2. Il neocostituzionalismo: una visione generale
1.2. Una visione della relazione tra diritto e morale partendo dalle tesi di Carlos
1.2.3 a) Morale e diritto da una prospettiva costruttivista
Dworkin afferma che, in ciò che è relativo al fondamento morale del diritto, esistono due modelli. Il primo è quello “naturale”, che parte dalla base che “tutti nutriamo delle credenze sulla giustizia che manteniamo perché ci sembrano buone, non perché le abbiamo desunte o dedotte da altre credenze”73. Alcuni settori presentano queste credenze come “naturali” od oggettive. Il secondo modello, chiamato costruttivo, non accetta l’esistenza di principi di giustizia oggettivi, e concepisce le intuizioni sopra descritte come semplici elementi per costruire una teoria generale del diritto il cui contenuto non è prestabilito.
Sulla base di questo modello costruttivo si elabora la giurisprudenza e, dice Dworkin, che si deve anche operare in Filosofia del Diritto, anche se come vedremo successivamente, la visione che Dworkin ha di questo modello ammette certi principi di moralità giuridica oggettivi. Il modello costruttivo, in astratto, afferma che mediante l’analisi della costituzione e la ricerca dei principi comuni ai diversi precedenti giurisprudenziali si possono raggiungere le essenze dell’ordinamento, evitando ogni incongruenza negli atti normativi. Il modello costruttivo “non si basa su presupposti scettici né relativisti. Al contrario, ipotizza che ogni uomo e ogni donna che ragioni dentro le linee del modello sosterrà in modo sincero le convinzioni con le quali si avvicina ad esso, e che tale sincerità si estenderà alla critica di atti o di sistemi politici che
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73. Dworkin, R., Los derechos en serio, trad. de M. Guastavino, Ariel, Barcelona 1984, p. 246.
L’autore coincide con Rawls sul fatto che esiste una “facoltà morale”, che almeno alcuni uomini possiedono e che permette loro di ottenere “intuizioni concrete di moralità politica (…). Queste intuizioni sono indice dell’esistenza di principi morali più astratti e fondamentali” che hanno un carattere oggettivo (Ibid., p. 247).
offendono gli aspetti più profondi di tali convenzioni, considerandoli ingiusti. Il modello non nega, però neanche afferma, la condizione oggettiva di nessuna di queste convinzioni”74.
Il modello costruttivo persegue la sicurezza giuridica attraverso la coerenza dell’ordinamento. Affermando dei principi sostenitori del diritto, i cittadini avranno sempre chiaro il senso e il contenuto del loro ordinamento. Inoltre, il modello conferisce la sicurezza che il diritto non sarà basato sulle convinzioni di uno, ma di molti, e pertanto godrà di un fondamento più sicuro. Tuttavia, da questa prima lettura, non si deduce alcuna visione oggettivista dei fondamenti giuridici, ma si intuisce piuttosto la difesa di una semplice costruzione logica del diritto le cui premesse materiali passano su un piano secondario per quanto riguarda ciò che è relativo alla sua correttezza.
Sicuramente la tesi naturale, prima citata, ha a suo sfavore l’innegabile mutazione che hanno subito i principi morali nel corso della Storia, e la visceralità con la quale tendiamo a conservare le nostre stesse convinzioni, tanto diverse tra gli uomini che, razionalmente o irrazionalmente, tendono a incasellarsi in essi75. Inoltre Dworkin prende molto in considerazione questi fatti al momento di costruire la sua teoria, ma senza rinunciare a riconoscere dei capisaldi materiali e oggettivi del diritto, come si vedrà nei seguenti paragrafi.
Le teorie frutto del modello costruttivo si possono dividere in tre gruppi: teorie basate sugli obiettivi, sui diritti e sui doveri76. Dworkin sostiene la teoria contrattuale basata sui diritti, secondo la quale “i diversi individui hanno interessi che sono capaci di proteggere qualora lo vogliano”77. Attraverso il contratto sociale si promuovono le istituzioni e le leggi destinate a permettere la protezione di questi diritti e si rifiutano quelle che possano metterli in pericolo, concedendo un valore principale alla difesa di questi diritti in relazione al resto degli obiettivi politici, una difesa della quale ogni cittadino sarà protagonista mediante le azioni che gli permetteranno di rivendicare la protezione dei propri diritti in prima persona.
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74. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., p. 249.
75. “Una determinata teoria non viene scalzata perché un gruppo diverso o una società diversa, con un’esperienza e una cultura diversa, possa produrre una teoria diversa. Tale circostanza può condurci a mettere in discussione il diritto di qualsiasi gruppo per considerare oggettive o trascendentali, nel senso che sia, le sue intuizioni morali, ma non può condurci al fatto che una determinata società, che effettivamente considera in tal modo determinate convinzioni, le esiga e che quindi che le segua per principio” (Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., p. 256).
76. Le teorie basate sugli obiettivi collocano su un secondo piano l’individuo, poiché la sua finalità massima è quella di soddisfare un progetto sovraindividuale che può andare dall’espansione religiosa all’“utilità generale”. Le teorie basate sul dovere si centrano sulla qualità morale delle azioni individuali, preoccupandosi di reprimere le cattive azioni stabilite nei loro codici di condotta allo scopo di proteggere le possibili vittime di esse, ma senza riconoscere alle vittime un diritto personale per esigerlo (Dworkin, R., Los derechos en serio, pp. 261 e segg.).
Nonostante gli elementi apparentemente relativisti osservati fino ad ora, Dworkin sceglie il concetto di “diritti naturali” per fornire un contenuto ai diritti prima menzionati e, di conseguenza, alla costruzione del sistema giuridico. Questi diritti “non sono semplicemente prodotto di un atto legislativo deliberato o di una consuetudine sociale esplicita, ma sono fondamenti indipendenti per giudicare la legislazione e le consuetudini”78. Appoggiandosi sulla tesi di Rawls, Dworkin sostiene che il diritto fondamentale originario non è che un diritto “all’uguaglianza di considerazione e di rispetto, un diritto che (gli uomini) possiedono non in virtù della loro nascita, caratteristiche, meriti ed eccellenze, ma semplicemente in quanto esseri umani con la capacità di fare dei progetti e di amministrare la giustizia”79.
Nel disegnare, attraverso il contratto sociale, il modello di Stato che la comunità preferisce, si potranno stabilire istituzioni e regimi molto diversi, però tutti questi dovranno sottomettersi alla massima dell’eguaglianza di trattamento, in quanto essa si riferisce a diritti, che la dignità umana esige in modo che “i membri più deboli di una comunità politica abbiano il diritto, da parte del governo, alla stessa considerazione e allo stesso rispetto che si sono assicurati per sé i membri più potenti”80. Il margine per la configurazione del diritto e della società è ampio, però deve sempre rispettare questo limite.
Dworkin, pertanto, lega diritto e morale81, rifiutando la visione positivista che identifica il diritto con i fatti empirici (condivisi da tutti i giuristi) nei quali la morale non ha nessun ruolo. L’autore basa questa posizione sulla sua “teoria della puntura semantica”82, negando che il diritto possa ridursi a questioni empiriche o linguistiche e ampliando il suo oggetto a questioni morali e argomentative sulle quali i giuristi dibattono e divergono. In questo modo vuole superare il “formalismo giuridico” definito da Bobbio83, che esclude qualsiasi elemento materiale dall’ambito del diritto. L’autore si oppone all’utilitarismo imperante fino a un certo periodo nella giurisprudenza di origine inglese considerando i diritti morali di ogni cittadino come beni sacri che nessun potere deve attaccare.
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78. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit, p. 268. 79. Ibid., p. 274.
80. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit, p. 295.
81. Dworkin propone di ammettere che il diritto non è diverso dalla morale, ma è una parte di essa. Così lo dimostra con le seguenti parole “questa è la forma in cui intendiamo la teoria politica: come parte della morale intesa in termini più ampi, ma distinguibile e con un proprio fondamento poiché è applicabile a delle strutture istituzionali specifiche. Potremmo pensare la teoria del diritto come una parte speciale della moralità politica, caratterizzata da un’ulteriore raffinazione delle strutture istituzionali” (Dworkin, R., La justicia con toga, Marcial Pons, Madrid 2007, p. 45).
82. Sviluppata in Dworkin, R., El imperio de la justicia, op. cit., pp. 44 e segg.
83. Bobbio, N., El positivismo jurídico. Lecciones de Filosofía del Derecho reunidas por el doctor Nello Morra (1979), trad. de Rafael de Asís e Andrea Greppi, Debate, Madrid 1993, pp. 154-155.
L’autore, compromettendosi fortemente con ciò che il diritto deve essere, non ignora quello che realmente è in molti casi e, come Alexy, ammette che non è possibile “né che il diritto sia sempre moralmente buono, né che quello che è moralmente buono costituisca sempre il diritto neanche in casi difficili”84. Secondo la sua prospettiva il diritto deve essere giusto e il giurista deve sforzarsi di ottenere tale fine, che purtroppo molte volte non viene raggiunto, sebbene il cittadino abbia il diritto di non compiere la legge quando questa conculchi i suoi diritti individuali. Dworkin, di conseguenza, costruisce una teoria del diritto realista, ma allo stesso tempo di profonda ispirazione etica85.
Come conseguenza della sua posizione sulla relazione tra diritto e morale, Dworkin rivalorizza i principi, integrandoli nei sistemi giuridici insieme alle regole. L’autore ingloba nei principi le direttrici politiche o principi teleologici (policies), che descrivono obiettivi sociali che non rispondono necessariamente a esigenze morali, e i principi in senso stretto, che affermano diritti e appaiono definiti “come un’esigenza della giustizia, dell’equità o di qualche dimensione della moralità”86, anche se è una distinzione non molto nitida (una direttrice può esprimere un principio stricto sensu e viceversa). L’autore con questa distinzione cerca di difendere la priorità, già segnalata prima, dei diritti individuali (che sono individualizzabili e si distribuiscono in modo egualitario) e si riflettono negli “argomenti politici”87. I diritti (che Dworkin chiama “diritti politici”88), sono limiti rispetto agli obiettivi sociali e i giudici devono preservarli come dei trionfi nei confronti delle maggioranze.
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84. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., p. 279.
85. Nella tesi di Dworkin “da una parte, possiamo identificare dei “paradigmi giuridici” la cui appartenenza al diritto è indiscutibile – il limite di velocità, le tasse, le norme contrattuali, etc…–, dall’altra, condividiamo un concetto astratto di diritto, che Dworkin identifica con l’ideale di legalità, o Stato di Diritto. Con questo doppio punto di ancoraggio sulle nostre intuizioni, il teorico del diritto non deve cercare una descrizione del diritto, ma piuttosto proporre un’interpretazione di tale concetto. Il quale implica di completare il doppio versante di ogni interpretazione: primo, stabilendo i principi di moralità politica che sembrano offrire la migliore spiegazione possibile del carattere e del valore della legalità – la dimensione della giustificazione –, e, secondo, raggiungendo un “adattamento interpretativo” tra tali principi e i giudizi concreti che tutti condividiamo riguardo a ciò che il diritto è – la dimensione dell’adeguatezza –. Così come l’equilibrio riflessivo rawlsiano, questo “adattamento” alla positività giuridica ci permette di legare l’intuizione morale alla realtà sociale” (Melero de la Torre, M. C., La razón jurídica como modelo de razón pública, Rawls, Dworkin y el Derecho, p. 86).
86. Dworkin, R., El imperio de la justicia, op. cit., pp. 157 e segg. 87. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., p. 148.
88. “Un diritto politico è una finalità politica individualizzata. Un individuo ha il diritto a una determinata aspettativa, ricorso o libertà se (tale cosa) tende a favorire una decisione politica (in virtù della quale) sarà favorito o protetto lo stato di cose che gli permette di godere del diritto, anche quando con questa decisione politica non si serve un altro obiettivo politico, e perfino quando lo si pregiudichi (…). Un obiettivo politico è una finalità politica non individualizzata, vale a dire, uno stato di cose la cui specificazione non richiede così nessuna aspettativa o ricorso o libertà in particolare per individui determinati (…). Gli obiettivi collettivi stimolano gli scambi di benefici e le cariche nel seno di una comunità, allo scopo di produrre qualche beneficio globale per questa nella sua totalità (…). Nessuna finalità politica sarà un diritto a meno che abbia un certo peso rispetto agli obiettivi collettivi generali” (Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., pp. 159 e 161).
I principi, embricati di un ordine unico e coerente, garantiscono l’eguaglianza nel sistema giuridico, preservando i suoi due versanti. Dalla prospettiva della giustizia formale, assicurano che i casi uguali siano trattati allo stesso modo su tutti i livelli, cioè, a livello costituzionale, legislativo e di applicazione giudiziale del diritto. Da un punto di vista materiale, relativo al contenuto del diritto, i principi affermano l’eguaglianza effettiva tra i cittadini, nel cui quadro gli si riconosce lo stesso valore e si afferma il loro diritto a essere trattati con la stessa considerazione, attraverso un’uguaglianza reale di diritti ottenuta mediante una lettura morale dei principi, salvaguardando la loro coerenza e la loro adeguatezza alla giustizia.
Dobbiamo rilevare che Dworkin ammette l’esistenza di principi espliciti, ma anche impliciti o extrasistematici, con quel “senso della convenienza” che può portare il giudice a mentire e a non riconoscere una legge ingiusta come diritto. Un esempio è il principio “non si permetterà a nessuno di approfittare della propria frode o trarre profitto dalla propria ingiustizia, o fondare una domanda sulla propria iniquità o acquisire proprietà del proprio crimine”89 nel caso Riggs vs. Palmer, tanto utilizzato da Dworkin per esporre la sua teoria.
Per Dworkin, alcuni principi entrano a far parte del diritto direttamente, in virtù del loro contenuto, anche se non figurano in norme giuridiche, né si riflettono nella pratica sociale. In questo modo, secondo quanto obiettano diversi autori contrari alla teoria di Dworkin, il diritto e la morale si dissolvono in una normatività indifferenziata non esistendo una rigida delimitazione tra entrambi90. Tuttavia questa tesi non è per niente strampalata, poiché nella stessa giurisprudenza italiana si sono riconosciuti (come vedremo nel capitolo seguente), diritti fondamentali non espressamente affermati nella costituzione, sulla base dell’interpretazione della stessa.
Dworkin respinge il fatto che esista una contraddizione tra principi e norme, partendo dall’assoluta priorità dei primi. Quando una norma è antagonistica al contenuto di un principio è perché ne esiste un altro che è stato considerato di maggior valore ed è stato anteposto al
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89. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., p. 73.
90. Prieto Sanchís obietta esattamente che “è dubbioso anche che i principi di Dworkin possano svolgere la funzione di norme di chiusura. Tradizionalmente, i criteri che sono stati suggeriti per chiudere il sistema giuridico si presentano in forma semplice e alternativa, cosa che naturalmente non succede con i principi di Dworkin, i quali si caratterizzano per una formulazione aperta alla possibilità del tertium datur e che, inoltre, mantengono una relazione di sussidiarietà con il Diritto esplicito. In realtà, credo che nello schema di Dworkin l’idea di “chiusura dell’ordinamento” è strana e difficilmente realizzabile dopo la rinuncia esplicita alla norma di riconoscimento e a qualsiasi altro procedimento ultimo di identificazione. Forse si potrebbe sostenere che i principi di Dworkin chiudono effettivamente il Diritto, ma al prezzo di dissolverlo con il sistema morale; sarebbe lo stesso ordine giuridico che vedrebbe sparire i propri limiti esatti” (Prieto Sanchís, L., Teoría del Derecho y filosofía política in Ronald Dworkin: Comentario al libro de R. Dworkin "Los derechos en serio", in Revista española de derecho constitucional, nº 14, 1985, p. 368).
momento di configurarla, il che non vuol dire che tale norma possa cambiare, “sia già per la promulgazione esplicita di una legge o per la nuova interpretazione giudiziale”91, giacché si arriva alla conclusione che non era giusta poiché doveva prevalere il principio rimpiazzato.
Nel concludere questo paragrafo è inevitabile chiederci se la relazione tra diritto e morale, che propugna Dworkin, si possa considerare giusnaturalistica giacché, come abbiamo visto in precedenza, Dworkin ammette l’esistenza di diritti naturali.
Il giusnaturalismo classico si basa sull’esistenza di un ordine normativo sovrapositivo (che può essere immutabile e universale o può cambiare con il progresso sociale) e la fondazione dell’ordinamento giuridico su tale ordine. Dipendendo dalle conseguenze che abbia il divorzio tra diritto e morale, il giusnaturalismo respingerà il suo carattere giuridico (corrente ontologica) o semplicemente riconoscerà che è un diritto ingiusto, ma ammettendo la sua validità (corrente deontologica)92. Dworkin non crede in una morale giuridica immutabile, ma cangiante. Quando si riferisce all’interpretazione costituzionale, propone che essa si realizzi soddisfacendo la realtà sociale attuale e non l’ethos dell’epoca storica in cui è stata creata. Non identifica neanche la morale giuridica con la morale sociale, ma accetta una morale critica ammettendo che la morale positiva può non essere corretta. Allo stesso modo, considera la morale integrata nei principi come il fondamento massimo dell’ordinamento, un fondamento senza il quale non può definirsi come giuridico. Inoltre crede anche che il diritto ingiusto possa esistere, ma il cittadino sarà legittimato a disobbedirlo. Pertanto si può dire che Dworkin abbraccia una visione moderna e particolare del giusnaturalismo, un giusnaturalismo che accetta la mutabilità storica dei principi di giustizia, sempre che la sua essenza non venga snaturata.