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Carlos S Nino e la radice morale del diritto

2. Il neocostituzionalismo: una visione generale

1.2. Una visione della relazione tra diritto e morale partendo dalle tesi di Carlos

1.2.1 Carlos S Nino e la radice morale del diritto

Nino analizza la relazione tra morale e diritto basandola su tre argomenti: concettuale, giustificatorio e interpretativo25. In questo modo, utilizzando una doppia analisi teorica (corrispondente ai primi due argomenti) e pratica (il terzo si riferisce alla dinamica dell’interpretazione del diritto), vuole dimostrare l’inesorabile connessione tra diritto e morale.

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24. Ferrajoli, L., Jurisdicción y democracia, in Jueces para la democracia, nº 29, 1997, p. 4. 25. Bongiovanni, G., Costituzionalismo e teoria del diritto, Laterza, Roma - Bari 2005, pp. 77 e segg.

Iniziamo analizzando il primo argomento. Da un punto di vista concettuale, il nostro autore sostiene che il diritto debba definirsi da una posizione convenzionalista26che implica il riconoscimento di una pluralità di concetti di diritto. Per Nino non è possibile considerare i concetti come elementi predeterminati secondo l’essenzialismo concettuale, secondo il quale “esistono concetti o definizioni veri o falsi, a seconda di come riflettono una determinata realtà che trascende le proprietà empiriche presentate dagli oggetti che ricadono sotto l’uno o l’altro concetto”27, bensì questi sono chiaramente frutto della creazione umana, raggruppati convenzionalmente “sulla base di certe proprietà comuni, che sono selezionate in relazione a necessità di comprensione e di comunicazione”28.

L’assunzione di questa tesi comporta l’apertura della scienza giuridica a una molteplicità di concetti e di definizioni del diritto e degli elementi che lo plasmano. Premessa essenziale al momento di elaborarli sarà la finalità che gli si attribuisca all’interno degli obiettivi generali che definiscono il contesto del discorso giuridico in questione. Dipendendo dalla prospettiva prescelta, incentrata su l’una o l’altra caratteristica del diritto, dipenderà il risultato dell’analisi. Partendo da questa base, Nino classifica i concetti di diritto esistenti in descrittivi, normativi e misti29.

- I concetti giuridici descrittivi definiscono il diritto secondo le sue proprietà fattuali. Questi concetti si riferiscono ad ambiti incontrovertibilmente giuridici, poiché si limitano a descrivere i loro elementi da diverse prospettive, come può essere la definizione delle norme vigenti o di quelle che elaborano i giudici partendo da quelle precedenti quando svolgono il loro lavoro (vale a dire, la giurisprudenza).

- I concetti giuridici normativi, al contrario, si basano su standard extragiuridici che possono essere principi morali. Questi concetti hanno come oggetto quei criteri e quelle massime alieni dal diritto positivo (almeno finché non siano positivizzate) che risultano vitali per potere affermare con precisione che un imperativo giuridico è, oltre che imposto da una autorità, realmente obbligatorio da una prospettiva integrale.

- Infine, i criteri misti sono quelli che si riferiscono contemporaneamente all’essere e al dover essere del diritto, come “quello proposto da Ronald Dworkin, che si riferisce agli standard effettivamente riconosciuti dai giudici, e a quelli che dovrebbero essere riconosciuti come

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26. Bongiovanni, G., Costituzionalismo e teoria del diritto, op. cit., p. 78.

27, Nino, C. S., Derecho moral y política, vol. I, Gedisa, Barcelona 2007, pp. 141 e 142. 28. Ibid., p. 142.

miglior giustificazione dei primi”30.

Passiamo al secondo argomento (giustificatorio) che è senza dubbio la pietra angolare della teoria di Nino, poiché attraverso questo, egli evidenzia che il diritto non contiene ragioni esclusive per l’azione, e per questo deve ricorrere a ragioni morali31. Per Nino, il concetto che fa da ponte tra il discorso giuridico e quello morale è la validità. Nessun ordinamento può pretendere di trovare tale validità nelle sue stesse viscere, poiché il suo fondamento è in ogni caso esterno, cerca obiettivi preesistenti allo stesso diritto per i quali questo rappresenta uno strumento conforme al procedimento disposto dalla prima, quando, dal momento in cui risulta abrogata, questa è già inesistente e priva di ogni valore.

Di conseguenza, la validità non si può basare su norme giuridiche, né su fatti (poiché questo condurrebbe alla fallacia naturalista precedentemente descritta), ma su ragioni giustificatrici esterne e legate al discorso pratico, che Nino identifica con le norme morali. Questa tesi è condivisa da gran parte della dottrina32. Nella seguente argomentazione dell’autore viene espressa con totale nitidezza l’essenza di questa teoria:

“Se il diritto si caratterizzasse, come pretendono i positivisti, sulla base di una sequenza complessa di fatti, le proposizioni riguardo a ciò che il diritto dispone sarebbero di natura fattuale, e, pertanto, non esprimerebbero ragioni operative per giustificare delle decisioni anche quando il diritto fosse determinato (…). Se si adottasse al contrario un concetto normativo e non puramente descrittivo del diritto come quello propugnato dai giusnaturalisti (ossia un concetto che denota quelle regole che devono essere riconosciute e applicate), le proposizioni riguardo a ciò che il diritto dispone sì che esprimerebbero ragioni per giustificare decisioni,

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30. Nino, C. S., Derecho moral y política, vol. I, op. cit., p. 143.

31. “Vale a dire, proposizioni normative che mostrano i tratti distintivi di autonomia, di finalità giustificatrice, di giustificabilità, di maggioranza, di sopravvenienza di pubblicità” (Nino, C.S., Derecho, moral y política, vol. 1, op. cit., pp. 144 e 145).

32. Come pure segnala Belloso “il diritto positivo, per i suoi limiti naturali, non si può giustificare a se stesso. È un errore, anche se a volte comune, affermare che è la coercizione ciò che assicura l’obbligatorietà del diritto. Né la coercizione, atto - impiego della forza, violenza - né la coattività, potenza - paura, minaccia – possono sostituire in modo soddisfacente il sentimento giuridico. Questo semplicemente non esiste più quando si preannuncia la minaccia o la violenza. Costituiscono, quindi, dei termini escludenti. Quello che realmente si cerca, per fondare la norma giuridica, è un valore e mai un disvalore, un concetto generale e non eccezionale. L’obbligo, come dovere essere, implica delle considerazioni assiologiche. Solo la comprensione del diritto come dovere essere, per essere giusto, contempla e conferisce dignità alla condizione dell’uomo” (Belloso Martín, N., Teorías normativistas y nuevas perspectivas para el positivismo, in El positivismo jurídico a examen: estudios en homenaje a José Delgado Pinto, Universidad de Salamanca, Salamanca, 2006, p. 785).

tuttavia questo è tale solo perché nell’identificazione del diritto si è già fatto ricorso ai principi di giustizia che saranno supposti in queste proposizioni. Inoltre, ogni ordine giuridico patisce delle indeterminazioni, generate da lacune, contraddizioni, ambiguità, imprecisioni, ed esse non possono essere risolte senza ricorrere direttamente a considerazioni valutative”33.

Come si deduce dalle parole di Nino, la priorità delle ragioni morali evita la frammentazione del ragionamento pratico (poiché senza di esse non sarebbe possibile stabilire una priorità quando sorgono conflitti tra i diversi doveri) e il suo indebolimento, giacché proprio il ragionamento pratico presuppone una gerarchizzazione di tali doveri. Questa priorità si basa anche sulla tesi di carattere imperialista del discorso morale che, da un punto di vista descrittivo, indica che storicamente è proprio la nostra cultura quella che ha predominato sulle ragioni morali al momento di agire.

L’interpretazione giuridica è stracolma di valutazioni. Se ignoriamo queste valutazioni e concepiamo il discorso del diritto come insulare, i materiali giuridici si presentano come elementi isolati di fronte ai quali è quasi impossibile decidere coerentemente. Senza i principi giuridici non sono possibili la logica, né la giustizia nel diritto. Perché, se ci rendiamo conto, perfino una norma che secondo l’uso comune del linguaggio è abbastanza chiara, potrebbe essere interpretata in modo opposto se si sapesse che chi l’ha dettata voleva prescrivere una soluzione giusta, ma che la sua promulgazione è stata condizionata da errori volitivi e fattuali, e per questo bisogna ricorrere ai principi che ispirano l’ordinamento.

Partendo da quanto anteriormente esposto, Nino costruisce la sua famosa tesi sulla prevalenza del “punto di vista interno” su quello esterno al momento di comprendere il diritto. Il punto di vista interno rappresenta quello di colui che assume il diritto come criterio morale per il suo comportamento. Vale a dire, di colui che pretende di compiere la legge partendo da una “valutazione morale” proiettata sul diritto34, una valutazione di “conformità ai modelli di una morale critica o ideale che si suppone valida”35, una moralità che trascende il diritto positivo nella misura in cui sia insufficiente per preservare la dignità umana ma che, nelle costituzioni attuali, può identificarsi con i suoi principi per la correttezza morale.

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33. Nino, C.S., Ética y Derechos Humanos, un ensayo de fundamentación, Ariel, Barcelona 1989, p. 21. 34. Bongiovanni, G., Costituzionalismo e teoria del diritto, op. cit, p. 83.

35. Nino, C.S. Introducción al análisis del derecho, 2ª edición ampliada y revisada, Astrea, Buenos Aires 2003, p. 426. Questa morale ideale “deve essere tale che nel caso in cui venga riconosciuta possa trasformarsi in morale positiva” (Nino, C. S., Derecho moral y política, vol. I, op. cit., p. 130), ossia, deve possedere un fondamento di giustizia. Analizzeremo il concetto di morale che sostiene Nino nel prossimo paragrafo.

Per identificare e comprendere in modo soddisfacente un ordinamento giuridico qualsiasi, non basta osservare i suoi effetti pratici, ma bisogna ricorrere al suo fondamento, alle ragioni giustificatrici che ispirano le norme concrete e che permetteranno una piena comprensione delle stesse al di là delle loro manifestazioni chiaramente percettibili.

In breve, bisogna ricorrere al vero senso di ogni norma che non è altro che la giustificazione della stessa, una giustificazione nata da criteri morali, garanti del bene sociale e della dignità del cittadino, che si cerca di preservare mediante il diritto. Chi osserva la legge come ente isolato, non potrà fare altro che enumerare i casi concreti in cui l’ha vista applicare. Chi comprende l’autentico significato di tale legge, gli obiettivi collettivi che hanno motivato la sua creazione e i valori sociali da cui questi derivano, accettandoli come propri e impegnandosi nella loro promozione, prenderà in considerazione la conoscenza (e innanzitutto la determinazione) necessaria per chiarire quale sarà la sua applicazione in ognuno degli ipotetici casi che potrebbe regolare e approfondire il suo perfezionamento verso la giustizia ideale incarnata nei valori. Il neocostituzionalismo appare come il miglior banco di prova della nuova teoria del diritto qui menzionata e questa, a sua volta, come un’ottima giustificazione del suo modo di agire36.

Tuttavia diversi autori avanzano delle obiezioni a questa visione del punto di vista interno come qualcosa di imprescindibile per capire il diritto. È vero che il punto di vista esterno “radicale” (che osserva casuisticamente le manifestazioni legali senza cercare di capire i principi comuni che le ispirano) può offrire solo una visione superficiale e destrutturata del diritto, incapace di apportare una conoscenza fedele dello stesso. Però esiste anche un punto di vista esterno “moderato”, che non implica di accettare le attitudini interne degli attori della pratica giuridica, ma sì di comprenderle, impresa tanto difficile come capire il liberalismo economico senza essere liberali37. E da tale punto di vista è perfettamente possibile comprendere il diritto di

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36. In questo senso segnala Prieto Sanchís (usando la parola “costituzionalismo” come sinonimo di neocostituzionalismo) che “il costituzionalismo, difatti, abituato a lavorare con valori e principi, che sono giuridici, ma anche morali, così come a scrutare la validità/giustizia delle norme alla luce degli stessi, permette di confermare (almeno in Paesi dove esista la Costituzione pluralista, ma questo a volte si dimentica) l’esattezza di una scienza del diritto del partecipante, che giustifica e stimola il costituzionalista alla ricerca delle migliori risposte morali ai problemi giuridici, conferendo un certificato di nascita a ciò che, d’altronde, era già risaputo: la funzione giustificatrice e non meramente descrittiva di quella dogmatica”. Prieto Sanchís, L., El constitucionalismo de principios, ¿entre el positivismo y el iusnaturalismo? (A propósito de «El Derecho dúctil» de Gustavo Zagrebelsky). Anuario de Filosofía del Derecho XIII 1996, p. 144.

37. A questo caso si riferisce Dworkin quando parla della “prospettiva dello storico” che “include quella del partecipante in modo più penetrante, perché lo storico non può considerare il Diritto come una pratica sociale argomentativa, può addirittura rifiutarla perché ingannevole, fino a quando non otterrà la comprensione del partecipante, fino a quando non possiederà il suo stesso criterio riguardo a quello che considera come buono o cattivo argomento all’interno di tale pratica”. (Dworkin, R., El imperio de la justicia, Gedisa, Barcelona 1992, pp. 23-24).

qualsiasi comunità. Questa tesi è promossa da autori come Comanducci38. In questo senso, indica giustamente Hart che “una delle difficoltà che affronta qualsiasi teoria giuridica ansiosa di fare giustizia nella complessità dei fatti, è quella di tenere in considerazione la presenza di entrambi i punti di vista e di non decretare, a mo’ di definizione, che uno di essi non esista”39. È vero che dal punto di vista esterno moderato è possibile la comprensione del diritto, ma è anche ovvio che il punto di vista interno (e il compromesso che esprime) si rivela di estrema utilità per il perfezionamento del diritto, così come per la sua coerenza con i principi che lo ispirano.

Torniamo ai ragionamenti di Nino. La posizione del nostro autore sulla relazione tra diritto e morale dà luogo a due paradossi: 1) se per giustificare un’azione o una decisione bisogna relazionare le norme giuridiche con i principi morali, perché non ricorrere direttamente ad essi? Questo conduce alla superfluità del diritto nel ragionamento pratico (l’autore lo chiama il “paradosso dell’irrilevanza morale del diritto”40); 2) la connessione interpretativa provocherebbe l’indeterminazione radicale del diritto, poiché se l’assegnazione del significato materiale giuridico dipende dai principi valutativi che si adottano, quindi, perché non ricorrere prima ai principi e fare apparire dopo le soluzioni ottenute come se scaturissero dai testi giuridici? Questo è chiamato “paradosso dell’indeterminazione radicale del diritto”41. Questi ragionamenti, all’inizio, provocherebbero l’irrilevanza del diritto e dell’autorità che lo crea, e il suo assorbimento dalla morale, ma lo stesso Nino lo smentisce.

Nino ritiene che il diritto non debba concepirsi come un insieme di norme e di decisioni isolate, ma come una pratica sociale che compie due funzioni primarie: rende possibile il superamento dei conflitti e facilita la cooperazione. Pertanto è un’opera collettiva anche se non implica l’esistenza di un soggetto collettivo. La partecipazione in questa opera collettiva richiede una forma specifica della razionalità, chiamata la razionalità del secondo migliore, poiché le azioni che contribuiscono a quest’opera non si possono considerare isolatamente, dovendo prendere in considerazione anzitutto i loro effetti sull’opera globale, giacché il diritto è

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In senso identico Laporta obietta che “si dipinge l’osservatore esterno come una sorta di extraterrestre incapace di prendere in considerazione le relazioni degli esseri umani con i loro modelli di comportamento; una mente di estraneità totale che è solo capace di registrare regolarità statistiche esteriori nei comportamenti del proprio oggetto di osservazione (…). Mi sembra che sulla verità dell’enunciato “la norma A è diritto valido nel sistema X”, tra il punto di vista di un osservatore minimamente informato e quello di colui che si identifica con il sistema deve esserci coincidenza perché la sua posizione su questo sistema è irrilevante agli effetti cognitivi” (Laporta, F., Derecho y moral: vindicación del observador crítico y aporía del iusnaturalista, in Roberto Vázquez (comp.) Derecho y moral, ensayos sobre un debate contemporáneo, Gedisa, Barcelona 1998, pp. 250 e 251).

38. Comanducci, P., Formas de (neo) constitucionalismo: un análisis metateórico, in Carbonell, M., Neoconstitucionalismo(s), op. cit., p. 90.

39. Hart, H. L. A., El Concepto de Derecho, op. cit., p. 113. 40. Nino, C. S., Derecho, Moral y Política, vol. I, op. cit., p. 40. 41. Ibid., p. 41.

una “grande azione collettiva che trascorre nel tempo”42. In questo modo non lavoriamo con principi morali astratti e spogli, ma con quelli raccolti in tale pratica sociale

e concepiti

coerentemente ad essa, all’interno del sistema in cui essa si inserisce.

Il ragionamento giuridico che prende in considerazione la pratica sociale riguardo a su che cosa consiste il diritto, possiede una struttura scaglionata su due livelli: 1) il problema della legittimità della pratica. Qui i principi morali si applicano non ad azioni individuali (superando “l’individualismo metaetico” secondo cui i principi morali si riferiscono ad azioni isolate degli individui43), ma alla pratica giuridica chiarendo se “la pratica giuridica nel suo insieme è una pratica moralmente giustificata secondo determinati principi valutativi validi e, se lo è, o lo è in modo condizionato ogni volta che la si rivolga in una determinata direzione o in un’altra”44; 2) se nel primo livello si considera legittima la pratica, si passa quindi al secondo, nel quale si valutano le azioni individuali secondo tale pratica, determinando se sono giustificati in accordo ad essa. In questo modo si risparmia la valutazione morale dell’azione concreta, poiché già si è valutata la pratica che la integra. Così, la concezione del diritto come un’azione collettiva permette di superare i precedenti paradossi, poiché: 1) chiunque voglia giustificare azioni o decisioni dovrà ricorrere al diritto positivo, dato che i modelli morali che qui interessano hanno come oggetto non azioni isolate, ma pratiche sociali raccolte nell’ordinamento, e 2) una volta valutata che la pratica giuridica è moralmente giustificata, allora la sua difesa implica di preservare le convenzioni interpretative per evitare che l’interpretazione possa travisare il significato di tale pratica (poiché, come abbiamo detto, non trattiamo una morale ideale e slegata dalla realtà, ma quella colta nella pratica sociale a effetti giuridici), il che non impedisce che gli interpreti ricorrano a principi di giustizia e di moralità sociale, giacché le convenzioni permettono un determinato margine d’azione. Vale a dire, Nino descrive la relazione tra diritto e morale attraverso i principi costituzionali che caratterizzano il neocostituzionalismo.

Occupiamoci adesso della relazione tra diritto e democrazia nel pensiero di Nino. Il diritto, per compiere le proprie funzioni, deve appoggiarsi sulla morale positiva di ogni comunità. Secondo Nino, il processo democratico è la miglior forma per trovare soluzioni moralmente corrette alle esigenze che richiede: in questo processo si conta sulla partecipazione di tutta la comunità politica, si conoscono gli interessi di tutti, avendo ciascuno l’opportunità di giustificarli, concorrono circostanze che incentivano l’imparzialità, si offrono le condizioni per correggere gli errori logici e fattuali e infine trionfa la posizione sostenuta dal maggior

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42. Nino, C. S., Derecho, Moral y Política, vol. I, op. cit., p. 42. 43. Ibid., p. 41.

numero di partecipanti, il che aumenta le loro possibilità di correttezza45. Inoltre, questo processo si lega indirettamente al principio della dignità della persona sostenuto da Nino, secondo il quale si prendono in considerazione “tutti gli uomini secondo le loro decisioni, intenzioni o manifestazioni di consenso”46.

Nino ammette che il processo democratico è un sostituto imperfetto del processo morale giacché i votanti non sono imparziali e il tempo di deliberazione non è infinito, così come la rappresentazione (con il possibile divorzio di volontà tra elettore ed eletto che può generare) è un problema in ciò che si riferisce alla propria legittimità. Tuttavia il processo democratico è per Nino la soluzione corretta e per questo stabilisce il dovere di ogni cittadino di obbedire alla legge democratica, anche se la sua riflessione individuale (metodo più imperfetto e meno imparziale) gli indica il contrario. Nonostante ciò, l’autore lascia fuori dal potere di influenza del processo democratico: 1) le condizioni del processo (che Nino chiama diritti “a priori” e che sono quelle che concedono importanza alla democrazia e che esamineremo nella seconda intestazione di questo punto47), e 2) le preferenze di tipo personale (ossia, l’autonomia individuale che guida il comportamento dell’individuo al di là degli obblighi giuridici), nel cui caso il metodo democratico non possiede più valore della riflessione individuale.

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45. “Nella misura in cui la democrazia incorpora essenzialmente la discussione, tanto nell’origine delle autorità quanto nel suo esercizio (…) le sue conclusioni godono di una presunzione di validità morale” (Nino, C. S., Derecho moral y política, vol. 2, op. cit., p. 191). Giacché “il fatto che dimostra l’esistenza di principi morali è la sua accettabilità ipotetica in base a determinate condizioni” (Ibid., vol. 1, p. 135), quali “l’universalità, la supremazia giustificatoria, etc…”, (Nino, C. S., El constructivismo ético, CEPC, Madrid 1989, p. 69). Sullo sviluppo di queste condizioni, si vedano le pp. 109 e 110 della stessa opera. In tali condizioni in cui tutti conoscono e comprendono i principi e prendono le loro decisioni senza nessun tipo di pressione “l’unanimità sembra essere un equivalente funzionale dell’imparzialità”. In questo modo “è molto probabile che l'esito di un processo di discussione sia imparziale, e quindi moralmente giusto se è stato unanimemente accettato da tutte le parti coinvolte nel conflitto” (Nino, C.S., La constitución de la democracia deliberativa, Gedisa, Barcelona 1997, p. 166).

46. Nino, C.S., Ética y Derechos Humanos, un ensayo de fundamentación, Ariel, Barcelona 1989, p. 287.

Nello stesso senso si esprime Herranz, però tuttavia nota che “Anche se la giustificazione delle norme democratiche sia prima facie, e non assoluta, non è una semplice presunzione di legittimità, ma una vera giustificazione: esiste sempre una ragione morale (anche se non decisiva) per rispettare i risultati del processo democratico, qualunque essi siano, ragione che non esiste in sistemi non