• Non ci sono risultati.

A UN VECCHIO DIAVOLO: LETTURA ASTROLOGICA DE “L‘ESORCISTA”

comune, la stessa cosa. E la paura, non è, in ultima analisi, paura del dolore? La stessa parola Diavolo (dal greco dià-ballo, separo) contiene in nuce l’es-senza di Saturno, che è anche separazione.

Una bambina di dodici anni, figlia di una nota attrice di cinema, è improv-visamente soggetta a turbe del comportamento che degenerano in uno stato patologico gravissimo e spaventoso. Parallelamente a ciò Padre Karras, un sa-cerdote sulla quarantina, affetto da tormentosi dubbi di fede, attraversa un pe-riodo di sofferenza a causa della perdita della madre. Il disturbo della piccola Regan assume pieghe via via più sinistre fin tanto che gli stessi psichiatri che l’hanno in cura suggeriscono alla madre di ricorrere ad un esorcismo in qualità di shock terapia. Le storie, a questo punto si intrecciano. Padre Karras viene impulsivamente chiamato dalla madre di Regan per praticare l’esorcismo. Per nulla convinto della «veridicità» del fenomeno, dopo una lunga e minuziosa raccolta di prove, si decide infine a chiedere il permesso alla Chiesa semplice-mente spinto dalla compassione verso la bambina che versa in condizioni fisi-che gravissime. Durante il rituale dell’Esorcismo vero e proprio Karras sarà «so-lo» l’assistente di padre Merrin, un anziano sacerdote-archeologo esperto della materia e, soprattutto, del Demone in questione. L’esorcismo, lungo ed este-nuante, in qualche modo, riuscirà a compiersi, ma Padre Merrin e Padre Karras pagano con la vita. Il primo, anziano e malato, ha un collasso cardiaco. Il se-condo si getta dalla finestra dopo avere preso il Diavolo in sé, avendo improvvi-samente intuito come questo sia il solo esorcismo praticabile.

Spesso il male di vivere

Vomito verde che sfida tutte le leggi di gravità. Solitamente è questa la prima immagine universalmente evocata alla menzione de L’Esorcista. Questa insie-me ad un altro tot di innominabili scene madri, dai più sensibili giudicate rac-capriccianti e dai più distaccati, quanto meno, grottesche. Tuttavia allo spetta-tore attento, oggi come nel 1973, non sarà sfuggito che le suddette innomina-bili sono per lo più fulminee (in termini di durata delle stesse) e rappresentano dei climax, delle scosse elettriche capricciosamente inserite all’interno di un film che è eminentemente drammatico, rigorosamente costruito sui dialoghi, e pure lento.

Il film inizia con uno scavo archeologico in Iraq, nei pressi di Ninive, dove Padre Lankester Merrin sta portando alla luce alcuni reperti archeologici. Dalle viscere della terra emerge una testina del Demone Pazuzu, simbolo del vento di Sud Ovest («suo dominio era la malattia qualsiasi condizione patologica»).1

Da qui il presagio. Merrin sente che dovrà ri-affrontare l’antico nemico, lui anziano e sofferente (da subito capiamo che è malato di cuore) a costo di un’improba fatica.

Si reca quindi nel deserto, per vedere la statua del demone, presagio del faccia a faccia che seguirà più tardi. E qui vediamo l’effigie del Demone-Ca-pro, che tanto ricorda la descrizione che Sicuteri dà del Capro del Sabba in

93 Casa Ottava

umani, la mano destra è alzata e due dita sono protese in segno magico… i piedi terminano in zoccoli di capra e dalle spalle si spiegano grandi ali nere aguzze»).2

Dall’Iraq la scena passa a Washington, nella casa in cui la star del cinema Chris Mac Neil vive con la figlioletta Regan, la segretaria-istitutrice Sharon e una coppia di domestici. La piccola famiglia al femminile (Cancro) vive in un’atmosfera piuttosto serena se non fosse che Regan passa parecchio tempo da sola e che il dei lei padre, assente,3ignora sia l’ex moglie che la figlia, di-menticandosi di telefonare a quest’ultima persino il giorno del suo complean-no. La bambina ha un compagno di giochi immaginario, con il quale comuni-ca attraverso una tavola chiama-spiriti: Capitan Gaio; comuni-cattiva scelta del dop-piaggio italiano, dal momento che nell’originale tale personaggio è Capitan Howdy e, guarda caso, il padre della bambina si chiama Howard. Questa tavo-letta chiama-spiriti è, con ogni probabilità, la porta attraverso cui passa il De-mone Pazuzu.

Ovviamente la lettura psicanalitica ci scappa, anche se non è mia intenzio-ne fare una lettura psicoanalitica del film, ma solo mitico-simbolica. Per la psi-cologia del profondo il Padre Assente (oppure un padre assente) diventa un Super Io (Saturno) sadico e parzialmente autonomo. Non ha alcuna importan-za il fatto che Blatty abbia intenzionalmente scritto un romanzo avente per og-getto una reale possessione diabolica. A Regan il Demone si presenta con il nome un padre che l’ha abbandonata. E questo, in termini mitici, è di per sé rilevante.

Sempre a Washington vive Padre Karras, sacerdote-psichiatra di origine greca, schivo, introverso, solitario. Da subito il suo personaggio ci comunica un vissuto di immenso dolore e travaglio interiore macerati silenziosamente e sopportati con grande dignità. Il gesuita medico è afflitto da dubbi circa la pro-pria fede. Anzi, di dubbi forse non ne ha più, semplicemente non «crede» o non ha mai creduto troppo. Forse (ma questo possiamo saperlo solo avendo letto il romanzo) ha scelto la Chiesa perché questa gli ha permesso di sfuggire ad un’infanzia di squallore e povertà, permettendogli di studiare nelle migliori uni-versità. Scegliendo la Madre Chiesa ha abbandonato però la sua madre vera, Maria, che vive da sola e in povertà a Hell’s Kitchen, uno dei quartieri più squallidi di New York. I sensi di colpa lo attanagliano, tanto che lo vediamo chiedere un trasferimento da Washington per potere stare più vicino alla ma-dre; ma non sarà necessario perché quest’ultima muore all’improvviso, la-sciando il figlio nel rimpianto e nel dolore di averla fatta morire sola. L’avere abbandonato la madre diventa progressivamente l’ossessione4 personale di Padre Karras, tanto che questa tematica si intreccia misteriosamente a quella della possessione diabolica attraverso un sogno che il sacerdote ha prima di essere chiamato in causa nelle vicende di casa MacNeil. Inoltre, durante gli ul-timi momenti dell’esorcismo, in una delle scene più drammatiche della pelli-cola, Karras semplicemente vede, al posto della bambina posseduta, la pro-pria madre, immobile, bianca, silenziosa come un’astrazione lunare. Poco do-po quest’immagine scompare e dalla bocca di Regan uscirà, con la voce di Maria, la frase accusatoria: «Perché mi fai questo Demi?».

Il peso della materia e il dubbio

Saturno è materia pesante e plumbea, condensata, coagulata dal principio fi-sico del freddo.

La prima manifestazione fisica del Demone Pazuzu è il freddo. La camera di Regan diventa, via via, sempre più fredda fino a raggiungere temperature insopportabili.

Il legame tra principio immortale, Spirito, e principio mortale, Materia è, come nell’ideogramma del pianeta, giocato a «sfavore» della seconda. Mentre in Giove c’è sintesi tra Spirito e Materia, felice assimilazione tra conoscenza della mente e conoscenza del corpo, in Saturno c’è una scissione tra le due istanze, che diventa antagonismo. L’unica ascesi attuabile dallo Spirito simbo-leggiato da Saturno può avvenire attraverso una paziente sopportazione della Materia, fino ad un progressivo sganciamento da essa.

Ne «L’Esorcista» avvertiamo costantemente come la materia, con la sua deperibilità e le sue declinazioni oltraggiose (il vomito, le lacerazioni, la puzza insostenibile nella camera dell’ossessa, il turpiloquio oscenamente offensivo) sia nemica della felicità, ostacolo imbarazzante verso un’idealizzata purezza. La materia, stigmatizzata dal corpo, è la prigione terrestre, tanto che i saturni-ni dubbi che fanno vacillare la fede di Padre Karras si coagulano intorno al «bi-sogno di sbranare il cibo e poi di defecare. L’ostinazione di mia madre

nell’os-95 Casa Ottava

servare la pratica religiosa dei “primi venerdì del mese”. I calzini puzzolenti».5

Mentre per Padre Merrin ciò che esce dalle viscere della terra durante lo scavo in Iraq sono «Resti umani. Ossa umane. Gli avanzi friabili dell’angoscia cosmica che in un tempo lontano lo avevano indotto a chiedersi se la materia non fosse Lucifero brancolante verso i cieli per tornare al suo Dio».6

Padre Merrin presenta, anch’egli, tratti marcatamente saturnini. È un ar-cheologo, un serio studioso, un uomo fondamentalmente solitario. Quando lo incontriamo è oramai molto anziano, ma sappiamo (attraverso la lettura del romanzo) che, in gioventù ha avuto, anch’egli, problemi di fede. Problemi do-vuti alla sua presunta incapacità ad amare il prossimo, capricornica mancanza di un’adesione emotiva spontanea, brillantemente superata attraverso una considerazione di pura logica, l’avere cioè capito come Dio non avrebbe mai potuto chiedergli di fare qualcosa di cui non fosse capace, ma semplicemente di comportarsi verso gli altri come se li amasse. La scelta del bene non è dun-que slancio emotivo del cuore, ma esercizio di volontà limpida e retta. E ades-so vediamo nei suoi gesti stanchi verades-so chi ades-soffre «un’infinita tenerezza».7Il Ca-pro si è fatto Pesce, ma a lungo il suo cuore è stato duro, sigillato, tanto che nel suo caso gli attacchi del Demone sono rivolti alla sua presunta protervia.

In ogni caso è decisamente Damian Karras a presentare i tratti più spicca-tamente saturnini. «Come mai uno spremi-cervelli ha deciso di farsi prete?» gli domanda Chris al loro primo incontro, «Al contrario», risponde questi, «sono i Gesuiti che mi hanno fatto studiare medicina». Da queste brevi battute

possia-mo intuire quale sia stato il reale iter formativo di Padre Karras, un uopossia-mo pro-veniente da un’infanzia di immensa povertà e che si fa strada nel mondo con lucido realismo, ma anche attraverso, come si è visto, la rinuncia agli affetti, quanto meno quelli femminili (il femminile appellativo della Madre Chiesa è in realtà una sublime astrazione dal momento che la Chiesa è una comunità pa-triarcale, in cui tutti i vertici del potere sono occupati da uomini e dove le don-ne non sono contemplate se non come sorelle, appunto le Suore).

E a tratti pare davvero essere lui il bersaglio «prediletto» dal Demone. Pa-dre Karras è afflitto dalla proverbiale sindrome di San Tommaso. Si trova nel bel mezzo di una crisi spirituale, crisi motivata da un eccesso di razionalismo fagocitante che, letteralmente, gli impedisce di sentire, nonché di credere a qualsiasi cosa cada al di fuori delle sue, per altro ottime, facoltà logiche. La materia (mater) greve, squallida e deforme lo assilla con le sue meschine ne-cessità, mentre il Dio Padre Spirito è completamente muto, assente. Non dà Segni. E all’improvviso la provvida sventura bussa alla porta di quest’uomo disperato sotto forma, niente meno, di una dodicenne ossessa che gli fa l’in-commensurabile favore di condurre lo Spirito alla portata dei suoi sensi vomi-tandogli (letteralmente) in faccia la Verità. Ma non ci sono mai abbastanza Se-gni per Damian Karras. Non sono sufficienti le piaghe sul corpo di Regan, le sue parole criptiche dense di malvagia saggezza. A tutto c’è sempre una spie-gazione razionale, persino ai mobili che si spostano, fenomeno scientificamen-te inscientificamen-terpretabile come scientificamen-telecinesi. E chiaramenscientificamen-te il Diavolo fa bene il suo me-stiere, dal momento che non fa che alimentare i dubbi di Karras facendosi bef-fe dei suoi scrupoli pedanteschi. I mostri, in questo caso, non sono generati dal sonno della ragione, bensì da un eccesso di veglia. Alla dubbiosità razioci-nante del prete cattolico si contrappone la pura istintività lunare della madre, per altro atea, della bambina. Chris pur non avendo avuto mai alcuna creden-za religiosa è assolutamente convinta che la figlia non sia impazzita, ma pos-seduta dal Demone («Se io vedessi un suo doppione, stesso viso, stessa voce, tutto quanto, sentirei che non è Regan, lo sentirei dentro.»)

L’accumulo, da parte di Karras, delle prove per la verifica della possessio-ne diventa minuzioso e interminabile. A poco serve anche che Chris gli con-fessi che Regan sia probabilmente responsabile persino di un omicidio. Alla fi-ne Karras si decide per l’esorcismo solo spinto dalla compassiofi-ne verso la bambina e si reca dunque a chiedere il permesso al Vescovo.

Questi gli domanda: «Lei è convinto che sia tutto vero?».

La risposta ovviamente è: «Non lo so. Non proprio. Suppongo. Devo dire

però che il mio giudizio prudente è che sussistono le condizioni prescritte dal ri-tuale».

La scala e il Capro

L’ascesi di Padre Karras, che poi altro non è che una sorta di calvario scandito in tappe di sofferenza progressiva, è però anche conquista di una fede-sintesi (è solo nel momento in cui prende il Diavolo in sé che Damian crede). Questa

97 Casa Ottava

conquista avviene però al prezzo del sacrificio supremo. Nel momento in cui il Demone passa nel corpo di Karras, questi deve compiere uno sforzo di volon-tà incredibile per dominare ciò che ha dentro di sé e per non diventare a pro-pria volta strumento del male, deve distruggere il proprio corpo, quindi si getta dalla finestra, ruzzolando per la lunghissima (e da allora arcinota) scala. E non è nemmeno il primo ad aver percorso tale scala in discesa, dal momento che il Demone ha ucciso anche il regista Burke Dennings, amico di Chris, facen-dolo precipitare dalla scala, dopo avergli girato la testa al contrario. Ma la te-sta di Damian non è al contrario, perché lui ha vinto il male. Padre Karras, sui-cidandosi, si fa dunque Capro Espiatorio, accoglie tutto il male in sé andando a morire da solo. Come in fondo Capro (nel senso di pretesto) è stata Regan. Sappiamo che i cattolici, in caso di possessione, non considerano intaccata la volontà dell’ossesso; e dai furibondi attacchi del Demone risulta chiaro che i veri bersagli della possessione sono tutti coloro i quali, assistendo impotenti all’episodio, se ne sono fatti una colpa.

L’archetipo del parricidio

Saturno contiene in sé l’archetipo del parricidio, avendo decisamente attentato alla vita di Urano attraverso una manovra riuscita di castrazione. Ancora lungi dal volere adottare l’interpretazione analitica, è pero impossibile non notare

che le morti disseminate per il film sono tutte di personaggi maschili, due dei quali portanti a buon diritto l’appellativo di Padre. Burke Dennings, il simpati-co regista ubriasimpati-cone amisimpati-co di Chris, non è molto paterno né tantomeno asce-tico, ma commette l’imperdonabile delitto di frequentare troppo casa MacNeil instillando il dubbio, nella mente di Regan, che la madre abbia intenzione di sposarlo.

A proposito di parricidio, comunque, sarebbe interessante chiedere a Wil-liam Peter Blatty come mai abbia scelto di dare alla protagonista del suo ro-manzo il nome di una delle due figlie malvagie di Re Lear, Regan appunto, rea, nella tragedia shakespeareana, insieme alla sorella, di avere fatto impazzire il padre e di averne quindi, indirettamente, cagionato la morte. E che si tratti proprio di quella Regan e non di altre ce lo conferma Blatty stesso tra le righe del romanzo. Mentre pensa con tenerezza alla figlia Chris si dice: «C’è mancato poco che la chiamassi Goneril!», appunto come la shakespeariana sorella di Regan.

Da non dimenticare infine un particolare interessante, seppure un po’ ozio-so; prima di essere affidata a Padre Karras Regan viene visitata da un innume-revole stuolo di psichiatri, tutti più o meno presi a insulti e percosse. Tra co-storo spicca, per eccesso di sventura, uno psichiatra ipnotista ridotto all’impo-tenza (eh si) dalla mano assassina di Regan che gli afferra, per l’appunto, i te-sticoli stringendoglieli in una morsa lancinante, dopo che questi ha cercato di ipnotizzarla.

«Nel tempo»

Padre Karras è in camera di Regan durante la fase di raccolta delle prove. Im-provvisamente un cassetto schizza fuori dal comodino. Per Karras è un barlu-me di speranza, un possibile segno in grado di fugare i suoi dubbi; così incita il Demone: «Fallo di nuovo!». La risposta, senza ammissione di repliche, eppure sibillina è: «Nel tempo. Mirabile dictu, non trovi?».

Davvero straordinario a dirsi. Appunto, quale tempo?

Nel film il tempo si arresta, si de-struttura, smarrendo la sua caratteristica essenziale, la consequenzialità tra gli effetti e le cause. Cosa sveglia il sonno del Demone? Non la profanazione della terra in cui riposa, perché dentro que-sta terra Padre Merrin, prima che tutto abbia inizio, trova un oggetto davvero assurdo, una medaglietta d’argento contenente l’effigie di San Giuseppe. La medaglietta di San Giuseppe (appartenente a Maria Karras!) è il misterioso filo rosso che lega tutti i personaggi del film, passando, senza alcuna logica, dalle mani di Merrin, a quelle di Karras, a quelle di Regan8

Se la medaglietta era già nella terra, era dunque lì per farsi trovare. Se es-sa è un filo rosso che lega, ante litteram, tutti i personaggi chiave del film, la sua presenza non può non evocare l’arcana presenza del Destino che, in ulti-ma analisi, è completamente insondabile. Il primo segno che Merrin coglie, mentre è ancora in Iraq, è il tempo che si arresta. L’orologio a pendolo nella stanza del sovrintendente agli scavi si ferma. Questo orologio, insieme alla

99 Casa Ottava

medaglietta di San Giuseppe, compare anche, misteriosamente, nel citato so-gno di Karras, sequenza cinematografica di bellezza onirica veramente rara, genialmente inserita a metà dell’azione e che condensa, in pochi attimi, pre-sente (la scomparsa di Maria e la presenza del Demone), passato (l’orologio che si arresta in Iraq) e futuro (la medaglia che, cadendo sui gradini della sca-la, presagisce la morte di Damian).

Il Bianco e il Nero

«L’Esorcista» è un film a colori, come ben sa chi ne detesta le punte grandgui-gnolesche. Tuttavia ha innegabilmente due dominanti cromatiche, che sono il bianco (lunare) e il nero (Saturno e Plutone).

Non è raro trovare negli horror di qualità un uso preferenziale di questi due colori, ma nel film in questione la dialettica cromatica è fortissima. Abbiamo scene in cui i volti degli attori sono maschere bianche che si stagliano sullo sfondo nero che pare inghiottirle, altre in cui il bianco è dominante. I colori so-no antitetici, ma il risultato che producoso-no è analogo, inquietaso-no. Non è diffi-cile collegare il nero (e spesso il grigio scuro) ai temi di pesantezza e di dolore cupo che il film costantemente sottintende. Ma che dire del bianco? Non mi ri-mane che citare Melville, a proposito della bianchezza di Moby Dick, caratteri-stica che rende spaventosa la creatura perché essa sembra essere «il simbolo più significativo delle cose spirituali, anzi, l’autentico velo della divinità cristia-na, e dall’altro debba essere, com’è, l’agente catalizzatore nelle cose che più atterriscono l’umanità. È forse perché essa, nella sua indefinitezza, adombra il nulla insensibile e l’immensità dell’universo e così ci pugnala alla schiena con il pensiero dell’annichilimento…».9

Saturno (in Cancro) e Plutone (in Bilancia) e l’Ossessione

Se L’esorcista potesse avere un Tema Natale, la sua data di nascita sarebbe il 26 Dicembre 1973. La prima del film è avvenuta a Los Angeles in tale giorno. Non credo sia una forzatura eccessiva attribuire questa data di nascita al film, perché così come una creatura vivente, prima di venire alla luce, ha avuto un concepimento e una gestazione, allo stesso modo un prodotto artistico ha su-bito lo stesso processo. Tanto più una proiezione cinematografica, per sua na-tura destinata ad un battesimo attraverso una presentazione al collettivo. Af-finché comunque la forzatura non divenga eccessiva davvero, aggiungerei sol-tanto che L’Esorcista è un Sole Capricorno opposto a Saturno in Cancro e quadrato a Plutone in Bilancia.

Più interessante è invece, a mio avviso, cercare di considerare che cosa mai sia potuto entrare in risonanza così intensa col collettivo, dal momento che, è noto, il film ha provocato una serie infinita di polemiche, ha avuto un incredibile successo al botteghino e, soprattutto, ha provocato fenomeni so-ciologicamente interessanti: le famose estenuanti code davanti ai cinema, le ambulanze chiamate a soccorrere gli spettatori che stavano male, le censure,

le deliranti accuse della critica (almeno la nostra) di essere un film reazionario