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89 Casa Ottava

Allora, superando ogni tabù, egli s’inchinò, rese omaggio al fuoricasta ed implorò da lui l’insegnamento. Il crematore di morti, evitato perfino dai sudra (rappresentanti delle cosiddette caste inferiori), così continuò:

“Padre santo, tu sei nato in una famiglia di maestri, il tuo cammino sembra facilitato da tale nascita; eppure, sei insoddisfatto perché non hai compreso il mistero del tuo progetto di vita. Se vuoi afferrarlo, cerca il maestro del Tempo. Mio puro sacerdote, senza essere stato studente, tu sei diventato maestro, per-ciò non ti conosci. Tu sei nato in una famiglia di brahmini, dove recitare i man-tra, adorare le Divinità e leggere i libri sacri, sono attività abituali e tradizionali, quasi una routine. Fino ad oggi, tu hai usato, passivamente, gli strumenti di consapevolezza, ereditati sin dalla tua nascita, senza aver prima esplorato la tua natura e la tua ombra. In questo momento, stai comprendendo che i man-tra e le pratiche, anche se illuminano i periodi dell’attesa, rendendoli attivi, so-lo in rarissime occasioni, accelerano i tempi della Liberazione. Guarda alla tua sinistra: vi sono dodici pire, le prime undici sono ormai spente, la dodicesima è ancora fumante. Le prime hanno consumato il karma di vite ormai integrate; la dodicesima è la montagna del tuo karma residuo”.

L’astrologo guardò le pire e comprese, subito, il secondo concetto karmi-co: l’accettazione attiva degli strumenti trovati alla nascita. Il suo pensiero re-stava fisso, però, sull’intento di trovare un nuovo mantra per liberarsi dai bloc-chi karmici e conoscere il mistero cui anelava. Così, egli prese a discutere con l’intoccabile, cercando di convincerlo a rivelargli una formula sacra, capace di accelerare i tempi del suo percorso di liberazione. E tra una discussione e l’al-tra, trascorsero altri ventinove anni. Alla fine, sebbene a malincuore, il fuorica-sta scelse per il brahmino il più potente dei mantra e avvicinandosi, gli sussur-rò le ventisette sillabe segrete della Madre divina. Ogni sillaba corrispondeva ad una Nakshatra, ossia un’Abitatrice del disco lunare.

Jyotnath non perse tempo. Andò ai piedi della pira fumante, si sedette nel-la posizione del loto, s’immerse in una profonda meditazione e… miracolo, do-po 16 notti di Luna, vide innanzi a sé la Madre divina in tutto il suo splendore. Ella era venuta a svelargli il terzo mistero karmico e ad offrirgli lo strumento della liberazione: la falce argentea. L’astrologo, allora, accorgendosi che inve-ce di provare gioia, era scosso da una profonda collera, incominciò a gridare:

“Madre crudele, sei qui, finalmente. Ti ho invocato per anni e tu mi appari, solo adesso che sono vecchio, stanco e privo d’energie. Sono in collera con te e vorrei vederti trasformata in cristallo, così come di cristallo è stato il tuo cuore, sino ad oggi.”

Con sua grande sorpresa, la Dea si cristallizzò ed egli s’accorse d’aver per-so la grande occasione della vita. Si sentì disperato, sconfitto e non ebbe più voglia di vivere. Poi, dall’alto della pira fumante, riapparve il senza nome, in tutta la sua terrifica apparenza. Appoggiandosi ad un bastone di bambù, egli così disse al sacerdote:

“Vecchio maestro venerando, dopo di me, anche la dolce Signora ti stava mostrando lo strumento del mistero karmico: la falce argentea del ciclo di luna-zione. Vedi, non c’è frutto che possa maturare, prima della sua stagione e se

in-sisti nel coglierlo, prima del tempo necessario, allora dovrai mangiarlo acerbo e soffrire, a causa dell’indigestione”.

Jyotnath si sentì, inesorabilmente, perduto. Allora, decise di salire sulla pi-ra funebre per consumarsi insieme al fuoco, sino a tpi-rasformarsi in cenere. L’intoccabile lo fermò, annunciandogli che voleva parlargli, ancora una volta:

“Non disperare, profeta. Lascia il doloroso passato. Accetta l’errore racchiuso nella statua, nata dalla tua collera e dall’impazienza. Trasforma il frutto dell’er-rore in saggezza. Abbi il coraggio di cominciare un nuovo ciclo. Prendi la statua, poi curala, guardala, ascoltala, toccala, tramutala nella tua stessa madre”.

E il sacerdote così fece.

Trascorsero altri dodici anni. Un giorno, egli decise di interpretare l’ultimo oroscopo, il suo tema di morte. Prendendo coscienza che i suoi giorni volge-vano al termine, Jyotnath fu preso da un profondo e acuto dolore: chi avrebbe continuato a curare la sua Madre di cristallo?

Mentre sprofondava nello sconforto, riapparve l’abitante dei cimiteri. Il vec-chio Jyotnath lo guardò negli occhi e in un baleno, superando il gioco delle apparenze, ebbe la sacra visione: dietro l’aspetto terrificante di colui che risie-deva nella necropoli maleodorante, si era celato per lui, giocando il ruolo del fuoricasta, il Grande maestro, Sani-Saturno.

L’astrologo pianse e le sue lacrime bagnarono, interamente, la statua. La Signora di cristallo, incominciò a tremare, a muoversi e a respirare. Dal blocco cristallino, emerse la Dea, l’antica discepola di Saturno. Ella corse a danzare sulla dodicesima pira. Anche il vecchio sacerdote salì sulla pira e ritmando i suoi passi al suono dei campanellini, legati alle cavigliere della Madre divina, s’immerse nella sua ultima danza. E così, mentre si accingeva a cadenzare l’ultimo passo, comprese il terzo mistero del karma, quello personale che re-sta unico e irripetibile per ognuno.

Intanto, Sani-Saturno sollevando al cielo la falce lunare, riprese il suo cam-mino.

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L.A. 138-840

Per la verità, il sottotitolo dell’edizione italiana del bellissimo «Saturno» di Liz Greene, tradotto da Enzo Acampora, recita: «anatomia astrologica di un piane-ta», al posto di quel «A new look at an Old Devil» che in fondo spinge l’imma-ginazione del lettore verso lidi diversi. Lo «sguardo nuovo» nell’italiano diventa «anatomia», e il «Vecchio Diavolo» (le maiuscole hanno il loro peso archetipi-co) diventa «un pianeta».

Traduzione senza dubbio democratica, dato che Saturno è soltanto uno dei pianeti ad oggi conosciuti, ma che forse non sottolinea a sufficienza come per Liz Greene Saturno sia, in fondo, il Pianeta, ricettacolo di tutte le proiezioni ne-gative. Anche solo tenendo conto del fatto che, nella brillante intuizione del-l’astrologa, è facile considerare nella simbologia di Saturno la polarizzazione opposta, non solo dei cosiddetti benefici, ma di tutti quanti i simboli, per così dire, vitali.

Saturno è indubbiamente raggelante e rappresenta in un certo senso dav-vero l’antitesi, misteriosa e cupa, dell’emozione lunare, della vitalità solare, della vivacità mercuriale, dell’oblatività venusiana, dello slancio marziale, e, ovviamente, dell’espansività gioviana. Liz Greene aggiunge: l’emozione ad es-so più immediatamente ases-sociata è la paura.

Certo è che, al giorno d’oggi, di Diavoli paurosi ne abbiamo quanto meno due, dato che Plutone è (si fa per dire) sotto gli occhi di tutti. Ma Plutone, in fondo seduttivo Signore del regno dei Morti e tenebroso rapitore è, per l’ap-punto, più fascinoso e meno inviso di Saturno. Se da una parte è vero che il tema dell’ossessione, che è appunto il nostro, è faccenda sia plutonica che sa-turnina, d’altro canto, da un’attenta anatomia cinematografica, risulterà abba-stanza chiaro come i sentimenti di terrore che L’esorcista ha da sempre susci-tato siano il risulsusci-tato di una condensazione di angosce archetipiche. Angosce derivanti non tanto e non solo dall’arcano timore verso l’invisibile, ma dall’in-tollerabile peso del visibilissimo dolore umano, un dolore che è il sotterraneo leit motiv del film e del romanzo da cui è stato tratto. Dolore generato da una serie di assenze, di mancanze e di presunte colpe, talmente pesante ed indici-bile da stigmatizzarsi in un fenomeno eminentemente soprannaturale e stra-or-dinario, la possessione diabolica. Dolore e male sono, anche nel linguaggio

Maddalena Patti