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L’adeguatezza della misura di sicurezza rispetto al caso concreto

4. Gli automatismi legislativi e la loro adeguatezza rispetto al caso concreto

4.1. L’adeguatezza della misura di sicurezza rispetto al caso concreto

La prima pronuncia che merita di essere richiamata è la nota sentenza n. 253 del 2003134, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 222 c.p., nella parte in cui non consentiva al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale.

In tale occasione lo scrutinio di costituzionalità ha investito l’idoneità della misura di sicurezza, vale a dire la sua adeguatezza rispetto alla specifica fisionomia del caso concreto e ciò in parte è stato merito anche dell’ordinanza di rimessione che ha denunciato proprio il «rigido automatismo della regola legale», che imponeva al giudice di applicare una determinata misura di sicurezza, nello specifico il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario135.

Il giudice, infatti, era costretto ad applicare tale misura anche quando questa non era adeguata alle caratteristiche del soggetto, alle sue esigenze terapeutiche e al livello della sua pericolosità sociale136. E in ipotesi per le quali la più elastica e non segregante misura della libertà vigilata poteva soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale137.

Il rigido automatismo applicativo poteva, infatti, rivelarsi, in concreto, lesivo del «necessario equilibrio fra le diverse esigenze che deve invece necessariamente

134 Sulla sentenza si vedano i commenti di A. FAMIGLIETTI, Verso il superamento della “pena manicomiale”, in Giur. cost., 2003, 2118 ss.; T. GROPPI, La sentenza n. 253 del 2003: la Corte e il «diritto mite», in www.forumquadernicostituzionali, 29 luglio 2003; M. MINNITI; La Consulta apre la strada a misure più flessibili rispetto all’OPG. Malattia psichica e giustizia, un problema irrisolto, in Dir. Giust., 2003, n. 32, 74 ss.

135 Ed è stato proprio ciò – come ammette essa stessa – a permettere alla Consulta di poter finalmente intervenire in materia. In precedenti occasioni la Corte non aveva potuto accogliere la questione di legittimità costituzionale poiché si era «trovata di fronte a questioni volte o ad un intento meramente caducatorio, il cui accoglimento avrebbe condotto ad un vuoto di tutela, o più spesso a richiedere la introduzione di una nuova disciplina di creazione giurisprudenziale, non ancorata a contenuti normativi già esistenti: così che essa si è indotta a pronunciarne la infondatezza, o più spesso la inammissibilità, vuoi perché non disponeva degli strumenti necessari per intervenire nel senso indicato, vuoi perché le questioni prospettavano profili di fattuale inadeguatezza delle strutture di ricovero più che di inadeguatezza delle previsioni normative», così cons. dir. punto 2.

136 Per riportare le parole della Corte, cons. dir. punto 3: «ciò che viene denunciato come incostituzionale è il vincolo rigido imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva […] anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante […] appaia capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale».

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caratterizzare questo tipo di fattispecie, e persino tale da pregiudicare la salute dell'infermo».

Rilevata l’impossibilità di dichiarare l’incostituzionalità secca della misura dell’ospedale psichiatrico giudiziario per gli infermi di mente, seppure viene riconosciuto che il trattamento riservato all'infermità psichica grave non sia soddisfacente «specie quando è incompatibile con l'unico tipo di struttura custodiale oggi prevista», la Corte si preoccupa, pertanto, di rendere la regola legislativa adeguata al caso concreto e fa ciò ponendo quale nucleo della sua argomentazione la concreta lesione del diritto alla salute. È come se la Consulta avesse affermato: “non posso intervenire sulla regola generale e astratta, ma posso fare in modo che questa, se deve rimanere nell’ordinamento sia, almeno, adeguata a tutelare gli interessi costituzionalmente rilevanti che devono trovare composizione nel singolo caso concreto”.

Rispetto alle decisioni analizzate finora, qui emerge in modo inequivocabile la tensione che si instaura fra la previsione astratta, ovverosia la regola legislativa, e le esigenze del caso concreto; o meglio: l’influenza che il caso esercita sulle formulazioni legislative. Ciò si evince anche dalle espressioni utilizzate dalla stessa Corte: «appaia capace in concreto», «appaia idoneo in concreto», «può rivelarsi in concreto lesiva» e, soprattutto, «la legge qui adotta un modello che esclude ogni apprezzamento della situazione».

Argomentazioni che saranno riprese nella sentenza n. 367 del 2004138, in cui viene dichiarata l’incostituzionalità, per il contrasto con il principio di ragionevolezza e il diritto alla salute, dell’art. 206 c.p. nella parte in cui prevedeva l’ospedale psichiatrico giudiziario come unica misura provvisoria applicabile.

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La Corte, infatti, afferma nel cons dir. punto 4 che «le argomentazioni svolte dalla sentenza n. 253 del 2003 nel censurare il rigido automatismo che caratterizzava l’art. 222 c.p. e le conclusioni circa la violazione del principio di ragionevolezza e del diritto alla salute si attagliano, a maggior ragione, alla disciplina dell’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, posto che sarebbe irragionevole precludere al giudice l’applicazione in via provvisoria di una misura non detentiva consentita invece in via definitiva». Su questa sentenza si vedano i commenti di M.T. COLLICA, Ospedale psichiatrico giudiziario: non più misura unica per l’infermo di mente adulto e pericoloso, in Dir. pen. e proc., 2004, 303 ss.; F. DELLA CASA, La Corte costituzionale corregge l’automatismo del ricorso provvisorio nella struttura manicomiale promuovendo la libertà vigilata al rango di alternativa, in Giur. cost., 2004, 3998 ss.; F. MINNITI, I disabili mentali, i giudici e la comunità: resta il nodo della misura di sicurezza, in Dir. Giust., 2004, n. 46, 14 ss; F. TRIULZI, Infermità di mente e misure di sicurezza non detentive, in Dir. pen. e proc., 2005, 427 ss.

Gli automatismi legislativi nella giurisprudenza costituzionale

Ed anzi quanto affermato nella sentenza n. 253 del 2003 vale a maggior ragione in questa ipotesi – come afferma la Corte – poiché la norma oggetto di scrutinio atteneva ad una «fase processuale in cui – proprio alla luce della non definitività degli accertamenti sul fatto – assume particolare rilievo, in relazione alle condizioni di salute dell’indagato infermo di mente, l’esigenza di predisporre forme di cura e cautele adeguate e proporzionate al caso concreto, mediante interventi caratterizzati da flessibilità e discrezionalità, incompatibili con l’automatismo che contrassegna la disposizione in esame»139.

Merita di essere qui ricordata, per poi essere oggetto di più approfondita analisi più avanti, anche la sentenza n. 208 del 2009140, con la quale la Corte ha rigettato la questione di legittimità costituzionale, in quanto non era stato esperito il tentativo di interpretazione conforme, reso possibile dalla presenza in materia del «principio secondo il quale si deve escludere l’automatismo che impone al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà vigilata, accompagnata da prescrizioni stabilite dal giudice medesimo, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale». La decisione, quindi, seppur formalmente di rigetto, conferma quanto affermato dalla Corte nelle due decisioni precedenti, vale a dire la necessità che il giudice valuti la misura da adottare al fine di soddisfare il necessario equilibrio tra le esigenze del caso concreto.

Nel 2014 il Legislatore è intervenuto sulla materia con la legge 30 maggio 2014 n. 81141 e, come è noto, l’intervento normativo ha apportato generali e rilevanti modifiche in materia di misure di sicurezza: il definitivo superamento degli OPG142, il principio

139 Cons. dir. punto 4.

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A commento della sentenza si vedano per tutti F. MODUGNO, Inammissibilità della quaestio legitimitatis per omessa interpretazione costituzionalmente conforme e bilanciamento in concreto di diverse esigenze costituzionali, in Giur. cost., 2009, 2405 ss.; G.U. RESCIGNO, Del preteso principio secondo cui spetta ai giudici ricavare principi dalle sentenze della Corte e manipolare essi stessi direttamente le disposizioni di legge per renderle conformi a tali principi, ivi, 2412 ss.

141 La quale ha convertito con modificazioni in legge il decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”. Per un’analisi della legge si vedano A. PUGIOTTO, Dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari alla (possibile) eclissi della pena manicomiale, in www.costituzionalismo.it, 2/2015 e D. PICCIONE, Libertà dall’ospedale psichiatrico in dismissione e rischi di regressione istituzionale, in www.rivistaaic.it, 4/2014.

142 È stato, infatti fissato al 31 marzo 2015 il termine per il definitivo superamento degli OPG . Come è noto il processo di superamento degli OPG è stato molto lungo ed è stato scandito da varie fasi e da varie

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della residualità della misure di sicurezza custodiali, la ridefinizione della pericolosità sociale143, il parallelismo fra la durata massima della pena e la misura di sicurezza144.

proroghe, per la ricostruzione delle quali fra i tanti si veda almeno P. DI NICOLA, La chiusura degli OPG: un’occasione mancata, in www.penalecontemporaneo.it, 2015, 4 ss.

143 L’art. 1, comma 1, lett. b) dispone, infatti, che l’accertamento della pericolosità sociale «è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale. Allo stesso modo provvede il magistrato di sorveglianza quando interviene ai sensi dell’articolo 679 del codice di procedura penale. Non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali». Modifiche, queste, che hanno suscitato un vivace dibattito in dottrina. Alcuni Autori hanno infatti criticato questo nuovo tipo di pericolosità sociale decontestualizzata, in quanto «nei casi di patologia psichica insuscettibile di modificazione in melius, la diagnosi di pericolosità sociale verrebbe a cristallizzarsi, senza possibilità di essere modificata sulla base delle mutazioni favorevoli del quadro socio familiare, lavorativo o terapeutico esterno» (così F. FIORENTIN, Al vaglio di costituzionalità i parametri di accertamento della pericolosità sociale dei mentally ill offenders, in www.archiviopenale.it, 2014, 6). E c’è anche chi, come M. PELLISSERO, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, in Dir. pen. proc., 2014, 923-924, è arrivato a prospettare un ritorno ad una visione neopositivistica e a una nozione biologica di pericolosità sociale. Altra dottrina, invece, (PUGIOTTO, Dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari alla (possibile) eclissi della pena manicomiale, cit., 15) favorevole all’innovazione legislativa, ha acutamente rilevato che in tal modo si è superata la c.d. pericolosità sociale latente: vale a dire quel fenomeno in base al quale il magistrato di sorveglianza prorogava la misura di sicurezza detentiva (anche se era scemato il presupposto soggettivo, come risultava dall’osservazione clinica dell’internato) a causa dell’indisponibilità familiare o territoriale di prendere in carico il soggetto, con la giustificazione che non poteva escludersi che, extra moenia, si sarebbe potuta riacutizzare la sua pericolosità sociale. Sulla centralità della possibilità di presa in carico del malato nelle motivazioni dei provvedimenti della magistratura di sorveglianza si veda E. CALVANESE-R. BIANCHETTI, L’internamento in ospedale psichiatrico giudiziario: le revoche delle misure delle nelle ordinanze del magistrato di sorveglianza di Mantova (anni 1992-2003), in Rass. pen. crim., 2005, 52. Oltre alle già citate opere sul tema si veda anche F. SCHIAFFO, La pericolosità sociale tra «sottigliezze empiriche» e “spessori normativi”: la riforma di cui alla legge n. 81/2014, in www.penalecontemporaneo.it, 2014. In linea con la dottrina critica verso queste modifiche, il Tribunale di Sorveglianza di Messina ha sollevato questione di legittimità costituzionale con l’ordinanza n. 247 del 16 luglio 2014, nella quale veniva denunciata l’introduzione di una pericolosità sociale decontestualizzata e veniva lamentato che in realtà, in tal modo, si era previsto un surrettizio ed irragionevole automatismo presuntivo (per una critica a all’ordinanza di rimessione si vedano le belle e incisive pagine di A. PUGIOTTO, Dalla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari alla (possibile) eclissi della pena manicomiale, cit., 28 ss.; cfr. anche D. PICCIONE, Libertà dall’ospedale psichiatrico in dismissione e rischi di regressione istituzionale, cit., 6 e R. BIANCHETTI, Sollevata questione di legittimità costituzionale in merito ai nuovi criteri di accertamento della pericolosità sociale del seminfermo di mente, in www.penalecontemporaneo.it, 2014). La Corte costituzionale, però, nella sentenza n. 186 del 2015ha rigettato la questione. Il giudice delle leggi, infatti, dopo aver escluso la non omogeneità degli emendamenti inseriti in sede di conversione, si concentra sul merito della questione riguardante l’accertamento della pericolosità. La Consulta rileva che il presupposto interpretativo dell’ordinanza è che «si sarebbe spezzato, “a livello della prognosi giudiziaria, il rapporto inscindibile tra l’uomo e l’ambiente […] rinunziando così al dinamismo che da tale rapporto scaturisce [e contrastando con] le stesse essenziali finalità delle misure di sicurezza sottese al sistema costituzionale”». Ma, secondo il giudice delle leggi, tale presupposto è errato, in quanto la legge n. 81 del 2014 non ha modificato, neanche indirettamente, la nozione di pericolosità sociale, ma «si è limitata ad incidere sui criteri di scelta tra le diverse misure di sicurezza e sulle condizioni per l’applicazione di quelle detentive». Come rileva, in uno dei primi commenti alla decisione, A. MASSARO, Pericolosità sociale e misure di sicurezza detentive nel processo di “definitivo superamento” degli ospedali psichiatrici giudiziari: la lettura della Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2015, in www.archiviopenale.it, 2015, 11-12, si instaura «un giudizio bifasico, scandito da un doppio giudizio prognostico». Si ha – continua l’Autrice – un primo giudizio, a base totale sull’an della pericolosità sociale e un secondo giudizio, a base parziale ed eventuale, sul quantum, per verificare se il ricorso alla misura di sicurezza custodiale sia giustificato.

Gli automatismi legislativi nella giurisprudenza costituzionale

Per quel che qui interessa, vale a dire il superamento dell’automatismo applicativo, il Legislatore ha recepito i dicta della Corte costituzionale, elevando «a regola la residualità della misura di sicurezza detentiva»145. L’art. 1, comma 1, lett. b) della legge statuisce, infatti, che «il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale…».

4.2. Il limite rigido del divario di età in materia di adozione e il preminente interesse

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