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89 élite e sostanzialmente arretrata La Lettera a una professoressa di don Milani diventa

uno degli atti d’accusa verso quell’autoritarismo accademico che non educava ad un pensiero critico222.

Dopo le proteste studentesche che sfociarono con l’occupazione dell’Università di Roma e la manifestazione del primo marzo 1968 a Valle Giulia, sede di Architettura, con l’ampliamento della protesta all’intero assetto sociale, si giunse nel 1969 alla Legge Codignola n. 910. Tale provvedimento ebbe il merito di creare una liberalizzazione agli accessi universitari e ai piani studio segnando l’inizio di quella che verrà definita poi “l’università di massa”, anche se non venne attuata nessuna riforma strutturale di lunga prospettiva.

Chiaramente questo ampliamento nel campo dell’istruzione doveva interessare i servizi ad essa correlati ovvero anche quello bibliotecario. Di fatto, non si realizzò un sistema di biblioteche scolastiche; anche se si poté assistere al riversarsi di un’utenza studentesca nelle biblioteche che iniziarono così ad ampliare i servizi di informazione e le sezioni per ragazzi, per gli alunni e le alunne della scuola dell’obbligo. Iniziative che riscossero molto successo223.

Oltre poi ai movimenti giovanili sul finire degli anni Sessanta, anche le voci di protesta del mondo dei lavoratori non si fece attendere. Gli operai furono i protagonisti di quell’“autunno caldo” che attraversò il paese da Milano a Roma nel 1969, in cui veniva avversata la suddivisione del lavoro in fasce diversamente qualificate e si chiedeva che il salario non venisse svincolato dalla produttività224. Tali lotte come disse lo stesso Ministro del Lavoro dell’epoca, Carlo Donat Cattin, affermando “da questo autunno caldo, ne usciremo tutti diversi”, cambiarono effettivamente l’Italia.

Inoltre un altro fattore importante fu quel processo di “secolarizzazione che investì la cultura cattolica a partire dalle innovazioni introdotte da papa Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II (1962-1965).

In tale fermento d’idee e di sviluppi culturali s’inserisce, infatti, anche l’evento religioso sociale del Concilio Vaticano II che doveva segnare una svolta nella dimensione personale del cristiano, che doveva essere “il punto di intersezione delle realtà spirituali e materiali”. Tale principio venne proclamato nella Costituzione apostolica Gaudium et spes e in particolare nel “Decreto sull’apostolato dei laici” nel quale si vuole sottolineare la particolare funzione dei laici in una duplice veste politico-sociale e religiosa.

Dal Concilio vaticano II la Chiesa afferma di voler abbandonare il suo rapporto

222 Ivi, p. 218. 223 Ivi, p. 231. 224 Ivi, p. 220.

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verticistico tra Stati e anche quei privilegi che potessero far dubitare della sua missione spirituale. Nacquero in tale epoca le comunità di base, come laiche organizzazioni della Chiesa. Di grande importanza fu l’avvio di un ampio dialogo interreligioso con gli evangelici e le altre religioni.

In campo economico il paese stava inoltre vivendo un momento di forte “modernizzazione”, accompagnato dallo spostamento delle masse che dal 1958 iniziarono a migrare dal sud del paese verso le città più industrializzate del nord. In questo contesto di cambiamento si afferma finalmente anche in Italia l’idea di biblioteca pubblica, la cui necessità e intorno alla quale già in epoca fascista si era molto discusso, acquisendo ora un ruolo specifico e riconosciuto nel quadro dei servizi pubblici per la cittadinanza.

È chiaro anche lo stretto legame che essa ebbe con lo sviluppo industriale: non è un caso che esempi di biblioteche pubbliche più rilevanti si avranno nelle città industriali come Milano con la Biblioteca Comunale ospitata nel palazzo Sormani, ma anche in città come Torino, Genova, Bologna, Modena225.

Di questo periodo è anche la creazione di nuove biblioteche locali, circa 1180, tra il 1961-1972. I tentativi di coordinamento e collaborazione, anche se non andarono a coprire tutto il territorio nazionale concentrandosi più al centro e al nord, si attueranno attraverso l’istituzione di punti prestito o la creazione di “sistemi bibliotecari” in cui il fulcro è rivestito dall’istituzione centrale del capoluogo di provincia e le biblioteche ad essa collegate si avvarranno di determinati servizi in comune. Inoltre negli anni ‘63-‘64 anche a livello politico si assiste ad un reale riconoscimento del ruolo delle biblioteche pubbliche come elemento necessario per lo sviluppo culturale del paese che trova la sua espressione in alcuni provvedimenti del Ministero della Pubblica Istruzione all’interno del piano di programmazione economica nazionale. In questo periodo risalgono anche alcune iniziative soprattutto per lo sviluppo culturale delle zone del Mezzogiorno226.

Il dibattito intorno alla biblioteca pubblica si incardina principalmente su due posizioni. Alcuni, tra cui spicca la figura di Virginia Carini Dainotti, richiamandosi ai valori democratici costituzionali, vedevano la realizzazione della biblioteca pubblica come un dovere statale. Essa doveva essere, pertanto, di stretta dipendenza ministeriale. A tal fine, l’emerita studiosa e bibliotecaria, le cui idee ebbero molto peso e rilevanza in questi anni, tanto che riuscì a svolgere ruoli ministeriali di grande prestigio, invocava una legge-quadro per orientare le legislazioni regionali

225

G. Montecchi, F. Venuda, op. cit., p. 60. Le biblioteche civiche, in stretto legame con la città, ebbero maggior sviluppo soprattutto in tre periodi storici determinati: nell’età napoleonica, subito dopo l’Unità d’Italia e nel corso degli anni Trenta.

226 Con la legge 26 giugno 1965 n. 717, venne creato un ente apposito chiamato Formez, con il supporto

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nell’istituzione delle biblioteche in vista di un progresso nazionale.

La seconda posizione, che accomunava soprattutto bibliotecari di biblioteche civiche, in ascolto diretto dei propri utenti, invece credeva che solo attraverso una piena autonomia dell’amministrazione regionale si poteva creare un’istituzione moderna anche nel nostro paese. Tale visione era sostenuta dal bibliotecario lombardo Renato Pagetti, direttore della Civica di Milano.

La necessità di una legge-quadro in materia di biblioteche, inoltre, venne richiesta dagli stessi bibliotecari che in un congresso dell’AIB del 1962 (Associazione italiana biblioteche) promuovevano la nomina di una “Commissione di studio per l’esame di un nuovo ordinamento delle biblioteche degli enti locali, in rapporto al funzionamento delle regioni” per delineare i principi su cui attuare un piano di rilancio delle biblioteche pubbliche227.

Gli obiettivi prefissati avevano come intento di ricevere dagli enti locali una risposta chiara rispetto ai compiti che le biblioteche dovevano assumersi, ma allo stesso tempo anche di vedere queste ultime come una “struttura culturale-sociale” dalle dimensioni nazionali, quindi in una prospettiva più ampia228.

Si tratta quindi, continua il documento, di elaborare un modello di biblioteca pubblica e non di conservazione, di studio o ricerca, ovvero di quel

“ben definito istituto capace di offrire a tutti il maggior numero di libri e altri documenti sul maggior numero di argomenti, sia ai fini di cultura e di elevazione spirituale, sia ai fini di informazione, o di formazione autonoma (culturale, professionale e critica), o di semplice svago”229.

Pertanto facendo tesoro dell’esperienza di altri paesi in materia di biblioteca pubblica, rifacendosi quindi ai parametri elaborati dall’ALA (American Library Association), ai principi contenuti nel Manifesto delle biblioteche pubbliche dell’Unesco del 1949 e alla Dichiarazione sui principi e gli obiettivi della biblioteca pubblica dell’IFLA del 1955, la commissione tratteggiò le caratteristiche di tale istituto anche nel nostro paese. Si arrivò pertanto alla pubblicazione nel 1965 de La biblioteca pubblica in

Italia, compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e di funzionamento.

In questo documento si definivano tipologie di sistemi bibliotecari a seconda dei caratteri e delle aree interessate anche dal punto di vista finanziario, distinguendoli in

227

AIB, La Biblioteca pubblica in Italia: compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e di

funzionamento, Roma, AIB, 1965, http://www.aib.it/aib/stor/testi/stan1965p.htm. (ultima consultazione

24/04/2015). La Commissione era presieduta da Virginia Carini Dainotti, mentre a svolgere le funzioni del segretario fu chiamato Luigi Balsamo.

228Ibidem. 229

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“urbani”, “urbano- rurali” e “rurali”.

Nonostante le proposte e le iniziative a livello culturale anche di grande levatura, la biblioteca pubblica si stava caratterizzando per essere luogo di elezione principalmente degli studenti o di una parte di popolazione adulta che richiedeva il prestito dei volumi.

Verso la fine degli anni ’60 sono le “manifestazioni culturali” che la biblioteca propone che riscuotono più successo tra le categorie non studentesche e legate quindi a modalità espressive diverse dalla scrittura. Inoltre, soprattutto tra il mondo dei movimenti operai, si guarderà alla biblioteca come un “possibile centro di aggregazione” per diversi fini sociali, anche se rimarranno episodi sporadici.

Sono anni di ridefinizioni di competenze e nascita di nuovi enti. Nel 1951 venne istituito il Centro nazionale per il catalogo unico e le informazioni bibliografiche (che sostituì il vecchio Centro nazionale per le informazioni bibliografiche e diventerà il futuro ICCU, Istituto Centrale per il Catalogo Unico)230.

Il discusso regolamento del 5 settembre 1967 sulle biblioteche pubbliche statali sostanzialmente non contribuisce a svecchiare il sistema bibliotecario di stampo ottocentesco, ma ridefinisce categorie e funzioni, dimostrando quasi una certa “sordità” da parte della politica nel far fronte alle richieste di innovazione richieste dalla società del tempo.

Nel momento in cui nel paese si faceva più concreta la definizione delle competenze delle regioni e del loro rapporto con lo Stato, a Roma nel 1970, la Direzione generale organizzò un convegno sull’organizzazione dei sistemi bibliotecari per formulare delle proposte anche in materia prettamente bibliotecaria. Il Ministero nominò allora una commissione (presieduta anche questa da Virginia Carini Dainotti), che elaborò un documento per il XXI Congresso AIB tenutosi a Perugia nel 1971. Da questo materiale emersero delle linee guida per una legge-quadro in materia di biblioteche, le quali auspicavano a costituire un sistema bibliotecario nazionale “unitario e articolato” da attuare con il contributo delle amministrazioni.

Quella contrapposizione nel mondo dei bibliotecari, tra chi voleva che fosse saldo il controllo centrale sulle biblioteche pubbliche e chi invece era favorevole a una piena autonomia locale, finirà per risolversi nell’esclusiva competenza regionale sancita dopo un iter legislativo, che si concluse nel 1977 con il d.p.r. 616.

Negli ultimi anni del ‘900 si assiste da un lato alla nascita del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (con il DPR 3 dicembre 1975, n. 805), sotto la cui direzione si

230

Dal 1958 curerà la Bibliografia Nazionale Italiana e nel 1968 sotto la sua curatela verrà redatto in 41 volumi il Catalogo cumulativo 1886-1957 del Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa dalla Biblioteca Nazionale di Firenze. Inoltre nel 1956 vennero pubblicate le Regole per la compilazione del catalogo alfabetico per autori nelle biblioteche italiane confluite poi nel Manuale del catalogatore del 1970.

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pongono le biblioteche pubbliche statali, e dall’altro il consolidarsi dell’autonomia regionale nel campo delle biblioteche di enti locali e anche a quelle cosiddette “di interesse locale” ovvero quelle che dipendevano da altri enti o fondazioni, che però avevano funzioni di biblioteca pubblica.

In seguito alla Riforma del titolo V nel 2001231, il Ministero venne riorganizzato con la legge del 6 luglio 2002, n. 137 e con il Dlgs 8 gennaio 2004, esso venne articolato in 4 dipartimenti, tra questi quello per i Beni archivistici e librari.

Allo Stato centrale spetta la determinazione dei principi fondamentali di azione ovvero la tutela dei patrimoni librari, alle regioni spetta “la potestà legislativa in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” ossia “la legislazione sulla valorizzazione, la promozione e l’organizzazione delle attività di biblioteca”232

. Inoltre, le funzioni amministrative vengono attribuite ai comuni, mentre alle province, alle città metropolitane sono assegnate le funzioni atte a garantire l’esercizio unitario delle attività di amministrazione.

Verso la fine degli anni ’70, il processo del passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni volge a conclusione, anche se non mancheranno poi precisazioni in materia: ora sono gli assessorati di cultura che detengono il ruolo di referente principale dell’azione delle biblioteche pubbliche, comunali e provinciali.

Nel corso degli anni Ottanta s’iniziò a dar più peso alla formazione professionale dei bibliotecari e vennero prese misure in materia, mentre negli anni Novanta la biblioteca cercò di adeguarsi e dare risposte ai bisogni informativi sempre più esigenti, anche per via delle nuove tecnologie, da parte di utenze sempre più differenziate.

Con la legge 8 giugno 1990, n. 142, venne cambiato l’assetto istituzionale in cui operavano le biblioteche pubbliche territoriali: vennero definiti in modo più chiaro, compiti e funzioni di province, comuni e delle nuove aree metropolitane per quanto riguardava i servizi pubblici, tra cui quelli bibliotecari e informativi.

Infine, con la pubblicazione del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” tra gli altri provvedimenti di riordino dell’azione degli enti locali, si prevedono per implementare la cooperazioni tra istituzioni bibliotecarie, le convenzioni e i consorzi.

In tutto questo quadro, si deve sottolineare quanto sia difficile dare una visione omogenea delle biblioteca in Italia, tanto che lo stesso Riccardo Ridi lo definisce come un “mosaico complesso”, caratterizzato da frammentarietà233

.

231 l. cost. 3/2001. 232

G. Montecchi, F. Venuda, op. cit., p. 66.

233 Riccardo Ridi, «Un mosaico complesso: le biblioteche italiane», Economia della Cultura, vol. XIII,

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Un accenno alle diverse tipologie è d’obbligo per non cadere in confusione. È importante fare questa distinzione, non solo per dare chiarezza a livello scientifico, ma anche sul piano pratico. Molto spesso, gli utenti stessi confondono ruoli e funzioni delle diverse biblioteche, disconoscendo non solo le diverse amministrazioni (e questo sarebbe il male minore) ma anche la finalità che ogni biblioteca ha.

Con l’accezione di "statali", "pubbliche statali" o "governative", vengono chiamate tutte le biblioteche che afferiscono alla Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali del Ministero per i beni e le attività culturali.

All’interno di questa categoria vi sono circa 50 biblioteche con dimensioni e importanza diversa.

Tra queste, al vertice sono poste le due biblioteche nazionali centrali: Roma e Firenze234.

Altre nove vengono definite “nazionali”, titolo con cui solitamente si intende negli altri paesi un istituto soltanto, e di cui abbiamo visto le vicissitudini nei precedenti paragrafi.

Alle biblioteche statali, raramente a scaffale aperto, possono accedere tutti i cittadini italiani di età superiore ai sedici o diciotto anni235.

Dipendenti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) sono le biblioteche universitarie (da non confondersi con le cosiddette “universitarie” degli stati preunitari che vanno sotto l’appellativo di “statali” sotto il Ministero per i beni e le attività culturali) che godono insieme con le rispettive università di una certa autonomia236.

Con il termine “biblioteca pubblica”, di cui abbiamo parlato in precedenza e a cui verrà dedicato tale lavoro, nei paesi anglosassoni e scandinavi si identifica la “public library” ovvero la biblioteca di base, “centro informativo” aperto a tutti, radicata nella vita quotidiana di tutti gli strati sociali e culturali della popolazioni. In Italia, come abbiamo visto, usando tale denominazione le si confonde con quelle governative237. Spesso per indicare “public library”, si usa il termine che Ridi definisce improprio di “pubblica lettura”. Esse dipendono nella maggior parte dei casi dalle amministrazioni comunali e talvolta provinciali. L’accesso e il prestito è rivolto a tutta la cittadinanza.

234

G. Montecchi, F. Venuda, op. cit., p. 51 .Quella di Roma venne istituita nel 1875 in seguito alla legge che confiscava i beni ecclesiastici, riunendone i fondi nel Palazzo del Collegio Romano con la Libreria dei Gesuiti. Nel 1975 la sede fu inaugurata a via del Castro Pretorio, dove tuttora risiede. La biblioteca di Firenze, nacque precedentemente dall’unione della Magliabechiana con la Biblioteca Palatina. La sede inaugurata nel 1935 fu colpita dalla devastante alluvione del 1966. Entrambe hanno come compito quello di “raccogliere, conservare e di rendere disponibile all’uso pubblico tutto quanto si pubblica in Italia”.

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Esse hanno dei regolamenti. Il prestito è riservato a quelli maggiorenni e residenti nella regione.

236 Il loro obiettivo è quello di supportare la ricerca e la didattica. L’accesso può essere consentito a un

pubblico ampio, ma il prestito e altri servizi sono dedicati principalmente agli studenti e alle studentesse iscritti all’Ateneo stesso, docenti e ricercatori.

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Nella sua organizzazione si predilige lo scaffale aperto e spesso al suo interno viene allestito una sezione riservata ai ragazzi (spesso anche autonomo), nonché uno spazio alla storia e alla cultura locali. Spesso è possibile trovarle unite in consorzi o sistemi. Sono previste anche Biblioteche scolastiche, che però nonostante la loro importanza, esistono solo sulla carta o quasi e non vengono gestite da personale professionalmente formato238.

5 Le biblioteche popolari e il “Movimento per le biblioteche” in Germania.

In Germania lo sviluppo delle biblioteche pubbliche, separato rispetto a quelle scientifiche di tradizione più antiche, è stato molto complesso.

Nel periodo rinascimentale iniziano a comparire biblioteche direttamente istituite da città come a Magdeburgo, Amburgo, Augusta e Lubecca239 mentre le biblioteche fondate dai principi elettori nel XVII e XVIII secolo, come quelle di Prussia, Sassonia e Baviera, diventeranno “biblioteche di Stato”.

Secondo Karstedt, la nascita delle biblioteche pubbliche va di pari passo con l’idea moderna di stato240.

Secondo la sua analisi, in questo percorso sono stati determinanti due fattori: la Riforma protestante e l’apporto del diritto romano. La prima ha operato una “democratizzazione della religione”, introducendo l’“uguaglianza di tutti dinnanzi a Dio”, l’eliminazione dell’intermediario, il livellamento della gerarchia, l’emancipazione e la dichiarazione della maggior età dell’individuo”. Ebbe, quindi in generale un tratto democratico che avrà le sue ripercussioni anche in ambito librario241.

L’altro fattore importante è l’introduzione nell’ordinamento tedesco del concetto giuridico romano di “corporazione” o meglio di “persona giuridica astratta” nel corso del XVI secolo. Grazie ad esso la città “esisteva per la prima volta come soggetto giuridico pienamente autonomo, separato dagli uomini” e questo fece sì che l’associazione civica e la sua unità acquistò nel tempo maggior autonomia242

. Quindi la città è una delle condizioni per lo sviluppo delle biblioteche pubbliche.

238

Nel panorama italiano poi, vi compaiono poi anche altre biblioteche, che possono essere definite "istituzionali" come le biblioteche di istituzioni pubbliche politiche, amministrative e giuridiche, create a supportare il lavoro di determinati enti e il rispettivo personale. Poi quelle degli enti culturali e di ricerca non universitari come il CNR, l’ENEA, gli Archivi di Stato e delle tante accademie e fondazioni presenti in Italia. Poi vi sono le diverse “biblioteche private”, aziendali, professionali, di sindacati, partiti politici, banche, enti assicurativi, etc.

239

P. Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, cit., p. 160.

240 Peter Karstedt, Studi di sociologia della biblioteca, Giunta Regionale Toscana-La Nuova Italia, 1980,

p. 25.

241 Ivi, p. 14. 242

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Anche nello sviluppo delle biblioteche popolari è proprio la collettività urbana ad essere chiamata in causa soprattutto dal punto di vista del finanziamento economico. Come abbiamo visto in Italia, le biblioteche popolari per quanto non debbano essere confuse con quelle pubbliche, hanno dato impulso allo sviluppo di idee e riflessioni riguardanti la biblioteca e la sua funzione a livello locale.

Per quanto riguarda la storia delle biblioteche popolari in Germania, essa prende avvio come negli altri paesi europei, nel XIX secolo sotto la spinta di iniziative isolate, dettate da preoccupazioni soprattutto di carattere morale fatte proprie principalmente da mecenati privati o movimenti associativi di carattere laico o religioso243. Talvolta il finanziamento però poteva venire parzialmente anche dai municipi e anche dallo stato centrale.

A partire dalla seconda metà dell’800 nell’area tedesca la riflessione biblioteconomica si fa più avanzata rispetto al contesto europeo, grazie al confronto con le esperienze britanniche e nord americane in campo bibliotecario e portando così l’organizzazione soprattutto in Prussia e in Baviera a livelli molto elevati244.

Questo si evince anche dalla fondazione e dalla diffusione di periodici specializzati come il Serapeum dovuto all’iniziativa di Robert Naumann, direttore della biblioteca della città di Lipsia; l’Anzeiger für Literatur der Bibliothekenwissenschaft, curato da Petzholdt e soprattutto lo Zentralblatt für Bibliothekenwesen fondato nel 1884 da Otto Hartwig.

Tra le biblioteche popolari, la prima risale al 1828 fondata a Grossenheim, in Sassonia, per iniziativa di Karl Preusker, un mecenate influenzato dall’Illuminismo e dalle concezioni del Neoumanesimo, soprattutto di J. G. Herder245. Preusker, nella sua opera Über öffentliche, Vereins – und privat-bibliotheken tentò di decostruire la paura nei confronti dell’istruzione del popolo.