115 Association), nel 1980 ha inaugurato un gruppo di lavoro Library Services to
1.3 Una strategia europea: la “civic integration”.
Dichiarati ormai obsoleti i modelli nazionali di inclusione degli stranieri che sintetizzavano a tre schemi le relazioni tra stranieri e società362, (anche se come abbiamo visto Zincone ne diversifica cinque), in Europa negli ultimi decenni si è determinata una certa convergenza per quanto riguarda le politiche di integrazione da adottare nei singoli paesi363.
Tale prospettiva viene definita civic integration o neoassimilazionismo e ha assunto declinazioni diverse nei differenti contesti adottati, mantenendo però in comune i caratteri essenziali.
Nella sua analisi Christian Joppke attribuisce a due fattori il motore di questo cambiamento nel panorama europeo: da un lato l’opinione comune delle élite (new
elite consensus) in favore della nuova immigrazione, con la consapevolezza che
ormai tale fenomeno abbia un carattere di stabilità soprattutto per motivi economici ma anche demografici; in secondo luogo il processo di “europeizzazione”364
che dal 2004, ha portato i paesi dell’Unione a riflettere sulla necessità di una politica globale e coerente in materia sia di integrazione, sia di antidiscriminazione365.
Ma che cosa si intende per “integrazione civica”? Con questo termine si può intendere l’idea che l’integrazione nella società di accoglienza sia qualcosa che si “guadagna” attraverso il superamento di alcuni requisiti specifici. Pertanto il permesso di soggiorno o l’accesso ad alcune prestazioni sociali sono subordinate alla frequenza di corsi di lingua e di orientamento civico.
Le prime misure che vanno sotto il nome di civic integration, risalgono al 1998, data in cui nei Paesi Bassi (paese che tradizionalmente esemplificava il multiculturalismo e politiche particolari nei confronti di alcune minoranze presenti sul territorio) venne
362
Cfr. Stephen Castles, Mark J. Miller, L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo
contemporaneo, Bologna, Odoya, (1993) 2012. I tre modelli sono: assimilazionismo, multiculturalismo,
dell’immigrazione temporanea.
363
Christian Joppke, «Transformation of Immigrant Integration: Civic Integration and Antidiscrimination in the Netherlands, France, and Germany» 59, (2007), n. 2 p. 244.
364
Ibidem. In riferimento all’europeizzazione delle politiche di immigrazione e di integrazione in Europa, con particolare attenzione alla Francia e alla Spagna cfr. Sergio Carrera, In Search of Perfect Citizen? The
Intersection between Integration, Immigration and Nationality in the EU, Leiden-Boston, Martinus
Nijhoff Publishers, 2009.
365
137
introdotto il “New Integration Act”, con il quale era richiesto ai nuovi arrivati (non appartenenti alla EU) di frequentare corsi di lingua e corsi di orientamento civico (obbligatori) per un totale di 600 ore.
Qualche anno più tardi nel 2002 la Gran Bretagna con il New Labour’s Nationality,
Immigration and Asylum Act aggiunge un ulteriore requisito: il superamento di un test
per ottenere la cittadinanza.
Nel giro di pochi anni tali iniziative vengono prese a modello in altri paesi europei subordinando il conseguimento del permesso di soggiorno alla conoscenza della lingua e al possesso di nozioni di educazione civica366. Il non superamento del test comporta in alcuni casi la perdita del permesso di soggiorno o una riduzione di prestazioni sociali367.
Alcuni paesi, in primis l’Olanda, hanno introdotto dei programmi di “integrazione previa” (pre-visa integration), ovvero chi è in attesa di ricongiungimento familiare deve superare dei requisiti prima di poter entrare nel paese e quindi ricongiungersi. Tale forma di integrazione sarebbe sulla carta, ma senza un contesto di riferimento, senza contatti o relazioni giornaliere da cui si innescano e si costruiscono i processi di integrazione. A livello giuridico poi, tali disposizioni contravverrebbero all’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), che sancisce il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare.
Secondo la studiosa Kostakopoulou, con queste strategie diventate comuni al livello europeo (e non solo) si consolida un “discursive isomorphism”368
(isomorfismo discorsivo) che assume poi caratteri peculiari a seconda del singolo contesto.
Alcuni studiosi, invece, attraverso lo studio e l’analisi di tali pratiche hanno messo a nudo il meccanismo e la costituzione dello stato liberale, il quale adotta al suo interno politiche illiberali, che non sono un’eccezione, ma fanno parte del liberalismo stesso. Infatti, nonostante l’equilibrio tra diritti e doveri stia alla base del contrattualismo liberale, oggi si assiste, secondo Joppke, ad uno squilibrio verso i doveri. “Civic integration – sostiene lo studioso - is an instance, next to eugenics in the past and workfare today, of illiberal social policy in a liberal state”369.
L’analisi della civic integration e delle politiche di antidiscriminazione riflette la confluenza di due varianti del liberalismo. Da una parte l’insistenza sull’eguaglianza, in quanto a diritti e pari opportunità, che ha portato a concentrarsi sull’integrazione piuttosto che sull’assimilazione e che dà forza all’antidiscriminazione; dall’altra parte
366
I primi paesi sono l’Olanda, Austria, Danimarca, Francia, Germania, Lussemburgo e Regno Unito.
367
Dora Kostakopoulou, «The Anatomy of Civic Integration», The Modern Law Review 73, n. 6, 2010, pp. 933–958.
368
Ivi, p. 938.
369 C. Joppke, op. cit., p. 244. “L'integrazione civica è un’istanza, prossimo all'eugenica nel passato ed al
138
invece le recenti politiche di “integrazione civica” rivelano l’esistenza parallela di un liberalismo “di potere e disciplinante”, che può essere ricondotto alle riflessioni di Michel Foucault sulla “governamentalità”370
e il “neoliberismo”371 o ad esse ispirate. Secondo Joppke, tali politiche372 destinate agli immigrati sono equivalenti alle politiche di workfare rivolte a tutta la popolazione: entrambe usano mezzi illiberali per scopi liberali. In questa ottica lo stato contemporaneo, sotto lo scacco della globalizzazione economica, opera un potere coercitivo nei confronti dei singoli, così come verso le comunità da essi costituite, affinché essi liberino le loro capacità di autoproduzione e autoregolazione per contrastare il ritiro del welfare state373.
Queste misure che prevedono la conoscenza della lingua, della cultura e dei valori della società di accoglienza rimandano a delle istanze assimilazioniste che non solo, come abbiamo visto, sono contenute nel termine integrazione, ma che qui sembrano caratterizzare la sostanza di tali iniziative tanto che un'altra definizione che le identifica è proprio “neoassimilazionismo”.
Come sostiene Dora Kostakopoulou, non c’è dubbio che questa “nuova” concezione dell’integrazione, rimanda ad una “vecchia” in cui la società di accoglienza è vista come omogenea e lo straniero è “deficitario” rispetto ad alcuni requisiti.
“The centrality of the National language, the uniqueness and primacy of the nation, the culturalisation of politics a top-down definition of “good citizen” and the endemic belief that “others”, that is, non-nationals, are “deficient” – not restless autodidacts and resourceful. Reflecting the “older” civic integration initiatives, it is based on the assumption that societies are more or less homogenous and unified and that diversity is somehow a threat and/or problem”374.
370
Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione: corso al Collège de France (1977-1978), Milano, Feltrinelli, 2005, p. 88. Foucault nel corso al Collège de France del 1978 intitolato Securité, territoire,
population da un lato affronta il problema dello Stato, non come entità assoluta, ma a partire dal “come”
ovvero dai processi in cui è visibile l’azione statale e quindi il governo, dall’altra vuole analizzare le strategie che quest’ultimo mette in atto sulla popolazione, mettendo insieme la disciplina con i meccanismi securitari.
Il filosofo-sociologo francese definisce così la “governamentalità”: “Insieme di istituzioni, procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa forma specifica e assai complessa di potere, che ha nella popolazione il bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale. In secondo luogo, per “governamentalità” intendo la tendenza o linea di forza che in tutto l’Occidente e da lungo tempo, continua ad affermare la preminenza di questo tipo di potere che chiamiamo governo, su tuttigli altri, sovranità disciplina, col conseguente, da un lato di una serie di apparati specifici di governo e dall’altra di una serie di saperi. (…) Il processo attraverso cui lo Stato di giustizia del Medioevo divenuto Stato amministrativo nel corso del XV e XVI secolo, si e trovato gradualmente “governamentalizzato”.
371
Cfr. Michel Foucault, Nascita della biopolitica: corso al Collège de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2007
372
C. Joppke, op. cit., p. 268.
373 Ibidem; Enrico Gargiulo, «Dall’inclusione programmata alla selezione degli immigrati: le visioni
dell’integrazione nei documenti di programmazione del governo italiano», POLISpólis, (2014), n. 2, p. 266.
374
139
Nonostante alcune somiglianze o alcune riproposizioni, non si tratta però di una replica di misure del passato tout court. Da una parte perché l’integrazione è definita, almeno su carta, come processo bidirezionale e non a senso unico, e poi in quanto il rispetto da parte dei migranti di valori e della cultura del paese ospitante ha come contropartita la protezione contro le espulsioni arbitrarie e un equo trattamento per quanto riguarda la sfera economica e quella culturale375. Per quanto riguarda questo ultimo punto, la studiosa ritiene che non si tratti di mera retorica, soprattutto in riferimento ad alcuni paesi. Si deve tuttavia sottolineare però che nonostante ciò sia enunciato de iure, non sempre si verifica un effettivo trattamento paritario dei migranti, in quanto spesso le discriminazioni continuano a permanere, soprattutto a partire dalla sfera economica e sociale in particolare in paesi come l’Italia. Un altro elemento innovativo rispetto al passato sta in quella che la studiosa definisce un’ intenzionale “disconnection of the dots” (disconnessione dei puntini) ovvero la separazione tra residenza, assistenza sociale e della cittadinanza che erano strati creati tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso376
.
Le misure di integrazione civica prevedono in alcuni casi anche un “contratto di integrazione” che il migrante deve sottoscrivere se vuole iniziare il percorso a “punti” e “guadagnarsi” il permesso di soggiorno o la cittadinanza. Anche la formula merita un approfondimento. Secondo Kostakopoulou, questo contratto ha cinque caratteristiche molto sui generis, che non rispondono a quelle che definiscono tale istituto377.
1)Innanzitutto ogni contratto presuppone la libertà delle parti di entrare in relazione ed esso, per essere tale, non può avere carattere obbligatorietà, ovvero non si può essere obbligati a firmarlo. Questo invece non accade per i contratti di integrazione. Nessuna delle parti è libera di non sottoscrivere il documento: né i migranti né lo Stato.
2) il contratto richiede una comprensione intersoggettiva tra le parti, attraverso i processi comunicativi e scambi di informazione. Le relazioni sono fondamentali, ma qui non hanno nessun peso.
3) il diritto di negoziazione è importante in quanto comporta un implicito riconoscimento reciproco dell’equa condizione delle parti e il loro rispetto. Questo spiega perché non si può sottoscrivere legittimamente un contratto di schiavitù o la propria sottomissione.
Un contratto necessita di dialogo, scambio di vedute, condivisione di esperienze, negoziazione e accordo. Questi elementi non accompagnano il contratto di civic