lingua tedesca (81 dalla Germania e 18 dall’Austria) (cfr. Astat 2017).

Figura 2: Grafico riguardante gli alunni stranieri nelle scuole secondarie di I grado per provenienza geografica nell’anno scolastico 2017/18 (fonte: Astat 2017)

1.5.2.3 Scuole secondarie di secondo grado

Nelle scuole superiori altoatesine, nell’anno scolastico 2017/ 2018 sono 1.664 (792 maschi e 872 femmine) gli studenti stranieriiscritti, vale a dire 8,4 ogni 100 iscritti. La maggior parte di essi proviene da un paese europeo esterno all’UE (40,1%), il 20,7% dall’Asia, il 16,8% da un paese dell’Unione Europea, il 16,0% dall’Africa ed il 6,3% dal continente americano. Le nazionalità più rappresentate sono l’Albania (295 studenti), il Marocco (158) ed il Pakistan (144). Nelle scuole superiori in lingua italiana si registrano 17,2 stranieri ogni 100 iscritti. Nelle scuole in lingua tedesca tale quota si attesta su 4,5 stranieri ogni 100 iscritti ed in quelle delle

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località ladine su 2,3. 113 sono gli alunni che provengono da paesi di lingua tedesca (dalla Germania 80, dall’Austria 27 e dalla Svizzera 6) (cfr. Astat 2017).

Figura 3: Grafico riguardante gli alunni stranieri nelle scuole secondarie di II grado per provenienza geografica nell’anno scolastico 2017/18 (fonte: Astat 2017)

1.5.3 I centri linguistici

Negli ultimi anni il mondo della scuola ha subito numerosi cambiamenti, tra i quali forse il più grande è l’inserimento e l’integrazione di bambini e adolescenti con background migratorio nelle scuole. Oramai non c’è una scuola che non abbia ragazzi o ragazze di lingua madre diversa dall’italiano o dal tedesco.

Con la delibera 1482 del 7.5.2007, la Giunta Provinciale ha istituito i Centri linguistici per l’attuazione di un progetto comune interlinguistico e interscolastico, nonché una rete di consulenza in questo specifico settore. Con la deliberazione della Giunta Provinciale del 7 maggio 2007, nel settembre del 2007 sono stati istituiti inoltre il Centro di Competenza, che ha sede presso l’Istituto Pedagogico di lingua tedesca, e i centri linguistici nei distretti di Silandro, Merano, Bolzano, Bassa Atesina, Bressanone e Brunico (cfr. Pädagogisches Institut für die deutsche Sprachgruppe: 18). Questa delibera è stata attuata al fine di creare un progetto coordinato tra i gruppi linguistici per la creazione di centri interscolastici e interlinguistici atti ad agevolare l’inserimento e l’integrazione degli alunni con background migratorio nelle scuole dei tre gruppi linguistici del territorio. Tale coordinamento ha come obbiettivo quello di

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garantire agli immigrati e alle loro famiglie una partecipazione sempre più attiva alla società e all’offerta formativa delle scuole. I centri linguistici dei distretti, inoltre, informano i bambini e i giovani con background migratorio e le loro famiglie sul sistema scolastico e sulle misure di potenziamento linguistico, per favorire una migliore integrazione nell’ambito scolastico e sociale, e, in collaborazione con i centri di orientamento professionale, offrono una consulenza continua, affinché gli alunni possano compiere scelte scolastiche e professionali adeguate (cfr.

ibid.: 18).

Nella scuola si è ormai creata la consapevolezza che l’intercultura è un’importante dimensione dell’insegnamento che accompagna il percorso formativo e orientativo degli studenti attraverso tutte le discipline:

“Educare tutte le alunne/tutti gli alunni a vivere in una società plurale vuol dire educare al dialogo e al confronto ed è per questo che l’educazione interculturale deve essere intesa non come un nuovo contenuto, ma come un metodo di apprendimento centrato sulla interazione, sulla narrazione, sulla problematizzazione della realtà, sul confronto fra punti di vista differenti. […] Le indicazioni normative nazionali sull’educazione interculturale sono fondate su chiare scelte pedagogiche e rappresentano un prezioso contributo alla definizione di un modello integrativo che promuove il dialogo e il confronto tra le culture, valorizza il plurilinguismo, indica azioni per l’integrazione e per l’interazione interculturale.” (Pädagogisches Institut für die deutsche Sprachgruppe:

33-34)

La padronanza delle lingue è un presupposto per inserirsi e integrarsi nella società. Essa consente ai ragazzi di concludere il percorso scolastico e ad accedere al mondo universitario e del lavoro. In Alto Adige la situazione è più complessa, in quanto gli alunni devono apprendere ben due lingue che sono presenti sul territorio, l’italiano e il tedesco, e, dalla quarta elementare, anche la lingua inglese. Si trovano quindi ad apprendere tre lingue praticamente in contemporanea. Tutto ciò richiede un grandissimo sforzo agli alunni, soprattutto a quelli “che vengono inseriti nelle classi più avanzate, che riescono ad affrontare, soltanto se il consiglio di classe elabora piani di studio personalizzati e prevede interventi differenziati ed individualizzati nel percorso di apprendimento” (ibid.: 62).

L’apprendimento linguistico è un processo complicato, perché

“[…] non si tratta solo di acquisire espressioni, parole e frasi nel senso più stretto, ma anche di acquisire aspetti culturali e sociali della lingua stessa. L’apprendimento linguistico è favorito anche da una buona integrazione scolastica e sociale; se i bambini e i giovani non si sentono accettati in classe e non si trovano a loro agio, ciò rappresenta una pessima base il loro percorso [sic] di apprendimento non solo nel campo linguistico, ma anche in altri campi.” (ibid.: 63)

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Il plurilinguismo è per gli immigrati che abitano in un territorio come l’Alto Adige, dove la lingua, o meglio le lingue, sono per loro delle lingue straniere, di vitale importanza e “la competenza bilingue e plurilingue rappresenta sempre il presupposto per l’accesso al mondo del lavoro” (ibid.: 80). Ha dunque senso incentivare l’apprendimento linguistico plurilingue per i bambini e i giovani, visto che conoscere più lingue “amplia le capacità comunicative e non le limita e che il plurilinguismo porta ad una maggior comprensione nelle relazioni umane e può creare le condizioni favorevoli alla soluzione dei nuovi problemi che si manifestano” (ibid.:

81).

Si può affermare che la realizzazione dei centri linguistici sia un progetto ben riuscito e di grandissimo aiuto per i ragazzi stranieri che abitano nel territorio altoatesino. L’apprendimento delle lingue (di quelle italiana e tedesca soprattutto, e a volte anche del ladino, per i migranti che abitano in Val Gardena e in Val Badia), rappresenta un aspetto fondamentale del processo d’inclusione scolastica e sociale e un obbiettivo indispensabile per garantire il successo scolastico.

I corsi dei centri linguistici sono strutturati appositamente per gli alunni con background migratorio che, a causa della loro particolare situazione di vita, hanno bisogno di mirata e particolare incentivazione linguistica, e collaborano con le istituzioni scolastiche assieme al personale dirigente, docente e amministrativo per la creazione dei corsi durante l’anno scolastico. Infatti i centri linguistici offrono sia corsi estivi intensivi, prima che inizi la scuola, sia dei corsi che si estendono durante tutto l’anno scolastico e che hanno il fine di accompagnare gli alunni stranieri durante il loro percorso linguistico: nei corsi, tenuti da insegnanti e facilitatori linguistici, vengono ripetuti argomenti di grammatica, lingua, cultura e letteratura italiana o tedesca (dipende se si tratta di una scuola in lingua italiana o in lingua tedesca); i corsi, che vengono soprannominati “laboratori linguistici”, sono inoltre composti da un piccolo numero di studenti, divisi per classe e livello (livello base, intermedio e avanzato), proprio per facilitare la comprensione e per lavorare intensamente con gli studenti.

Per concludere, è stato confermato che l’iniziativa dei corsi linguistici per studenti con background migratorio venga apprezzata molto dalle famiglie dei corsisti e dai docenti delle singole scuole. I corsi dei centri linguistici, soprattutto i corsi estivi, sono quelli più richiesti nel nostro territorio.

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1.6 La valutazione delle competenze: il QCER

Il Common European Framework of Reference for Languages (CFR), conosciuto nel termine italiano come Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER), rappresenta il sistema di riferimento per la valutazione delle competenze raggiunte durante il percorso di acquisizione della seconda lingua e della lingua straniera (cfr. Giudizi 2013: 73).

Nel quadro di riferimento si distinguono sei livelli di competenza linguistica: si parte dal livello più basso (A1), definito “lingua di contatto”, segue il livello A2, detto “livello di sopravvivenza”, il livello B1 (il “livello di soglia”) e il livello B2 (“livello progresso”); infine abbiamo i due ultimi livelli, il “livello di efficacia (C1) e il livello più alto ovvero il “livello di padronanza” (C2) (cfr. ibid.: 73-74).

Inoltre la competenza linguistica comprende:

“competenze grammaticali (sapere una lingua vuol dire conoscerne la grammatica), competenze comunicative (inerenti alle quattro abilità di base ricettive e produttive ovvero ascoltare, leggere, parlare e scrivere) e competenze multiculturali (non si ha competenza linguistica se non si conosce il mondo).” (ibid.: 73-74)

Vediamo ora la tabella che presenta in modo dettagliato i vari livelli linguistici e le competenze che il parlante deve raggiungere con ogni livello.

Livello elementare A1 Riesce a comprendere e utilizzare espressioni familiari di uso quotidiano e formule molto comuni per soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare sé stesso/a e altri ed è in grado di porre domande su dati personali e rispondere a domande analoghe (il luogo dove abita, le persone che conosce, le cose che possiede). È in grado di interagire in modo semplice purché l’interlocutore parli lentamente e chiaramente e sia disposto a collaborare.

A2 Riesce a comprendere frasi isolate ed espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza (ad es.

informazioni di base sulla persona e sulla famiglia, acquisti, geografia locale, lavoro). Riesce a comunicare in attività semplici e di routine che richiedono solo uno scambio di

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informazioni semplice e diretto su argomenti familiari e abituali. Riesce a descrivere in termini semplici aspetti del proprio vissuto e del proprio ambiente ed elementi che si riferiscono a bisogni immediati.

Livello intermedio B1 È in grado di comprendere i punti essenziali di messaggi chiari in lingua standard su argomenti familiari che affronta normalmente al lavoro, a scuola, nel tempo libero, ecc. Se la cava in molte situazioni che si possono presentare viaggiando in una regione dove si parla la lingua in questione. Sa produrre testi semplici e coerenti su argomenti che gli siano familiari o siano di suo interesse. È in grado di descrivere esperienze e avvenimenti, sogni, speranze, ambizioni, di esporre brevemente ragioni e dare spiegazioni su opinioni e progetti.

B2 È in grado di comprendere le idee fondamentali di testi complessi e argomenti sia concreti sia astratti, comprese le discussioni tecniche nel proprio settore di specializzazioni.

È in grado di interagire con relativa scioltezza e spontaneità, tanto che l’interazione con un parlante nativo si sviluppa senza eccessiva fatica e tensione. Sa produrre testi chiari e articolati su un’ampia gamma di argomenti e esprimere un’opinione su un argomento d’attualità, esponendo i pro e i contro delle diverse opzioni.

Livello avanzato C1 È in grado di comprendere un’ampia gamma di testi complessi e piuttosto lunghi e ne sa ricavare anche il significato implicito. Si esprime in modo scorrevole e spontaneo, senza un eccessivo sforzo per cercare le parole.

Usa la lingua in modo flessibile ed efficace per scopi sociali, accademici e professionali. Sa produrre testi chiari, ben strutturati e articolati su argomenti complessi, mostrando di saper controllare le strutture discorsive, i connettivi e i meccanismi di coesione.

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C2 È in grado di comprendere senza sforzo praticamente tutto ciò che ascolta o legge. Sa riassumere informazioni tratte da diverse fonti, orali e scritte, ristrutturando in un testo coerente le argomentazioni e le parti informative. Si esprime spontaneamente, in modo molto scorrevole e preciso e rende distintamente sottili sfumature di significato anche in situazioni piuttosto complesse.

Tabella 1: I livelli di competenza del QCER (fonte: Quartapelle / Bertocchi et al. 2004)

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