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La tutela delle diversità culturali e linguistiche: missione della biblioteca pubblica.

105 6.1 Solo un’azione culturale? Il possibile ruolo dell’istituzione bibliotecaria

6.2 La tutela delle diversità culturali e linguistiche: missione della biblioteca pubblica.

Abbiamo nei precedenti paragrafi delineato le diverse genealogie della biblioteca pubblica e i suoi caratteri peculiari ribaditi a livello internazionale dal Manifesto IFLA Unesco per le biblioteche pubbliche. Il nostro tentativo è di comprendere se e come le biblioteche pubbliche, data la loro apertura nei confronti di chi ne varchi la

278 Ivi, p. 77. 279

Ray Oldenburg, The Great Good Place. Cafés. Coffee Shops, Bookstores, Bars, Hair Salons, and other

Hangouts at the heart of a Community, Cambridge (Mass.), Da Capo Press, 1999 280

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soglia, siano accessibili anche per gli stranieri e i migranti e se essi vi si sentano accolti. Alcuni studiosi sostengono che non sia necessario specificare i compiti di questa istituzione per quanto riguarda i cosiddetti “servizi multiculturali” o “interculturali”, perché sono già compresi nella sua missione. Tuttavia a livello internazionale si è sentita l’esigenza di specificare ancor più il raggio d’azione e l’impegno che bibliotecari e bibliotecari si devono assumere nel portare avanti il loro lavoro quotidiano.

La biblioteca pubblica, già ai suoi albori ha riconosciuto le diversità linguistiche e culturali, salvaguardandole nella sua azione e si è già posta la domanda di come riuscire a rispondere ai bisogni delle diverse comunità presenti sul territorio.

“Lei ha mai letto Tex? Lei ha presente quello che è il paesaggio urbano (…) Ecco, negli Stati Uniti si formano dagli anni ’40 agli anni ‘70 le città, con dei processi migratori che sono impressionanti. Per cui quando lei legge Tex ci trova anche tanto razzismo: dall’omettino giallo, che è il cinese, poi ci trova gli indiani e -allora c’è grande rispetto per gli indiani,- trova anche gli arabi, trova le comunità spagnole, trova gli irlandesi. Trova la grande immigrazione irlandese dalla carestia del 1848, non trova ancora quella italiana, che avviene alla fine dell’800. Tutto questo cosa vuol dire? Che quando nascono le biblioteche pubbliche in America, e nascono alla fine dell’800, (…) nascono come strutture del paesaggio sociale e come momento di unificazione delle competenze linguistiche. Nessuno ci si pensa mai, ma in realtà il modello della biblioteca pubblica anglosassone di area americana ha questo nel DNA”281.

Il legame che le biblioteche intessono con le questioni migratorie, in realtà non è un fenomeno recente, ma ha a che vedere inizialmente con il consolidarsi dell’azione di una delle prime e più attive istituzioni bibliotecarie, quella nord americana.

Gli Stati Uniti d’America, dalla fondazione delle colonie da parte degli Inglesi nel XVII secolo, fu nel corso dei decenni una meta ambita soprattutto per chi lasciava l’Europa in cerca di fortuna o per migliorare la propria vita o per chi scappava da persecuzioni.

Non soltanto, però. Non bisogna dimenticare che quasi contemporaneamente, iniziò, intorno al ‘600, quel commercio triangolare di schiavi che legò Inghilterra, Africa e America in un traffico redditizio per qualcuno, ma disumano per altri. Inoltre riprendendo gli studi di Alston Jones Jr. Plummer sul rapporto tra le minoranze e la biblioteca pubblica statunitense, ricordiamo che gli stessi Nativi Americani, gli Indiani, vennero trattati come una “nazione straniera” all’interno del loro stesso luogo

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natale e piano piano decimati e poi ridotti a minoranza282.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, poi, di fronte ad un consistente flusso di immigrati dall’Europa283

, le biblioteche pubbliche iniziarono a implementare i propri patrimoni con collezioni in lingue straniere, spesso importate, direttamente ad esempio dal continente europeo grazie ai commerci, in modo da soddisfare i bisogni di alcuni gruppi etnici e nazionali che rappresentavano le rispettive comunità. Le maggiori provenivano dall’Italia, Polonia, Grecia, Portogallo, Serbia, Croazia, Bulgaria, Ungheria, Armenia284.

Tali flussi subirono una battuta d’arresto con l’introduzione della legge Quota Law del 1921 che fu una delle prime disposizioni che metteva un limite quantitativo all’entrata degli stranieri nel paese e che segnò l’inizio di misure sempre più restrittive in materia, come The Immigration Act of May 1924, la prima legge permanente sull’immigrazione.

Con l’inizio della Prima guerra mondiale in Europa, dall’altra parte dell’oceano, vennero intensificati provvedimenti nei confronti dei nuovi arrivati. Si tratta di quelle “assimilation activities” accomunate da quel movimento di “americanizzazione” che investì scuole, chiese, associazioni e organizzazioni e che vedevano le proprie attività come un “patriotic duty”. Le iniziative potevano andare dall’organizzazione di scuole serali per immigrati, dove potevano imparare l’inglese e l’educazione civica o altre invece di carattere punitivo-restrittivo come la messa al bando dell’uso della propria lingua in pubblico oppure l’impedimento di ottenere un lavoro per chi non fosse naturalizzato.

In questo movimento anche le biblioteche fecero la loro parte.

Nel 1918, l’ALA (American Library Association) fondò il Committee on Work with

the Foreign Born (CWFB) che prevedeva che le biblioteche aiutassero gli stranieri

nell’apprendimento della lingua inglese e “to prepare them for citizenship”. Tra i primi promotori ci fu John Foster Carr, Eleonor Ledbetter, bibliotecaria della Broadway Branch della Cleveland Public Library285.

Dopo la Prima guerra mondiale, i bibliotecari poterono riprendere con forza, l’opera di acquisizione di testi in altre lingue. Infatti, ciò che venne implementato fu allo

282

Alston Jones Jr. Plummer, Still struggling for equality: American public library services with

minorities, Westport, Libraries Unlimited, 2004, p. XI. 283

Ivi, p. 1. Intorno agli anni '40 dell'Ottocento l'immigrazione era composta principalmente da tedeschi e irlandesi. Negli anni 1870 tra la Guerra Civile e la depressione economica, l’immigrazione ebbe una battuta di arresto. Negli anni Ottanta dell’Ottocento, arrivarono circa 5,2 milioni, negli anni Novanta dello stesso secolo, 3,7 milioni. Nella prima decade del Novecento, arrivarono circa 8, 8 milioni. Dagli anni Venti del Novecento, il numero di stranieri nati nel paese salì fino al 41%.

284

Ivi, p. 2.

285 A.J.J. Plummer, op. cit., p. 17. "The ALA CWFB was from the very beginning a clearinghouse for

Americanization information. Through correspondence, publications, and their personal examples, committee members lent advice on the selection and acquisition of foreign-language books and on publicizing the library’s resources for the immigrant community".

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stesso tempo, la domanda di libri in altre lingue e testi in “easy English” sulla storia, le leggi, l’industria, l’economia, e i costumi degli Stati Uniti; anche se la disponibilità di libri in tutte le lingue presenti e parlate dalle comunità migranti era limitata.

“American public libraries were vital to these immigrants' orientation into American culture. Immigrants turned to libraries for assistance in learning to read, to further their own education, to enhance the education of their children, and for social outlets. Library administrations responded to the demands of immigrant patrons by altering their collection development policies, building branch libraries in immigrant communities, and hiring bi-lingual staff members who could communicate with the patrons living in immigrant communities”286

.

Una considerazione importante da fare è che tutti gli sforzi fatti dal movimento di “americanizzazione” erano diretti quasi interamente ad “assimilare” gli immigrati di provenienza europea. L’intento era quello di farli adeguare all’uso della lingua e alla cultura americana.

Inoltre, pochissime erano le biblioteche, che consentivano l’accesso ai “non-whites”. L’unica eccezione, sottolinea Plummer, è costituita dalla Enoch Pratt Free Library, fondata nel 1886 destinata ai lettori neri di Baltimora. La discriminazione fu prerogativa di tutto il secolo287.

In seguito, poi l’attenzione alle comunità straniere venne inquadrata all’interno del movimento per l’Educazione degli Adulti che caratterizzò, come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, l’azione dei bibliotecari a partire dal 1920. “Adult education and democratization had replaced Americanization as the goals of the public library toward adult citizens and immigrants alike”288.

Nel frattempo la questione dei neri e della segregazione razziale condizionò in questo periodo il dibattito bibliotecario e molte biblioteche furono istituite nel Sud del paese e molte altre implementarono i propri servizi anche per i neri. Nel 1922 l’Ala organizzò una tavola rotonda289, i cui partecipanti erano solo bianchi290, dal titolo “ALA's Work with Negroes Round Table", con l’intento di discutere l’accesso degli afroamericani al materiale librario291.

286

Amy A. Begg, «Enoch Pratt Free Library And Its Service To Communities Of Immigrant Residents Of Baltimore During The Progressive Era, 1900-1914 (Atti di Convegno)», edited by Wendy Plotkin (a cura di), vol. ii, 1996, http://comm-org.wisc.edu/papers96/pratt.html. (ultima consultazione 01/04/2015).

287

A.J.J. Plummer, op.cit., p. XVI.

288

Ivi, p. 18.

289

Durò due anni e venne sospesa per tensioni tra i bibliotecari del Nord e quelli del Sud del paese.

290

A.J.J. Plummer, op. cit., p. 19. Bisogna ricordare però che per la prima volta fu accettato e discusso un contributo di Thomas Fountain Blue, un afro-americano del Negro Department of the Louisville Free

Public Library. Cfr. http://www.ala.org/aboutala/1921.

291In questo contesto di grande rilevanza fu il ruolo svolto dalla biblioteca di Harlem, “branch” della New York Public Library, nonché l’istituzione della Hampton Insitute Library School della Virginia, ovvero la

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La lunga battaglia per i diritti civili, che infuocò gli anni Sessanta, con le sue conseguenze politiche e sociali negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo, tentò di scardinare quell’idea di supremazia dei Wasp (White, Anglo-Saxons, Protestant) che, nonostante le tutele e le acquisizione dei tempi recenti, anche con l’elezione del primo presidente americano Barack Obama, per certi versi ancora non è stata del tutto superata.

In questa sede, il breve riferimento storico alle biblioteche americane, serve quindi a evidenziare quel rapporto tra l’istituzione bibliotecaria e l’immigrazione, che ha le sue radici nell’istituzione stessa o meglio in quella “agenzia” operativa democratica che mira all’inclusione e all’integrazione del maggior numero possibile di lettori e persone, attraverso il diritto alla conoscenza. Ciò non toglie che la sua azione può essere indirizzata e seguire alcuni modelli teorici che a volte possono essere criticati, come ad esempio le iniziative volte all’americanizzazione, che rispondevano a precisi dettami politici. Nonostante l’intento assimilatorio, che si rivelerà di difficile attuazione, la compresenza e la tutela della cultura di appartenenza delle comunità è presente anche qui, seppur in minore parte, con l’acquisizione di testi delle lingue delle comunità straniere.

Nel 2000 in un articolo di David T. Tyukcoson, ripreso da Carlo Revelli a proposito del legame tra biblioteca e nuove immigrazioni, nel constare che fino a qualche decennio prima non vi era materiale a disposizione per la comunità ispana, egli invece sostiene: “Gli immigrati irlandesi, italiani e tedeschi sono stati sostituiti oggi da haitiani, messicani e vietnamiti. Non importa da dove siano emigrate le famiglie, la biblioteca pubblica è un luogo al quale emigrano quasi sempre. È una delle poche istituzioni che aiutino a comprendere la società americana e ad esserne accettati”292

. Al livello istituzionale e di categoria professionale, dobbiamo ricordare anche che la stessa ALA (American Library Association) rispetto ai servizi per le comunità straniere presenti nel paese nord americano, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha istituito una tavola rotonda chiamata EMIERT ovvero l’Ethnic and

Multicultural Information Exchange Round Table per discutere di questi temi.

Sul piano internazionale, invece, la stessa IFLA (International Federation Library

prima scuola biblitoeconomica aperta ai neri. Giusto per avere un’idea, basta ricordare che nel 1938 solo 99 di 744 servizi bibliotecarie nei 13 stati del sud provvederono a fornire servizi ai neri e secondo la ricerca condotta dalla prima donna nera a conseguire un “doctorate degree” in biblioteconomia, Eliza Atkins Gleason, negli anni’40 solo quattro Stati offrivano servizi integrati per bianchi e neri insieme. Pertanto gli stessi neri si organizzarono in associazioni professionali separate, come la The North

Carolina Negro Library Association. Una ricerca del 1948 condotta da Emily Miller Danton rivelò che

mentre la segregazione razziale veniva adottata nelle scuole così come nelle biblioteche, alcuni bibliotecari però iniziarono ad avere dubbi nell’attuare tali normative e alla fine del 1947 solo 12 stati avevano leggi che mettevano al bando la segregazione.

292 Cfr. Carlo Revelli, «Minoranze etniche in biblioteca. La necessità di trovare un equilibrio tra

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