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Quando si fa un consulto occorre saper trovare la modalità per arrivare

Sintesi a cura di Nazarena Marchegiani

4. Quando si fa un consulto occorre saper trovare la modalità per arrivare

a quello che la consulenza si propone come scopo: ovvero riuscire a far com-prendere delle cose ad una persona che non le ha ancora messe a fuoco, per fare in modo, dopo il colloquio, si conosca di più e ne esca dunque arricchita.

La comunicazione

Prendendo spunto dalla Terapia della Famiglia, che è appunto una terapia relazionale, è molto importante sottolineare alcune caratteristiche della comu-nicazione tra due persone.

La premessa della comunicazione si può racchiudere nella frase “non si

può non comunicare”. Questo significa che sia il consulente che il consultante

di informazioni, anche se, a volte, queste sono fatte di silenzi, di sospiri, di ge-sti, di tensioni e non di parole. La comunicazione è uno scambio di informazio-ni a diversi livelli e non solo: la comuinformazio-nicazione assume anche la funzione di re-golazione sociale stabilizzando o modificando le relazioni fra gli individui. Que-sto è molto importante perché, dopo un consulto, le due persone che hanno interagito non sono più le stesse.

Per questo il tema della comunicazione in consulenza è importantissimo in quanto è il solo mezzo di cui le persone dispongono per definirsi nel loro com-portamento sociale; attraverso una comunicazione “competente”, infatti, c’è la possibilità di influenzare l’altro in modo incisivo tramite sottili interazioni che so-no atte a modificare, attimo dopo attimo, la propria posizione rispetto all’altro.

È da notare che quando ci si sente in sintonia con la persona che si ha di fronte, accade una sorta di imitazione involontaria in cui uno riflette i gesti del-l’altro – gesti impercettibili quali il respiro, l’avvicinarsi o l’allontanarsi dalla scrivania con il busto, il muovere le mani, ecc. – e tutto ciò accade quando ci si trova in sintonia emotiva ed empatica, mentre viene completamente evitato quando si ha con l’altro una sensazione di estraneità. Quindi è importantissi-mo il tipo di comunicazione che i consulenti danno alla persona che hanno di fronte, anche perché, insieme ad una serie di informazioni verbali chiare, si passano una infinità di messaggi di cui spesso non si ha consapevolezza.

Quando si entra in relazione è importante dunque sapere che ci deve esse-re la consapevolezza di esseesse-re in contatto e in ascolto esse-reciproco e che si tratta di una comunicazione “analogica”, ovvero di una interazione che passa attra-verso i due canali verbale e non verbale. Questo tipo di comunicazione è ab-bastanza semplice fra due persone che condividono lo stesso patrimonio cul-turale ma è difficilissima quando non si ha questo background comune, poi-ché mentre il codice verbale può anche essere conosciuto, quello non verbale risulta diverso e quindi si può avere la sensazione della non sintonia.

È importante sottolineare che madre natura ci ha dotato di disposizioni in-nate alla relazione, a diversi tipi di relazione, ed ogni disposizione ha una sua propria meta relazionale. Queste disposizioni innate, questo “sapere come” fa-re per procurarci ciò di cui abbiamo bisogno, si esprimono in schemi compor-tamentali ed emozionali che prescindono dal linguaggio. Rappresentano un primitivo e innato bagaglio di comportamenti proficui che i nostri antenati ci hanno trasmesso e con i quali possiamo, verosimilmente, confrontarci costrut-tivamente (se tutto va bene) con l’ambiente in cui nasciamo. Ambiente da cui riceveremo risposte che genereranno a loro volta altri comportamenti, ed emozioni poi inscritte anch’esse nel nostro corredo genetico.

Possiamo anche pensare, per comprendere meglio, agli archetipi dell’in-conscio collettivo che Jung ci ha descritto essere base e funzionamento della comunicazione. L’inconscio collettivo, con i suoi archetipi, ha trovato un ri-scontro sperimentale nella psicologia evoluzionista. Quest’ultima, con le sue osservazioni sul campo ci ha mostrato come questo inconscio collettivo, o co-noscenza innata implicita, si esprima in tutti gli esseri viventi e in tutte le cul-ture in modo pressoché universale.

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Dunque, queste predisposizioni innate a vari tipi di relazione – chiamate, in psicologia cognitiva, sistemi motivazionali – contengono delle rappresentazioni psichiche che ci permettono di comunicare e di capirci. Comprendiamo il si-gnificato di un sorriso o di un tono di voce o di un atteggiamento minaccioso. Non abbiamo bisogno di apprenderlo: ogni bimbo sa che se la mamma allarga le braccia vi si può rifugiare dentro con fiducia, il neonato sa come chiamarla quando ha bisogno di lei appena viene al mondo e la madre sa come rispon-dere al bimbo per accudirlo nel migliore dei modi; ogni innamorato si tiene per mano; ogni guerriero guarda con durezza il nemico, ecc. ecc… Questo avvie-ne, naturalmente, a meno che un ambiente ostile o invalidante non ci abbia messo lo zampino.

È interessante mettere in evidenza che ogni sistema motivazionale – e que-sto è il frutto delle più recenti ricerche in campo neuro-fisiologico e della psi-cologia sperimentale – è attivato da fattori specifici e corredato da emozioni specifiche, non intercambiabili, che sono i migliori aiuti che la natura abbia sa-puto darci per il conseguimento della meta appartenente a quel sistema. Ad esempio: il sistema antagonista è attivato dalla percezione che una risorsa è li-mitata, da un atteggiamento ostile e aggressivo di un’altra persona nei nostri confronti, oppure quando veniamo colpevolizzati, ridicolizzati o sottoposti a giudizio. In questi casi ci mettiamo immediatamente in una posizione difensi-va, l’organismo risponde istintivamente con emozioni di rabbia, se non odio, di sospetto, di chiusura. Ecco perché in un ambiente critico (la critica non è l’os-servazione affettuosa ed intelligente), il bambino crescerà inconsapevole del proprio valore, senza autostima e coverà rabbia e risentimento, emozioni che tra l’altro gli impediranno quell’apertura necessaria a compiere atti creativi e proficui per la propria realizzazione.

È chiaro che il sistema antagonista che ci prepara a lottare non è il più adatto ad una relazione di consulenza! La comprensione delle nostre ed altrui emozioni ci avverte dunque in quale tipo di relazione siamo. Così appare fon-damentale saper discriminare nel grande oceano emozionale e saper tenere le nostre emozioni e quelle degli altri in grande considerazione. Questo è molto importante in una relazione di consulenza poiché si può avere una sorta di continuo monitoraggio di che cosa si sta ‘innescando’ in un preciso momento ed eventualmente correggerlo.

È la motivazione innata inscritta nel nostro corredo genetico che, dato un obiettivo comune (e solo in questo caso) e in presenza di ambiente sicuro (il luogo della consulenza per esempio), ci spinge verso la cooperazione attivan-do in noi emozioni quali empatia, condivisione, lealtà, fiducia, gioia (osserva-zioni etnologiche sull’attivazione del sistema cooperativo sono state fatte an-che sugli animali). Definire un obiettivo comune diventa infatti indispensabile per instaurare un clima di collaborazione e di empatia, clima che può rappre-sentare la migliore garanzia di onestà (rispetto al riversare i nostri bisogni e i nostri vissuti emotivi) nella relazione perché si crea così la condizione di guar-dare la stessa cosa fianco a fianco e questo inibisce la competizione e il gioco di ruoli legati ad altri sistemi. Un clima di cooperazione (non più “io” o “tu”,

ma “noi”) è l’ideale per un proficuo lavoro di esplorazione e di conoscenza. È la modalità che fa lavorare meglio la nostra memoria operativa.

Chiunque di noi si senta sotto giudizio non può esplorare liberamente tutte le proprie potenzialità e quindi, nel caso di una consulenza astrologica, per esempio, è difficilmente in grado di accogliere alcune interpretazione dei sim-boli della propria carta. Non si tratta tanto di difesa, quanto di una impossibili-tà ad accedere attraverso la percezione e la meta-cognizione a quelle parti di sé che il consulente cerca di mostrare.

Se vogliamo che il cliente esca dalla consulenza con una consapevolezza, ed anche fiducia e serenità, più ampia di quando è entrato (credo che lo scopo della consulenza sia questo), dobbiamo attivare il sistema cooperativo attra-verso vari accorgimenti, di cui il primo e il più importante è un obiettivo co-mune liberamente e consapevolmente condiviso, intorno al quale ruoti tutta la consulenza e che in quel contesto non venga mai tradito o disatteso (questo sta alla preparazione e alla capacità del consulente perché il consultante spes-so vaga di qua e di là), perché questo, anche se non a livello conscio, chiude immediatamente il clima che si è instaurato e introduce il sistema antagonista. Quindi se durante il corso della consulenza l’obiettivo cambia è necessario che venga esplicitato e venga trovato un altro accordo comune.

Il linguaggio

Secondo il filosofo del linguaggio Grice, quattro sono le caratteristiche al-la base delal-la coerenza di una interazione colal-laborativa; quattro criteri o prin-cipi a cui è necessario attenersi se si desidera produrre un clima di collabora-zione.