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I fenomeni migratori e la prospettiva transnazionale.

115 Association), nel 1980 ha inaugurato un gruppo di lavoro Library Services to

1.1 I fenomeni migratori e la prospettiva transnazionale.

La mobilità ha caratterizzato l’uomo fin dalle origini. Grazie allo spostamento delle prime tribù di uomini e donne che dalla parte meridionale dell’Africa hanno cercato di attraversare il continente e abbandonato luoghi impervi, mossi dalla ricerca di cibo e un ambiente atto alla sopravvivenza, l’essere umano si è diffuso in altre parti del globo, continuando la sua ricerca di un luogo idoneo al proprio stanziamento.

Nonostante le migrazioni non siano quindi un fenomeno recente, ma si può dire connaturate alla storia dell’umanità, tuttavia secondo Castles e Miller è con l’espansione europea iniziata nel XVI secolo, che tali spostamenti hanno assunto caratteri peculiari.

In seguito, dalla metà del XIX secolo e dopo la Prima guerra mondiale si assiste a ciò che viene definito “l’era delle migrazioni di massa”, dati gli ingenti movimenti

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soprattutto tra l’Europa e l’America del Nord308

. Dopo il 1945 gli spostamenti riguardano complessivamente tutto il globo, raggiungendo l’apice soprattutto intorno agli anni Ottanta, fino ad arrivare all’epoca contemporanea. Negli scorsi decenni con i cambiamenti politico-culturali, così come con lo sviluppo tecnologico e nel campo della comunicazione, con una declinazione nuova delle categorie spazio-temporali a livello mondiale, la migrazione internazionale si è trasformata in una delle forze motrici della globalizzazione309. Quest’ultima, secondo la sociologa Saskia Sassen310, comprende due distinti insiemi di dinamiche. Il primo riguarda “la formazione di istituzioni e processi esplicitamente globali, quali l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), i mercati finanziari globali, il nuovo cosmopolitismo, i tribunali internazionali dei crimini di guerra”, che costituiscono in qualche modo un limite al dominio nazionale; mentre il secondo comprende sia quei processi all’interno dei territori nazionali, che concernono “reti trans-confinarie ed entità che connettono molteplici processi e attori locali o «nazionali», sia la ricorrenza di particolari questioni o dinamiche in un numero crescente di paesi o di località”311

.

Ciò che sembra caratterizzare questo fenomeno è senza dubbio la rapidità con cui avvengono le relazioni da un capo all’altro del globo e le implicazioni che questo nuovo rapporto tra locale e il globale genera nella vita quotidiana.

Per comprendere il filo rosso tra le migrazioni e la globalizzazione si può riprendere la definizione di alcuni sociologi312, che identificano le migrazioni internazionali come “una parte integrante della globalizzazione, la quale può essere definita come l’allargamento, l’approfondimento e la rapida crescita delle interconnessioni in tutto il mondo in ogni aspetto della vita sociale contemporanea313. Queste interconnessioni riguardano non solo le persone, ma anche i rapporti finanziari e il commercio, le mode e i comportamenti, nonché l’inquinamento e altri ambiti ancora.

Ma non necessariamente la globalizzazione deve essere vista come una novità. Infatti, secondo Vittorio Cotesta, già nell’antichità si aveva una visione globale del mondo fino allora conosciuto, come testimonia ad esempio lo storico Erodoto314.

È lo stato-nazione secondo il modello Westfalia che viene messo maggiormente alla prova dai flussi migratori che attraversano e superano i suoi confini. Può accadere,

308

Stephen Castles, Mark J. Miller, L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo

contemporaneo, Bologna, Odoya, 2012, p. 25. 309

Ibidem.

310

Saskia Sassen, Una sociologia della globalizzazione, Torino, Einaudi, 2008, p. 5.

311

Ibidem.

312

Cfr. David Held et al., Global Transformations: Politics, Economics and Culture, Cambridge (Mass.), Stanford University Press, 1999, p. 2.

313 Cfr. Maurizio Ambrosini, Emanuela Abbatecola (a cura di), Migrazioni e società. Una rassegna di studi internazionali, Milano, FrancoAngeli, 2009, p. 47.

314 Vittorio Cotesta, Sociologia dei conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale,

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tuttavia, che proprio perché la sovranità si sente sotto scacco, attui politiche ancor più repressive nei confronti dei migranti verso cui avviene una sorta di “rinvicita” e una riaffermazione della propria autorità. Imponendo, disciplinando e riaffermando l’attuazione di leggi e regole nei confronti dei migranti, la sovranità rafforza il proprio dominio.

Oltre ai fenomeni cosiddetti globali, un’altra sfida per la compagine statale potrebbe essere rappresentata dal “transnazionalismo”.

Tale prospettiva mette in risalto le relazioni tra i diversi contesti in cui vive o ha vissuto il migrante, insistendo sui rapporti duraturi di tipo politico, economico, sociale o culturale, che avvengono nelle due società a cui il migrante “appartiene” allo stesso tempo.

Secondo Castles, ciò non si traduce in una scomparsa dello stato-nazione, ma in nuove forme “di interdipendenza” ovvero società transnazionali che uniscono i destini di paesi e società, nonché le vite delle persone, in modo inevitabile315.

La questione che tale visione solleva riguarda, in realtà, “la lealtà” nei confronti della sovranità statale, considerata come un valore fondamentale. Quale delle due prevarrà? Per quanto riguarda lo studio delle migrazioni, il sociologo Alejandro Portes sostiene che “non esiste una teoria dell’immigrazione omnicomprensiva” e “la ragione è che le differenti aree che compongono questo campo sono così disparate che potrebbero essere unificate solo ad un livello di astrazione alto e probabilmente lacunoso”316

. Portes aveva proposto già nel 1985 insieme a Robert Bach una classificazione, passibile di modifiche, attorno alla quale le teorie dell’immigrazione potrebbero essere organizzate. Esse sono: le origini dell’immigrazione, la direzione e la continuità dei flussi migratori, l’utilizzo della forza lavoro immigrata e l’adattamento socioculturale degli immigrati317.

In questo lavoro, si prediligerà l’ultimo ambito indicato, ovvero “l’integrazione”, fermo restando però che solo attraverso la conoscenza e l’interconnessione di questi aspetti sia possibile avere uno sguardo complesso e profondo del fenomeno.

Pertanto, l’ottica da cui la ricerca prende avvio nella sua indagine dei processi di integrazione, sarà quella “transnazionale”, prospettiva emersa alla fine del secolo scorso e di cui bisogna evidenziare gli aspetti fondamentali.

Se la prima generazione di ricercatori e studiosi delle migrazioni avevano coniato e fatto un uso esteso del concetto di assimilazione318, a partire dagli anni ’90, grazie agli

315

Cfr. S. Castles, M.J. Miller, op. cit., p. 25.

316

Alejandro Portes (1996), Teoria dell’immigrazione per un nuovo secolo: problemi ed opportunità, in M. Ambrosini, E. Abbatecola, op.cit., pp. 201-202.

317

Ibidem.

318 La teoria classica dell’“assimilazione” è negli Stati Uniti d’America intorno agli anni ’20 del

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studi di alcune antropologhe culturali, viene introdotto nel dibattito scientifico il concetto di “transnazionalismo”.

In realtà negli anni ’60-’70 c’erano stati degli studi nel campo delle relazioni internazionali sulle organizzazioni cross-border, ma “curiosamente”, sostiene Thomas Faist, questi studi con l’avvento della globalizzazione vennero accantonati e successivamente ripresi due decadi dopo319.

Il transnazionalismo nelle sue prime formulazioni, venne definito dall’antropologa culturale Linda Basch nello studio condotto insieme a Glick-Schiller e Blanc- Szanton come quel:

“processo attraverso il quale gli immigrati forgiano e mantengono le complesse trame di relazioni sociali che costituiscono un ponte tra la società di origine e il nuovo insediamento. Chiamiamo questi processi transnazionalismo per sottolineare il fatto che molti immigrati oggi costruiscono campi sociali che attraversano i confini geografici, culturali e politici. Un elemento essenziale è la molteplicità delle situazioni che i migranti tengono in vita sia nella società nativa sia in quella ospite”320.

Basch Linda, Glick Schiller, Nina&Szanton Blanc, Cristina, Nations unbound: transnational projects,

postcolonial predicaments and deterritorialized nation-states, Amsterdam: Gordon and Breach, 1994.

Gli approcci transnazionali non costituiscono una teoria o un set di teorie. Lo stesso Faist sostiene che essi possono essere intesi come una prospettiva, una chiave di accesso all’interno della varietà dei fenomeni cross-border ovvero transnazionali. Dello stesso avviso è anche Paolo Boccagni il quale, in sintonia con altri studiosi321 sostiene che il transnazionalismo non rappresenti tanto un nuovo paradigma quanto “una chiave di lettura complementare alle altre, utile a mettere in risalto attributi e pratiche sociali presenti - sia pure in diversa misura – in gran parte dei flussi migratori internazionali322.

La questione centrale del transnazionalismo è quella di sottolineare la dimensione “bilocale” dei processi migratori, che può anche essere multilocale, secondo il

fondatori. Seconda tale visione sviluppatasi nel primi anni del Novecento a coloro che erano migrati negli Stati Uniti (soprattutto di origine europea) veniva richiesto di “assimilare” e adottare i comportamenti e la cultura del paese ospitante, rinunciando di fatto alle proprie origini.

319

Thomas Faist, «Transnationalism: Migrant Incorporation beyond Methodological Nationalism»,

Transnationalismus & Migration. Dossier, Mai 2011, pp. 25–33. 320

M. Ambrosini, E. Abbatecola, op. cit., p. 205. (Basch, Glick-Schiller e Blanc- Szanton 1994, 6).

321

Cfr. Peter Kivisto, «Theorizing transnational immigration: a critical review of current efforts.», 2001, pp. 549–577, DOI: 10.1080/0141987012004978 9; Alejandro Portes, «Assimilation and Transnationalism: Determinants of Transnational Political Action among Contemporary Migrants»,

American Journal of Sociology, 2003, pp. 1211–1248. Ambrosini 2008.

322 Paolo Boccagni, «Il transnazionalismo, fra teoria sociale e orizzonti di vita dei migranti», Rassegna Italiana di Sociologia (2009), n. 3, p. 529.

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sociologo Ambrosini323. Tale approccio invita a vedere il percorso migratorio in modo fluido senza che ci sia un taglio, una cesura tra il luogo di origine e quello di destinazione324.

Lo studioso Stephan Vertovec propone sei impieghi del termine transnazionalismo, benché in parte sovrapposti o intrecciati325.

a) Come morfologia sociale focalizzata su una nuova formazione sociale, che si estende attraverso le frontiere.

b) Come coscienza diasporica.

c) Come modo di riproduzione culturale variamente identificato come sincretismo, creolizzazione, bricolage, traslazione culturale, ibridazione ecc.

d) Come una via del neocapitalismo per le imprese transnazionali, e in modo minore ma significativo nella forma delle rimesse inviate in patria dagli emigranti. e) Come un luogo di impegno politico, sia degli emigrati nei confronti della

madrepatria, sia dei governi dei paesi di provenienza nei confronti della madrepatria, sia dei governi dei paesi di provenienza verso le comunità dei loro emigrati, sia attraverso l’attività delle ONG internazionali

f) Come una riconfigurazione della nozione di luogo, da un’enfasi sulla dimensione locale all’accento posto sul “translocale”.

Volendo schematizzare, si possono individuare tre approcci diversi del transazionalismo. Un primo, chiamato “pioneristico” rappresentato dal già citato lavoro di Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc.

Successivamente si sviluppa una seconda versione soprattutto ad opera di Alejandro Portes e i suoi collaboratori in cui le analisi si concentranno sugli “individui e le loro reti sociali [che] vengono identificati come l’unità di analisi appropriata, lasciando cadere altri attori sovraordinati, comunità locali o governi dei paesi di provenienza”. L’attenzione si focalizza quindi sul transnazionalismo dal basso, contrapposto ai fenomeni di globalizzazione dall’alto.

A questo proposito, come sostiene Stephan Vertovec, risulta interessante il contributo di Rainer Bauböck, il quale sostiene che una teoria politica delle migrazioni transnazionali deve tener conto di due fenomeni: una crescente “permeabilità” dei confini internazionali e il sovrapporsi di identità politiche e degli status legali, tra

323

Maurizio Ambrosini, Un’altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali, Bologna, il Mulino, 2008, p. 18.

324 Ivi, p. 45. “Ragionare in termini di transnazionalismo significa dunque superare, o almeno fluidificare,

le tradizionali categorie di «emigrante» e «immigrato», e cessare di concepire la migrazione come un processo che ha un luogo di origine e un luogo di destinazione”.

325

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l’ordinamento di origine e quello di ricezione326 .

Infine il transnazionalismo non è concepito come un’alternativa all’assimilazione, ma piuttosto come un antidoto alla tendenza verso la downward assimilation, o assimilazione verso il basso, definita da Portes a proposito delle seconde generazioni americane che vivono situazioni di marginalità all’interno della società americana327

. Boccagni, nel definire il transnazionalismo dei migranti e i legami con la madrepatria, identifica tre aree di attenzione:

1) La prima riguarda la propria identità e appartenenza nei confronti della madrepatria, vista come una “riserva di senso” per affrontare le difficoltà di vita in immigrazione.

2) La seconda, che costituisce un campo di ricerca più facile da delimitare che riguarda il transnazionalismo relazionale ovvero i legami familiari, l’appartenenza ad associazioni e a comunità religiose.

3) La terza infine comprende il piano comportamentale: “abbraccia le attività che creano collegamenti sistematici –nella sfera economica, politica, socioculturale, e così via - tra paesi di arrivo e di origine, o tra specifici contesti locali dell’uno e dell’altro328

.

Tale prospettiva consente di concentrare l’attenzione sui “fili rossi” che i migranti intessono tra spazi, fisici ma anche simbolici, a cui sono legati.

Questa alternativa di adattamento alla società ospite non implica una rottura con il contesto di origine, e potenzialmente, come rileva la sociologa Laura Zanfrini, essa potrebbe mettere in discussione i concetti che in passato sono stati utilizzati per indicare l’inclusione degli stranieri nelle società di accoglienza329.

Nelle sue prime formulazioni, infatti, il transnazionalismo si era presentato in contrapposizione con il paradigma dell’assimilazione, privilegiando quest’ultimo la visione delle migrazioni come un processo unidirezionale330. Ma nel tempo tale antitesi è venuta affievolendosi.

Nella letteratura contemporanea si sostiene “una sostanziale compatibilità tra i processi di integrazione e il mantenimento di legami transnazionali dei migranti”331

.

326

Steven Vertovec, «Trends and Impacts of Migrant Transnationalism», Centre on Migration, Policy and

Society Working, (2004), n. 3, p. 37. Cfr. Rainer Bauböck, «Towards a political theory of migrant

transnationalism», The International Migration Review 37, (2003), n. 3, pp. 700-723.

327

Per uno studio approfondito cfr. Rubén Rumbaut, Alejandro Portes, Ethnicities: Children of

Immigrants in America, Berkeley, University of California Press, 2001. 328

P. Boccagni, op. cit., p. 525.

329 Laura Zanfrini, Sociologia delle migrazioni, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 8. 330

Paolo Boccagni, Gabriele Pollini, L’integrazione nello studio delle migrazioni: teorie, indicatori,

ricerche, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 89. 331

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Il rapporto positivo tra i due orizzonti è testimoniato, sostiene Boccagni, da coloro che godono di una relativa stabilità economica e sociale nel paese di accoglienza che sono gli stessi che hanno risorse da spendere anche nei legami con quello di origine, nonché dall’attivismo politico o da investimenti economici e attività imprenditoriali332.

A nostro avviso ciò dipende anche dall’accezione e dal significato che si vuole dare al termine integrazione e a che tipo di processo si fa riferimento, chi sono i soggetti coinvolti.

Alla luce di tali considerazioni la domanda che qui ci poniamo è se la biblioteca pubblica può essere vista un ponte sociale per il transational living, ritenendo questo atteggiamento non necessariamente in contrasto con l’idea di “integrazione”, ma soprattutto non in antitesi con la costituzione democratica di processi di convivenza pacifica e civile.

La biblioteca e gli scaffali multietnici, che vedremo in seguito, permettono dei legami virtuali, ma accoglienti, tra il paese di provenienza e quello di approdo. La biblioteca in questo senso può essere vista come un incentivo al vivere transnazionale, permettendone la costituzione e la durata nel tempo. Essa, in parte consente il ricongiungimento di legami fluidi, dando vita a quello che Vertovec chiama bricolage o ibridazione culturale. Pertanto, questa istituzione pubblica potrebbe essere vista nella prospettiva transnazionale come uno strumento di integrazione nella sua azione di salvaguardia e riconoscimento delle diversità culturali.

Prima di analizzare ciò, occorre innanzitutto concentrare l’attenzione sul fenomeno dell’immigrazione nella sua interezza, sia per quanto riguarda le cosiddette politiche d’immigrazione (immigration policies) sia per le politiche d’integrazione (immigrant’s integration policies), che come vedremo nei diversi contesti presi in esame, finiranno con il tempo per essere due lati della stessa medaglia.

Tuttavia si insisterà soprattutto sulle misure adottate in materia di “integrazione”. Perciò, partendo dal tentativo di delineare l’orizzonte semantico che abbraccia tale nozione, si vedrà poi nello specifico quali definizioni e misure sono state proposte a livello governativo sotto questo termine nei due contesti scelti: la Germania e l’Italia.