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L’Unità e i tentativi di riorganizzazione.

73 4 Storia delle biblioteche in Italia.

4.1 L’Unità e i tentativi di riorganizzazione.

L’idea di biblioteca pubblica e della sua istituzione in Italia è ovviamente ancorata alle vicende culturali del nostro paese.

Si può dire che già agli albori dell’età moderna, con la civiltà umanistico- rinascimentale, le biblioteche andavano modificando la loro valenza espressamente riservata: non più soli i proprietari, cortigiani o religiosi potevano accedervi ma anche nuovi lettori, “configurabili e coscientemente configurati come fruitori di un bene pubblico”169

.

La “pubblicità” di tale bene non è data da un intervento statale, ma dalla volontà di chi lo ha istituito di allargare la cerchia di coloro che per motivi di studio potevano avvalersi di quelle raccolte.

Biblioteche concepite con questa idea sono ad esempio la Malatestiana di Cesena, la Medicea “pubblica”di Firenze, la Marciana di Venezia. Altre biblioteche in accordo con questo nuovo spirito di apertura nascono in seguito al Concilio di Trento (1545- 63) all’interno di quel programma di rinnovamento culturale voluto dal mondo cattolico in risposta alla Riforma protestante e in seguito anche alla diffusione di libri grazie all’invenzione della stampa da parte di Gutenberg nel XV secolo.

Un esempio tra tutte è l’Ambrosiana di Milano fondata nel 1607 per volontà dell’arcivescovo Federico Borromeo con l’intento di erigere una grande biblioteca pubblica. E proprio tra le biblioteche pubbliche la annovera anche Gabriel Naudé insieme anche all’Angelica di Roma170

.

La consapevolezza di un terreno culturale comune e identitario contenuto nei patrimoni dei diversi istituti bibliotecari è stata recepita nello spirito dell’Unità risorgimentale, tanto che in questo periodo alle principali biblioteche viene dato il nome di “nazionale”. Inoltre è proprio in quest’epoca che si assiste all’analisi dello stato dell’arte nel campo bibliotecario e si apporta un riassetto che avrà conseguenze per i tempi a venire. Di questi tentativi di riorganizzazione si farà accenno ad alcune vicende fondamentali per capire in che contesto si sono sviluppate effettivamente e successivamente le biblioteche pubbliche.

In campo bibliotecario, già il 22 luglio 1860 era stata emanata una circolare che sollecitava l’invio di informazioni sullo stato in cui vertevano le biblioteche e nel 1861 a pochi giorni dalla prima convocazione del Parlamento italiano a Torino, il

169 P. Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, cit., p. 76. 170

P. Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall’Unità ad oggi, Bologna, il Mulino, 2002, p. 14. Ad esse nel corso del Settecento si aggiungeranno poi la Magliabechiana di Firenze, la Braidense di Milano e le biblioteche universitarie aperte all’uso pubblico dai sovrani del Settecento.

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ministro della Pubblica Istruzione, Terenzio Mamiani, inviava a tutti i bibliotecari un’altra circolare nella quale si invitava a seguire le procedure strettamente necessarie per lo svolgimento del servizio e si accennava al progetto di una regolamentazione generale.

A queste azioni fece seguito una prima statistica generale compilata nel 1863, i cui risultati furono inviati nel 1866 alle biblioteche per effettuare i dovuti riscontri, segnalare correzioni e in seguito procedere con il riordino del settore.

Venivano pertanto rilevate sul suolo italiano 210 biblioteche: di queste, 33 erano governative, 100 di appartenenza locale (tra comunali e provinciali), 71 di istituti scientifici, corporazioni religiose e private, 6 definite “miste”; 164 risultavano aperte al pubblico: ovvero le governative, le locali e altre 31 biblioteche appartenenti a categorie individuate171. L’ammontare dei volumi posseduti era di circa 4.149.281, anche se sull’attendibilità della cifra vi è lecito qualche dubbio.

All’interno del quadro delle biblioteche italiane vi erano annoverati gli istituti più prestigiosi, eredità degli Stati preunitari172; le biblioteche universitarie173 e quelle istituite dalle amministrazioni locali, che troveranno poi forme autonome di organizzazione.

Non con pochi problemi, dall’unione della Biblioteca Magliabechiana con la Palatina, venne istituita a Firenze dal ministro dell’Istruzione Francesco De Sanctis con il decreto del 22 dicembre 1861, la Biblioteca Nazionale, appellativo con il quale si voleva intendere espressamente il carattere unitario dello Stato, come negli altri paesi europei174.

Ma la questione darà adito a un acceso dibattito in merito. Infatti, il 20 luglio 1869 veniva nominata una Commissione di carattere consultivo per approntare le riforme necessarie e il ministro della Pubblica Istruzione Bargoni ne affidò la presidenza a Luigi Cibrario (da qui il nome Commissione Cibrario)175. Tale Commissione in realtà si limitò a interessarsi delle biblioteche governative ovvero quelle che dipendevano direttamente dal Ministero della pubblica istruzione.

171

Paolo Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, Bologna, il Mulino, 1997, p. 87. Sulla natura di queste biblioteche: 171 venivano definite “generali” e 39 speciali (25 di carattere ascetico, 11 scientifico-letterario e 3 artistico).

172

La Braidense di Milano; la Mediceo-Laurenziana, la Magliabechiana, la Riccardiana e la Marucelliana di Firenze; la Marciana di Venezia; l’Estense di Modena, la Palatina di Parma; le governative di Cremona, di Mantova e di Lucca; la Reale Borbonica di Napoli; la Reale di Palermo. Tali biblioteche venivano tutte definite come “pubbliche”, per uso pubblico. Ad alcune venne attribuito il carattere o la denominazione di biblioteca nazionale, perché centrale del proprio stato. Ivi, p. 90.

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Ibidem. L’apertura di queste biblioteche al pubblico (degli studiosi) avvenne, come si è accennato già nel corso del XVII secolo. Tra esse ricordiamo l’Universitaria di Padova e l’Alessandrina di Roma per il Seicento, per il Settecento, le Universitarie di Pavia, Bologna, Torino, Genova, Pisa, Messina, Catania, Sassari e Cagliari. Nei primi dell’Ottocento venne aperta quella di Napoli.

174 Le biblioteche locali non vengono citate nel testo relativo al riassetto amministrativo. 175

Ad essa parteciparono insigni eruditi dell’epoca come Tommaso Gar, Giuseppe Canestrini, Luigi Ferrucci, Federico Odorici, oltre ad Antonio Panizzi, già nominato senatore, che tuttavia non partecipò ai lavori.

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I suoi componenti notarono come:

“in Italia, né la configurazione geografica, né il genio dei popoli, né la serie dei fattori storici dopo la caduta dell’impero romano, s’accomodano a riconoscere una città che si debba da tutti riguardare come preponderante e atta a riverberare da sola lo splendore, la potenza, i grandi interessi della nazione, come Londra o Parigi”176.

Pertanto proposero, contro le direttive ministeriali, che nove biblioteche venissero denominate “nazionali”177

. Come sottolinea nella sua analisi Traniello, l’idea era quella di far coincidere le biblioteche nazionali con quelle statali aperte al pubblico e finanziate centralmente dal governo (ovvero le future biblioteche pubbliche statali, dipendenti dal Ministero)178. Per quanto riguardava le biblioteche di enti locali, la commissione pur prevedendole in linea teorica, non adottò nessuna misura concreta a riguardo.

Il decreto (RD 25 novembre 1869, n. 5368, sul “Riordinamento delle Biblioteche governative del Regno”) la cui stesura doveva avvalersi del contributo della Commissione, in realtà si discostò da essa, se non per quanto riguardava la suddivisione delle biblioteche governative in due classi179. Per la vexata questio riguardante l’istituzione di una o più biblioteche “nazionali”, tale denominazione venne riservata solo per le biblioteche che precedentemente lo avevano ricevuto: ovvero Napoli, Palermo e Firenze, ma solo a quest’ultima venne riconosciuta una ‘funzione nazionale’ espletata attraverso l’applicazione della legge sulla proprietà letteraria e su quella di stampa. Inoltre tutte le biblioteche governative secondo il decreto dovevano essere o rimanere aperte al pubblico.

In tale contesto si intende con il termine biblioteca “pubblica” quegli istituti dipendenti dal governo e aperti al pubblico. Sotto tale definizione quindi rientrano anche le biblioteche universitarie e le nazionali. Dopo questa fase di avvio, il quadro dell’organizzazione bibliotecaria subirà ulteriori sviluppi successivamente con i

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P. Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall’Unità ad oggi, cit., p. 21.

177

ID., La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, Bologna, il Mulino, 1997, p. 95. Tra queste nove: l’Universitaria di Torino; la Biblioteca di Brera di Milano; la Marciana di Venezia; la Parmense; la Palatina di Modena; l’Universitaria di Bologna; la Nazionale di Napoli; la Nazionale di Palermo; la Biblioteca di Cagliari. “A queste biblioteche, sulle quali avrebbe dovuto esercitarsi una particolare azione di vigilanza del governo, avrebbe dovuto essere riservato un trattamento di favore nell’assegnazione di fondi e nella retribuzione del personale”.

178

ID., Storia delle biblioteche in Italia. Dall’Unità ad oggi, cit., p. 22.

179

ID., La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 96-97. Le classi erano suddivise a seconda che fossero “destinate a conservare carattere di generalità” oppure avessero o fossero “suscettibili di assumere un determinato carattere speciale”.

Al primo gruppo appartenevano: la Biblioteca Universitaria di Torino, la Biblioteca di Brera di Milano; la Biblioteca Universitaria di Pavia; la Biblioteca Universitaria di Padova; la Biblioteca Marciana di Venezia; La Biblioteca Palatina di Parma; la Biblioteca Estense di Modena; la Biblioteca Universitaria di Bologna; la Biblioteca Nazionale di Firenze; la Biblioteca Nazionale di Napoli; la Biblioteca Universitaria di Napoli; la Biblioteca Nazionale di Palermo; la Biblioteca di Cagliari. Le rimanenti facevano parte della seconda classe.

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decreti del 1876 e 1885 in cui sotto la dicitura “Regolamento organico delle biblioteche governative del Regno” vengono introdotte altre distinzioni e specificazioni delle biblioteche pubbliche180. Importante nel decreto del 1885 è l’attribuzione del titolo di centrale alle due biblioteche nazionali quella di Firenze e quella di Roma.

Per quanto riguarda le biblioteche locali la cui la denominazione di “pubblico” sembrerebbe “naturalmente” più calzante, seguendo le diverse esperienze nel Regno Unito e nel Nord America, in questo quadro di riassetto politico-amministativo, esse non verranno mai espressamente definite come pubbliche, ma collegate semplicemente al loro ente di appartenenza181. Questo non fu senza conseguenze problematiche per il futuro di questa istituzione e per lo sviluppo del concetto “moderno” di biblioteca pubblica e dei suoi servizi nel nostro paese.

Nel censimento del 1863 vennero rilevate 100 biblioteche locali182. La loro costituzione era dovuta, almeno fino alla fine del Settecento, alla volontà di privati generosi che donavano le proprie raccolte ai comuni o ad altri enti.

In realtà l’uso di queste istituzioni risulterebbe essere stato piuttosto limitato, data anche la situazione di sostanziale analfabetismo dell’Italia e dalla necessità di investimento in una vera e solida politica educativa e culturale.

L’attenzione che ebbero i governi successivi per rinsaldare l’unitarietà statale anche attraverso l’istituzione di biblioteche dipendenti direttamente dallo Stato, condizionò non poco lo sviluppo delle biblioteche pubbliche locali. Non solo perché le spese loro destinate erano, secondo una legge, facoltative (quella comunale e provinciale 20 marzo 1865, n. 2248), ma in quanto le stesse istituzioni locali erano chiamate a contribuire al mantenimento delle biblioteche statali.

Sarà con la soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose e con la conseguente confisca dei beni, tra cui le biblioteche, che gli istituti bibliotecari locali ebbero un rilevante incremento, anche se emerse chiaramente la loro sostanziale inadeguatezza nel ricevere tali patrimoni183.

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Per un'analisi dettagliata delle modifiche apportate al quadro delle biblioteche si rimanda all'analisi approfonita di P. Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, cit., pp. 98–99. Nel regolamento del 1876 vengono ulteriormente distinte le biblioteche governative in due classi. Nella prima afferiscono le biblioteche autonome, nella seconda quelle dipendenti da un altro istituto come le universitarie. Le biblioteche autonome sono distinte in due gradi e solo quelle di 1° conservano la distinzione di nazionale.

Tra queste, oltre alle Nazionali di Firenze e di Napoli, viene menzionata l’Universitaria di Torino (che riceve per la prima volta il doppio titolo) e la Nazionale di Roma, di nuova istituzione ma non ancora aperta al pubblico. La biblioteca di Palermo da nazionale viene inserita tra le universitarie. Anche le biblioteche connesse agli altri istituti vengono divise in altri due gradi. Categoria a parte è costituita dalle biblioteche delle Accademie di Belle Arti e di Scienze, dei ginnasi e dei licei.

181 Ivi, p. 102. 182

La loro istituzione in realtà era avvenuta in tempi diversi: 4 istituite tra il XV e il XVI secolo; 13 nel XVII sec.; 28 nel XVIII e le rimanenti nel corso dell’Ottocento.

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In Italia, secondo alcuni, mancano due elementi considerati fondamentali per lo sviluppo delle “public libraries” di matrice anglosassone:

“la religiosità evangelica, basata sulla lettura personale della Bibbia, che costituì una motivazione molte forte per imparare a leggere e la filosofia utilitaristica, divenuta senso comune, che vedeva nella diffusione delle conoscenze una condizione necessaria per un ordinato progresso economico e sociale”184

.

In generale si può dire che alla fine dell’Ottocento queste istituzioni bibliotecarie si configurano con una serie di carenze, arretratezze, se confrontate con le altre nazioni del Nord Europa, riscontrando una mancata attenzione anche da parte degli stessi bibliotecari e della riflessione biblitoeconomica. Questo non fu indolore. L’eredità di questa situazione ebbe delle ripercussioni in campo bibliotecario addirittura fino ai nostri giorni.