Questa ricerca vuole analizzare, in primo luogo, il ruolo svolto nella nostra società dalla biblioteca pubblica ed esaminare, in particolare, ciò che essa propone e mette in atto per l’accoglienza culturale e sociale degli stranieri.
Alla luce della storia e delle origini di questa istituzione plurisecolare, che solo in età moderna è diventata “pubblica” e accessibile a tutti i cittadini, si vuole comprendere se e in che modo nell’epoca contemporanea essa possa essere considerata uno strumento di “integrazione”. L’approccio sarà pluridisciplinare: dalla storia alla filosofia, dalla biblioteconomia alla sociologia.
Per non creare confusione sull’oggetto specifico di questo lavoro, occorre ricordare innanzitutto che in biblioteconomia sono stati individuati tre tipi di biblioteca pubblica che rispondono a tre funzioni distinte. Quindi, in base alle richieste che il pubblico vuole soddisfare, si avranno: a) biblioteche di pubblica lettura, b) di studio scolastico e universitario e c) di ricerca scientifica. In tutti e tre i casi si parla di biblioteche pubbliche in quanto l’accesso è libero e le raccolte e le informazioni sono rese disponibili26.
Il nostro interesse è limitato al primo tipo ovvero alle biblioteche di pubblica lettura. Ma che cosa si intende qui per “pubblico”?
Per quanto riguarda una prima definizione, possiamo rifarci agli studi sociologici di Peter Karstedt27. Questo giurista tedesco, meravigliandosi del fatto che sulla biblioteca non fosse stata fatta ancora alcuna trattazione di carattere sociologico, sentì il dovere nel 1980 di approntare uno studio specifico che desse la rilevanza dovuta a questa istituzione, e lo intitolò Studien zur Soziologie der Bibliothek.
Egli, mettendo in relazione lo sviluppo democratico delle istituzioni con la nascita della biblioteca pubblica, definisce “pubblico” sotto tre aspetti:
L’accessibilità a una larga cerchia di utenti; 2) come proprietà o amministrazione di un potere pubblico (come lo Stato, il municipio, o una corporazione di diritto pubblico); 3) e infine il finanziamento attraverso mezzi pubblici28.
Si vedrà nel corso del lavoro, come il concetto di “pubblico” sia stato declinato nei diversi contesti presi qui in esame e quanto il suo utilizzo abbia creato delle difficoltà e incomprensioni non ancora ad oggi del tutto chiarite.
26 Giorgio Montecchi, Fabio Venuda, Manuale di biblioteconomia, Milano, Editrice Bibliografica, 2006,
p. 34.
27 Peter Karstedt, Studi di sociologia della biblioteca, Giunta Regionale Toscana-La Nuova Italia, 1980. 28
31
In questo primo paragrafo si cercherà in modo sintetico di ripercorrere una sorta di genealogia dell’istituzione bibliotecaria.
La biblioteca, in generale, intesa come opera stessa29, raccolta di opere o come struttura istituzionale, ha accompagnato nelle sue diverse forme e funzioni l’essere umano nel suo tentativo di accogliere, conservare, mettere a disposizione di studiosi, ma anche per la posterità, le creazioni della mente e dell’ingegno umano in tempi e luoghi diversi. Non solo ha svolto un ruolo culturale, ma anche nella semplice conservazione storica e documentale ha permesso lo sviluppo delle civiltà, delle arti e delle scienze nei secoli e lo studio di epoche storiche passate.
Questa funzione può essere definita una funzione “sociale”.
Chiaramente nel corso dei millenni, questo istituto ha cambiato la sua “missione”. Il termine “biblio-teca”, infatti, porta con sé significati diversi e modelli differenti nel tempo30.
Le prime biblioteche nell’antichità in realtà si presentavano principalmente come archivi, in cui erano conservati documenti, soprattutto su tavolette di argilla essiccata, di diversa natura: testi amministrativi e storici, mitologici e letterari.
Tra gli esempi di archivio vi è il palazzo reale di Ebla, città che raggiunse massimo splendore nel III millennio in Siria. Altri archivi pubblici e privati risalenti al II millennio a. C. sono stati ritrovati a Ugarit (attuale Ras Shamra) in Siria. Essi contenevano testimonianze di transazioni commerciali, documenti di carattere amministrativo, testi letterari e religiosi. Come archivio principalmente diplomatico si presenta la raccolta di tavolette di Argilla custodita a Tell al- Amrna in Egitto creata da Amenophi IV (1367-1350).
È in Assiria che, invece, troviamo le prime notizie riguardanti vere e proprie biblioteche. Alla fine del XII sec. abbiamo traccia di un fondatore di una biblioteca, Tiglatpileser I, re di Assiria (1115-1077 a.c.), che ne allestì una nel tempio di Assur. Ma di grande fama fu soprattutto la biblioteca di Ninveh, istituita da un altro re di Assiria Assurbanipal, la quale conteneva almeno 1500 titoli (disposti in migliaia di tavole) tra opere letterarie, epiche (come Gilgamesh), religione e magia. La vittoria che il re assiro riportò su Babilonia servì per accrescere il patrimonio della sua biblioteca sottraendo documenti a quella babilonese. Altri espropri privati poi la ingrandirono.
In sintesi, possiamo ritenere che le raccolte documentarie dell’età più remota, a cui si
29
L’Antico Testamento e il corpus omerico erano considerati nella tradizione ebraica e in quella greca come due “biblioteche” nel senso che contenevano tutti i libri che erano considerati importanti: Cfr. Guglielmo Cavallo (a cura di), Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 6.
30 Bibliotèca: latino biblioteca, greco βιβλιο-θήκη composto da Βιβλιον, libro e θήκη deposito.
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può dare la denominazione di biblioteche, avessero un rapporto stretto con il potere, svolgendo soprattutto una funzione di documentazione nel campo delle vicende politico militari, delle tradizioni mitico-religiose e dei rapporti economici.
Passando al mondo greco, qui, non vi sono biblioteche intese come istituzioni pubbliche (né istituite dallo stato, né destinate ad un pubblico), vi è perlopiù una raccolta di opere per “iniziati”, una biblioteca che accompagna la vita di una scuola filosofica, nel senso che tale istituzione serve da “deposito” di opere contenti insegnamenti, trattati, che sono oggetto di discussione in altri spazi. Lo scopo è soprattutto quello di tramandare il pensiero e l’insegnamento del maestro31
.
A tal proposito è d’obbligo ricordare che la società greca è dominata dalla comunicazione orale, basti pensare a Socrate la cui “sofia” è stata tramandata dai dialoghi platonici oppure a Omero, i cui poemi erano cantati dagli aedi. Pertanto il libro (costituito, dal VIII sec. a. C. in poi, da più rotoli di papiro assemblati) non era lo strumento principale della strategia comunicativa greca32.
Aristotele, secondo la testimonianza del geografo Strabone, fu invece il primo a formare una collezione di libri che fosse di supporto allo studio e alla ricerca della comunità degli intellettuali del Liceo. La biblioteca aristotelica era divisa in soggetti quali la poesia, le scienze, la storia e la filosofia. Fu inoltre redatto una specie di catalogo tematico delle opere presenti nella biblioteca, a dimostrazione della logica innovativa che stava dietro il tentativo di classificazione delle scienze.
Gli allievi di Aristotele furono i veri propugnatori di un cambiamento del ruolo della biblioteca. I testi custoditi costituiscono una fonte di informazione sulla cui base si poteva riflettere, elaborare altre domande, discutere e da qui formulare altri pensieri e quindi altro sapere33.
Il modello di biblioteca aristotelica fu poi ripreso in età ellenistica ad Alessandria d’Egitto attraverso una figura che fece da “cerniera” tra Atene e Alessandria34
: Demetrio Falereo, discepolo di Aristotele e consigliere di Tolomeo I (305-282 a.C.)35. Alcune incertezze avvolgono le origini della biblioteca d’Alessandria. Essa fu progettata probabilmente da Tolomeo I Soter, ma realizzata da Tolomeo Filadelfo nel
31
Guglielmo Cavallo (a cura di), Le biblioteche nel mondo antico e medievale, p. IX.
32
Ivi, pp. 6–7.
33
Ad Atene nel 550 a. C. era attiva anche la biblioteca di Pisistrato.
34
Luciano Canfora, «Le biblioteche ellenistiche», in Guglielmo Cavallo (a cura di), Le biblioteche nel
mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 9. 35
Le campagne militari di Alessandro Magno portarono alla conquista di un impero gigantesco che si espandeva dalla Macedonia fino alla parte occidentale dell’India, comprendendo al suo interno molti popoli con proprie lingue, culture, riti e sistemi politici. Alla morte di Alessandro nel 323 a. C. si scatenò una lotta per il potere e l’impero fu diviso in tre regni diversi: la Grecia, con capitale in Macedonia, fu controllata dalla dinastia degli Antigonidi; l’Asia Minore, la Siria e la Mesopotamia con capitali ad Antiochia e a Seleuchia (in Babilonia) fu lasciata ai Seleucidi; e l’Egitto con capitale ad Alessandria (fondata da Alessandro nel 331 a. C.) controllata dai Tolomei. Con questi avvenimenti, prese origine ciò che oggi chiamiamo l’ellenismo, che durò fino alla fine del I secolo a. C., quando sarà Roma a conquistare il mondo.
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III a C., a cui si deve il suo rapido incremento.
La biblioteca era costituita da due parti: il Museo riservato solo agli studiosi, all’interno del Palazzo Reale e che conteneva 400.000 “rotoli alla rinfusa” e 90.00 “rotoli scelti”, e la biblioteca minore, esterna al palazzo, ma all’interno del tempio di Serapide, denominata Serapeo, “fondata dal Filadelfo per agevolare la pubblica lettura”36
. Mentre la biblioteca del Museo era abitata e diretta dai dotti e grammatici che vi vivevano in comunità mantenuti a spese del sovrano, il Serapeo raccoglieva ciò che veniva “scartato” dalla “biblioteca-madre” (ospitava circa 42,800 rotoli)37
. Per quanto riguarda l’accesso, come sottolinea lo storico Cavallo, le biblioteche del mondo ellenistico, sia quella di Alessandria sia quella di Pergamo, erano destinate a delle élite e anche nelle istituzioni “pubbliche” come il Serapeo, vi si recava comunque la società “colta non «istituzionalizzata» ma ugualmente rara”38
. La società ellenistica, infatti, ha al suo interno dotti eccellenti ma anche analfabeti, i quali costituivano la maggioranza della popolazione.
Per i primi, i Tolomei ambivano creare ad Alessandria un centro culturale che fosse motivo di attrazione. Inoltre, attraverso questa istituzione volevano rappresentare la ricchezza e la gloria del loro impero, racchiudendo all’interno della biblioteca lo scibile umano, il sapere universale. La biblioteca era quindi l’affermazione del loro prestigio in un rapporto stretto tra cultura e potere.
A tal fine si cercava costantemente di ampliare il proprio patrimonio, non solo in modo lecito con acquisizioni o donazioni, ma spesso venivano utilizzati addirittura ricatti.
È noto che vi era l’usanza di inviare dei messi in tutti i centri di cultura dell’impero per comprare ogni documento possibile, accordando maggior preferenza ai testi più antichi, perché contenenti meno errori.
Inoltre, risalirebbe a Tolomeo II Filadelfo, la disposizione secondo cui ogni nave che attraccava al porto di Alessandria doveva essere ispezionata per cercare opere a bordo. Queste venivano confiscate e poi copiate. La copia veniva restituita ai legittimi proprietari, mentre l’originale rimaneva all’interno della biblioteca e andava a implementare il cosiddetto “fondo delle navi”. Sempre al Filadelfo si attribuiva un appello rivolto “a tutti i sovrani e governanti della terra” affinché questi inviassero ad Alessandria le opere di ogni genere di autore.
All’interno della biblioteca si sviluppò un’importante scuola filologica dedita allo studio, all’esegesi, all’emendazione e al controllo dei testi. Un serio impegno era dedicato, poi, alla traduzione di opere che non fossero solo in greco, ma scritte anche
36
L. Canfora, op. cit., p. 10.
37 Ibidem. In realtà, sulla consistenza libraria della biblioteca non vi è unanimità tra gli studiosi. 38
34
in altre lingue e appartenenti ad altri popoli. In questo quadro rientra il progetto ambizioso della “Bibbia dei Settanta” redatta da circa 70 traduttori che trasposero il corpus biblico dall’ebraico al greco.
Oltre all’intento culturale in sé importante, in realtà questa impresa attesta la volontà di controllare e riaffermare il primato della lingua e della cultura greca in tutto l’impero ellenistico, nonostante le divisioni al suo interno.
Come scrive Arnaldo Momigliano in Saggezza straniera:
“La civiltà ellenistica rimase greca nel linguaggio, nei costumi, e soprattutto nella presunzione. La superiorità della lingua e dei modi greci era data tacitamente per scontata tanto ad Alessandria e Antiochia, quanto ad Atene. Ma durante il III e il II secolo a. C. emersero degli indirizzi di pensiero che ridussero la distanza tra Greci e gli altri popoli”39.
Ma non solo.
“Il Pantheon greco accolse più divinità straniere che in qualsiasi altro periodo, dalla preistoria in poi. I barbari dal canto loro, non si limitarono ad accettare le divinità greche, ma rimodellarono a loro immagine molte delle proprie. Si trattò di un sincretismo sistematico che ebbe una riuscita particolarmente brillante in Italia (Etruria e Roma), lasciò un’impronta a Cartagine, in Siria e in Egitto, fallì in Giudea, fu piuttosto irrilevante in Mesopotamia, e influenzò almeno l’iconografia se non la sostanza, della religione indiana attraverso l’arte di Gandhara”40.
Per quanto riguarda il mondo romano con la conquista d’Oriente, le biblioteche vengono prese come bottino di guerra e vanno a costituire le biblioteche private dei generali romani: come il caso della biblioteca di Perseo, re di Macedonia, sconfitto da Lucio Emilio Paolo a Pidna nel 168 a.C., o la biblioteca di re del Ponto, Mitridate, portata a Roma da Lucio Licinio Lucullo, in seguito alla spedizione del 66 a. C. Questo per citarne solo alcuni41. L’attenzione e l’interesse verso la cultura fu possibile a Roma grazie al diffondersi all’interno della classe patrizia romana di quel sentimento volto a creare una nuova cultura aristocratica che ritrovava in quella greca valori e modelli da emulare. Questo era l’intento ad esempio del circolo degli Scipioni.
39 Arnaldo Momigliano, Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture, Torino, Einaudi, 1980, p. 9. 40
Ibidem.
41 Per una ricostruzione più approfondita Cfr: Paolo Fedeli, «Biblioteche private e pubbliche a Roma e nel
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Accanto alle biblioteche private, che durante l’epoca imperiale subiranno un ulteriore incremento, in quest’epoca vengono promossi alcuni tentativi in favore della costituzione di biblioteche pubbliche. Il primo tentativo di crearne una fu ad opera di Giulio Cesare, progetto però che non fu poi portato a compimento.
La prima biblioteca pubblica romana risale al 39 a. C. e fu costituita grazie al bottino di guerra ricavato dal trionfo sui Parti da Asinio Pollione. Venne eretta vicino al foro e fu annessa al tempio. La biblioteca si articolava in due sezioni una dedicata ai libri greci e una ai libri latini. La seconda biblioteca venne creata da Augusto nel portico di Apollo sul Palatino, dedicato ad esso nel 28 a.C. A queste due biblioteche poi seguiranno altre42, come la biblioteca Ulpia, fondata da Traiano, che costituisce forse il paradigma più alto del modello di biblioteca in epoca imperiale fino al V secolo43. Vi erano inoltre biblioteche annesse alle terme, ai templi e alle ville imperiali.
In epoca imperiale la presenza di biblioteche non era circoscritta solo a Roma, ma tale istituzione si diffuse anche in Italia e nelle province44, nonché in Asia Minore.
L’attenzione alla cultura e lo stimolo alla sua diffusione animò l’azione dell’imperatore Adriano, il quale patrocinò il proliferare dell’istituzione bibliotecaria. Di grande rilevanza fu anche la disposizione logistica degli spazi: le sale delle biblioteche, infatti, seguendo le regole di Vitruvio che sosteneva l’esposizione a Oriente, erano situate in prossimità di portici luminosi ed erano abbellite con busti o statue di uomini illustri. Inoltre va ricordato che gli antichi erano soliti leggere ad alta voce e a discutere, pertanto l’idea che essi avevano della biblioteca era diversa da quella odierna.
Con la decadenza di Roma e dell’Occidente, depredate e saccheggiate, scompaiono anche le biblioteche pubbliche; il cuore dell’impero si trasferisce a Oriente. Nel 357 d. C. venne inaugurata da Costanzo II la grande biblioteca di Costantinopoli, la quale, nonostante diversi incendi, riuscì a copiare e conservare molte opere della letteratura greca classica. Caduta Costantinopoli in mano ai turchi nel 1453, essa venne assorbita dalla biblioteca del Sultano Maometto II. In questo periodo si assiste non solo al declino del potere politico imperiale, ma anche a quello della cultura classica che lascerà il posto alla letteratura cristiana e alle culture locali che stavano emergendo45.
42
Una terza biblioteca venne edificata nel portico d’Ottavia nel 23. a. C., sempre per volontà di Augusto e grazie al bottino della guerra contro i Dalmati. Essa venne chiamata biblioteca Octaviae, dal nome della sorella dell’imperatore.
43
Cfr. G. Cavallo, op. cit., p. XIV. "Il modello della biblioteca pubblica romana o ellenistico-romana è destinata alla fruizione, tanto da avervi esposti talora l’orario di apertura e la formula di giuramento contro i furti. Non vi sono testimonianze che documentino una lettura individuale all’interno dello spazio bibliotecario in senso stretto; la lettura avveniva ad alta voce ed era collettiva in altri spazi”.
44 Tra le città: Milano, Sessa Aurunca, Bolsena, Tortona, Tivoli. Importante fu la biblioteca di Como, che
fu donata ai concittadini da Plinio il Giovane.
45G. Cavallo, op. cit., p. 59. Di grande rilevanza è anche il passaggio dal rotolo al codice, che testimonia
36
La rovina di Roma46 avrà poi conseguenze gravi anche dal punto di vista delle istituzioni bibliotecarie, che finirono bruciate, saccheggiate o semplicemente abbandonate. Di conseguenza toccherà alle biblioteche dei centri di cultura cristiana, monasteri e cattedrali, il compito di intraprendere un’importantissima opera di recupero e di trasmissione dei testi antichi, espressione dell’ingegno del mondo classico. Cambiamenti significativi avverranno in Occidente nei centri urbani, dove emergerà la figura del vescovo, il quale avrà un ruolo di grande rilevanza politica che segnerà la storia dei secoli a venire.
Testimone importante della fine della decadenza romana e dell’inizio del Medioevo è Cassiodoro, letterato e uomo politico, che tentò di conciliare il mondo romano con quello germanico dei Goti. Egli è stato definito da Franco Cardini “il padre delle Biblioteche d’Occidente”47
. Infatti, Cassiodoro, sul modello della biblioteca greco- orientale e soprattutto seguendo l’esempio della scuola filologica di Cesarea (in linea con quella di Alessandria) fondò a Vivariumin Calabria, un monastero dedito completamente alla trascrizione di testi e fu da lui stesso definito un’istituzione di pace.
In seguito, tra il V e il VI secolo, si diffuse in Occidente l’istituzione monastica, che aveva già caratterizzato il mondo orientale, anche se con peculiarità per certi versi dissimili48. In questo periodo Benedetto da Norcia, fonda nel 529 l’abbazia di Montecassino dando vita all’ordine che da lui prende il nome. Ora et labora detta la regola benedettina: preghiera e lavoro come mezzi di elevazione spirituale e distanza dal mondo esterno, distrutto e impoverito da continue epidemie e invasioni.
Il primo monachesimo era fondato sull’oralità più che sulla scrittura. Infatti, il libro era considerato merce, prodotto, la cui copia rientrava nelle attività all’interno del monastero ovvero nel suo circuito socio-economico. Questo sistema fece dei monasteri, in epoca medievale, i luoghi della conservazione del sapere. I libri scelti erano le Sacre Scritture, i testi dei Padri della Chiesa, libri liturgici essenziali allo svolgimento delle funzioni e alcune opere edificatorie.
All’interno del monastero vi era lo “sciptorium”, un locale in cui i monaci trascrivevano le opere antiche o testi biblici che poi venivano riposti dentro gli “armaria”. Ciò suggerisce un altro dato importante: la biblioteca monastica non è destinata alla lettura o alla consultazione e sarà così fino al XIII secolo.
Il supporto utilizzato era la pergamena che nel corso del VII secolo sostituirà
46
Convenzionalmente la deposizione dell’imperatore romano Romolo Augustolo nel 476 d. C. segna l’inizio del Medioevo.
47
Cfr. Franco Cardini, Cassiodoro il grande. Roma, i barbari e il monachesimo, Milano, Jaca book, 2009.
48
Cfr. Guglielmo Cavallo, «Dallo scriptorium senza biblioteca alla biblioteca senza scriptorium», in
Dall’eremo al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini all’età di Dante, a cura di G. Pugliese
37
definitivamente il papiro49.
Si trattava pertanto di una biblioteca di conservazione e di preservazione del sapere antico. Grazie a questo lavoro sono state tramandate fino all’Umanesimo le opere dei più importanti autori dell’antichità come Virgilio o Cicerone50 rilette, però, alla luce dei valori cristiani.
L’azione dei monasteri fece sì che la Chiesa, in assenza di organizzazioni amministrative romane, si trovasse a detenere un controllo indiscriminato in ambito culturale: scegliendo cosa trascrivere e cosa tralasciare. Tale attitudine, se da un lato ha permesso di salvare determinate opere, per altre, che non erano ritenute educative e di cui non era possibile una reinterpretazione in chiave cristiana, si decise che dovevano essere cancellate dal patrimonio culturale comune dell’Europa occidentale. Oltre al modello del monastero, in epoca medievale appare un’altra tipologia di