I risultati dell’analisi, pubblicati in una Comunicazione del 200795, hanno evidenziato come il mercato interno presenti ancora un forte potenziale inesplorato.
Alle stesse conclusioni è giunto il Rapporto Monti del 201096, in cui si denuncia una generale “stanchezza da integrazione” e “stanchezza da mercato” e si sostiene la necessità di ricorrere a misure regolatorie e non regolatorie per il conseguimento di una maggiore integrazione dei mercati nazionali europei. In risposta al Rapporto, la Commissione Europea ha pubblicato, il 27 ottobre 2010, una comunicazione (“Verso un atto per il mercato unico”)97, contenente cinquanta proposte da realizzare entro il 2012, anno in cui ricorre il ventesimo anniversario dalla nascita del mercato interno.
Dopo un intenso processo di consultazione, la Commissione ha pubblicato l’”Atto per il Mercato Unico” (aprile 2011)98, in cui indica le dodici leve da manovrare per
“stimolare la crescita e rafforzare la fiducia”. Tra queste figura anche la tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
gli articoli da 49 a 55 sulla libertà di stabilimento, gli articoli da 56 a 62 per i servizi, gli articoli da 63 a 66 per i capitali. Tali articoli si ispirano ad un concetto di integrazione negativa, fondata sulla progressiva rimozione delle barriere al commercio.
Ai fini della trattazione saranno prese in esame solo la libera circolazione delle merci e dei servizi, poiché sono le uniche ad entrare in rapporto con la materia del diritto d’autore. Ugualmente e per lo stesso motivo, nell’ambito della libera circolazione delle merci non verrà trattata la materia doganale (artt. 28-33) e quella dei monopoli (art. 37).
La numerazione degli articoli riportata è quella introdotta dal Trattato di Lisbona.
2.3.1 La libera circolazione delle merci (artt. 34-37)
Per comprendere in che cosa consiste la libera circolazione delle merci, è indispensabile precisare cosa si intende per “merce”. Tale precisazione è offerta da una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 1968 (Commissione vs. Italia)99: “Per merci […] si devono intendere prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali”. In base a tale definizione, per quanto determinati beni possano assumere un valore che va oltre la semplice sfera economica (per ragioni culturali, storiche o artistiche), devono essere considerati “merci” nella misura in cui hanno un valore monetario e possono essere oggetto di una transazione commerciale.
Gli articoli da 34 a 36 impongono un divieto di restrizioni quantitative e misure d’effetto equivalente, sia all’importazione che all’esportazione. La portata di tali divieti riguarda soltanto gli scambi tra Paesi membri dell’Unione Europea e non anche con Paesi terzi. L’idea di fondo della libera circolazione delle merci è molto
99 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 10 dicembre 1968, Commissione delle Comunità Europee vs. Repubblica Italiana, causa 7/68, in Raccolta della Giurisprudenza 1968, p.
562. Tale sentenza è stata seguita da molte altre sentenze sul tema, tra le quali si ricorda la C-2/90 del 9 luglio 1992, Commissione delle Comunità Europee vs. Regno del Belgio, in Raccolta della Giurisprudenza 1992, p. 4431, in cui la Corte ha affermato che anche i rifiuti possono costituire merci.
semplice: una volta che una merce è immessa nel mercato di uno Stato membro, essa deve, in linea di principio, poter essere liberamente esportata in un altro Stato membro.
La nozione di “restrizione quantitativa” è stata chiarita dalla Corte nel 1973 (sentenza Geddo100): “il divieto di restrizioni quantitative riguarda le misure aventi il carattere di proibizione, totale o parziale, d’importare, d’esportare o di far transitare a seconda dei casi” determinate merci. Sono quindi riconducibili alla nozione qui delineata i provvedimenti di uno Stato membro che vietano, del tutto o oltre un certo quantitativo massimo, l’importazione e/o l’esportazione di una determinata merce.
Per quanto riguarda le misure d’effetto equivalente, il riferimento è a tutti quei provvedimenti di uno Stato membro che producono lo stesso risultato di una restrizione quantitativa.
Nel caso delle misure all’importazione, il divieto scatta laddove il provvedimento possa provocare, anche solo in modo indiretto o potenziale, un ostacolo agli scambi. Ciò vale sia nel caso di misure distintamente applicabili (cioè discriminatorie nei confronti dei prodotti provenienti da altri Paesi membri), sia nel caso di misure indistintamente applicabili (cioè che si applicano a tutti i prodotti, indipendentemente dalla loro provenienza. Ne sono un esempio le normative tecniche o le normative sulle modalità di vendita).
È facile intuire come le misure indistintamente applicabili possano avere, nella sostanza, degli effetti fortemente discriminatori. L’impresa che volesse immettere lo stesso prodotto sul mercato spagnolo e sul mercato italiano, infatti, dovrebbe sostenere i costi maggiori dovuti all’obbligo di assicurarne la conformità tanto ai requisiti imposti dalla legislazione spagnola, quanto a quelli imposti dalla legislazione italiana. Ciò si ripercuoterebbe sul prezzo del prodotto spagnolo immesso nel mercato italiano, traducendosi in uno svantaggio competitivo.
100 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 12 luglio 1973, Riseria Luigi Geddo vs.
Ente Nazionale Risi, causa 2/73, in Raccolta della Giurisprudenza 1973, p. 865.
A partire dalla sentenza Cassis de Dijon (1979)101 è stato dunque sancito il principio del mutuo riconoscimento delle legislazioni nazionali, secondo cui lo Stato di importazione è tenuto ad accettare la normativa dello Stato di produzione qualora quest’ultima sia equivalente (non occorre quindi né identità, né similitudine) alla propria. L’affermazione della giurisprudenza Cassis de Dijon ha avuto l’effetto di limitare la necessità di ricorrere all’adozione di direttive di ravvicinamento delle legislazioni, come era spesso accaduto in passato.
Nel caso delle misure d’effetto equivalente all’esportazione, gli effetti restrittivi non sono sufficienti a far scattare il divieto ma è anche richiesto che le misure abbiano un carattere discriminatorio. In altre parole, le misure adottate devono applicarsi ai soli prodotti destinati all’esportazione e non anche a quelli destinati al mercato domestico. Di conseguenza, sfuggono al divieto le misure indistintamente applicabili.
All’articolo 36, il Trattato ha elencato una serie di possibili eccezioni al divieto di restrizioni quantitative:
“Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”.
L’elencazione dei motivi di deroga è da ritenersi tassativa, per cui gli Stati non potrebbero invocare l’articolo 36 per giustificare misure restrittive che perseguano obiettivi diversi rispetto a quelli elencati. La seconda frase è estremamente importante in quanto impone un requisito di proporzionalità: uno Stato
101 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 10 febbraio 1979, Rewe Zentral AG vs.
Bundesmonopolverwaltung Für Branntwein, causa 120/78, in Raccolta della Giurisprudenza 1979, p.
649.
membro che volesse giustificare una misura discriminatoria avrebbe l’onere di dimostrare che essa costituisce la modalità meno restrittiva, tra quelle disponibili, per raggiungere l’obiettivo meritevole di tutela. La norma di cui all’articolo 36 è oggetto di interpretazione restrittiva.
2.3.2 La libera circolazione dei servizi (artt. 49-62)
La libera circolazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea si articola in due istituti: il diritto di stabilimento (artt. 49-55) e la libera prestazione di servizi (artt. 56-62). Per “diritto di stabilimento” si intende il caso in cui un soggetto, persona fisica o giuridica, voglia esercitare stabilmente un’attività autonoma (cioè non subordinata) in uno Stato membro diverso dal proprio. Per “libera prestazione dei servizi” si fa invece riferimento al caso in cui un soggetto presti la propria attività in uno Stato membro diverso dal proprio senza risiedervi stabilmente. Il criterio discretivo è dunque la temporaneità dell’attività svolta, apprezzabile sulla base del tipo di infrastrutture di cui si dota il prestatore e del tipo di clientela cui si rivolge. In entrambe le fattispecie, il soggetto deve poter svolgere la propria attività alle stesse condizioni dei professionisti che risiedono in quello Stato membro (principio del trattamento nazionale). Non sono ammesse né discriminazioni dirette né indirette o materiali102.
Nel caso del diritto di stabilimento dovrà essere garantito tanto il diritto di stabilimento primario (lo stabilimento del proprio unico centro di attività), quanto il diritto di stabilimento secondario (l’apertura di agenzie e succursali).
Per quanto riguarda la libera prestazione di servizi, è opportuno precisare che non solo i prestatori, ma anche i destinatari di servizi hanno diritto a beneficiarne.
Come sostenuto dalla Corte di Giustizia nella sentenza Luisi (1984), la libera prestazione di servizi comprende “la libertà, da parte dei destinatari dei servizi, di
102 Un esempio di discriminazione indiretta è il caso in cui uno Stato imponga una normativa che, pur applicandosi in base a criteri indipendenti dalla nazionalità, discrimini i cittadini di altri Stati membri, in quanto per questi è più difficile soddisfare i criteri di applicazione della norma rispetto a quanto non lo sia per i cittadini nazionali. La discriminazione materiale si verifica quando una normativa che si applica tanto ai cittadini nazionali quanto a quelli di altri Stati membri, sfavorisce di fatto questi ultimi, proprio perché li tratta alla stregua dei primi (DANIELE L., Diritto del mercato unico europeo, Giuffrè Editore, Milano, 2006, p. 132-134).
recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere impediti da restrizioni, anche in materia di pagamenti”103.
L’articolo 52 par. 1 elenca una serie di possibili deroghe al diritto di stabilimento, estese alla libera prestazione dei servizi in virtù dell’art. 62:
“Le prescrizioni del presente capo e le misure adottate in virtù di queste ultime lasciano impregiudicata l’applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica”.
Essendo fonti di eccezioni al principio generale della libera circolazione, i motivi elencati vanno interpretati in senso restrittivo.