• Non ci sono risultati.

Intuizionismo, comunitarismo e utilitarismo

2. Che valori possono costituire la radice morale del diritto?

2.2. Intuizionismo, comunitarismo e utilitarismo

Una delle posizioni più ferree nella difesa dell’esistenza di un catalogo di valori oggettivi è costituita dall’intuizionismo morale, accettato da autori come Scheler. Secondo questa posizione, i valori esistono e si possono conoscere non attraverso l’osservazione empirica e la ragione, ma attraverso l’intuizione degli stessi che si basa sul “sentire, preferire, in ultima istanza sull’amare e sull’odiare, così come anche sulla connessione dei valori, il suo essere superiore e inferiore, vale a dire, sulla conoscenza etica”, attraverso “funzioni e atti specifici che sono diversi toto coelo da ogni percezione e pensiero, e costituiscono l’unico accesso possibile al mondo dei valori”117.

Contro questa tesi, Rawls sostiene che una concezione intuizionista della giustizia è “una concezione a metà. Dobbiamo fare ciò che possiamo allo scopo di formulare principi espliciti

---

116. Alexy, riferendosi ai diritti umani come fondamento della morale giuridica, evidenzia, tra le altre tesi sulla loro giustificazione, i fondamenti religiosi (sono frutto della dignità che Dio dà all’uomo), biologici (sono un mezzo evolutivo per fomentare la cooperazione e la sopravvivenza), intuitivi (basano la loro esistenza sulla semplice evidenza che non ha bisogno di argomentazione), consensuali (frutto dell’accordo collettivo), strumentali (servono all’utilità individuale) o culturali (li basa sulla tradizione) (Alexy, R., La institucionalización de la justicia, op.cit., pp. 82 e segg.).

117. Questo si può vedere nell’opera di Scheler M., Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. Neuer Versuch der Grundlegung einer ethischen Personalismus, Gesammelte Werke, tomo 2, ed. di Maria Scheler e Manfred Frings, Berna/Munich: Francke 2000, p. 195, citata da Nino in Ética y Derechos Humanos: un ensayo de fundamentación.

rispetto al problema della priorità, anche quando non si possa eliminare completamente la nostra dipendenza dall’intuizione”118. L’autore persegue una concezione della giustizia che, per quanto ricorra all’intuizione, all’etica o alla prudenza, è tesa ad ottenere che i nostri giudizi sulla giustizia concordino per il loro comune carattere razionale119.

La giustificazione dell’anteposizione dei sentimenti e intuizioni a una morale razionale e rispettosa del valore dell’uomo, che afferma Scheler, può essere tollerabile nell’ambito del privato, però qui ci stiamo riferendo alla giustificazione morale del diritto, una dimensione la cui importanza vitale per il corretto sviluppo della società obbliga a esigere un rispetto assoluto della norma giuridica e dei principi morali che la ispirano, cosa che può derivare solo da un assoluto rigore nella sua elaborazione.

In questo contesto, le passioni o le ambizioni contrarie alla morale che potrebbero essere tollerabili in altri ambiti (per esempio, quando l’azione immorale non causi danni a terzi o gli arrechi un danno di quelli che Stuart Mill considerava non perseguibili indipendentemente dagli effetti negativi che possano produrre120), rimangono drasticamente proscritti, e il compimento della legge (legge che a sua volta deve considerare tutti i cittadini come liberi, eguali e aventi dei diritti basilari), diventa indispensabile. Non si cerca la santità dei cittadini, né degli organi

---

118. Rawl, J., Teoría de la justicia, Fondo de Cultura Económica, Madrid 1997, p. 51.

Appellarsi a qualcosa di così soggettivo come l’intuizione, tralasciando l’argomentazione, equivale a privare del fondamento imprescindibile la morale. Come spiega Alexy “Di fronte all’evidenza che diverse persone vivono esperienze diverse, l’intuizionismo non presenta nessun criterio per distinguere quelle corrette da quelle false, quelle autentiche da quelle non autentiche” (Alexy, R., Teoría de la argumentación jurídica, trad. de Manuel Atienza e Isabel Espejo, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid 1997, p. 56).

Sulla stessa linea Nino afferma che “Se non confidiamo ciecamente nell’intuizione in ambiti dove essa compete con l’osservazione empirica (solo un matto andrebbe a richiedere il premio per un cavallo che ha visto con i propri occhi arrivare per ultimo, ma che secondo la sua intuizione avrebbe vinto la corsa), perché dovremmo avere fiducia nell’intuizione quando non possiamo ricorrere all’esperienza empirica come ultimo tribunale di appello riguardo alla verità di una proposizione?” (Nino, C. S., Introducción al análisis del derecho, 2ª edición ampliada y revisada, Ed. Astrea, Buenos Aires 2003, p. 361).

La semplice adesione viscerale a determinati valori non comporta la sua validità, che deve essere dimostrabile sulla base di un codice morale, il quale sicuramente deve essere spiegato ricorrendo al senso innato di giustizia che ogni essere umano possiede, ma anche alla riflessione collettiva e al rigore argomentativo frutto dell’analisi dettagliata di ciò che deve essere l’etica giuridicamente vincolante. “È estremamente difficile dare anche solo una visione coerente dei nostri diritti più conosciuti. Perfino (…) durante i momenti di maggiore chiarezza, i diritti hanno bisogno della descrizione filosofica; tanto più potranno averne durante i periodi di oscurità” (Scarry, E., Sobre la filosofía y los derechos humanos, in AA.VV., Democracia deliberativa y derechos humanos, Ronald C. Slye (coord.), Gedisa, Barcelona 2004, p. 95).

119. Rawl, J., Teoría de la justicia, op. cit., p.54.

120. Mill riconosce che “gli atti di un individuo possono essere pregiudizievoli per un altro, o non avere la dovuta considerazione verso il suo benessere, senza arrivare alla violazione di nessuno dei suoi diritti costituiti. L’offensore può dunque essere giustamente punito dall’opinione, ma non dalla legge” (Mill, S., Sobre la libertad, trad. de Pablo de Azcárate, Alianza Editorial, Madrid 2005, p. 153).

Questo è il caso, per esempio, dell’adulterio o del tradimento di un’amicizia, o perfino di atti non immorali come ottenere un posto in un concorso lasciando fuori gli altri.

statali, ma soltanto che compiano gli obblighi che per giustizia gli si possano esigere in virtù del loro dovere di rispetto, attraverso azioni e omissioni, dei diritti dei loro simili. E tale dovere di rispetto trova uno dei pilastri della sua legittimazione nel rigore razionale e nel dialogo da cui deve nascere.

Altri autori come Williams rifiutano anche il carattere metaetico dei principi morali, considerando che l’individuo si trova drasticamente condizionato dai propri interessi, desideri, valori personali e credenze. Questo autore121, da una prospettiva comunitarista, antepone realtà come la cultura al carattere supremo della moralità, e ammette il condizionamento morale come conseguenza del fatto che i “concetti densi” su cui si basa la conoscenza etica (coraggio, onestà, etc…) abbiano un significato molto diverso in ogni comunità umana (per esempio in certe tribù africane si considera un simbolo di coraggio dare il colpo di grazia al guerriero rivale ferito e strappargli la testa). Sostituire questi “concetti densi” con concetti etico-generali che non sono capaci di adattarsi alle realtà morali vere come quella di una cultura è, per questo autore, una perdita di tempo che non conduce a nulla122. Questa tesi si riflette chiaramente nella metafora di Devlin, che parla del sentimento dell’ “uomo dell’autobus” per definire l’ethos sociale associandolo non a ciò che pensa l’uomo razionale, ma a ciò che sente l’uomo dalla “mente retta”123, vale a dire, il prototipo di uomo dalle “buone maniere” della sua società. Ciononostante Williams non rinuncia al fatto che si possa raggiungere un vincolo morale condiviso, una vita etica avallata dal consenso.

La posizione di Williams, come vediamo, è rappresentante del comunitarismo relativista quando associa i principi morali dell’individuo ai suoi valori e alle sue credenze culturali, senza

---

121. Williams, B., Ethics and the limits of philoshopy, London, 1985, citato da Nino in Ética y Derechos Humanos. 122. Williams relativizza il valore dei diritti umani anteponendo alla vigenza universale e omogenea l’ethos di ogni cultura. Così, e in risposta ai difensori della società democratica come unica valida e capace di garantire la pace e il consenso, Williams afferma che “I tanti che vogliono l’accordo e la coesistenza e che di fatto ne godono, non condividono le aspirazioni dell’autonomia” (Williams, B., En el comienzo era el acto, in AA.VV., Democracia deliberativa y derechos humanos, op. cit., p. 69). L’autore afferma che il liberalismo non vale meno di nessun’altra nozione, ma non è neanche migliore (Ibid., p. 71). Continuando con il suo discorso, Williams riconosce che gli attacchi più chiari ai diritti umani sono autoevidenti (Ibid., p.74), ma quando situazioni come la subordinazione della donna sono ampiamente accettate nella società “sebbene vediamo che il declino di tali credenze rappresenta una forma di liberazione, potremmo essere meno avidi nell’insistere che questa forma di vita costituisca una violazione dei diritti umani” (Ibid., p.75).

Autori come Sandel condividono questa posizione mettendo in evidenza la “rilevanza costitutiva dell’appartenenza a una comunità per l’identità personale” (Nino, C. S., Derecho moral y política, vol. I, op.cit., p. 35).

123. Malem, J., La imposición de la moral por el Derecho. La disputa Devlin-Hart, in AA.VV., Derecho y moral, ensayos sobre un debate contemporáneo, Roberto Vázquez (comp.) Gedisa, Barcelona 1998, p. 63.

rimandare a una fonte più oggettiva124. L’imposizione di un ethos sociale che assorbe l’autonomia soggettiva e subordina l’individuo ai fini che cultura, religione, tradizione o qualsiasi altra fonte che nutra questo ethos impongano, è la caratteristica centrale del comunitarismo.

Questa dottrina prospetta, senza dubbio, numerosi rischi. In primo luogo, e come nota Nino, “se i diritti sono solo dei mezzi per soddisfare qualche concezione di ciò che è buono, perché non prescindere dai diritti quando questi turbano tale soddisfazione che può essere raggiunta più efficacemente in un altro modo?”. In secondo luogo, il comunitarismo può generare “comportamenti tribali o nazionalistici” che degenerano in conflitti con altri popoli. Infine dà adito a un “relativismo conservatore che, da un lato, è incapace di risolvere dei conflitti tra coloro che si appellano a tradizioni o pratiche diverse e, dall’altro lato, non permette la valutazione di tali tradizioni o pratiche nel contesto di una società, giacché la valutazione presupporrebbe tali pratiche e non è possibile discriminare tra pratiche di valore o non di valore senza tener conto di principi morali che siano indipendenti da esse”125.

La visione relativista tradizionale commette l’errore di conferire un’eccessiva importanza a manifestazioni puntuali di un fenomeno come quello morale che si trova in costante progressione, è comune a tutta l’Umanità e non può ridursi a ciò che culturalmente o ideologicamente ci sembra più adeguato, paragonandolo alla giustizia assoluta. Ogni istituzione, modello sociale o consuetudine persegue forme ideali di comportamento, però non può identificarsi pienamente e in modo assoluto con esse, considerandole il culmine dello sviluppo, poiché è più che probabile la loro insufficienza etica, anche quando sia soltanto lieve. Inoltre, il condizionamento dell’individuo caratteristica del comunitarismo si rivela inaccettabile, così come esporremo più avanti.

Tralasciando il comunitarismo, dobbiamo segnalare che esistono altre dottrine come l’utilitarismo, la cui filosofia si centra sull’utilità collettiva anteponendola a criteri di giustizia estranei al risultato pratico. Nell’utilitarismo classico non si perseguono ideali come la patria o

---

124. Il comunitarismo è un’altra delle grandi teorie riguardo al fondamento morale del diritto. I suoi tratti generali sono definiti da Nino nel seguente modo: “In primo luogo, la derivazione dei principi di giustizia e la correttezza morale di una certa concezione di ciò che è buono. In secondo luogo, una concezione di ciò che è buono in cui l’elemento sociale è centrale e perfino prevalente. In terzo luogo, una relativizzazione dei diritti e degli obblighi degli individui nei confronti delle particolarità delle loro relazioni con altri individui, della loro posizione nella società, e delle peculiarità di questa. Infine, una dipendenza dalla critica morale rispetto alla pratica morale di ogni società, così come essa si manifesta nelle tradizioni, nelle convenzioni e nelle istituzioni sociali” (Nino, C. S., Liberalismo "versus" comunitarismo, in Revista del Centro de Estudios Constitucionales, nº 1, 1988, pp. 366- 367).

la religione che ispirano il comunitarismo, ma si ricerca soltanto il benessere e l’utilità generale (cioè, della maggioranza). In tal modo, si ritiene che le risorse si debbano investire in progetti che danno beneficio alla maggioranza, o che un farmaco debba somministrarsi ai malati più gravi. Dworkin126rifiuta questa prospettiva non solo perché elimina la trave maestra di ogni società democratica e giusta, che è il riconoscimento di alcuni diritti inalienabili e non condizionabili a ogni cittadino, ma perché è incapace di garantire perfino lo stesso modello di utilità che predica127.

Autori come Charles Taylor cercano di difendere l’utilitarismo presentando una supposta incompatibilità tra la difesa dei diritti individuali e il mantenimento delle condizioni sociali e giuridiche che permettono tale difesa. Charles Taylor vuole respingere le tesi che antepongono i diritti individuali all’utilità generale, argomentando che è imprescindibile subordinarli alla difesa della società affinché questa sia realizzabile128.

Tuttavia, Taylor ignora che è possibile rendere compatibile la difesa della società e la salvaguardia dei diritti individuali e, anzitutto, che tali diritti sono proprietà intoccabile di ognuno dei suoi titolari, per cui non esiste legittimità morale che li riguardi, se non per strette

---

126. Dworkin, R., Los derechos en serio, op. cit., pp. 341 e segg.

127. E quindi il cittadino non solo tende a soddisfare le proprie “preferenze personali” votando a favore di ciò che considera meglio per sé, ma agisce mosso da “preferenze esterne”136, che molte volte lo portano a votare contro gli interessi di quei collettivi

che rifiuta (caso delle motivazioni razziste) o per imporre la propria morale al resto (caso delle “preferenze moralistiche”). Questo distrugge l’uguaglianza tra cittadini al di là dei semplici (e già nocivi) effetti dell’egoismo personale, poiché i collettivi maggioritari possono impiegare il loro voto per pregiudicare gli emarginati, i quali, non godendo di diritti individuali collocati al di sopra delle preferenze collettive, si vedrebbero indifesi (Ibid., pp. 342 e 343).

128. Taylor utilizza il seguente ragionamento: “1) L’assegnazione di diritti si fa in funzione del riconoscimento di certe capacità, come quella di esprimere opinioni, sviluppare una vita spirituale, sentire piacere e dolore, etc… I liberali potrebbero voler bloccare questo movimento adducendo il caso dei bambini o dei comatosi, però devono desistere subito se gli si chiede perché non assegnino diritti anche alle pietre e alle nuvole. Dunque, devono ammettere che nei bambini la capacità potenziale è rilevante e che nel caso dei comatosi, o non hanno diritti o questi gli vengono assegnati per motivi speciali (come per rispetto a ciò che è normalmente un ricettacolo adeguato per queste capacità; per creare una barriera di protezione che impedisca errori o abusi in altri casi; in funzione dei diritti di altra gente, etc…). 2) Tuttavia per assegnare diritti non basta riconoscere certe capacità; bisogna considerarle, inoltre, di valore, distinguendole così da altre che non costituiscono fondamento di diritti. 3) Se qualcosa è di valore esiste il dovere di proteggerla e di espanderla, materializzando le condizioni dalle quali dipende tale protezione ed espansione. 4) La maggioranza, se non tutte, delle capacità umane da cui dipende l’assegnazione di diritti è condizionata dall’appartenenza a una società: essa ha bisogno di prendere in considerazione strumenti come il linguaggio, gli schemi concettuali o le istituzioni che sono inerentemente sociali. Il liberalismo può voler anche bloccare questo passaggio, sia mediante la limitazione delle capacità rilevanti a quella di sentir dolore o piacere, o sia attraverso il fatto di limitare il vincolo associativo con gruppi consensuali come la famiglia; però la capacità di sentenza sembra essere insufficiente per fondare un insieme ampio di diritti, che in ogni caso possono solo ridursi a una capacità ampia come quella di scegliere progetti di vita, e le associazioni consensuali non sembrano sufficienti a sviluppare le capacità rilevanti. La conclusione di questo ragionamento è, certamente, che l’assegnazione di diritti individuali presuppone il dovere di preservare i vincoli con la società che rende possibile lo sviluppo delle capacità di valore che soggiacciono ai diritti. Il liberalismo si contraddice quando dà priorità ai diritti sui doveri relazionati con la protezione della società che li rende possibili” (Nino, C. S., Liberalismo "versus" comunitarismo, op. cit., pp. 364-365).

ragioni di giustizia. Un sistema dove il contenuto essenziale di ogni diritto sia rispettato per ogni cittadino è mille volte migliore di un altro in cui si esalti il godimento di certi diritti molto più in là dei loro limiti essenziali a costo che un settore della popolazione veda conculcata la propria dignità129.